Draghi al Senato: «Insieme per l’amore dell’Italia». Applausi ed emozione per il premier
di Aldo Cazzullo
Mario Draghi e i senatori si sono fronteggiati con circospezione. È stato l’incrocio tra un presidente del Consiglio che parlava per la prima volta in vita sua all’Aula, e parlamentari incerti se applaudirlo, a rischio di interromperlo, o restare a braccia conserte, a rischio di offenderlo. Il risultato sono stati tanti applausetti, in particolare quando i vari partiti riconoscevano le proprie parole-chiave: così il Pd ha approvato il passaggio sull’europeismo, la Lega quello su rimpatri dei clandestini; quasi impietriti i 5 Stelle («non ha mai citato il reddito di cittadinanza»), mentre qualche senatore per non sbagliare ha applaudito tutto, anche quando Draghi stigmatizza la desertificazione del pianeta che agevola il passaggio dei virus dall’animale all’uomo. Davanti a lui, il sottosegretario Roberto Garofoli ha le orecchie sempre più divaricate dalla mascherina, per la gioia dei fotografi.
Freddo polare a Palazzo: tutte le finestre aperte per frenare il contagio, sussurri preoccupati su Casini finito allo Spallanzani. Mancano pure Franceschini e Di Maio, due tra gli artefici della svolta; poi viene chiarito che Federico D’Incà, grillino che vigila sui Rapporti con il Parlamento, ha contingentato i ministri per evitare assembramenti; alcuni sono di turno il mattino altri il pomeriggio, lo stesso D’Incà è sorridente e rilassato, un mese fa doveva dare la caccia ai costruttori, adesso gli basta limitare la fronda dei suoi compagni di partito insoddisfatti. A destra del premier, Giorgetti in cravatta verde e spilla con l’Alberto da Giussano simbolo della Lega secessionista. Il sottosegretario Garofoli soffre in silenzio, ogni tanto si sfiora le orecchie indolenzite.
Il discorso di Draghi è più lungo del previsto, letto da fogli pieni di caratteri fitti. I due titoli di giornata vengono fuori subito: Ricostruzione, come nel dopoguerra, con i governi di unità nazionale; «euro irreversibile», come a dire che Salvini se vuole far parte della maggioranza deve accettare questa premessa. Timidi applausi dei senatori tipo studenti spaventati ai passaggi più accademici, come quello sul coefficiente Gini, l’indice di Disuguaglianza della Distribuzione del Reddito, purtroppo in aumento per la costernazione dei presenti. Ma si vede che il professore è preoccupato di non maltrattare gli allievi. I toni sono molto diversi dai rimproveri di Napolitano ai parlamentari che lo rieleggevano, o da Renzi che con la mano in tasca esordiva a braccio: «Auspico che sia l’ultima volta che voi senatori votate la fiducia a un governo». Al contrario, Draghi precisa che questa non è la sconfitta della politica, nessuno deve fare un passo indietro, semmai un passo avanti. E vuole mostrarsi premier a tutto tondo, non solo uomo di finanza: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Finalmente un errore, Giorgetti lo corregge, i ricoverati in terapia intensiva sono duemila non due milioni. Sollievo dei senatori con una punta di maligna soddisfazione: pure Draghi è umano. I fotografi non mollano il sottosegretario Garofoli, le cui orecchie sembrano sul punto di staccarsi.
Il discorso è finito, ma la cosa non è chiara perché sull’«amore per l’Italia» al premier si è strozzata la voce per l’emozione. Nel dubbio, applausi, che crescono di intensità quando si capisce che è finita davvero. Draghi chiede timidamente: «Posso sedermi?». La presidente Casellati e la segretaria generale Elisabetta Serafin, premurose, fanno cenno di sì con la testa.
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