La posta in palio è semplicemente la democrazia
È altrettanto semplice il messaggio al Paese. Il virus è il nostro nemico, che semina dolore e moltiplica disuguaglianze. Ma l’Italia non è un campo di Agramante, fatto solo di rovine morali e materiali. Siamo migliori di come pensiamo. Per questo possiamo riaccendere la luce dei giorni che la pandemia ci ha spento. Draghi tocca corde sensibili. Il ricordo commosso di chi è caduto sul fronte del coronavirus. Il senso di colpa sincero verso i nostri figli e i nostri nipoti, per i quali non stiamo facendo tutto quello che i nostri padri e i nostri nonni fecero per noi. I poveri che non ce la fanno, i giovani che costringiamo ad emigrare, le donne alle quali sappiamo offrire solo un farisaico rispetto delle quote rosa. “Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti”. Queste non sono solo chiacchiere. Perché se è vero che ogni diritto sottratto Draghi lo declina con un numero, misura del torto che abbiamo inflitto e del ritardo che dobbiamo colmare, è altrettanto vero che non è mai stato solo “uomo dei numeri”. E chi lo ha seguito dagli Anni ’90, prima al Tesoro poi alla Banca d’Italia e infine alla Bce, lo sa.
Ed è semplice, infine, la congiunzione tra i compiti del Palazzo e i problemi del Paese. Sul Covid, tutti i cambiamenti delle regole andranno spiegati “con sufficiente anticipo” (con un’autocritica per il lockdown degli impianti sciistici). Il Piano Vaccinale va accelerato, usando tutte le strutture disponibili (con buona pace delle “primule” di Arcuri). Sul Recovery dobbiamo integrare e rafforzare il Piano, perché il tempo stringe. Sappiamo già quel che dobbiamo fare: una svolta ambientale e digitale, equa e sostenibile. “Un buon pianeta, non solo una buona moneta” è qualcosa di più di uno spot mediatico. Detto da chi la moneta l’ha salvata, piegando le resistenze della Germania e portando dalla sua parte Angela Merkel, può diventare un impegno programmatico. E lo stesso vale per le grandi riforme, che aspettano da troppi anni. Dalla sanità che deve ripartire dalla medicina del territorio ai sussidi che devono garantire tutti i lavoratori ma non possono finanziare tutte le imprese. Dal fisco che va ripensato preservando la progressività delle imposte alla Pubblica Amministrazione che è fattore di efficienza dell’intero Sistema-Paese.
Ottenuta la fiducia, ora il premier prende il largo. I partiti che gliel’hanno concessa sono con lui, perché al contrario di Monti non deve tagliare e può spendere. Ma non illudiamoci. Presto il vento cambierà, verranno i giorni difficili, esploderanno i conflitti perché, per quanto si adoperi nelle sue sorprendenti metamorfosi kafkiane, questo ceto politico è quello che è. Ma se sono capaci di un ulteriore sussulto di buonsenso, ai partiti il governo Draghi offre ancora una chance: quella di rifondarsi alle sue spalle. Di ricostituirsi in due schieramenti omogenei, in una logica di alternanza bipolare. Di accorciare la distanza che li separa dai tecnocrati (unici depositari di una competenza acquisita nei circuiti delle élite) e i politici (tenutari esclusivi di un consenso guadagnato a colpi di promesse mancate). Di colmare l’abisso che li separa da un’opinione pubblica sempre più disincantata e distaccata. Per questo, oggi, “l’unità non è un’opzione ma un dovere”. La posta in palio è la democrazia. Semplicemente.
LA STAMPA
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