Cacciari: “Fermando il virus Draghi frenerà la crisi, ma non riuscirà a fare le riforme”
Cito: “Saremo semplicemente il governo del Paese”. Straordinariamente ovvio o ovviamente straordinario?
«Di
sicuro questo governo non ha una maggioranza politica. E non è nemmeno
tecnico anche se è Draghi a dare le carte. I partiti non avevano scelta
di fronte alla posizione di Mattarella e quella del premier è una
sintesi più che una fotografia. Nel governo ci sono tutti, tranne la
Meloni che pure è molto ragionevole».
Uniti verso un futuro pieno di riforme?
«Figuriamoci. Draghi non lo può dire, ma io sì: con questo governo le riforme non le vedremo mai».
Non esagera?
«Draghi
non è il Padreterno e non potrà fare in un giorno quello che non si fa
da 30 anni. Vuole degli esempi? Lo ius culturae evocato da Zingaretti lo
vedremo mai in un governo con Salvini? E sulla giustizia è possibile
trovare un punto di caduta tra 5Stelle e Forza Italia? Dubito. E così
sarà per il fisco o per una vera riforma della scuola”.
Eppure la frase più netta del premier è stata: “L’unità non è un’opzione, è un dovere”. Come nel dopoguerra.
«I
partiti hanno il dovere preciso di appoggiarlo e di non rompergli i
coglioni dopo quello che hanno combinato. E Draghi è abbastanza
intelligente da non chiedere cose impossibili. Ma il richiamo alla
ricostruzione del dopoguerra è benevolmente ridicolo».
L’unità allora ci fu. Breve, ma ci fu.
«Sì,
dal ’45 alla Costituente perché non si poteva fare diversamente. Poi la
ricostruzione la fece la Dc con i suoi alleati lasciando fuori il Pci.
Un po’ di memoria storica è necessaria. Altrimenti, citando Musil come
ha fatto recentemente Donatella Di, si diventa come quelle persone che
non hanno mai del tutto torto in niente perché i loro concetti sono
indistinti come figure tra i vapori di una lavanderia. Comunque le
parole di Draghi sono comprensibili e perdonabili».
Che scenario prevede, allora?
«Draghi
interverrà sulla pandemia, organizzerà un nuovo piano vaccini e userà i
soldi del Next Generation Eu anche per affrontare le gravi crisi
industriali. Quelle, da Alitalia all’Ilva, sono vere gatte da pelare. In
Senato ha detto una cosa su cui mi pare si siano soffermati in pochi: i
soldi non andranno alle aziende decotte».
È la teoria del debito buono, che però – nell’immediato – rischia di produrre un sacco di persone a spasso.
«Mi
aspetto che Draghi affronti le crisi in modo socialmente sensibile. Non
so se basteranno i soldi europei, ma so che il sistema previdenziale è
squilibrato e per immaginare un cambiamento servirà, in questo caso
davvero, il contributo di tutti. Non ci sarà la patrimoniale, ma una
manovra di bilancio decisa sì».
Professore,
stavolta cito lei: il governo Draghi certifica il fallimento della
politica. In Aula il premier ha sostenuto l’opposto.
«Mica
poteva dire il contrario. E’ ovvio che la sua presenza è il risultato
di una catastrofe politica. L’affermazione del premier la prenderei per
un vezzo retorico».
In questo governo ci sono 15 ministri del Nord.
«Bah,
secondo me Draghi neppure lo sa. E poi non è che il Nord sia sciocco ed
egoista. I problemi dell’assistenza sono noti a tutti. Piuttosto sono
due i punti politici da capire, la Lega e i 5 Stelle».
Partiamo dalla Lega.
«Sarà interessante vedere se questa svolta giorgettiana è radicata e destinata a durare con Salvini comunque leader».
E i 5 Stelle?».
«Vedere se esplodono o no».
Per ora vogliono federarsi con Pd e Leu.
«Mi
pare un fatto positivo. Hanno davanti scadenze decisive (penso al voto
in città come Torino, Roma e Napoli) e dunque è meglio che trovino un
modo per marciare divisi e colpire uniti».
E il Pd?
«Si barcamena. Come sempre».
Nel discorso di Draghi una citazione per Cavour e una per Papa Francesco.
«Cavour
lasciamolo stare. Il Papa quando si parla di ambiente ormai è un must.
Per fortuna non ha citato San Francesco e il cantico delle creature».
Perché lasciamo stare Cavour?
«Perché per me che sono un federalista sarebbe stato meglio riferirsi a Spinelli, a Trentin o a don Sturzo piuttosto che evocare il centralismo autoritario sabaudo».
LA STAMPA
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