Draghi ai raggi X: dalle riforme al welfare i nostri opinionisti analizzano il primo discorso del premier
GIOVANNI ORSINA, MARCO REVELLI, STEFANO STEFANINI, MASSIMILIANO PANARARI
LE DINAMICHE PARLAMENTARI
Quell’impronta politica che mette sotto pressione i partiti di maggioranza
Con l’intervento al Senato, Draghi ha dato al suo gabinetto
un’indiscutibile impronta politica. Il suo esecutivo, ha detto in
apertura, «è semplicemente il governo del Paese». Privo di qualifica,
ossia di alcun limite d’oggetto o tempo. E subito dopo ha aggiunto: «Si è
detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal
fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo.
Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai …
ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese».
A conferma di queste premesse, nel suo discorso Draghi si è poi mosso a tutto campo, dalla scuola al fisco, dalla pubblica amministrazione alla sanità, e ha messo sul tappeto una serie di riforme altamente politiche che, anche a volerle solo impostare, richiederebbero ben più dei due anni che restano alla legislatura.
Nel suo breve intervento del 2 febbraio, il Presidente Mattarella aveva chiesto un governo che non si identificasse «con alcuna formula politica». Reggendosi su una maggioranza che non corrisponde a una formula politica, il gabinetto Draghi rispetta appieno il mandato. Ma di per sé una formula politica ce l’ha eccome. Né avrebbe potuto fare a meno di averla, quando si consideri l’ampiezza del Next Generation EU che è chiamato a gestire.
Ora, un governo con formula politica fondato su una maggioranza senza formula politica è destinato a mettere sotto forte pressione i partiti che lo sostengono. La Lega più degli altri, perché è la forza più eccentrica rispetto a quella formula, che si fonda non soltanto sull’europeismo, ma su un europeismo a torsione federalista. Ma non soltanto la Lega: la tensione fra la diversa politicità del gabinetto e della maggioranza varrà per tutti. E su di essa si giocherà parte almeno del futuro della «soluzione Draghi».
GIOVANNI ORSINA, professore ordinario di storia contemporanea alla Luiss
IL TESSUTO SOCIALE
Tutto bene ma che ne sarà dei lavoratori meno smart travolti dalla pandemia?
Una parte del discorso al Senato di Mario Draghi è stata dedicata al sacrificio immenso che il mondo del lavoro ha pagato alla pandemia. Il capo del governo non ha nascosto le cifre drammatiche in termini di occupazione perduta, in particolare dalle figure più fragili, giovani e donne, autonomi e precari, e neppure l’inquietante prospettiva che in un futuro non lontano possa «essere colpito il ‘”posto fisso”, i contratti a tempo indeterminato». E questa attenzione è buona cosa. Meno preciso è stato tuttavia sulle risposte che il nuovo governo è disposto a mettere in campo, per alleviare queste sofferenze. Ha nominato, è vero, il blocco dei licenziamenti, sottintendendo che dovrà essere prorogato, ma non ha detto fino a quando (ed è questione decisiva per chi vuole sapere se sarà tra i sommersi o i salvati). Ha fatto riferimento alla riforma degli ammortizzatori sociali, come materia correlata alla questione del blocco, ma è tema che da più di un decennio sta sui tavoli dei decisori senza che se ne sia finora venuti a capo. Ha nominato le «politiche attive» del lavoro, ma come si sa queste hanno tempi medio-lunghi prima di portare ristoro e non funzionano per tutti. Ha anche promesso che, per lo meno nell’immediato, tutti i lavoratori colpiti dovranno essere soccorsi (s’immagina con sussidi). Ma anche in questo caso fino a quando la rete di protezione sarà attiva, e quando verrà ritirata? Una frase gettata lì quasi per inciso lascia trapelare qualche indizio: quella relativa al soccorso alle imprese, «ma non a tutte», solo a quelle con potenzialità innovative serie: è un principio ben radicato dell’ideologia prevalente, ma può valere nello stato d’emergenza che attraversiamo? E soprattutto, che ne sarà nel medio periodo dei dipendenti nei settori meno «smart»? Insomma, avrei preferito anche ora, su questi temi, un whatever it takes.
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