Draghi ai raggi X: dalle riforme al welfare i nostri opinionisti analizzano il primo discorso del premier

MARCO REVELLI, sociologo insegna Scienza della Politica all’Università del Piemonte orientale

LA POLITICA ESTERA
L’Atlantismo e la sfida a Putin ha toccato ogni caposaldo dei rapporti internazionali

Asciutto, chiaro, incisivo – e innovativo. Con poco più di 250 parole il Presidente del Consiglio ha tracciato la politica estera del governo. Una ventata di freschezza nella verbosità di simili circostanze. A Mario Draghi bastarono tre parole per salvare l’euro. Nel linguaggio dell’ex-banchiere centrale ogni parola conta.

Draghi ha toccato i capisaldi delle relazioni internazionali dell’Italia: Europa, Atlantico e multilateralismo. Ue, Nato e Onu sono le tre grandi conquiste che permisero a nostro Paese di risollevare la testa nel mondo dopo i traumi del fascismo e della disfatta; la più ardua fu l’ingresso nelle Nazioni Unite, il che da la misura delle difficoltà allora affrontate. Ripeterli oggi non è banale, rivolgendosi a una generazione politica, e a una nazione, che talvolta sembrano aver perso la bussola internazionale. Ricorda qual è la collocazione dell’Italia nel mondo, tanto geografica quanto valoriale.

Senza essere scontato Draghi ha poi affrontato gli equilibri interni all’Ue, il rapporto con l’amministrazione Biden e la dialettica con la Russia. Rivendicare un rapporto imprescindibile con Parigi e Berlino significa anche che l’Italia rivendica un ruolo non subalterno rispetto ai due. Non è tutto solo rose e fiori tra francesi e tedeschi nelle rispettive visioni; c’è spazio per una Roma costruttiva e propositiva. La Russia guadagna una lancia spezzata per il dialogo ma lo paga, insieme ad altri innominati, con l’esplicita preoccupazione per «i diritti dei cittadini spesso violati».

Nella politica estera italiana Washington è sempre l’ospite d’onore. Ieri non ha fatto eccezione. Ma il filo che avvicina gli Usa di Joe Biden e l’Italia di Mario Draghi va cercato soprattutto nella convergenza fra la centralità di coesione e giustizia sociale, filo conduttore dell’intero discorso, e la “politica estera a beneficio della classe media” propugnata dal nuovo Presidente americano. Su questo terreno Usa e Italia si troveranno insieme, specie nel G20 di cui abbiamo la presidenza. 

STEFANO STEFANINI, Senior advisor dell’Ispi, rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

LA COMUNICAZIONE
Asciutto e senza fronzoli uno stile per sottrazione (e addio alla pochette)

«L’ornamento è delitto», sosteneva l’architetto razionalista Adolf Loos. E, a occhio, il presidente del Consiglio Mario Draghi potrebbe facilmente sottoscrivere. Osservando il look e le posture durante il discorso della fiducia al Senato l’essenzialità (al pari della propensione per il pragmatismo) si è tradotta anche sul piano visivo e gestuale. Lo «stile Draghi» è asciutto e senza fronzoli, goal-oriented, e molto istituzionale; e si nutre naturalmente dei codici comunicativi che gli derivano dalla lunga esperienza professionale precedente. Il «mood banchiere centrale», fondato sul riserbo e la discrezione, che servono a indirizzare i mercati e si collocano agli antipodi dell’ostentazione adottata da vasti settori del nostro ceto politico (tanto più sfacciata quanto meno sa essere veramente incisivo). E lo si è visto nel rispettoso passo felpato con cui l’ex presidente Bce ha fatto ingresso nei palazzi della politica romana. Di qui, anche le emozioni, autentiche (e visibili), ma espresse rigorosamente dentro il perimetro della «temperanza», come si confà a chi ha ricoperto incarichi di quel livello nella governance finanziaria globale. Una «misura» che si riflette anche nell’outfit understatement: Draghi portava una cravatta striata rosa-rossa su camicia bianca, e indossava un completo scuro tre bottoni (più sportivo del classico a due). Sul bavero della giacca la rosetta da Cavaliere della Repubblica, e il taschino vuoto, laddove il suo predecessore infilava la ben nota pochette a 4 punte. Uno stile essenziale e per sottrazione, imperniato sull’idea – che è anche politica – della forma-funzione, esemplificata dalla mascherina Ffp2, senza i simboli acchiappavoti che tanto piacciono ai leader di partito. E una sobrietà comunicativa che mira a fare parlare i fatti, archiviando (almeno temporaneamente…) propaganda, annuncite e barocchismi vari.

MASSIMILIANO PANARARI, docente di Campaigning e Organizzazione del consenso alla Luiss 

LA STAMPA

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