Giustizia, il Paese senza memoria
Le cause sono diverse. C’è certamente la circostanza che la politica ha alimentato queste tendenze: i politici sono garantisti quando oggetto di provvedimenti giudiziari sono loro o i loro amici, sono forcaioli quando vengono colpiti i loro avversari. Ciò è il frutto di un atteggiamento strumentale e opportunistico (di tanti italiani, non dei soli politici) nei confronti delle leggi. Vale ancora, anzi vale più che mai, quanto disse circa cento anni fa Giovanni Giolitti: «In Italia, le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici».
Vale anche il fatto che, causa dell’unità delle carriere dei magistrati, molti italiani non riescono a distinguere fra un giudice e un procuratore. E se un procuratore è chiamato giudice, questo non è un errore innocente. Ne deriva infatti che i suoi provvedimenti verranno scambiati per sentenze: l’indagato diventa così un colpevole il cui reato è stato provato. Il processo diventa superfluo, anzi un fastidioso onere per i contribuenti.
Al fondo naturalmente giocano le nostre tradizioni illiberali. Intendiamoci: anche nei Paesi anglosassoni, nei quali i principi liberali sono più saldi e che per questo alcuni di noi ammirano, ci sono nella pubblica opinione tendenze forcaiole. Ma, per lo più, in quei Paesi sono garantiste le élite, è garantista la classe dirigente. Essa è pertanto in grado di fare muro, di impedire alle pulsioni illiberali di una parte del pubblico di fare gravi danni. In Italia, invece, ci sono segmenti delle élite (per esempio, intellettuali) che condividono il credo forcaiolo di una parte dell’opinione pubblica. Per questo in Italia non ci sono vere barriere. Si noti che tutto ciò non dipende dalla divisione fra guelfi e ghibellini, fra la destra e la sinistra. Si pensi a un grande vecchio, un protagonista della storia comunista, scomparso di recente: Emanuele Macaluso. Combinava una visione togliattiana della politica e una concezione liberale della giustizia.
Non credo che Di Maio riuscirà davvero a convertire molti fra i 5Stelle. Dovrebbero rinunciare alla vera «ragione sociale» del loro movimento politico. Dovrebbero rinunciare anche all’alleanza di fatto che hanno stabilito con il settore più politicizzato e militante della magistratura. In ogni caso, si ricordi che le ragioni che spiegano la prevalenza in questo Paese di atteggiamenti illiberali in materia di giustizia, sono profonde, vengono da lontano. La pur meritoria dichiarazione di un politico non basta a cambiare le cose . Non può sostituire una lunga e faticosa opera di rieducazione del pubblico. Che dovrebbe cominciare a scuola. Basta metterla così per capire quanto possa essere ardua l’impresa.
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