Archive for the ‘La Giustizia’ Category

Infermiera assolta dopo 7 anni da killer

martedì, Ottobre 26th, 2021

Annamaria Bernardini De Pace

La Corte d’Assise di Appello di Bologna, con l’appello ter, ha assolto l’ex infermiera di Lugo di Romagna, Daniela Poggiali, perché il fatto non sussiste. Era stata denunciata, incarcerata e condannata per la morte, nel 2014, di una signora di 78 anni, ma anche per la morte di un signore di 94 anni. Una storia processuale inquietante, per chiunque creda ancora alla giustizia italiana. Prima condannata all’ergastolo, per la morte della donna, poi due assoluzioni in appello e quindi due annullamenti in Cassazione. Per la morte dell’uomo, 30 anni di carcere, poi in appello l’assoluzione. Oggi la scarcerazione. Il Procuratore Generale aveva chiesto la conferma della condanna, mentre gli avvocati, ovviamente, l’assoluzione.

Dunque, l’infermiera non aveva ucciso i degenti, come si era detto, con iniezione di potassio. Pertanto, primo grado, appello, Cassazione, poi ancora Appello e Cassazione fino all’appello, definitivo di oggi: una marea di giudici e pubblici ministeri coinvolti, per dire ognuno la sua che non corrispondeva mai a quella dell’altro. Oggi possiamo dividere i magistrati innocentisti e i colpevolisti e decidere che gli innocentisti dall’origine, sono stati i più bravi. O no? Il nostro codice prevede che l’imputato debba essere condannato al di là di ogni ragionevole dubbio. Cioè, fino alla prova schiacciante, c’è la presunzione di innocenza. Una volta esisteva la formula dell’assoluzione per insufficienza di prove, e questa era la conclusione di quasi tutti i processi indiziari. Oggi, invece, nel dubbio si condanna. Pensiamo solo a Bossetti o al delitto di Garlasco e a quanti più che ragionevoli dubbi ci fossero e non sono stati presi in considerazione. Questa volta, invece, con l’infermiera, il principio è stato rispettato: tra condanne e assoluzioni il dubbio è evidente. Tuttavia, è proprio la discordanza di giudizio tra i vari giudici che sconvolge il cittadino. Sono i 6 processi resisi necessari per arrivare all’assoluzione, che creano panico in chi teme di poter avere a che fare con la giustizia. Sono gli oltre tre anni di carcere dell’infermiera, oggi assolta perché il fatto non sussiste (il fatto non sussiste! Ovvero, la formula più categorica di assoluzione) che provocano dubbi in chiunque sul funzionamento della magistratura. In un periodo storico, peraltro, nel quale i magistrati hanno perso di credibilità, e non solo per le confessioni di Palamara.

Tutto sommato, di fronte a giudici e pubblici ministeri così macroscopicamente difformi nel pensiero e nel giudizio, meno male che il nostro ordinamento preveda tre gradi di giudizio e, in particolare, il controllo di legittimità sulle pronunce di merito: così infatti, e solo così, c’è la possibilità di rimediare agli errori dei giudici che vengono prima. Non c’è dubbio che l’ex infermiera chiederà allo Stato di essere risarcita per l’ingiusta detenzione, ma potrebbe e dovrebbe far valere anche tutti gli altri danni possibili (morale, esistenziale, alla reputazione, biologico, alla salute, etc…) provocati dall’errore madornale di quei giudici che l’hanno costretta al carcere. E quanto alla reputazione, pensiamo che, benché assolta, sarà nell’immaginario di tutti sempre l’infermiera killer, fotografata vicino al paziente deceduto con le dita in segno di vittoria.

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Ruby ter, processo Siena: assolti Silvio Berlusconi e il pianista Mariani | La difesa: “E’ il giusto epilogo”

venerdì, Ottobre 22nd, 2021

Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e il pianista di Arcore Danilo Mariani sono stati assolti al processo Ruby ter a Siena perché il fatto non sussiste. Erano imputati per corruzione in atti giudiziari. Questa la sentenza del tribunale dopo circa un’ora di camera di consiglio. “Ho sentito Berlusconi poco fa, è evidentemente sollevato e soddisfatto”, ha riferito l’avvocato Federico Cecconi, uno dei suoi legali.

“Grandissimo risultato, tutti e due assolti con formula piena: sono veramente contento. Non stupito: è il giusto epilogo di questo processo che forse si doveva fermare un po’ prima”, ha commentato uno dei legali di Silvio Berlusconi, l’avvocato Enrico De Martino, al termine del processo.

Secondo quanto si apprende da fonti di Forza Italia, il leader della Lega, Matteo Salvini e la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni hanno chiamato Silvio Berlusconi dopo l’assoluzione nel processo di Ruby ter.

Bernini (Fi): si chiude pagina persecuzione giudiziaria – “L`assoluzione del presidente Berlusconi nel processo Ruby Ter è il logico epilogo di una
vicenda giudiziaria che ha generato una micidiale gogna mediatica, una sentenza anticipata di colpevolezza smentita prima dai fatti e poi dai giudici di Siena, perché, semplicemente, il fatto non sussiste”, afferma in una nota la presidente Anna Maria Bernini.

“Si chiude così un`altra pagina della persecuzione giudiziaria contro il leader del centrodestra, costruita su teoremi tanto infamanti quanto velleitari. Al presidente Berlusconi il mio più caloroso abbraccio e quello di tutti i senatori di Forza Italia. Da oggi siamo tutti più forti”, conclude.

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Caso Regeni, salta processo a 007 egiziani: per la corte d’Assise gli atti devono tornare al Gup

venerdì, Ottobre 15th, 2021

Gli atti del processo agli 007 egiziani accusati di avere sequestrato e ucciso Giulio Regeni devono tornare al Gup. La decisione della III corte d’Assise di Roma è legata all’assenza in aula degli imputati, nodo affrontato nella prima udienza. Il Gup dovrà usare tutti gli strumenti, compresa una nuova rogatoria con l’Egitto, per rendere effettiva e non solo presunta la conoscenza agli imputati del procedimento a loro carico.

I giudici, dopo una camera di consiglio durata oltre cinque ore, hanno annullato l’atto con cui il Gup ha disposto il rinvio a giudizio degli imputati nel maggio scorso. Si riparte quindi dall’udienza preliminare.

Il nodo sulla presenza del generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif si annunciava complesso. A parere della corte d’Assise di Roma “il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati comunque non presenti all’udienza preliminare mediante consegna di copia dell’atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento”.

Legale della famiglia: “Battuta di arresto, ma non ci arrendiamo” – “Riteniamo importante che il governo italiano abbia deciso di costituirsi parte civile. Prendiamo atto con amarezza della decisione della Corte che premia la prepotenza egiziana. È una battuta di arresto, ma non ci arrendiamo. Pretendiamo dalla nostra giustizia che chi ha torturato e ucciso Giulio non resti impunito. Chiedo a tutti voi di rendere noti i nomi dei 4 imputati e ribaditelo, così che non possano dire che non sapevano”. Così l’avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, lasciando l’aula bunker di Rebibbia al termine dell’udienza. Presenti accanto alla Ballerini anche Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio e Irene, la sorella.

Fonti procura: “Sorpresa e amarezza per decisione” – La decisione dei giudici è stata accolta a piazzale Clodio con “sorpresa e amarezza”. Fonti della procura affermano che “il tentativo di impedire che il processo si celebrasse non collaborando è andato a buon fine malgrado un lavoro intenso di oltre cinque anni che ha permesso l’identificazione dei presunti autori dei fatti”. Le fonti giudiziarie “si augurano che riprendano con rinnovata determinazione le azioni, a tutti i livelli, per ottenere l’elezione di domicilio degli imputati così che il Gup cui la corte d’Assise ha rimesso gli atti possa riavviare il processo al più presto”.

Giudici: “Imputati non raggiunti da alcun atto ufficiale” – Gli 007 egiziani “non sono stati raggiunti da alcun atto ufficiale”. E’ un passaggio dell’ordinanza dei giudici della III corte d’Assise che ha annullato il rinvio a giudizio disposto dal Gup a maggio. “Le richieste inoltrate tramite rogatoria all’autorità giudiziaria egiziana contenenti l’invito a fornire indicazioni sulle compiute generalità anagrafiche e sugli attuali ‘residenza o domicilio’ utili per acquisire formale elezione di domicilio non hanno avuto alcun esito”, scrivono i giudici. “L’acclarata inerzia dello Stato egiziano a fronte di tali richieste del ministero della Giustizia italiano, certamente pervenute presso l’omologa autorità egiziana, seguite da reiterati solleciti per via giudiziaria e diplomatica nonché da appelli di risonanza internazionale, effettuato dalle massime autorità dello Stato italiano, ha determinato l’impossibilità di notificare agli imputati, presso un indirizzo determinato, tutti gli atti del procedimento a partire dall’avviso di conclusione delle indagini. Gli imputati, dunque, non sono stati raggiunti da alcun atto ufficiale”, aggiungono i giudici.

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Illeciti nella gestione dei migranti, Mimmo Lucano condannato: “Nemmeno a un mafioso”

venerdì, Ottobre 1st, 2021
Riace, condannato l'ex sindaco Mimmo Lucano

“Nemmeno a un mafioso”. Così Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, commenta la condanna di 13 anni e due mesi di reclusione nel processo “Xenia”, svoltosi al tribunale di Locri, sui presunti illeciti nella gestione dei migranti. “Oggi sono morto dentro. Non c’è più giustizia” ha aggiunto. “Questa è una vicenda inaudita. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso. Mi aspettavo un’assoluzione”.  

Una sentenza pesantissima – L’ex sindaco di Riace ha poi ringraziato i suoi legali per il lavoro svolto. “Io, tra l’altro, non avrei avuto modo di pagare altri legali, non avendo disponibilità economica” ha spiegato. Lucano, tra l’altro,  secondo la sentenza di primo grado, dovrà anche restituire 500mila euro riguardo i finanziamenti ricevuti dall’Unione europea e dal governo. “Ho speso la mia vita per rincorrere ideali, contro le mafie, dalla parte degli ultimi, dei rifugiati, ho immaginato di poter contribuire al riscatto della mia terra. È stata una esperienza indimenticabile e fantastica, ma oggi è finito tutto” ha sottolienato. “È una sentenza pesantissima, non so se per i delitti di mafia arrivano sentenze simili“.

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Stato mafia, la figlia di Borsellino: “Sotto accusa chi aiutò mio padre”. Difende i carabinieri, attacca i pm

domenica, Settembre 26th, 2021

Giovanni M. Jacobazzi

«In questi anni, a proposito del processo trattativa, non ho mai voluto esprimermi anche se ho sempre avuto molti dubbi e perplessità sulle accuse da parte della Procura. E devo dire che i miei sospetti sono stati confermati dalla sentenza della Corte d’appello di Palermo». Lo ha affermato ieri, all’indomani della sentenza che ha assolto gli ufficiali del Ros dei carabinieri e Marcello Dell’Utri, Fiammetta Borsellino, la figlia del magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 da una Fiat 126 imbottita di tritolo in via D’Amelio a Palermo.

Signora Fiammetta, sono anni che si batte per la ricerca della verità sulla morte di suo padre. Cosa ha pensato alla notizia dell’assoluzione dei generali Mario Mori e Antonio Subranni?

«Mi chiedevo sempre come fosse possibile che uomini che erano stati al suo fianco potessero essere realmente artefici di una trattativa con gli esponenti di Cosa nostra, che invece avevano sempre combattuto».

Le sembrava assurdo?

«Ma sì. Del resto fu lo stesso Subranni aportare un’informativa all’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco, su un carico di tritolo destinato a mio padre. Ricordo ancora i pugni che mio padre diede sul tavolo quando raccontò a casa che il procuratore non lo aveva neppure avvisato».

Lei e la sua famiglia avete in molte occasioni fatto riferimento ad altre piste investigative che non sono state percorse. Ci può spiegare?

«Sono anni che sto chiedendo di approfondire il clima che mio padre viveva dentro la Procura di Palermo, che seppi aveva definito un “nido di vipere”. Mio padre disse a mia madre che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo ma i suoi colleghi che lo avrebbero permesso».

Ha parlato in diverse occasioni del dossier “mafia appalti”. Cosa c’entra nel procedimento sulla trattativa?

«Pur essendo passati ormai tanti anni, non mi capacito del fatto che nessuno abbia mai voluto fare luce sul perché venne archiviato questo dossier, a cui mio padre aveva manifestato di tenere moltissimo».

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Otto e mezzo, Alessandro Sallusti contro Marco Travaglio: “Bisogna saper perdere”

sabato, Settembre 25th, 2021

Alessandro Sallusti smonta Marco Travaglio sulla trattativa Stato-mafia. Ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, nella puntata del 24 settembre, il direttore di Libero sottolinea che sono “tutte inchieste finite nel nulla e che hanno inquinato la democrazia“. Il direttore del Fatto quotidiano prova a rispondere: “Puoi dire quello che vuoi, ma il fatto sussiste: hanno stabilito che i carabinieri lo potevano fare, i mafiosi no”.  



Sallusti contro Travaglio: guarda il video da Otto e mezzo

“La sentenza dice che il fatto c’è”, insiste Travaglio. “La trattativa l’hanno iniziata i carabinieri, a capocchia“. Ma Sallusti ribatte: “Sussiste che non è reato. Io non voglio insegnare a tre carabinieri il mestiere ma la sentenza dice che non hanno trattato”. “Leggiti queste due pagine, non capisci nulla”, lo insulta quindi Travaglio. “Bisogna saper perdere nella vita”, lo zittisce Sallusti. 

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Codice rosso, nel 2021 una vittima su tre è un femminicidio: come cambierà la legge

sabato, Settembre 25th, 2021

Maria Berlinguer

ROMA. Da agosto a oggi sono 11 le donne che hanno perso la vita, quasi sempre per mano di un ex marito, un compagno che non accettava la separazione o la fine di una vita segnata dalle continue violenze dentro le mura di casa. Da gennaio a settembre, su 206 omicidi, 86 vittime sono donne, 73 uccise nell’ambito familiare o affettivo. Sono solo la punta dell’iceberg di una violenza che subisce un’escalation irrefrenabile. «Quello che affrontiamo è un crimine odioso, avvertito come una piaga sociale e un crimine che possiamo combattere solo se lavoriamo insieme con una comunione di analisi, intenti e di azioni», dice la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese al convegno «Femminicidi prospettive normative» organizzato a Montecitorio dal commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso e dei reati internazionali violenti, il prefetto Marcello Cardona. Per Lamorgese la mattanza delle donne affonda le radici nell’organizzazione patriarcale della società. «Credo che una delle esigenze sia ripensare le misure di prevenzione personale, ci si potrà orientare verso un’estensione mirata dell’arresto obbligatorio in flagranza, l’introduzione di una specifica disciplina del fermo di indiziato di delitto e prevedere la segnalazione al prefetto del procedimento avviato per alcuni delitti al fine dell’adozione di ulteriori misure», spiega la ministra sottolineando l’importanza di introdurre un indennizzo più sostanzioso per le vittime e i figli.

Una proposta concreta arriva dalla ministra agi Affari regionali Mariastella Gelmini che propone di estendere anche alle donne che denunciano la norma di protezione per i testimoni di giustizia. «C’è la necessità di predisporre una più efficace rete di protezione attorno alle donne che scelgono di denunciare» spiega. Sulla stessa linea è la ministra Mara Carfagna. Il tema brucia. «Maschilismo tossico» lo definisce il presidente della Camera Roberto Fico, convinto che la violenza vada combattuta non solo integrando il quadro normativo ma «rimuovendo gli ostacoli sul lavoro e i limiti culturali, partendo dalle scuole».

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Casamonica, arrivata la sentenza: 44 condanne, per i giudici il clan è mafia

martedì, Settembre 21st, 2021

Roma – Riconosciuta l’associazione di stampo mafioso, il clan Casamonica è mafia. Lo hanno stabilito i giudici della Decima sezione penale del tribunale di Roma che hanno emesso nell’aula bunker di Rebibbia, dopo sette ore di camera di consiglio, la sentenza di condanna a carico di 44 imputati con accuse che vanno a vario titolo dall’associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, all’estorsione, l’usura e detenzione illegale di armi. Il processo è scaturito dall’indagine dei carabinieri “Gramigna”, coordinata dai pm della Dda di piazzale Clodio. Per questa stessa vicenda, nel maggio del 2019, erano state disposte 14 condanne in abbreviato e tre patteggiamenti per l’organizzazione criminale attiva nell’area est della Capitale.

I giudici hanno inflitto 30 anni di reclusione per Domenico Casamonica e 20 anni e mezzo per Giuseppe Casamonica. Tra i condannati, anche Luciano Casamonica (12 anni e 9 mesi) Salvatore Casamonica (25 anni e 9 mesi) e Pasquale Casamonica (23 anni e 8 mesi). Inflitta una pena di 19 anni per Massiliano Casamonica. L’indagine era stata avviata nel 2015. “Con questa sentenza, il Tribunale di Roma riconosce in pieno la matrice mafiosa del sodalizio criminale costituito nell’ambito della famiglia Casamonica e fa luce su una sequela di episodi di estorsione e violenza rimasti sino ad oggi impuniti, anche a causa della dilagante omertà imposta dal clan nel quadrante sud-est della capitale”, osserva l’avvocato Giulio Vasaturo, legale di parte civile per conto dell’associazione antimafia Libera. “È un fondamentale riconoscimento per l’ottimo lavoro della Procura di Roma e della polizia giudiziaria che nel giro di pochi anni hanno saputo imprimere un colpo durissimo alle cosche dei Fasciani, Spada, Casamonica e dei Senese, per troppo tempo egemoni a Roma”.

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Il caso toghe sfascia la procura di Milano. Firmano 100 giudici in difesa di Storari. L’ira del capo Greco

lunedì, Luglio 26th, 2021

Luca Fazzo

E adesso c’è la prima vittima, nella disastrosa vicenda giudiziaria scaturita dal processo Eni e dai verbali del «pentito» Pietro Amara: ed è la vittima più gloriosa di tutte, la Procura della Repubblica di Milano. Che dallo scontro innescato dalla consegna dei verbali di Amara dal pm Paolo Storari a Piercamillo Davigo viene ieri travolta in pieno, con la ribellione di quasi cento magistrati che insorgono in difesa di Storari. A poche ore dalla decisione del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi di chiedere al Csm la testa di Storari – via da Milano, e mai più pubblico ministero – la raccolta di firme in difesa del collega sotto accusa, in corso da giorni nei corridoi del palazzaccio milanese, viene allo scoperto. È un documento che non entra nel merito dei verbali consegnati a Davigo, ma poco importa. La frase cruciale è una: i firmatari dicono che «la loro serenità non è turbata dalla presenza del collega». È esattamente il contrario di quello che il capo della Procura, Francesco Greco, e il pg della Cassazione sostengono: consegnando i verbali a Davigo, e continuando intanto a indagare su Amara e persino sulla fuga di notizie di cui egli stesso era l’origine, Storari avrebbe messo «a disagio» l’intero ufficio. Per questo, aveva scritto Salvi, Storari va cacciato da Milano: per la «serenità» dell’ufficio.

La nostra serenità, rispondono i firmatari, non è affatto messa in discussione dalla presenza di Storari. Ed è una discesa in campo senza precedenti, una ribellione inimmaginabile ai tempi di Borrelli, un colpo devastante all’immagine di uno degli uffici giudiziari più importanti d’Italia. I segnali c’erano stati, la protesta covava nelle chat e nei corridoi. I segnali di solidarietà a Storari erano arrivati da più parti. Ma il procuratore Greco, e con lui Salvi, hanno deciso di andare avanti. Forse non pensavano che i leader del fronte pro Storari avrebbero scelto alla fine di uscire allo scoperto. Si sbagliavano.

Firmano 55 pm, i due terzi del totale. E a scendere in campo non sono solo i «peones», i giovani pm della base. Nell’elenco compaiono nomi importanti. Il primo è quello di Alberto Nobili, veterano della Procura e delle inchieste sulla criminalità al nord, oggi a capo dell’antiterrorismo. Con lui, tre procuratori aggiunti, i «vice» di Greco: Ferdinando Targetti, Tiziana Siciliano e il capo dell’antimafia Alessandra Dolci. Si tratta di magistrati che hanno condiviso con Greco decenni di lavoro e rapporti di amicizia; la Siciliano e la Dolci sono state appoggiate da Greco nella domanda per i posti che oggi ricoprono. Eppure anche loro oggi si schierano contro di lui. Greco, si dice, la prende malissimo. Adesso il procuratore è un uomo solo, con accanto solo i suoi fedelissimi. A partire da Fabio De Pasquale, il grande accusatore del caso Eni, oggi sotto procedimento penale a Brescia proprio per la sua gestione del processo ai vertici del colosso.

Non è tutto. A firmare il documento pro-Storari ci sono anche quasi cinquanta giudici: più di metà dei giudici preliminari, una intera sezione penale, toghe giovani e meno giovani. Il caso Storari diventa l’occasione per un atto d’accusa contro l’intera gestione della giustizia a Milano da parte della Procura. Decenni di timori reverenziali verso quella che fu la corazzata di Mani Pulite sembrano dissolti.

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Intervista a Davigo: «Io indagato? Diedi i verbali di Amara a Ermini: né lui né Salvi mi dissero di denunciare»

sabato, Luglio 24th, 2021

di Luigi Ferrarella

L’ex consigliere Csm Piercamillo Davigo: «Ermini convenne sulla gravità, ma né lui né Salvi mi dissero di denunciare. E nessuno mi ha interrogato»

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Dottor Davigo, perché non avvisò in modo formale il Csm dell’asserita stasi investigativa della Procura di Milano sui verbali di Amara?
«Non si poteva in quel caso. Se la procedura da seguire non consente di mantenere il segreto, allora non si può seguire. Al Csm, nonostante le cautele adottate, vi era stata la dimostrazione pochi mesi prima sulla notizia dell’indagine perugina su Palamara. Nell’aprile 2020 Storari mi descrisse una situazione grave, e cioè che a quasi 4 mesi dalle dichiarazioni di Amara su un’associazione segreta i suoi capi non avevano ancora proceduto ad iscrizioni, che il codice invece richiede “immediatamente”. Per evitare possibili conseguenze disciplinari gli consigliai di mettere per iscritto. Pure se una Procura non crede a un dichiarante, non può sottrarre al controllo del gip la notizia di reato: deve iscriverla e poi chiede l’archiviazione. Storari mi diede file word del pc a supporto della memoria».

Cioè i verbali: non le pare distinzione di lana caprina?
«Lo può pensare chi trova rilevante il contenitore anziché il contenuto. A inizio maggio Storari mi disse che nulla era cambiato e anzi che Greco lo aveva rimproverato per la sollecitazione. A questo punto ritenni urgente avvisare il Csm. E informai il vicepresidente Ermini».

Solo a parole? O gli mostrò i verbali segretati? O glieli consegnò anche?
«In uno dei colloqui successivi glieli diedi, stampati, tutti quelli che avevo, “così li puoi consultare”. Anche perché venivano chiamati in causa consiglieri sia del Csm in carica sia del precedente. Ermini convenne sulla serietà e gravità della situazione».

Le disse che ne avrebbe parlato con il Quirinale?
«Preferisco qui non coinvolgere altre persone, ho riferito ai pm di Roma e Brescia».

Poi lei ne parlò anche con il pg della Cassazione, Salvi.
«Non mostrò alcuna sorpresa, segno che doveva essere stato già informato».

Gli disse che lei aveva i verbali? Glieli fece vedere?
«No, non me lo chiese. Ma nemmeno mi disse “No, guarda che così non va bene…”».

Il pg Salvi contesta nel disciplinare a Storari d’aver cercato di condizionare l’attività della Procura di Milano. Lei è in pensione, ma vale pure per lei, ed è accusa sanguinosa per un pm storico di Milano e Mani pulite.
«Quindi, se uno cerca di fare rispettare la legge, poi bisogna sentire il procuratore generale della Cassazione dire una cosa del genere che è fuori dal mondo? Nessuno si è sognato di dirmi di formalizzare. Non lo fece Ermini e non lo fece Salvi. Se mi avessero chiesto di formalizzare, avrei fatto subito una relazione di servizio. Salvi, se riteneva irregolare la procedura, essendo titolare dell’azione disciplinare e anche autorità giudiziaria e anche vertice della magistratura inquirente, poteva e doveva interrogarmi subito come persona informata sui fatti. Eppure non lo ha fatto, salvo poi prendersela con Storari. Se mai forse ho sbagliato io a illudermi che l’intervento del procuratore generale — cioè la telefonata a Greco, dopo la quale almeno fu iscritta a Milano la notizia di reato — potesse aver avviato a risoluzione la questione. La verità è che Storari in un Paese serio sarebbe destinatario di un encomio per aver cercato di fare rispettare la regola, invece è sconfortante sia sottoposto ad azione disciplinare».

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