Archive for the ‘La Giustizia’ Category

Processi in bilico: dalla strage di Viareggio a Rigopiano, i procedimenti a rischio con la riforma

martedì, Luglio 20th, 2021

GRAZIA LONGO

ROMA. La prescrizione, così come stabilita dalla riforma della ministra della Giustizia Marta Cartabia rischia di affossare molti processi. L’Associazione nazionale magistrati lancia l’allarme e dichiara che «sono 150 mila i processi a rischio». Ma vediamo, nel dettaglio, in cosa consiste la nuova norma. Viene confermata l’attuale disciplina, che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione). Inoltre, si stabilisce una durata massima di due anni per i processi d’appello e di un anno per quelli di Cassazione. È prevista la possibilità di una ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per processi complessi relativi a reati gravi (per esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione). Decorsi tali termini, interviene l’improcedibilità. Sono esclusi i reati imprescrittibili (puniti con ergastolo). La riforma sulla prescrizione punta a non sforare i tempi degli iter processuali. È, insomma, una clausola di garanzia contro i processi-lumaca. Ma il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia è preoccupato: «Con la riforma la sentenza di primo grado cadrà nel nulla e l’accertamento penale sarà definitivamente precluso. E ciò, si badi, senza che il reato sia stato estinto dalla prescrizione, dal decorso del tempo. Il diritto alla durata ragionevole dei processi, che certo va assicurato e tutelato, deve essere più attentamente bilanciato con l’interesse collettivo all’effettività della giurisdizione penale».

IL DISASTRO DI VIAREGGIO: La prescrizione poteva scattare ancora prima

L’incidente ferroviario si verificò nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2009 alla stazione di Viareggio: l’esplosione a causa del gpl trasportato da un treno merci deragliato invase i quartieri vicini allo scalo della città della Versilia. Il bilancio fu di 32 morti e 35 feriti. Ma sono stati dichiarati prescritti gli omicidi colposi per la strage di Viareggio a seguito dell’esclusione dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro. La decisione è stata presa dalla Cassazione rinviando alla corte d’Appello di Firenze la riapertura dell’appello bis anche per l’ex ad di Fs e Rfi, Mauro Moretti. Essendo un processo lungo, se fosse stata in vigore la riforma Cartabia la prescrizione sarebbe scattata ancora prima.STRAGE DI RIGOPIANO: Udienze rinviate 12 volte, proteste delle parti civili

Ad alto rischio è anche l’iter per il processo di Rigopiano, la strage nel resort seppellito da una valanga ai piedi del Gran Sasso, il 18 gennaio 2017, che conta 29 morti. In tre anni e mezzo si sono susseguiti ben dodici rinvii per la conclusione dell’udienza preliminare. Le proteste non sono mancate anche a suon di carte bollate: tantissimi gli appelli di familiari e avvocati. Ma tra scioperi degli avvocati e slittamenti legati all’emergenza Covid, è stato tutto un procrastinare nel tempo. Visti i ritardi attuali è difficile che il processo prenda un’accelerazione. Lo striscione delle famiglie delle vittime è inequivocabile: «Dodici udienze e dodici rinvii».

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Giovanni Maria Flick: “È un’ottima riforma ma non funzionerà i pm abbandonino lo spirito missionario”

giovedì, Luglio 8th, 2021

GIUSEPPE SALVAGGIULO

«Se i superlativi in Italia non fossero abusati, direi che l’impianto della riforma penale mi pare molto positivo – dice Giovanni Maria Flick, docente e avvocato penalista, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale -. L’unico rammarico è che in gran parte contiene cose che provammo a fare 23 anni fa – io ministro e Giorgio Lattanzi all’epoca direttore generale del ministero, lui che oggi ha contribuito a scriverla come collaboratore di Marta Cartabia. Allora fallimmo per indifferenza politica e ostilità della magistratura, speriamo che ora ce la facciano».

È ottimista?
«Demoralizzato e ragionevolmente perplesso dallo spettacolo, a volte sconcertante, in cui si muovono gli attori: politica, magistratura, avvocatura, mass media. Ma non dispero, anche perché mi pare che la ministra si stia muovendo molto bene sul piano della diplomazia». Quali sono i punti che motivano il suo giudizio positivo?
«Mi piace molto, fra l’altro, il rafforzamento del ruolo del giudice nel controllo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari. Il rapporto tra queste due figure resta irrisolto: si pensi a quanto accaduto nell’inchiesta sul disastro della funivia del Mottarone. Evidentemente non si è ancora capito che è il giudice, e non il pubblico ministero, a emettere i provvedimenti sulla libertà personale».

La convince il tentativo di aumentare il filtro processuale nell’udienza preliminare?
«Finalmente si capovolge il criterio di valutazione del materiale raccolto nelle indagini: non si rinvia a giudizio per cercare le prove, ma solo quando di per sé sarebbero sufficienti per una condanna, se confermate in dibattimento».

Funzionerà?
«Solo se i magistrati non lo vanificheranno, perpetuando una tendenza perversa a considerare indagine e dibattimento un tutt’uno, senza soluzione di continuità».

I magistrati possono vanificare la riforma?
«Mi pare evidente, senza bisogno di citare Giolitti, per cui le leggi s’interpretano per gli amici e si applicano per i nemici. Ogni principio è interpretabile, dunque nessuna legge, nemmeno la migliore avrà efficacia senza un profondo cambiamento culturale. Della politica, dell’avvocatura, ma soprattutto della magistratura».

Quale?
«Bisogna uscire dalla stagione del panpenalismo, la dottrina per cui tutte le emergenze sociali vanno soddisfatte con nuovi reati, e del pancarcerismo, per cui il tema della sanzione penale si risolve nel carcere. E liberarsi dalla concezione della giustizia come missione».

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Piercamillo Davigo e la tesi sui referendum leghisti: ecco tutta l’incoerenza dei giustizialisti

venerdì, Giugno 25th, 2021

Roberto Cota

Il dottor Davigo nei giorni scorsi si è lanciato in un duro attacco ai referendum in tema giustizia promossi da Lega e Radicali. In particolare, rispetto a quello che si propone di limitare la custodia cautelare. Secondo l’ex magistrato l’approvazione del quesito avrebbe l’effetto di impedirne l’applicazione di fronte a ladri di appartamento e scippatori. Dunque, bolla Salvini di incoerenza. Premesso che i referendum, politicamente, sono l’ultima ratio, l’ultimo strumento rispetto all’inerzia del sistema che non riesce a risolvere i problemi, il problema dell’abuso della custodia cautelare esiste ed è gigantesco.
Il dottor Davigo prima di cercare scoop ad effetto e di indignarsi rispetto ai quesiti referendari, dovrebbe scandagliare il perché si sia arrivati al punto di utilizzare la clava del referendum. Oltretutto, va detto che i referendum non sono appoggiati soltanto da Salvini (che certamente è alla costante ricerca della ribalta mediatica), ma da una silente maggioranza che si muove sotto traccia. La verità è che da anni vi è una distorsione nell’uso della custodia cautelare.

Su questo fronte il primo a dover fare una riflessione è proprio il dottor Davigo . Anche nel merito, la sua critica dovrebbe essere forse più obiettiva in quanto la possibilità di applicare la custodia cautelare verrebbe mantenuta di fronte alla possibile reiterazione di «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza o diretti contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata» definizione in grado di ricomprendere tutti quei fatti che destano allarme sociale, anche con riferimento agli esempi fatti da Davigo. Dunque il modo per bloccare i soggetti pericolosi vi sarebbe, eccome. Nella sua ultima presa di posizione affidata al Fatto Quotidiano l’ex magistrato sostiene anche un’altra tesi: chi è stato condannato in primo grado non è più innocente. Ma allora perché la coerenza invocata non porta a considerare innocente almeno chi è stato assolto in un pubblico processo? Già, perché oggi i pm possono infliggere anche a chi è stato assolto anni di “eterno processo” essendo prevista la possibilità di appellare le sentenze di assoluzione.

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Mafia, dopo 25 anni torna libero per fine pena il boss Giovanni Brusca

martedì, Giugno 1st, 2021
Giovanni Brusca, il boss che schiacciò il pulsante a Capaci

Ha lasciato il carcere dopo 25 anni, per fine pena, il boss mafioso Giovanni Brusca, 64 anni, fedelissimo del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, prima di diventare un collaboratore di giustizia ammettendo, tra l’altro, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Brusca è uscito da Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna.

Brusca sarà sottoposto a controlli e protezione, oltre a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano. La pena si è ancora accorciata per la “buona condotta”. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre. E’ arrivata anche prima. Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione pure previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell’enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato.

La strage di Capaci: la scheda sullʼomicidio di Giovanni Falcone

L’ex boss che il 23 maggio del 1992 azionò il telecomando che innescò la strage di Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento e dopo alcuni anni ha iniziato a collaborare con la giustizia. Sarebbe stato scarcerato nel 2022.

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Processo Ilva. Condanna 22 e 20 anni a Fabio e Nicola Riva, 3 anni e mezzo a Vendola

lunedì, Maggio 31st, 2021

La Corte d’Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo chiamato Ambiente Svenduto sull’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva. 

Tre anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti all’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e all’ex presidente della Provincia Gianni Florido per il presunto disastro ambientale negli anni di gestione della famiglia Riva. I pm avevano chiesto la condanna a 5 anni. Vendola è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva.

Adolfo Buffo, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, ed attuale direttore generale di Acciaierie d’Italia (societa’ tra ArcelorMittal Italia e Invitalia), è stato condannato a 4 anni. Per Buffo, i pm avevano chiesto la condanna a 20 anni. A Buffo era contestata anche la responsabilita’ di due incidenti mortali sul lavoro. Ventuno anni di reclusione sono stati invece inflitti all’ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso (28 la richiesta dei pm) e 21 anni anche per Girolamo Archinà, ex consulente dei Riva per le relazioni istituzionali (28 la richiesta dei pm).

La Corte d’Assise di Taranto ha disposto la confisca degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva. La confisca era stata chiesta dai pm.

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Funivia, sono in arrivo altri indagati. La pm rilancia: “Non è finita”

lunedì, Maggio 31st, 2021

Ivan Fossati, Cristina Pastore

STRESA. Un pugno nello stomaco, di quelli forti. L’investigatore, affranto, davanti a un caffè riassume così l’ordinanza del gip che poche ore prima non ha convalidato i tre fermi. In quei 24 fogli che il giudice Donatella Banci Buonamici ha iniziato a leggere dopo le 23 di sabato in una saletta affollata del carcere di Pallanza c’è la spiegazione del perché Luigi Nerini, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini è come se neanche avessero varcato la porta della cella. Per loro è stata un’esperienza umanamente molto dura, 78 ore in isolamento, che però non lascia strascichi nel fascicolo. Ma in quelle pagine c’è anche uno schiaffo alla Procura di Verbania. Si parla di «mere, seppur suggestive, supposizioni» riferendosi alle accuse, di «totale irrilevanza» di alcuni particolari, di «scarne dichiarazioni di Tadini (a cui sono stati applicati gli arresti domiciliari, ndr), rese peraltro di notte, dopo sette ore dalla convocazione in caserma, che non consentivano alcun vaglio di attendibilità», e poi ancora che «il pm si basa su argomentazioni logiche, ma che non sono in alcun modo convincenti», fino a indicare come «scarno» il quadro indiziario.

Nella squadra della procuratrice Olimpia Bossi molti ieri si sono presi una giornata libera. In montagna, al lago o al campetto: serviva staccare per rigenerare la mente. E oggi si riparte. Come? Sulla traccia già segnata, questo è sicuro. La Procura ritiene fondatissimo l’impianto accusatorio che si sta formando. «Il gip ha detto che non c’erano gli estremi per privare della libertà, non ha detto che abbiamo sbagliato»: sintesi formalmente corretta, ma un po’ edulcorata. Il colonnello dei carabinieri Alberto Cicognani è una sfinge. Da giorni nei corridoi del tribunale si diceva che tra oggi e domani sarebbero state indagate altre persone, probabilmente dipendenti o consulenti della società Ferrovie del Mottarone che gestiva la funivia, ma il comandante provinciale dell’Arma blocca sul nascere il ragionamento: «Non entro nel merito di niente. L’indagine sarà lunga: abbiamo temi da approfondire e altri da iniziare. Siamo convinti di quello che stiamo facendo, e continueremo a farlo in rigoroso silenzio per rispetto delle vittime, di chi è o sarà indagato e anche del segreto investigativo: fughe di notizie rischiano di compromettere tanti sforzi».

«Non è finita qui» ha detto sabato sera la procuratrice Bossi lasciando il carcere. E non era una minaccia, ma una promessa. Si continua per cercare le cause, e gli eventuali responsabili, della rottura della fune e per definire chi sapeva del blocco dei freni, chi lo metteva in pratica e chi l’aveva ordinato.

Anche Olimpia Bossi, la procuratrice, si è fermata per un giorno nelle indagini. Ma non si nega. Sono state considerazioni troppo severe quelle del giudice? «Forse una critica implicita è questa: abbiamo messo troppa fretta nel procedere in una direzione che a noi era emersa evidente con i primi riscontri di carattere tecnico, ascoltando persone informate dei fatti e dalle dichiarazioni del caposervizio e coordinatore del personale».

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Caso Gregoretti, il gup: non luogo a procedere per Salvini | L’ex ministro dell’Interno: “Ho fatto il mio dovere”

venerdì, Maggio 14th, 2021

Sentenza di non luogo a procedere per Matteo Salvini, che era imputato con l’accusa di sequestro di persona. E’ la decisione del gup di Catania per il caso Gregoretti. Al centro del procedimento nei confronti dell’allora ministro dell’Interno i ritardi nello sbarco, nel luglio 2019, di 131 migranti dalla nave della guardia costiera nel porto di Augusta (Siracusa). “Assolto”, esulta Salvini sui social ricordando di aver fatto “il mio dovere da ministro“.

L’accusa

“Abusando dei poteri” da ministro dell’Interno avrebbe “privato della libertà personale i 131 migranti bloccati a bordo della Gregoretti dalle 00:35 del 27 luglio 2019 fino al pomeriggio del 31 luglio” successivo, quando la nave della Guardia costiera italiana è giunta l’autorizzazione allo sbarco nel porto di Augusta, nel Siracusano. Era l’accusa contestata all’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini dopo l’autorizzazione a procedere concessa dall’Aula del Senato, che sarebbero stati commessi tra il 27 agosto e il 31 agosto del 2019 tra Augusta (Siracusa) e Catania. Il reato ipotizzato era sequestro di persona di 131 migranti aggravato dall’essere il responsabile un pubblico ufficiale e perché commesso anche ai danni di minorenni.

La difesa

Accuse che l’ex ministro e il suo legale, l’avvocato Giulia Bongiorno, hanno sempre respinto con forza, spiegando che “non si è verificata alcuna illecita privazione della libertà personale, in attesa dell’organizzazione del trasferimento” dei migranti alla “destinazione finale”. Salvini ha sottolineato di avere agito per interesse della nazione, sintetizzando così la sua linea: a bordo della Gregoretti c’erano due scafisti fermati dopo lo sbarco, i 100 migranti sono rimasti sulla nave senza pericoli e con la massima assistenza, solo il tempo necessario per concordare con altri Paesi europei il loro trasferimento. E tutto col pieno coinvolgimento del governo italiano, tanto da rilevare il ruolo decisivo del Ministero dei trasporti nell’assegnazione del Pos , il porto sicuro.

La Procura di Catania per il non luogo a procedere

La Procura distrettuale di Catania durante l’udienza preliminare ha chiesto al gup di emettere una sentenza di non luogo a procedere perché, la tesi espressa in aula dal Pm Andrea Bonomo, nello sbarco dei migranti da nave Gregoretti l’allora ministro dell’Interno “non ha violato alcuna convenzione nazionale e internazionale”, le sue scelte sono state “condivise dal governo” e la sua posizione “non integra gli estremi del reato di sequestro di persona”.

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Caso Cucchi, due carabinieri condannati in Appello a 13 anni per il pestaggio

venerdì, Maggio 7th, 2021

Sono stati condannati in Appello a 13 anni di carcere Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri processati per omicidio preterintenzionale per aver pestato Stefano Cucchi dopo il suo arresto. Il militare Roberto Mandolini ha invece avuto un lieve sconto di pena, passando da 4 anni e mezzo a 4 anni, mentre Francesco Tedesco ha visto confermata la condanna a due anni e sei mesi. Per entrambi l’accusa è di falso.

La decisione della Corte D’Assise d’Appello è arrivata dopo 5 ore di camera di consiglio. Ai due carabinieri in primo grado era stata inflitta una condanna a 12 anni di reclusione e il Pg, Roberto Cavallone, al termine della requisitoria d’Appello aveva chiesto 13 anni per entrambi.

Ilaria Cucchi: “Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori” “Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula. E’ il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”. Lo dice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, commentando la sentenza.

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I terroristi arrestati in Francia sono già a casa in libertà vigilata. E adesso cosa succede?

venerdì, Aprile 30th, 2021

di Giovanni Bianconi

I terroristi arrestati in Francia sono già a casa in libertà vigilata. E adesso cosa succede?

Nella foto grande: Giorgio Pietrostefani, Da in alto a sinistra, in senso orario: Marina Petrella, Roberta Cappelli, Giovanni Alimonti, Narciso Manenti, Sergio Tornaghi, Enzo Calvitti shadow

Dunque è durata una notte, la detenzione degli ex terroristi (Qui tutti i ritratti) degli anni Settanta arrestati all’alba di mercoledì in Francia. Ma nella strategia italiana la decisione dei magistrati francesi non rappresenta una sorpresa e tantomeno un intoppo. Il blitz e gli arresti erano necessari per interrompere il decorso della prescrizione, evitando così che per sei dei dieci rifugiati Oltralpe — i non ergastolani — di qui a poco tempo l’Italia non potesse nemmeno più chiedere la riconsegna.

Compiuto questo atto, e considerando che i tempi per le procedure in tutti i loro passaggi saranno piuttosto lunghi (si prevedono un paio d’anni, anche se la prima udienza davanti alla Chambre d’accusation è stata fissata per mercoledì prossimo) era prevedibile che gli estradandi non restassero in prigione. Anche perché il vaglio preventivo effettuato dal Bureau del ministero della Giustizia francese ha riguardato solo l’ammissibilità delle istanze giunte da Roma, non il merito. Domande accettate, ma risposte non scontate.

Dei dieci condannati che l’Italia reclama, solo su tre la giustizia francese non s’è mai pronunciata in precedenza; si tratta dell’ex brigatista Enzo Calvitti, di Narciso Manenti (ergastolano per un delitto firmato Guerriglia proletaria) e dell’ex dirigente di Lotta continua Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi. Per loro è la prima volta che si apre una procedura di estradizione, mentre per gli altri sette si era sempre bloccata, per un motivo o per l’altro. Proprio esaminando il fascicolo di Pietrostefani, il rappresentante della Procura che ha firmato il provvedimento d’arresto aveva già anticipato che in sede di convalida avrebbe chiesto la scarcerazione, a causa delle sue precarie condizioni di salute.

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Il report censurato e le bugie di Guerra lo scandalo Oms lambisce Speranza

mercoledì, Aprile 14th, 2021

niccolò carratelli monica serra

Al ministero della Salute ora temono che da Bergamo possano arrivare brutte sorprese. Che l’inchiesta che ha coinvolto il direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della sanità, Ranieri Guerra, possa finire per toccare gli uomini più vicini al ministro Roberto Speranza. I magistrati vogliono chiarire se qualcuno, nel ministero, abbia avuto un ruolo nell’affossamento del rapporto dell’Oms, in cui si parlava del mancato aggiornamento del Piano pandemico italiano e di una reazione «caotica» e «improvvisata» del nostro Paese alla prima ondata del Covid. «Piena fiducia nel lavoro della magistratura – ha detto ieri Speranza a Porta a Porta – chiunque ha avuto funzioni in questa pandemia, dall’Oms fino al sindaco dell’ultimo paese, deve serenamente mettersi nelle condizioni di poter rispondere di quello che ha fatto». Fonti di palazzo Chigi smentiscono le indiscrezioni che vorrebbero Mario Draghi intenzionato a sostituire il ministro della Salute, ricordando le parole pronunciate dal premier nell’ultima conferenza stampa: «L’ho voluto io nel governo e ha la mia stima». Certo, come dimostra la rapida uscita di scena dell’ex commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri (coinvolto nella vicenda della fornitura di mascherine cinesi irregolari), un eventuale sviluppo negativo dell’inchiesta di Bergamo potrebbe far cambiare idea a Draghi. Anche perché, tra le chat a disposizione dei pm, potrebbero esserci anche quelle tra Speranza, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro e il capo di gabinetto del ministro, Goffredo Zaccardi. Conversazioni comunque inutilizzabili ai fini processuali prima dell’eventuale via libera del Parlamento. Speranza prova, con fatica, a tenere separata la sua posizione da quella di Guerra: «Le dinamiche interne all’Oms non riguardano il nostro Paese», ha detto. Peccato che in una delle tante mail ora in mano ai magistrati, Guerra scriva che «uno degli atout di Speranza è stato sempre il poter riferirsi a Oms come consapevole foglia di fico per certe decisioni impopolari e criticate (…). Se anche Oms si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del ministro (…) non credo che facciamo un buon servizio al Paese». Insomma, certe dinamiche hanno fatto la differenza, specie nell’anno di presidenza del G20, con Speranza che a settembre guiderà il meeting dei più importanti ministri della Salute a livello mondiale.

Cosa sapeva Speranza? Interrogato dai magistrati lo scorso 28 gennaio, il ministro ha detto di aver saputo del rapporto (poi censurato) dell’Oms sull’Italia solo dopo la sua pubblicazione, il 13 maggio 2020. Il ricercatore che lo ha redatto con la sua squadra, Francesco Zambon, sostiene invece di aver condiviso il documento con le autorità italiane almeno un mese prima. Per capire come siano andate le cose, il pool di magistrati di Bergamo, guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, sta analizzando migliaia di pagine di chat e mail, acquisite in questi lunghi mesi di indagine.

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