Gli scienziati monitorano l’attività solare attraverso la comparsa di macchie sulla superficie del Sole, che indicano una maggiore attività. Attualmente, una gigantesca macchia solare chiamata AR3310 è allineata con la Terra. Le macchie solari sono regioni scure e fredde sulla fotosfera del Sole, causate da complesse interazioni nel campo magnetico solare. Questa macchia, quattro volte più grande della Terra, è visibile a occhio nudo adottando però delle precauzioni come l’utilizzo di occhiali da eclissi o filtri solari per proteggere gli occhi. Le macchie solari possono causare brillamenti solari, delle esplosioni che inviano energia e particelle nello spazio, con potenziali effetti sulla Terra.
L’AR3310 ne ha emesso la scorsa settimana uno di livello M, ma c’è una possibilità del 20% che possa emettere un brillamento di classe X (il più alto nella scala), che potrebbe influenzare le comunicazioni e i sistemi tecnologici. È importante monitorare l’attività solare durante il ciclo solare, che dura circa 11 anni, e ci troviamo attualmente nel ciclo solare 25. Si prevede che l’attività solare raggiungerà il picco nel 2025.
Sono gli oggetti più potenti conosciuti dell’universo: ora sappiamo che nascono dallo scontro di galassie
I quasar sono gli oggetti più potenti che si conoscano nell’universo
ma un mistero li avvolge da quando sono stati scoperti sessant’anni fa:
possono brillare come un trilione di stelle ma racchiuse in un volume
delle dimensioni del nostro Sistema Solare. In proporzioni
«astronomiche» vuol dire racchiudere una potenza enorme in uno spazio
ridottissimo. Che cosa possa essere a innescare un’attività così potente
è, però, rimasto sempre un mistero per gli scienziati in questi
decenni. Almeno fino a ora. Perché oggi, dopo aver osservato 48 galassie
che ospitano quasar e averle confrontate con oltre 100 galassie senza
quasar, alcuno scienziati dell’Università di Sheffield hanno scoperto
qual è il fenomeno all’origine dei quasar: uno scontro fra galassie.
Buchi neri e gas
La maggior parte delle galassie presenta buchi neri supermassivi al centro e anche notevoli quantità di gas.
Nella maggior parte dei casi questi gas si trovano a grandi distanze
dal centro galattico, quindi fuori dalla portata dei buchi neri. Quando
invece avvengono delle collisioni tra galassie i gas vengono spinti verso i buchi neri
centrali e poco prima che vengano «consumati» da questi ultimi,
rilasciano quantità straordinarie di energia sotto forma di radiazione
dando vita, così, a quella brillantezza caratteristica dei quasar.
L’accensione di un quasar può avere conseguenze drammatiche, come
l’espulsione del resto del gas dalla galassia, con il risultato di
impedire la formazione di nuove stelle per miliardi di anni.
Il possibile destino della Via Lattea
Dunque, confrontando le osservazioni di 48 quasar e delle loro galassie ospiti con le immagini di oltre 100 galassie senza quasar, i ricercatori hanno concluso che le galassie con i quasar hanno circa tre volte più probabilità di interagire o scontrarsi con altre galassie e questa è la prima volta che un’analisi del genere viene condotta con un tale livello di sensibilità. Come ha spiegato il professor Clive Tadhunter, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Sheffield che ha condotto lo studio, «i quasar sono uno dei fenomeni più estremi dell’Universo e ciò che vediamo è probabilmente ciò che attende anche la Via Lattea, la nostra galassia, quando si scontrerà con la galassia di Andromeda tra circa cinque miliardi di anni. È emozionante osservare questi eventi e capire finalmente perché accadono. Anche se, per fortuna, la Terra non si troverà in vicinanza di nessuno di questi episodi apocalittici ancora a lungo».
Un eccezionale intervento, eseguito all’ospedale Molinette di Torino, ha parzialmente ridato la vista a un paziente di 83 anni, che era affetto da totale cecità a causa di due diverse patologie.
I medici hanno
effettuato un autotrapianto di cornea, allargato a sclera e congiuntiva,
che ha permesso di ricostruire un occhio vedente da due non vedenti. Si
tratta del primo intervento al mondo di questo tipo.
“E’ stato come nascere di nuovo”
L’anziano
aveva perso da 30 anni la vista dall’occhio sinistro per una
cecità retinica irreversibile e negli ultimi 10 anni era divenuto cieco
dall’occhio destro per una patologia rara. Il prelievo dall’occhio
sinistro, irrecuperabile dal punto di vista funzionale, ma con una buona
superficie oculare, gli ha consentito di tornare a vedere. “Quando mi
sono risvegliato e ho iniziato a vedere i contorni delle mie dita e
della mano, è stato come nascere di nuovo”, ha raccontato l’uomo dopo
l’intervento. Già a due settimane dall’intervento, durato 4 ore, è in
grado di riconoscere con l’occhio destro gli oggetti e i volti, e di
muoversi autonomamente.
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L’operazione
“miracolosa” è stata condotta dal professor Michele Reibaldi (direttore
della Clinica Oculistica universitaria Molinette) e dal professor
Vincenzo Sarnicola, tra i maggiori esperti al mondo di chirurgia
corneale. Il trapianto di cornea a tutto spessore è l’intervento
chirurgico tramite cui si provvede alla sostituzione della sola cornea
che ha perso la sua trasparenza con una cornea sana proveniente da un
donatore deceduto.CHIUDI ✕
Il rischio di rigetto
“Normalmente
la cornea presenta un tasso di rigetto molto più basso rispetto ad
altri organi vascolarizzati, ma in presenza di un’alterazione diffusa di
tutta la superficie oculare, come nel caso del paziente, questo rischio
diventa altissimo – sottolinea Sarnicola -. In particolare, un
danneggiamento delle cellule staminali del limbus, la zona tra la cornea
e la congiuntiva, determina il fallimento irreversibile del trapianto”.
Per la prima volta al mondo
In
questo intervento, per la prima volta al mondo, è stato realizzato un
autotrapianto dell’intera superficie oculare, prelevata dall’occhio
sinistro, comprendente non solo la cornea, ma anche una parte di sclera e
tutta la congiuntiva comprese le cellule staminali del limbus. “In
estrema sintesi il paziente per problemi retinici aveva
irrimediabilmente perso la funzionalità dell’occhio sinistro, mentre
l’occhio destro aveva mantenuto una potenzialità di recupero che però si
era rivelata vana con trapianti tradizionali – riferisce Reibaldi -.
Abbiamo deciso di coinvolgere il professor Sarnicola perché notissimo
nel mondo per aver proposto e realizzato tecniche alternative ai
trapianti perforanti tradizionali”.
Un astrofisico ha raccolto i filmati
degli ultimi dodici anni in un video di sei secondi: si possono vedere
quattro pianeti che orbitano attorno a una stella
CorriereTv
In
pochi secondi è condensato uno spettacolare video astronomico: la danza
di quattro esopianeti – o pianeti extrasolari – in orbita attorno alla
propria stella di riferimento. Le immagini sono state registrate nel
corso di dodici anni e infine cucite in una clip di sei secondi. Nello
specifico: gli esopianeti, ossia i pianeti che si trovano al di fuori
del nostro sistema solare, orbitano attorno alla stella HR8799,
incastonata nella costellazione di Pegaso, a 133,3 anni luce dalla
Terra. Dal 2008, l’astrofisico Jason Wang della Northwestern University
negli Usa segue i movimenti dei pianeti con l’Osservatorio W.M. Keck
delle Hawaii. Anche le riprese del video provengono da lì. Nel filmato
in time-lapse, che mostra i movimenti degli ultimi dodici anni, la
stella al centro è stata coperta per meglio evidenziare i quattro
pianeti. «Gli eventi astronomici si verificano troppo velocemente o
troppo lentamente per essere catturati in un filmato. Spero che questo
video permetta alle persone di godere di qualcosa di meraviglioso» dice Wang.
Che sottolinea come il filmato non abbia valore scientifico: «Il suo
scopo è solo quello di aiutare le persone a capire cosa fanno gli
scienziati e suscitare l’entusiasmo per le stelle». (di E.B.)
In Svezia è stato scoperto un giacimento di terre rare stimato come il più grande in Europa. Il luogo del sito è a Kiruna,
nel Nord del paese, e la scoperta è stata resa nota dalla Lkab, la
società mineraria di stato svedese. Nei comunicati dell’azienda non è
ancora nota la reale grandezza del giacimento e la capacità estrattiva.
Tuttavia, al momento si pensa che non rientrerebbe tra i dieci giacimenti di terre rare più grandi al mondo. Allora dove sono situate le terre rare più importanti per quantità di elementi contenuti?
Nel mondo i giacimenti di terre rare hanno una grandezza di 120 milioni di tonnellate, distribuiti (stando all’ultima scoperta in Svezia) in non più di 20 paesi.
Osservando i gradienti di colore sulla mappa qui in basso, si nota come
gli Stati che ospitano il maggior numero di terre rare sul proprio
suolo possono essere ricondotti ai Brics, Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica, un gruppo di paesi che nelle analisi economiche vengono associati per il notevole aumento del Pil dal 1990 ad oggi e perché ricchi di materie prime.
Cliccando sullo stato, oltre la quantità in tonnellate, si può conoscere la quantità estratta nel 2020 e nel 2021
Tra i Brics, lo Stato con la maggiore quantità di terre rare è la Cina con 44 milioni di tonnellate, segue il Vietnam con 22 milioni, Russia e Brasile con 21 milioni, poi l’India e via di seguito. Nessuna delle prime dieci nazioni è europea e
a dirla tutta neanche nelle successive posizioni. Insomma, la scoperta
del sito in Svezia è senza dubbio una buona notizia a prescindere dalla
quantità.
Stando alle rilevazioni attuali e ai giacimenti attivi, la Cina non solo è la più ricca per quantità ma anche per numero di siti estrattivi. Infatti, Pechino ha ben nove tra i siti più attivi nell’estrazione dei minerali di bastnasite, laterite e xenotite.
I restanti sono in India a Manavalakurichi, in Russia a Revda, negli Usa a Mountain Pass in California e in Australia a Mount Weld Central Lanthanide. Ognuno di questi giacimenti (i più attivi sono tredici in tutto il mondo), non contiene la stessa quantità di elementi.
Cliccando sull’elemento in legenda si evidenzia nel grafico
Il grafico qui in alto mostra la
percentuale stimata degli elementi contenuti per ogni giacimento
presente sulla mappa. Ogni sito si caratterizza per la preminenza
dell’elemento contenuto.
Sarà un evento da non perdere ma prendendo le opportune cautele per la vista: martedì prossimo potremo osservare dall’Italia un’eclissi parziale di Sole. Come spiegano gli esperti di Edulnaf, il picco massimo dell’oscurità (fino al 20%)
si osserverà intorno alle 12.20 con le regioni settentrionali e
orientali maggiormente favorite dal fenomeno. La mappa in 3D a cura di Timeanddate
mostra quali sono le aree del pianeta dove il disco solare si oscurerà
maggiormente: si tratta della Russia europea e del Kazakhstan con l’80%
di copertura del Sole. In Italia le percentuali oscillerranno tra il
20,89% di Bolzano e il 9,17% che vedranno gli abitanti di Sassari.
Cos’è l’Eclissi solare
Il
fenomeno astronomico dell’eclissi solare si verifica quando la Luna si
trova in mezzo tra la Terra e il Sole: a quel punto la sua ombra viene
proiettata sul nostro pianeta e ne viene oscurato il Sole. L’eclissi può
essere di tre tipi: parziale, totale o anulare. Come
avverrà il 25 ottobre, nel primo caso a essere oscurata è soltanto una
parte del Sole: questo avviene quando non c’è un totale e perfetto
allineamento con la Luna, come accade quando invece si parla di eclissi
totale e anulare. Quest’ultimo caso si verifica quando la Luna si trova
nel punto più lontano della sua orbita (chiamato apogeo) e il suo cono
d’ombra non arriva fin sulla Terra perché “il diametro angolare del disco della Luna si mantiene minore di quello solare”, come viene spiegato dagli astronomi. Ciò significa
che l’anulare si verifica soltanto quando Sole, Luna e Terra si trovano
tutti e tre allineati con la Luna che si trova alla massima distanza
dalla Terra. Quando si verificano tutte queste condizioni, il nostro
pianeta non fa parte del cono d’ombra lunare e rimane visibile soltanto un sottile anello di luce solare.
Ogni quanto avviene
Come
detto, il fenomeno avviene quando si creano, contemporaneamente, le
condizioni astronomiche per cui il disco del Sole viene oscurato. In
questo senso non esiste una regola: a volte il fenomeno
si può verificare una volta ogni anno e mezzo, altre volte anche in due
occasioni nello stesso anno. Se non si verifica un’eclissi solare in
Italia non vuol dire che non sia avvenuta in altre parti del mondo: il
prossimo martedì, per esempio, sarà soltanto una porzione d’Europa a
poter osservare il fenomeno. Questo perché per la grandezza ma
soprattutto per la sfericità della Terra è impossibile
che un’eclissi possa essere visibile contemporaneamente da qualsiasi
parte del globo. Non accadrà nulla negli Stati Uniti e in Sud America
così come in Australia. L’ultima eclissi si è verificata il 30 aprile
scorso e ha interessato le aree del Sudafrica e dell’Oceano Pacifico.
Come si può osservare
“Osservare un’eclissi è un evento indimenticabile, non potevamo sperare di meglio per iniziare la terza stagione della serie ‘Il cielo in salotto’. Un’eclissi visibile anche nei nostri cieli, la partecipazione entusiasta di tanti telescopi e colleghi da tutta Italia, la collaborazione di partner d’eccezione che ci mostreranno l’evento da quasi tutto il mondo”, ha affermato all’Agi Livia Giacomini, direttore responsabile di EduInaf. Come detto in apertura, però, attenzione alla modalità in cui si alzano gli occhi al cielo. “Non si deve mai osservare l’eclissi guardando il Sole a occhio nudo. Per evitare danni alla vista è necessario utilizzare opportuni sistemi di protezione e/o strumenti per l’osservazione sicura del Sole”, aggiunge la Giacomini.
Come abbiamo visto sul Giornale.it, il prof. Matteo Piovella, presidente della Società Oftalmogica Italiana (Soi), aveva consigliato di osservare l’eclissi “utilizzando occhialini
speciali appositamente studiati per proteggere l’occhio o anche gli
occhiali usati per la saldatura classificati con valore 14 o più”. Assolutamente bocciati i metodi fai-da-te come l’uso di un vetro affumicato, “strategia molto diffusa ma inutile e pericolosissima”
Lo studio della Nasa in collaborazione con i ricercatori della Durham University
Una collaborazione tra il Centro di ricerche Ames della Nasa e la Durham University potrebbe aver trovato la risposta su come sia nata la Luna. I due atenei hanno condotto una simulazione, con la risoluzione più alta mai realizzata, per spiegare come questo pianeta si sia formato 4.5 miliardi di anni fa. Le immagini mostrano uno scontro tra il pianeta Theia, delle dimensioni di Marte, e la Terra. Questo potrebbe spiegare come sia possibile che la Luna sia composta dal 60%
di elementi simili alla Terra. «Abbiamo scoperto che impatti
giganteschi possono dare immediatamente origine a un satellite con massa
e contenuto di ferro equivalenti a quelli della Luna», spiegano i
ricercatori del progetto. Il video mostra come siano bastate solo poche
ore perché la Luna prendesse corpo. Le missioni future del programma
Artemis potrebbero aiutare nell’analisi delle rocce lunari, per
comprendere meglio le origini di questo pianeta.
Utilizzando il radiotelescopio cileno Alma alcuni astronomi, fra cui
gli italiani Nicola Marchili dell’Istituto nazionale di astrofisica e
Ciriaco Goddi dell’Università di Cagliari, hanno individuato per la
prima volta una gigantesca bolla di gas incandescente (non una stella,
qualcosa di diverso) in orbita attorno al Sagittarius A, cioè al buco
nero supermassiccio che occupa il centro della nostra galassia. Questo
nuovo oggetto è sorprendente anche perché ruota attorno al buco nero
della Via Lattea e al suo disco di accrescimento a una distanza molto
piccola su scala astronomica, inferiore all’orbita del pianeta Mercurio
attorno al Sole: E dal momento che Sagittarius A è un buco nero di massa
mostruosa, equivalente a tre milioni di stelle come il Sole, l’oggetto
individuato deve ruotargli attorno a una velocità pazzesca per non
caderci dentro; gli astronomi hanno calcolato che tale velocità è
addirittura di centomila chilometri al secondo, cioè un terzo della
velocità della luce. La notizia è stata pubblicata dalla
rivista Astronomy & Astrophysics.
Individuare quest’oggetto non è stato facile, perché il buco nero in
quanto tale è invisibile, ma attorno a sé ha un disco di materia
caldissima e luminosissima che gli spiraleggia attorno prima di essere
inghiottita per sempre; e sullo sfondo di questa materia, che emette
intensissime radiazioni elettromagnetiche, è molto complicato
distinguere i segnali mandati individualmente dalla bolla di gas
incandescente. Nell’illustrazione in apertura di articolo si vede la
“fotografia” (più precisamente, un’immagine costruita sintetizzando
varie rilevazioni) del disco di accrescimento del buco nero Sagittarius
A, e attorno è stata disegnata la palla di fuoco appena scoperta, con
l’orbita tratteggiata.
In diretta dalla Stazione Spaziale Internazionale ringrazia gli italiani per il supporto
Agtw / CorriereTv
L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti ha ricevuto le ‘chiavi’ della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) dal
cosmonauta russo dell’Expedition 67, Oleg Artemyev. Un gesto che dà
inizio al suo ruolo di comandante della Iss come prima donna europea.
Tra gli applausi e gli abbracci, le parole di Cristoforetti: «Grazie davvero a tutti gli italiani che mi hanno sempre supportata in questa missione, per me è un privilegio rappresentare il nostro paese nello spazio».
Il rover Perseverance della Nasa ha trovato sulla superficie di Marte rocce che contengono molecole organiche.
Lo hanno annunciato i responsabili della missione. Secondo gli esperti dell’agenzia spaziale americana, queste rocce con molecole organiche potrebbero essere “una possibile forma della vita”, ossia riconducibili “a una sostanza o a una struttura che potrebbe testimoniare l’esistenza di una vita passata sul pianeta rosso, ma potrebbero anche essere state prodotte senza che ci fosse vita”.
Il rover Perseverance della Nasa ha fotografato su Marte un misterioso groviglio di fili, che negli Stati Uniti è già stato ribattezzato “Mars Spaghetti”. Il curioso ritrovamento, avvenuto in una zona finora inesplorata del cratere Jezero, è subito finito al centro dell’attenzione dei social. Il groviglio è stato immortalato il 12 luglio, ma quattro giorni più tardi non c’era più. Nulla di anomalo comunque: secondo la Nasa, potrebbe trattarsi di uno dei resti del sistema di atterraggio del rover, arrivato fin lì per effetto del vento marziano.
Le molecole organiche trovate non sono molecole biologiche, ma
comprendono una varietà di composti: soprattutto carbonio, idrogeno e
ossigeno, ma anche azoto, fosforo e zolfo. Si tratta di possibili
mattoncini di molecole biologiche, ma non necessariamente tali.