Individuati neuroni umani
perfettamente preservati in una vittima dell’eruzione che nel 79 d.C.
seppellì Ercolano, Pompei e l’intera area vesuviana fino a 20 km di
distanza dal vulcano.
La straordinaria scoperta è tutta italiana, frutto del lavoro
dell’antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del
Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la
sezione dipartimentale di Medicina Legale dell’Università di Napoli
Federico II, in collaborazione con geologi, archeologi, biologi, medici
legali, neurogenetisti e matematici di Atenei e centri di ricerca
nazionali, che hanno raggiunto i risultati nonostante le limitazioni
imposte dal Covid-19.
“Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi è un evento insolito – spiega Petrone, coordinatore del team – ma ciò che è estremamente raro è la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti”.
L’Italia è il primo Paese europeo a firmare con gli Stati Uniti un accordo bilaterale sull’esplorazione lunare. Il protocollo di intesa ci vede tra i partner del programma Artemis, che ha come obiettivo a riportare l’uomo sulla Luna per il 2024. A firmare l’accordo è stato il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche per lo spazio, Riccardo Fraccaro: “La dichiarazione di intenti che firmiamo è il riconoscimento delle nostre eccellenze scientifiche e produttive”, ha detto Fraccaro, “e il nostro contributo sarà all’altezza.
La Nasa scalda i motori per il programma che vedrà ripartire l’esplorazione lunare “dopo 20 anni di esplorazione continuata della bassa orbita terrestre”, come ha spiegato il numero uno dell’agenzia spaziale Usa, Jim Bridenstine,
che ha sottoscritto l’accordo di cooperazione. La missione punta a
toccare il suolo lunare entro cinque anni, ma bisognerà aspettarne una
decina per portarci un equipaggio umano.
L’obiettivo è “allargare il mercato agli operatori commerciali non
esclusivamente spaziali e creare un volano che incrementerà la
competitività e la crescita di entrambi i nostri Paesi”, ha detto ancora
Fraccaro riferendosi ai possibili sviluppi dell’accordo alla luce della
new space economy.
“Grande soddisfazione per la firma di questa importante Dichiarazione
d’Intenti tra il Governo Italiano e quello degli Stati Uniti per il
programma di esplorazione lunare Artemis che conferma la storica
amicizia tra i due Paesi e la lunga tradizione di cooperazione
bilaterale tra l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e la Nasa”, ha
dichiarato il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Giorgio Saccoccia,
commentando l’intesa geopolitica e di diplomacy spaziale Italia-Usa in
vista del progetto che punta a riportare una presenza umana stabile
sulla Luna.
Approfittatene, di questo cielo estivo pulito e delle miti temperature notturne, perché sono gli ultimi giorni per osservare la cometa Neowise senza dover montare un costoso telescopio o un teleobiettivo come quelli di un fotoreporter da stadio. La si può ancora scorgere a occhio nudo, ormai ben sopra l’orizzonte a nordovest. Se ne sta lì per tutta la notte, sotto il Grande carro, ma la sua luce va pian piano affievolendosi.
La posizione della cometa in cielo fino al 31 luglio
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La sua curva di luce è in discesa, perché si allontana da Sole: “La
osservo ogni giorno e mi sono accorto che la sua luce sta sbiadendo,
anche se è molto facile trovarla in cielo perché ormai ha una coda
estesissima, 15 o 20 gradi – spiega Alessandro Marchini, direttore dell’osservatorio astronomico dell’università di Siena
– ma tra una settimana, al massimo dieci giorni, scenderà sotto la
quinta magnitudine. Significa che non sarà più visibile a occhio nudo,
servirà almeno un binocolo”.
La cometa Neowise sull’orizzonte del cielo
di Siena – (foto: Alessandro Marchini, Osservatorio astronomico
dell’Università di Siena)
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Nessuno di noi rivedrà mai più Neowise, una volta che sarà tornata da
dove è venuta. Scoperta a marzo dal telescopio dal quale ha preso il
nome, è una cometa di lungo periodo, proviene da uno dei quartieri
periferici del Sistema solare, la nube di Oort. Tornerà dalle nostre
parti tra 6.683 anni, secondo gli ultimi calcoli. Le comete sono oggetti piuttosto imprevedibili, lo dimostra il fatto che anche di recente alcune di loro battezzate frettolosamente come ‘cometa dell’anno’ o ‘del secolo’, hanno deluso le aspettative.
Neowise è stata una sorpresa, che vale la pena godersi fino alla fine,
per trovarla basta scendere con lo sguardo dalla costellazione più
famosa di tutte, il Grande carro: “C’è di buono che ora è visibile tutta
la notte, dalle prime ore dopo il tramonto la si può notare a
nordovest, con un orizzonte libero da ostacoli – sottolinea Marchini – a
occhio nudo si vede quella che sembra una stella sfocata. Il puntino
luminoso è il suo nucleo, avvolto dalla chioma di polveri che riflette
la luce del Sole. Col binocolo, consigliatissimo, si apprezza la lunga
coda. Una curiosità: la coda delle comete è sempre rivolta dalla parte
opposta rispetto al Sole, perché è ‘pettinata’ dal vento solare. In
questo momento, mentre si allontana, la sua coda quindi la precede”.
La superficie del Sole è costellata di
innumerevoli eruzioni – mai viste finora – che ricordano dei falò. E’
quanto rilevato dalle immagini inviate dalla sonda Solar Orbiter di Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Nasa.
Nessuna altra immagine del Sole è stata ripresa da una distanza così
ravvicinata così come quelle acquisite dalla suite di strumenti a bordo
di Solar Orbiter.
Lanciata il 10 febbraio, la missione è la più ambiziosa mai diretta
al Sole. Ha catturato le immagini con suoi dieci strumenti, tre dei
quali italiani, realizzati da Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto
Nazionale di Astrosifica (Inaf), Thales Alenia Space (Thales-Leonardo).
Università di Firenze e di Genova.
“Abbiamo al momento solo le prime immagini e già possiamo osservare
nuovi fenomeni interessanti”, ha detto il responsabile scientifico della
missione, Daniel Müller. “Non ci aspettavamo davvero di avere risultati così importanti già all’inizio”, ha aggiunto.
DALL’INVIATO A NEW YORK. C’è anche l’orto, con le piante esotiche
e i vegetali da coltivare per usarli in cucina. Sopravvive grazie ad
una struttura costruita con un composito di basalto biopolimero, che la
protegge dalle escursioni termiche superiori ai cento gradi centigradi, e
ferma le radiazioni consentendo solo il passaggio della luce naturale.
Perché la casa di cui stiamo parlando è stata progettata per essere
assemblata su Marte, e ora sta diventando il prototipo di una città
completamente funzionale da realizzare sulla Luna, dove la Nasa vorrebbe
trasferire i suoi astronauti su base permanente.
L’anno scorso i
neolaureati della Columbia University Jeffrey Montes e Christopher
Botham avevano fatto notizia, perché avevano vinto il premio da 500.000
dollari messo in palio dall’agenzia spaziale americana con la 3D-Printed
Habitat Challange. In sostanza avevano progettato una casa che i robot
potevano costruire sul Pianeta Rosso attraverso la tecnologia delle
stampanti tridimensionali. La struttura si chiamava MARSHA, ossia Mars
Habitat, e puntava a realizzare una residenza permanente per gli
astronauti.
Abbiamo tanto desiderato il ritorno a una vita normale. Ma ora che finalmente si intravedono piccoli bagliori di normalità sottotraccia balena un pensiero difficile da ammettere: «Quasi quasi non esco più». L’isolamento si è trasformato in comfort zone. «Ci sono situazione diverse, sarebbe difficile e imprudente generalizzare sulle ragioni che possono portare a questo timore. Certamente però, per molti questo è stato probabilmente un tempo sospeso, per alcuni versi simile all’adolescenza, in equilibrio tra l’infanzia e l’età adulta», commenta Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele e professore associato dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano. «La sospensione riguarda anche obblighi e responsabilità, per questo ha un suo fascino che la mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione».
“Al momento non c’è niente
di sicuro”, dice Silvio Garattini. È questa la premessa dalla quale
partire, prima di passare in rassegna studi e ricerche in corso sulle
possibili terapie per curare l’infezione da Covid-19. Il celebre medico e
farmacologo, presidente dell’Istituto “Mario Negri” di Milano, lo dice
chiaro e tondo: “Ci sono tante proposte, ma nessuna che abbia una solida
base scientifica”. Quanto ai vaccini, è d’accordo con chi sostiene che
“sono una scommessa” e “per essere efficaci – aggiunge – devono
realizzare condizioni precise”. Per il momento, in Italia “siamo ancora
in fase 1” e “potrebbe esserci un’altra ondata, quindi è bene non
smobilitare troppo rapidamente”. La fase 2? “Bisogna prepararla fin
d’ora e adeguatamente”. Di qui l’invito “a utilizzare questo periodo in
cui siamo in clausura per creare le condizioni perché agli inizi di
maggio possa iniziare davvero la fase 2”, facendo molta attenzione “a
non alimentare, nel mentre giustamente si corre dietro al virus per
fermarne l’avanzata, altre forme di malessere e povertà”. E ricordando –
“sia detto senza polemica” – a chi chiede certezze inconfutabili “che
la scienza fornisce informazioni sulla base delle conoscenze, ma va
anche messa in condizioni di lavorare bene”.
Partiamo
dalle ricerche in corso sul piano della possibile cura. L’Aifa ha
approvato due tipi di sperimentazione su due farmaci: il Tocilizumab e
il Remdesivir. Altri studi si stanno svolgendo sull’idrossiclorochina.
Possono essere considerati passi avanti per individuare una cura
all’infezione?
Roma, 13 aprile 2020 – Nuovi passi avanti sul fronte del vaccino contro il Coronavirus. E crescono le speranze. Inizieranno a fine aprile in Inghilterra i test accelerati sull’uomo
– su 550 volontari sani – del prodotto messo a punto dall’azienda
Advent-Irbm di Pomezia insieme con lo Jenner Institute della Oxford
University. Ad annunciarlo è l’ad di Irbm Piero Di Lorenzo. Si prevede,
afferma, di “rendere utilizzabile il vaccino già a settembre
per vaccinare personale sanitario e Forze dell’ordine in modalità di
uso compassionevole”. La scoperta di un vaccino è da più parti indicata
come l’unica soluzione che potrà consenitre di tornare alla normalità.
E’ stata scoperta la struttura del motore molecolare di Covid-19 che permette al virus di moltiplicarsi. Il risultato, pubblicato su Science, rende più facile mettere a punto farmaci mirati. Il motore è l’enzima polimerasi nsp12, lo stesso che è il bersaglio dell’antivirale remdesivir utilizzato contro il nuovo coronavirus, ma nato come arma contro l’Ebola. Autore della ricerca è il gruppo di Yen Gao, dell’università Tsinghua di Pechino. Segui tutti gli ultimi aggiornamenti sull’emergenza coronavirus in Italia cliccando qui
1. Perché il vaccino è così importante? È
l’unica, vera soluzione a lungo termine contro la pandemia della
Covid-19. Una volta superata la fase acuta che stiamo vivendo
attualmente serviranno «armi di prevenzione necessarie per impostare il
futuro. Bisogna investire in questa direzione anche se la prospettiva di
avere risultati non è immediata», afferma Gennaro Ciliberto, direttore
scientifico dell’istituto oncologico Regina Elena, biologo molecolare e
immunologo. Il virus, anche quando la diffusione ora in corso si sarà
fermata, potrà essere sempre pronto a creare nuovi focolai e solo un vaccino potrà garantire alla popolazione l’immunità di base, vale a dire la capacità collettiva di rispondere a una nuova infezione.
2. Quanto tempo ci vorrà per averlo? I tempi della ricerca non sono brevi. L’agenzia europea del farmaco, l’Ema, così come la «sorella» americana Fda, Food and Drug Administration, hanno autorizzato l’applicazione dello schema rapido di approvazione Prime (Priority medicines). Ma più di tanto non si potrà correre, avverte il direttore Ema con sede ad Amsterdam, l’italiano Guido Rasi: «Abbiamo già discusso con gli sviluppatori di una dozzina di potenziali vaccini contro Covid-19, ragionevolmente però non è possibile attendersi un risultato pronto al via libera prima di un anno. Sappiamo che due candidati sono entrati nella fase di sperimentazione clinica su volontari sani, potremmo avere tra qualche mese una profilassi da testare in platee più a rischio, come gli operatori sanitari».