Ha rischiato di non andare in onda “The Voice Senior”, lo show del venerdì sera condotto da Antonella Clerici su RaiUno. Colpa del twerking improvvisato da una procace concorrente over 60, giudicato imbarazzante dall’ad Fabrizio Salini. Il quale, a poche ore dall’inizio della trasmissione, ha ordinato ai tecnici Rai di espungere dalla puntata preregistrata lo spezzone incriminato. Altrimenti, la gara canora sarebbe stata cancellata dal palinsesto.
Una censura necessaria, secondo il manager della Tv di Stato. Ancora sotto choc per la bufera provocata dal video-tutorial sulla sexy casalinga di “Detto Fatto”, ha preferito evitare eventuali polemiche che la scenetta del nuovo “The Voice”, al suo esordio su Rai1, avrebbe potuto suscitare. Un eccesso di zelo, in realtà. Tutto accade nel volgere di poche ore. Al mattino il direttore di rete, Stefano Coletta, manda la prima puntata in visione a Salini e gli segnala il siparietto: una bionda insegnante di educazione fisica, seconda in ordine di apparizione, si presenta con un brano di Elettra Lamborghini: Musica. Alla fine dell’esibizione, la giudice Loredana Bertè chiede alla signora di mostrarle come si fa il twerking, il ballo che ha reso celebre la cantante bolognese, in cui si scuotono i fianchi su e giù velocemente, creando così un tremolio delle natiche. Balletto in cui si cimenta non solo la concorrente, ma anche la vulcanica Bertè in minigonna d’ordinanza.
Trentasette anni fa, in Sapore di Mare, feci dire a Virna Lisi la verità è che invecchiare fa schifo. Non la penso più così. Tu? «Non è vero che invecchiare fa schifo. Chi non vuole invecchiare non vuole vivere! Ovvio che dovrai combattere con un corpo che comincia ad aver bisogno di continua manutenzione e controlli, ma è anche vero che noi abbiamo un’anima. E fino a quando l’anima ci permette di riflettere, stupirci, emozionarci, dare consigli giusti a chi ce li chiede, la vecchiaia ha un gran valore. Un mondo senza vecchi sarebbe un mondo senza guide, buon senso e memoria storica».
Dicono che uno capisce di essere diventato vecchio quando, allo specchio, si accorge di assomigliare a suo padre. «È
vero. Ma sono diversi anni che assomiglio a mio padre Mario e la cosa
non mi dispiace affatto, perché la somiglianza mi fa sentire la sua
presenza ogni volta che mi guardo allo specchio o in un mio film
recente. Piuttosto ti senti vecchio quando ti chiamano e ci metti un
minuto per voltarti ad individuare chi ti ha chiamato. A questo ancora
non ci sono ancora arrivato».
Vogliamo chiarire qualche luogo comune su di te? Per esempio: Carlo Verdone è ipocondriaco. «Credo che questa fregnaccia dell’ipocondria nasca dal personaggio che interpretai in Maledetto il giorno che t’ho incontrato. Non lo sono affatto. Anzi mi sembra di essere l’esatto contrario: rassicuro gli amici, combatto in silenzio con tante magagne, incoraggio tante persone che hanno guai fisici seri. Per la gente il fatto che ho una passione privata per la farmacologia e la medicina equivale a catalogarti come un fissato delle malattie. Ma non è così. Gli ipocondriaci sono persone di una noia mortale, anche se vanno aiutate».
Uniti fino alla fine. «Stefano ci ha lasciato» e le firme degli altri, Roby, Red, Dodi e Riccardo. È morto ieri sera Stefano D’Orazio, batterista dei Pooh.
E il resto della band, nonostante lo scioglimento del 2016 dopo 50 anni
di carriera, ha voluto ricordarlo con una sola voce. Un messaggio
uguale per tutti postato anche sui profili social personali. «Era
ricoverato da una settimana e per rispetto non ne avevamo mai parlato…
nel pomeriggio, dopo giorni di paura, sembrava che la situazione stesse
migliorando… poi, stasera, la terribile notizia», raccontano gli
amici-colleghi. Già malato, le sue condizioni sono peggiorate con il contagio da Covid. Il messaggio prosegue: «Abbiamo
perso un fratello, un compagno di vita, il testimone di tanti momenti
importanti, ma soprattutto, tutti noi, abbiamo perso una persona per
bene, onesta prima di tutto con se stessa. Preghiamo per lui». A
dare la notizia su Twitter per primo è stato l’amico Bobo Craxi che ha
ricordato anche le sofferenze degli ultimi anni.
Romano, classe 1948, D’Orazio era entrato nella band nel 1971 quando Valerio Negrini, il batterista della prima formazione, aveva deciso di lasciare il palco ma di rimanere nel gruppo soltanto come autore dei testi
E a
fianco del «quinto Pooh» aveva anche contribuito alla scrittura dei
testi di molti dei brani del repertorio della band. La batteria aveva
iniziato a suonarla folgorato dal primo disco dei Beatles: «Trascorsi
due settimane a cercare di emulare Ringo e suonare su una vecchia
scatola di scacchi con due mestoli presi in cucina», raccontava.
Un corteo davanti al Campidoglio poi la cerimonia in forma privata nella Chiesa degli Artisti | CorriereTv
Roma in lutto nel giorno dei funerali di Gigi
Proietti, il grande attore morto 3 giorni fa all’età di 80 anni. Il
corteo passerà davanti al Campidoglio, poi andrà al Globe a Villa
Borghese per il ricordo laico di amici e colleghi, infine i funerali in
forma privata nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo alle 12.
Un lunghissimo e commosso applauso di 5 minuti ha salutato l’ultima entrata in scena di Gigi Proietti al “suo” Globe Theatre, il teatro elisabettiano che ha creato e guidato per 17 anni nel cuore di Villa Borghese e che ora porterà il suo nome. Ad accoglierlo, nella seconda tappa del corteo funebre attraverso Roma, tante maestranze, cittadini, amici e colleghi, e i suoi “allievi” Flavio Insinna ed Enrico Brignano.
Presenti anche Massimo Wertmuller, Paola Tiziani Cruciani, Marisa Laurito, Walter Veltroni. Tutti fortemente commossi. “Siamo stati privati della tua intelligenza, della tua cultura, del tuo talento, della tua bellezza, della tua immaturità, con quei capelli ribelli finalmente diventati bellissimi, bianchi – ha detto la Laurito -. Gigi eri energia pura, generoso, mai maschilista, sempre pronto a dare un consiglio. Quando Gigi entrava sul palco entrava il teatro”. “Questo è un momento che non avrei mai voluto vedere – ha continuato -, il tuo feretro sul palco del teatro che hai fortemente voluto, che hai sognato. Dicevi ‘verranno tanti giovani’, e sono venuti. Se vogliamo farti felice dobbiamo fare in modo che questo teatro mantenga la tua direzione. Ciao Gigi, ci vediamo presto”.
“Sono nato a via Giulia, ma per favore non mi domandate
niente di lì, perché non ricordo nulla. Sono andato via con la mia
famiglia da quell’appartamento quando avevo nove mesi. Poi ci siamo
trasferiti a via Annia, una stradina del Celio, accanto all’Ospedale militare. Lì andavo a scuola alle elementari alla Vittorino da Feltre e
il primo ricordo che mi porto ancora appresso è un odore, l’odore dei
libri, mescolato a quello della merendina che mia madre mi metteva
dentro la cartella. Avevo due cartelle nere, rigide, di una fibra un po’
strana, che si potevano anche mettere a tracolla. E mi viene ancora in
mente, nonostante fossi piccolo, la vergogna di mettermi il grembiule e
il fiocchetto, il fiocco insomma. Non l’ho mai sopportato. Ero un
bambino e a Roma nella primissima mattina era consentito di passare
addirittura davanti a piazza del Colosseo per andare sulla via del mare”.
Gigi Proietti, il Grande Attore e Roma. Gigi Proietti si raccontava così
in una delle ultime lunghe interviste sulla città tanto amata,
rilasciata come testimonial della Guida di Repubblica ai Piaceri e ai Sapori di Roma e del Lazio del 2019.
Il testamento di Gigi Proietti: “Le fontane di villa Borghese”
Ci eravamo incontrati sulla terrazza di un hotel al Pinciano, dove stava
girando gli altri episodi di “Una pallottola nel cuore”, la serie tv di
Rai 1. Davanti a noi a perdifiato la vista dei tetti.
“Da via Annia” ricordava nel suo ritorno al passato “abbiamo cominciato a girare e siamo andati ad abitare vicino via Veneto,
in un appartamento di fortuna, dopo la guerra. Ci siamo stati due, tre
anni e ho conosciuto un luogo che ricordo benissimo e che poi è uno
strano ritorno, Villa Borghese, perché andavo al cinemetto, che si chiamava dei Piccoli o Topolino e stava vicino alla Casina delle Rose,
dove d’estate facevano il varietà e da dietro un canneto, avevo nove
anni, vidi tra le canne, c’era una specie di recinto di piante, Billi e
Riva, che facevano lo spettacolo. Però non sentivamo bene. Un posto dove
sono tornato adesso, dato che ho avuto la fortuna di incontrare un
sindaco lungimirante, che era Veltroni, che capì l’importanza di mettere
su un teatro a Villa Borghese, il Globe Theatre”.
Gigi Proietti, uno dei ‘Cavalli di battaglia’: la barzelletta del cavaliere nero
Ma a via Veneto non ebbe il tempo di annusare la Dolce Vita. “No, subito dopo eravamo andati ad abitare in periferia, al Tufello, perciò non avrei potuto assistere alla Dolce Vita, perché ero troppo piccolo. Ma Villa Borghese è importante, ero rimasto colpito dalle fontane e soprattutto da quella specie di muffa verde che fanno quando sono a secco. La vedo ancora adesso e anche le statue un po’ sbrecciate della villa. Era molto affascinante per me perché non ne capivo tanto le ragioni, ma sono immagini che mi sono rimaste impresse. Come le fontane di piazza Farnese,
che un tempo stavano dentro Caracalla, pochi lo sanno ma è così. Poi
quando stavo al Tufello la vera Roma non l’ho più frequentata per un po’
di anni perché praticamente la borgata era in costruzione ed era
lontanissima. Oggi sembra molto più vicina, ma allora bisognava
prendere due autobus per arrivare fino al Centro, il 36 e il 60, tutta
via Nomentana”.
Poi le storie del liceo: “L’ho fatto all’Augusto sulla via Appia, perché poi dal Tufello ci eravamo spostati con la mia famiglia nella zona dell’Appio Latino,
quindi la scuola più vicina era l’Augusto, una scuola pubblica, e
naturalmente era in un periodo che precedeva il ’68, per cui non ho
conosciuto le manifestazioni della contestazione. C’erano ancora
professori educati all’era fascista, qualcuno ci sarà ancora credo”.
Naturalmente non perdeva la battuta, l’aneddoto. “C’era un certo
Collina che ai primi appelli che facevano all’inizio di scuola non
rispondeva, perché non c’era. E questo Collina non è mai venuto. E
allora c’era sempre qualcuno che, quando il professore chiamava
“Collina”, diceva “presente”. Facevamo a turno. Oggi mi piacerebbe
conoscerlo questo Collina”.
Gigi Proietti — morto lunedì mattina, nel giorno del suo 80esimo compleanno
— non era solo uno straordinario raccontatore di barzellette, forse il
più raffinato interprete di questa arte, ma della barzelletta aveva il
culto, ne cercava la genealogia, la propagazione, le varianti regionali e
dialettali. Ammirava la barzelletta come racconto concentrato, come
breve narrazione, un congegno perfetto da recitare con gusto, passione e
maestria. E la stessa barzelletta, anche se raccontata migliaia di
volte, suscitava in lui un divertimento ogni volta nuovo e trascinante,
come se avesse la freschezza sorgiva della prima volta. Gigi Proietti
non smetteva mai di offrirsi negli sketch che amava di più, e tutte le
volte, prima della battuta finale del «Cavaliere nero», o della
telefonata in cui fa lo strozzino della madre, il grande attore doveva
concedersi un attimo di esitazione per vincere la risata che,
puntualmente, rischiava di sopraffarlo.
In un duetto straordinario con Renzo Arbore in cui interpretavano, insieme, il testo di una delle canzoni più celebri, “Come pioveva”, Proietti stupiva ogni volta l’uditorio per la scelta precisa dei tempi, per la sequenza di battute, di espressioni del volto, di modulazioni vocali il cui effetto comico finale riusciva a contagiare un pubblico grato. Proietti era un grande interprete del “nazional-popolare”, dando a questa definizione un po’ corriva lo spessore che si merita, un acrobata della contaminazione tra “alto” e basso”, capace di passare dalla comicità di “Febbre da cavallo” al registro della tradizione teatrale consacrata grazie alla conduzione dello scespiriano “Globe Theatre” nel cuore di Villa Borghese, una perla di cultura di cui Roma dovrebbe andare fiera, riproduzione filologicamente esatta del più famoso teatro di epoca elisabettiana.
«Riportare in scena “A me gli occhi please”?. Piuttosto, dovrei interpretare “A me gli occhiali please”», scherzava Gigi Proietti
sulla sua età avanzata, nonostante la tempra fisica e la forza scenica
da assoluto mattatore che lo ha sempre accompagnato in oltre mezzo
secolo di vita artistica.
Purtroppo, però, il grande attore, colui che viene considerato l’erede di Ettore Petrolini, stavolta non ce l’ha fatta.
Gli erano vicine la moglie Sagitta e le figlie Susanna e Carlotta.
Le origini
Era nato a Roma il 2 novembre 1940 da una famiglia semplice: «Mio padre era un impiegatuccio, mamma era casalinga: erano persone di un altro secolo – raccontava Gigi al Corriere qualche tempo fa —. Non sono figlio d’arte, insomma, però, ora che ci penso forse la vena artistica l’ho ereditata proprio da mia madre: mio nonno materno faceva il pecoraro, ma era un poeta. Quando è morto abbiamo ritrovato una serie di libretti con bellissime poesie, erano sonetti dove non c’era una virgola sbagliata. E chissà, forse ho ripreso da lui il gusto di scriverne anch’io in romanesco». Non solo attore di teatro, cinema e televisione, ma anche showman, cantante e direttore artistico di palcoscenici importanti a Roma, come il Brancaccio e, negli ultimi 17 anni, del Globe Theatre a Villa Borghese. Ed è sconfinata la lista delle sue interpretazioni: dal film «Febbre da cavallo» al «Maresciallo Rocca» sul piccolo schermo; da «Cavalli di battaglia» al recentissimo «Edmund Kean» in palcoscenico. Una sfilza di successi destinati a un pubblico vastissimo, da vera rockstar: recentemente, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, in una quindicina di serate aveva raccolto circa 60 mila spettatori.
La carriera e la famiglia
Eppure il Gigi nazionale aveva debuttato nel teatro impegnato
d’avanguardia degli anni Sessanta: «Era il tempo delle cantine –
ricordava – e con Antonio Calenda, Piera Degli Esposti e altri compagni
avevamo creato il gruppo dei 101: recitavamo davvero in un vecchio
magazzino, ex deposito di scope. E dopo lo spettacolo, spesso c’era il “dibbbbbattito” , quello co’ trecento b».
Ma in realtà il futuro attore aveva iniziato studiando Legge all’università:
«Frequentavo Giurisprudenza non per scelta ideologica, ma perché a quel
tempo il futuro agognato da un giovane come me, che veniva dalla
periferia romana e che non aveva alle spalle una famiglia di
professionisti, era l’impiego fisso. Mio padre, infatti, ripeteva:
“piove o tira vento, prendi lo stipendiuccio e la tredicesima…”». Per mantenersi agli studi faceva il cantante nei night con un gruppo di amici:
«Sul mio passaporto c’era scritto “orchestrale”! Avevo un repertorio
sconfinato: cominciavo alle 10 di sera e finivo alle 4 di mattina…
uscivo col collo gonfio: non c’era misura di camicia che tenesse, semmai
ce voleva un copertone». E cantava anche nelle piscine del Foro
Italico, dove conobbe proprio la futura moglie Sagitta:
«Lei era la classica svedese innamorata dell’Italia. Faceva la hostess
che accompagnava i turisti in giro per monumenti, e la sera li portava
lì a prendere il fresco e a sentire musica. Tra me e lei scattò la scintilla ballando l’alligalli».
E’ morto Gigi Proietti. L’attore romano avrebbe compiuto oggi 80 anni. Era ricoverato in terapia intensiva in una clinica della Capitale per problemi cardiacie non per cause legate al coronavirus. Maestro di cinema, teatro e tv, in oltre 50 anni di attività ha collezionato fiction, film, spettacoli teatrali, sia come attore sia come regista, oltre ad aver registrato 10 album come solista e diretto 8 opere liriche.
Già in passato, nel 2010, Proietti era stato ricoverato per una forte
tachicardia. “Nelle prime ore del mattino è venuta a mancare
all’affetto della sua famiglia Gigi Proietti. Ne danno l’annuncio
Sagitta, Susanna e Carlotta. Nelle prossime ore daremo comunicazione
delle esequie”. ha spiegato la famiglia in una nota.
La carriera Nato a Roma nel 1940,
appassionato musicista e cantante fin dalla giovinezza, durante
l’università si avvicina al teatro sperimentale. Nel 1970 trionfa nel
musical “Alleluja brava gente”. Da allora, la sua carriera è una serie
di successi a teatro, al cinema e in televisione, ma è anche doppiatore
(tra gli altri di Marlon Brando, Robert De Niro, Dustin Hoffman e il
Genio di Aladin di Walt Disney), regista e poeta teatrale.
I più grandi successi E’ l’eterno
Mandrake di Febbre da cavallo, il maresciallo Rocca della tv e il
Gastone teatrale. Dall’Accademia al teatro d’avanguardia, dal teatro
Tenda al varietà e alla tv attraversa oltre mezzo secolo di spettacolo
italiano, con l’eleganza di un maestro di tecnica, ironia e carisma che
sa parlare al pubblico più evoluto come alla grande platea degli
spettatori televisivi.
L’amore per il teatro In circa 50 anni
di attività ha collezionato 33 fiction, 42 film, 51 spettacoli teatrali
di cui 37 da regista, oltre ad aver registrato 10 album come solista e
diretto 8 opere liriche. Una carriera teatrale, da A me gli occhi
please, passando per Shakespeare, che aveva riassunto in uno spettacolo
Cavalli di battaglia scelto per festeggiare nel 2016 i suoi 50 anni
in scena coronati dalla direzione quindicennale dell’elisabettiano Globe
Theater di Roma. Anche se molto prima la sua scuola, e la sua vocazione
di maestro, si era espressa al Brancaccio, di cui fu direttore dal
1978, insieme a Sandro Merli, per dare vita ad una fucina di talenti tra
cui figurano Flavio Insinna, Chiara Noschese, Giorgio Tirabassi, Enrico
Brignano, Massimo Wertmüller, Paola Tiziana Cruciani, Rodolfo Laganà,
Francesca Reggiani, Gabriele Cirilli e Sveva Altieri.
Il mondo del cinema perde il suo James Bond più famoso e amato dal pubblico. Sean Connery
è morto oggi all’età di 90 anni ma aveva concluso la sua carriera già
nel 2003. Da allora si è dato alla politica impegnandosi per
l’indipendenza della sua Scozia dal resto del Regno Unito.
I difficili anni dell’infanzia
Connery
nasce nel 1930 ad Edimburgo da padre irlandese e madre scozzese, gente
povera ma onesta. Così Sean antepone il lavoro allo studio che,
comunque, non è mai stata la sua passione. “A 13 anni ho lasciato
definitivamente la scuola e ho fatto mille lavori con in testa una sola
idea, forse comune ai bambini di allora: andare in guerra”,
spiegherà in un’intervista l’attore scozzese che ha avuto una carriera
militare molto breve. Entra in Marina a 16 anni ma, dopo solo tre anni,
viene congedato a causa di un’ulcera. In questo periodo si fa tatuare
sulle spalle le scritte: ‘Mum and Dad’ e ‘Scotland forever’ e, poi,
accetta i lavori più svariati, tra cui il lucidatore di bare. Nel 1953
partecipa al concorso di Mister Universo classificandosi terzo ma aveva
già iniziato a recitare due anni prima in un musical, South Pacific, in
scena a Londra. Nel 1958 è protagonista, insieme a Lana Turner, nel film
Estasi d’amore – Operazione Love.
Il successo con i film di James Bond
Il successo internazionale inizia nel 1962 quando Connery viene scritturato per la parte di James Bond, l’agente segreto inglese nato dalla penna dello scrittore Ian Fleming. Un successo che l’attore mal digerisce. “È
inutile che mi paragonino a James Bond. Bond è inglese e io sono
scozzese. E gli inglesi non mi piacciono affatto perché sono scozzese”, dice con una punta d’orgoglio, nel 1965, in un’intervista rilasciata a Oriana Fallaci mentre sta girando Agente 007 – Thunderball. E ancora: “Mi arrabbio quando mi chiedono se vorrei essere James Bond, se assomiglio a James Bond, se devono chiamarmi Connery o Bond”.