«Il Papasta lentamente migliorando. Ma emergerà da questo ricovero comunque infragilito. E il Conclave ombra impazzerà più che mai…». Gli effetti del ricovero di Francesco al Policlinico Agostino Gemelli in seguito alla crisi respiratoria di mercoledì già si fanno sentire. Ma non sono solo fisici.
Proiettano quasi per inerzia tutte le ombre che lo accompagnano da tempo; e che dopo la scomparsa di Benedetto XVI,
il «Papa emerito», il 31 dicembre scorso, si sono inspessite. «Il tema
non è questa permanenza in ospedale: il Pontefice non è in pericolo di
vita. Il tema, piuttosto, è come lui stesso analizzerà quanto gli è
accaduto, e quali conclusioni ne trarrà».
Le
parole della fonte vaticana suonano lievemente anodine. Solo in parte,
però. Il pudore lessicale lascia trasparire la grande domanda su una
possibile rinuncia: questione irrisolta dal punto di vista legislativo,
probabilmente perché irrisolvibile; ma tuttora in sospeso, per le
indicazioni oscillanti arrivate in questi anni da Casa Santa Marta. Nei
mesi scorsi, Francesco ha rilasciato una serie di interviste nelle quali
ha lasciato intendere intenzioni non sempre coincidenti: fino a
precisare, di fronte a voci interessate di possibili dimissioni, che il
papato è tendenzialmente a vita.
Ma
in precedenza aveva affermato che potrebbe dimettersi per motivi seri
di salute, o se capisse di perdere lucidità; che se rinunciasse non
resterebbe in Vaticano; che non andrebbe nemmeno in Argentina; che forse
si ritirerebbe in una parrocchia romana, o nella basilica di San
Giovanni in Laterano; che non si chiamerebbe «Papa emerito» come il
predecessore ma «vescovo emerito di Roma»; e che non indosserebbe più
l’abito bianco. Il problema è che di colpo, da due giorni queste ipotesi
astratte debbono fare i conti con un cedimento fisico improvviso, non
prevedibile. E dunque diventano speculazioni meno teoriche sul futuro
prossimo del suo pontificato.
ROMA. Papa Francesco «ha trascorso una notte tranquilla al
Policlinico Gemelli», dov’è ricoverato da ieri in seguito a un malore
dopo l’udienza generale in piazza San Pietro e a un’infezione
respiratoria. Ma il mondo è in ansia, soprattutto per le conseguenze di
questa infezione sul cuore appesantito. Una notte «liscia come l’olio»,
ha commentato una fonte vicina al Vaticano. I medici sono prudenti ma
ottimisti al momento, se non sorgeranno ovviamente complicazioni. Ancora
nessuna comunicazione ufficiale, ovviamente, sulla presenza del Papa
per le celebrazioni della prossima domenica delle Palme. Oggi in
ospedale proseguono i controlli. Francesco è tenuto costantemente
monitorato.
Con il Pontefice c’è Massimiliano Strappetti, 54 anni, infermiere
talmente vicino e ascoltato da Bergoglio da essere stato proprio lui a
convincerlo a sottoporsi all’operazione al colon tre anni fa. Oggi,
comunque, una giornata di completa degenza è del tutto scontata.
Moltissimi i messaggi e le preghiere, da ovunque. Francesco ha avuto
un malore ieri mattina nella sua residenza di Santa Marta ed è stato
trasportato in ambulanza al Policlinico.«Nei giorni scorsi – ha rivelato
in serata una nota della Sala Stampa della Santa Sede – ha lamentato
alcune difficoltà respiratorie». L’esito dei primi controlli «ha
evidenziato un’infezione respiratoria che richiederà alcuni giorni di
opportuna terapia medica ospedaliera». Escluso il Covid, l’infezione
pesa però sul cuore, ed è ciò che maggiormente allarma, considerata
anche l’età del Pontefice. Jorge Mario Bergoglio è costantemente tenuto
sotto controllo per misurare la saturazione dell’ossigeno e il ph del
sangue, parametri clinici importantissimi nelle sue attuali condizioni.
Stretta di Papa Francesco sui privilegi agli alti prelati del Vaticano relativi al patrimonio immobiliare. Con uno speciale provvedimento, infatti, Bergoglio ha di fatto abrogato le locazioni gratuite dei cardinali e di altre figure di vertice della Santa Sede (capi dicastero, presidenti, segretari, sottosegretari, dirigenti). In altre parole, se vivono in case di proprietà degli enti dovranno iniziare a pagare l’affitto.
Il Vaticano, come riporta il Corriere, spiega che alla base del
“rescriptum” – norma introdotta rispondendo a un quesito giuridico – c’è
la volontà di “far fronte agli impegni crescenti che l’adempimento al
servizio della Chiesa Universale e ai bisognosi richiede un contesto
economico quale quello attuale, di particolare gravità”.
Insomma, stringere la cinghia dei cardinali per aiutare di più chi ne ha bisogno. Basta affitti gratis e canoni a prezzi simbolici, per tutti si applicheranno i prezzi “normali”. Non da subito, va da sé: i contratti in essere saranno rinnovati con altre tariffe dopo la scadenza.
L’amarezza di papa Francesco e
l’invito alla discrezione fatto a padre Georg Gänswein: per lui
l’ipotesi di un incarico diplomatico in una nunziatura all’estero o una
sistemazione romana, possibilmente discreta
Ap
CITTÀ DEL VATICANO — Gli amici che lo hanno sentito in queste ore raccontano di un uomo che si mostra amareggiato per le interpretazioni «malevole» degli stralci «fuori contesto» del suo libro, fatti uscire mentre si celebravano i funerali di Benedetto XVI, «ma adesso devo stare zitto». Di certo, lunedì mattina, monsignor Georg Gänswein ha dovuto parlare della faccenda a papa Francesco, che lo ha ricevuto in udienza.
Dal Vaticano non si dice ufficialmente nulla. Ma è evidente, si fa notare, che il Papa abbia raccomandato discrezione, come ricordava all’ultimo Angelus: «Dio è nel silenzio».
E che ad avere motivo d’essere amareggiato, piuttosto, è il pontefice, il quale avrebbe cose più importanti di cui occuparsi dell’ex segretario del predecessore: proprio ieri, nel ricevere gli ambasciatori, Francesco è intervenuto per la prima volta dall’uccisione di Mahsa Amini sulla repressione feroce delle proteste popolari attuata dal regime iraniano («il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne») e sulla guerra Ucraina, con le parole della Gaudium et Spes, ha sillabato che «ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità».
Ma tant’è, il «caso» è stato creato, il libro Nient’altro che la Verità è in uscita, e nel sottobosco dell’opposizione tradizionalista a Francesco monta il tentativo post mortem di usare Benedetto XVI come un vessillo e creare un conflitto tra «i due papi» che nella realtà non c’è stato. Per quasi dieci anni, nel Monastero, l’emerito è stato attento a evitare ogni sospetto di interferenza nei confronti del successore cui aveva assicurato «incondizionata reverenza e obbedienza» .
Gänswein, del resto, racconta di come Ratzinger rimase «stupefatto» quando, all’inizio del 2020, si tentò di pubblicare col suo nome un libro a doppia firma con il cardinale Sarah nel quale si contestava la proposta del Sinodo amazzonico di ordinare preti sposati prima che Francesco dicesse la sua (senza poi fare nessuna apertura, peraltro), e come Benedetto avesse poi scritto al Papa tutta la sua «tristezza per l’abuso» del suo articolo e si fosse proposto di non far pubblicare più nulla.
Di qui l’amarezza di Francesco. E l’udienza di ieri. Resta il discorso sull’opportunità di pubblicare un libro simile subito dopo la morte di Ratzinger e citare brani della corrispondenza privata tra l’emerito e il Papa. Rispettosissima, del resto.
Il malcontento verso il Papa e le mosse dopo la morte di Ratzinger
«Se in Conclave sarà eletto un altro Bergoglio, per la Chiesa sarà una tragedia…». Il funerale del papa emerito Benedetto non era stato ancora celebrato, quando uno dei cardinali tradizionalisti più in vista ha iniziato il tamtam della guerra di logoramento con Francesco. Dal 31 dicembre, giorno della scomparsa di Joseph Ratzinger,
il tema non sembra quello di come raccordarsi col pontefice argentino
alla ricerca di una ricucitura. Su questo, le speranze ma anche la
voglia di una tregua appaiono esili. La vera questione, per i suoi avversari, è come impedire che Jorge Mario Bergoglio riesca a condizionare il prossimo Conclave.
Le bordate sorprendenti arrivate contro Francesco dal segretario personale di Ratzinger e prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gaenswein, sono state viste come l’inizio di una fase apertamente conflittuale. Di certo, riflettono il risentimento di una persona che si è sentita umiliata e costretta a tacere a lungo tra le mura del Monastero per non dispiacere a Benedetto. Ma tra gli avversari di Francesco le sue uscite sono state accolte con una miscela di sorpresa e di imbarazzo. Ne sono in arrivo altre, però.
È in uscita un libro-intervista dell’ex custode della dottrina cattolica, il cardinaleGerhard Muller,
con la vaticanista Franca Giansoldati, intitolato «In buona fede», che
si preannuncia corposo e profondo nelle critiche al papato argentino.
Muller era stato indicato come la personalità su cui puntavano i tradizionalisti. Ma ha sempre rifiutato di schierarsi contro Francesco:
pur attaccando duramente i suoi consiglieri e definendo il Monastero
dove ha vissuto per quasi dieci anni Benedetto «il luogo dove vanno a
curarsi le persone ferite da Francesco. E sono molte…».
Ma questi «feriti» mostrano quanto in realtà il cattolicesimo ortodosso sia esasperato,
tutt’altro che compatto, e non ancora pronto a offrire un’alternativa.
Per questo ogni mossa compiuta a Casa Santa Marta mette in agitazione
una porzione non piccola dell’episcopato mondiale che da anni mugugna per le decisioni del papa. L’accusa di fondo è di avere fatto imboccare alla Chiesa una strisciante deriva «protestante»;
di nutrire un pregiudizio sudamericano contro i «gringos»; di preparare
un Conclave scegliendo solo cardinali fedeli alla sua linea; e di avere
stipulato «un patto col diavolo» per l’accordo segreto con la Cina di Xi Jinping. Eppure l’altroieri Francescoha ricevuto il cardinale emerito di Hong Kong, Joseph Zen, che era stato arrestato nel maggio scorso e poi rilasciato su cauzione dalle autorità cinesi.
Gänswein: «Benedetto scrisse a
Francesco che occorreva una “resistenza forte e pubblica”. Non
arrivarono più altre richieste specifiche di osservazioni»
«Dio si incontra nell’umiltà e nel silenzio». Risuona come un gong di fine round il richiamo di Papa Francesco, nei giorni del clamore provocato dalle rivelazioni dell’assistente di Papa Benedetto XVI Georg Gänswein, su frizioni e incomprensioni tra i due pontefici. E, all’indomani del funerale di papa Ratzinger, punto di riferimento per l’ala più tradizionalista dei cattolici che è entrata in fibrillazione, lancia alto un monito a non «dare scandalo».
Parlando ai fedeli dell’Epifania, Bergoglio scandisce: «Adoriamo Dio e non il nostro io; adoriamo Dio e non i falsi idoli che ci seducono col fascino del prestigio e del potere, con il fascino delle false notizie; adoriamo Dio per non inchinarci davanti alle cose che passano e alle logiche seducenti ma vuote del male».
La fede, ricorda il papa argentino, è anche «sofferenze che scavano nella carne». E aggiunge: «In questi momenti si levano dal nostro cuore quelle domande insopprimibili, che ci aprono alla ricerca di Dio». E tra queste: «Dov’è quell’amore che non passa, che non tramonta, che non si spezza neanche dinanzi alle fragilità, ai fallimenti e ai tradimenti?».
Cita papa Benedetto XVI papa Francesco, spiegando che la fede è un «pellegrinaggio», un «mettersi in cammino». E sottolinea che «la fede non cresce se rimane statica; non possiamo rinchiuderla in qualche devozione personale o confinarla nelle mura delle chiese, ma occorre portarla fuori, viverla in costante cammino verso Dio e verso i fratelli». Facendo pensare quasi a una risposta a padre Georg che in un’intervista lo ha accusato di aver «spezzato il cuore» di Ratzinger con il suo stop alle messe in latino.
Il libro del segretario particolare
di Benedetto XVI: «Il suo successore fece di me un prefetto dimezzato,
nacquero due tifoserie sui pontefici»
Si è avvicinato lentamente. Ha aiutato a sistemare il Vangelo sulla bara. Si è inginocchiato. E, prima di andar via, ha baciato il legno di cipresso.
Lo ha dato così monsignor Georg Gänswein l’ultimo saluto a Joseph Aloisius Ratzinger: per tutti il Papa emerito, per lui l’uomo con cui ha condiviso le amarezze della vita dopo il ritiro.
Lui, che nel lontano 2003 era stato scelto come segretario personale dall’allora cardinal Ratzinger,diventa ora la «famiglia» del Papa emerito assieme alle quattro memores domini
che ieri, in prima fila, visibilmente commosse, hanno presenziato alla
cerimonia fino alla parte più privata della tumulazione.
Ma Gänswein era anche il detentore dei suoi segreti che ora nel libro in uscita Nient’altro che la Verità (Piemme) annuncia di voler, in parte, distruggere: «La fine è segnata». «I fogli privati di ogni tipo devono essere distrutti. Questo vale senza eccezioni e senza scappatoie», gli avrebbe ordinato il papa emerito.
Aggiungendo «precise istruzioni, con indicazioni di consegna che mi sento in coscienza obbligato a rispettare, relative alla sua biblioteca, ai manoscritti dei suoi libri, alla documentazione relativa al Concilio e alla corrispondenza».
Il cardinale esclude che fra questi ci sia anche un dossier su Emanuela Orlandi: «Non è mai esistito».
E ora? Gänswein si definisce un «prefetto dimezzato»
alludendo al congedo ricevuto da Papa Bergoglio: «Mi disse: lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro». Rivela il vano tentativo di Ratzinger di intercedere in suo favore. E la battuta del Papa emerito: «Penso che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode…».
E se adesso appare sempre di più come punto di riferimento per la corrente conservatrice,
quella più in contrasto con Papa Francesco, lui stesso descrive questo
scenario: il problema, racconta nel libro, non è stato «tanto quello
della coesistenza dei due papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie».
Col tempo, dice, «ci si rese conto sempre di più che effettivamente c’erano due visioni della Chiesa» e che «queste due tifoserie» creavano una «tensione» spesso fondandosi su affermazioni o atteggiamenti di Francesco e Benedetto «talvolta con invenzioni».
Una faglia che si allarga a ogni
dichiarazione di padre Georg: l’ultima sul «cuore spezzato» di Ratzinger
per lo stop di Francesco alla messa in latino. E si fa più profonda
anche grazie a blog e siti. Fra questi quello descritto in sintonia con
Gänswein è Silere non possum che ieri titolava: «Saltano gli altarini sul non detto di questi anni».
Rimproverava a Bergoglio di aver «sempre temuto» il predecessore e aver
voluto per lui «un funerale come ogni altro cardinale». E precisava che
«nell’ovile cattolico ci sono anche quelli che non vogliono una chiesa
alla “volemose bene”, ma una seria istituzione di Cristo che vuole la
salvezza dell’anima».
Nel libro padre Georg ripercorre
le tappe di quel crescendo di incomprensioni. A partire dal «no» di Francesco all’Appartamento papale.
«Di solito dormo come un sasso. Ma nel pensare all’Appartamento non
ho chiuso occhio», gli disse Bergoglio. E a un gruppo di studenti delle
scuole gesuite spiegò: «Per me è un problema di personalità.
Ho bisogno di vivere tra la gente e se vivessi solo, forse un po’
isolato, non mi farebbe bene». Gänswein stesso – nel libro intervista
scritto con Saverio Gaeta – riferisce di aver sintetizzato a un
professore che gli chiese come mai non andasse a vivere lì con: «Motivi psichiatrici».
Ricorda come lui provò a far notare che «per tutti quelli che passavano
di sera davanti alla Basilica vaticana era un punto di riferimento la luce accesa nell’Appartamento pontificio e che ci sarebbe stata sicuramente nostalgia se si fosse modificata la residenza». «Però ebbi l’impressione che le migliaia di chilometri di distanza da Roma non lo avevano reso partecipe di tale sensibilità», conclude.
In un altro passo dell’intervista
, assicura che fra i due Papi il rapporto era «affettuoso», con scambi di vino e dulce de leche
argentini e dolci tirolesi delle memores e limoncello.
La nebbia avvolge Piazza San Pietro, la grande cupola è avvolta
da un velo. Dalla tristezza. Un apparente stato di smarrimento, il
simbolo della Casa della Chiesa nel Mondo non si vede. I fedeli, in
religioso silenzio, entrano piano piano e prendono posto. Con loro anche
i politici. I nostri, quelli italiani. Arrivano alla spicciolata. Facce
cupe, rispettose. Seduti sul sacrato della Piazza, alla sinistra
dell’altare. A pochi passi dal feretro che fa il suo ingresso accolto da
un lungo applauso.
Per i funerali di Benedetto XVI ci sono quasi tutti. Uno dei primi ad arrivare il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Al suo fianco Pier Ferdinando Casini. Nessun colore politico per oggi. È
lì, insieme ai membri del governo. Parla. Poco dopo arriva Guido Crosetto,
ministro della Difesa insieme a Giancarlo Giorgetti, ministro
dell’Economia. A seguire Carlo Nordio, titolare della Giustizia. È
avvolto da una lunga sciarpa azzurra. Sembra di assistere ad un
Consiglio dei ministri, ma composto. Taciturno. La musica sacra risuona e
fa eco alle preghiere. Al santo Rosario. Con loro le campane che
scandiscono il tempo prima della celebrazione della messa.
Dietro i ministri alcuni sottosegretari e parlamentari. C’è Lucio Malan, di fratelli d’Italia e Giulio Tremonti, Maria Tripodi di Forza Italia. Il parcheggio del Vaticano antistante la Piazza è pieno di auto blu. Prima dell’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, arriva Mario Draghi. La sua fede è nota, come il suo passato giovanile. È impassibile, come sempre. Saluta qualche ministro e prende posto, in sesta fila. Vicino al sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Unico assente il Presidente del Senato Ignazio Larussa costretto a rinunciare per una lieve influenza.
Gli operai preparano la tomba dove verrà seppellito il papa emerito Benedetto XVI dopo i funerali. Ratzinger sarà sepolto al posto di Giovanni Paolo II nelle Grotte Vaticane, una cripta situata sotto la basilica e contenente più di 90 tombe di papi. Il corpo del suo predecessore è stato trasferito nella parte principale della basilica in occasione della sua beatificazione nel 2011. Giovanni Paolo II è stato fatto santo nel 2014.
Monsignor Ganswein, che ha rivelato
il dolore di Benedetto per le decisioni di Francesco sulla messa in
latino, era già finito al centro dello scontro tra i tradizionalisti e i
bergogliani. Oggi la storia rischia di ripetersi: e l’ala più distante
dal Papa, priva del «freno» rappresentato da Ratzinger, sembra pronta a
esplicitare le sue critiche
L’inizio della fase due del papato di Francesco è stata marcata dal secondo inquilino del Monastero dove viveva Benedetto XVI: il prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gänswein.
In un’intervista al giornale tedesco Die Tagespost, l’uomo più vicino da sempre a Joseph Ratzinger parla di «punto di svolta» nei rapporti con Jorge Mario Bergoglio nel 2021: l’anno in cui da Casa Santa Marta, residenza di Francesco, arrivò la decisione di scoraggiare la celebrazione della Messa in latino.
Papa Benedetto lo lesse «con il dolore del cuore», ha raccontato Gaenswein, che è stato con lui fino all’ultimo; e che in questi giorni ha vegliato la salma esposta nella basilica di San Pietro, commosso e con l’aria provata, accompagnando i visitatori illustri.
La sua può essere stata la rivelazione di un episodio che aveva colpito particolarmente Ratzinger; e che non nasconde nessuna intenzione di creare polemiche sui rapporti tra i cosiddetti «due papi».
Ma Die Tagespost è lo stesso giornale, considerato vicino all’Opus Dei e pubblicato a Wurzburg, che il 5 febbraio del 2020 rivelò la rimozione di «don Georg» dal suo incarico.
Scrisse che il papa gli aveva ordinato di non sedere più alla sua destra nelle udienze pubbliche; di non andare nemmeno in ufficio e di assistere soltanto Benedetto al Monastero. Era stato l’epilogo di un sordo conflitto tra i tradizionalisti cattolici che cercavano di strattonare il papa emerito perché criticasse di più Francesco, e la cerchia della «corte parallela» di Casa Santa Marta.
Gänswein, stretto sempre più nella gabbia di una doppia fedeltà, alla fine era diventato il capro espiatorio dello scontro.
Pretesto scelto per metterlo da parte: il pasticcio editoriale di un libro del cardinale conservatore Robert Sarah, che sembrava avesse scritto insieme con Ratzinger. Benedetto, invece, aveva soltanto autorizzato la pubblicazione di un suo breve saggio sul «no» al sacerdozio degli uomini sposati. Ma l’operazione editoriale, condotta maldestramente, aveva aumentato la tensione già latente tra i cerchi magici dei «due papi»: fino al cortocircuito che aveva portato a sacrificare «don Georg».
La cosa singolare è che la sua scomparsa accanto a Bergoglio dal 15 gennaio del 2020 non è mai stata mai annunciata dal Vaticano. Per tre anni nessun comunicato ufficiale. Nessuna motivazione, tranne quella un po’ goffa secondo la quale non c’era stata «nessuna sospensione»: solo «un’ordinaria redistribuzione dei vari impegni e funzioni» del Prefetto della casa pontificia, spiegò imbarazzato il portavoce vaticano Matteo Bruni.
Ma quella scomparsa dalla scena pubblica, sostituito dal suo vice monsignor Leonardo Sapienza, è stato il primo indizio di una continuità interrotta, e di un’armonia incrinata.
E ora che Benedetto è morto, ci si chiede se stia per cominciare una stagione di confronto più aspro tra i vari settori della Chiesa; di critiche aperte nei confronti di alcune scelte del pontefice argentino; e di resa dei conti finale con «don Georg», magari usando anche la sua ultima intervista al quotidiano tedesco.