Zlatan nel suo saluto d’addio sul prato di San Siro: «Forza Milan, arrivederci»
Un video celebrativo e tante lacrime da parte dei tifosi unite ai cori. Così il Milan ha voluto celebrare Zlatan Ibrahimovic nel suo saluto d’addio sul prato di San Siro al termine della vittoria del Milan sul Verona.
TORINO. Già condannata a 10 punti di penalizzazione per il caso
plusvalenze e scivolata di conseguenza al settimo posto in classifica,
la Juventus sceglie la strada del patteggiamento per il secondo filone,
quello sulla doppia manovra stipendi, sui rapporti con gli agenti e le
partnership sospette con altre società. Ieri, dopo una lunga trattativa,
è stato raggiunto il fatidico accordo, così si prospetta una multa
senza ulteriore sottrazione di punti e il club bianconero si impegna a
non ricorrere. Il provvedimento, lasciando immutata la classifica,
permette di scontare anche un’eventuale sanzione Uefa senza
ripercussioni sulla prossima stagione: in base al regolamento, infatti,
un’esclusione da parte di Nyon dalle sue competizioni deve essere
scontata alla prima qualificazione, così la Juve, nell’eventualità,
rinuncerebbe subito alla Coppa ma avrebbe la possibilità di accostarsi
senza handicap al prossimo campionato e disputare quindi, nel 2024-25,
la competizione cui dovesse qualificarsi.
Alternativa alla
multa, nel trattare l’accordo, era un’ammenda sommata a un’ulteriore
lievissima sottrazione di punti, due o tre al massimo perché avrebbero
permesso di conservare almeno l’accesso alla Conference League. Il
calcolo era basato sulla posizione della squadra di Massimiliano
Allegri, settima a 59 punti, dietro la Roma sesta con 60 e davanti alla
coppia Torino-Fiorentina, ottavo posto a quota 53. Se i bianconeri
fossero stati penalizzati di due punti, vincendo a Udine all’ultima
giornata, avrebbero potuto agguantare i giallorossi se sconfitti dallo
Spezia ma sarebbero rimasti comunque settimi perché in svantaggio negli
scontri diretti; con tre punti di penalizzazione avrebbero potuto invece
essere raggiunti da granata e viola rispetto ai quali però sono
favoriti negli scontri diretti: in entrambi i casi la Juve avrebbe
comunque avuto accesso alla Conference, traguardo minimo per assicurare
la conclusione dei procedimenti in questa stagione senza rischio di
strascichi che potessero compromettere la prossima, in ogni caso
l’intesa sulla multa ha azzerato tutto.
Alla luce dell’accelerata nella trattativa e dell’accordo raggiunto, il processo che era in calendario il 15 giugno è stato anticipato a stamani: tocca quindi ai giudici del Tribunale federale nazionale ratificare oggi l’intesa, teoricamente respingibile se non ritenuta congrua.
Lo scudetto del Napoli viene da lontano. Ed è anche il premio al lavoro di una società che, sotto la guida del presidente Aurelio De Laurentiis, ha
riportato nell’Olimpo del calcio italiano una piazza affamata di
risultati. Se i due scudetti del 1987 e del 1990 del Napoli che ruotava
attorno a Diego Armando Maradona erano stati i titoli del riscatto
nazionalpopolare e populista di una squadra trascinata dal Diez al
livello delle corazzate del Nord, quello del Napoli di Luciano
Spalletti è il punto di arrivo di una corsa durata diciannove anni.
Plusvalenze e risultati
Era il 6 ottobre 2004 quando il Napoli targato De Laurentiis esordiva in Serie C1
dopo il fallimento battendo 1-0 la Vis Pesaro all’ultimo respiro al San
Paolo, con gol di Massimiliano Varricchio. Da allora in avanti,
soprattutto dopo il ritorno in Serie A concretizzatosi nel 2007, De
Laurentiis e la sua società hanno portato gli azzurri nell’élite con
programmazione e investimenti. Ha speso molto, il club guidato dal
produttore cinematografico romano: 800 milioni di euro solo nell’ultimo
decennio nelle sessioni di mercato e un miliardo di euro circa per gli
stipendi nello stesso periodo. Ma spesso gli investimenti sono stati
ripagati ampiamente da plusvalenze e risultati sul campo.
Nei
primi anni dopo il ritorno in Serie A il Napoli fu guidato da
uomini-simbolo poi divenuti la chiave di volta per eccellenti
plusvalenze. Iniziò Ezequiel Lavezzi, il fantasista
argentino acquistato per 5 milioni di euro dal San Lorenzo nel 2007 e
venduto al Paris Saint Germain per 30 milioni cinque anni dopo. Alla
stessa squadra parigina si trasferì l’anno successivo il bomber
uruguaiano Edinson Cavani. De Laurentiis aveva
investito nel 2010 17 milioni di euro per strapparlo al Palermo, ma lo
cedette per ben 66 milioni di euro al club degli emiri qatarioti dopo
che il Matador aveva segnato 104 gol in 138 partite contribuendo alla
vittoria della Coppa Italia 2011-2012.
A sostituire Cavani fu chiamato Gonzalo Higuain, acquistato
dal Real Madrid per 40 milioni di euro, in quella che fu la più onerosa
trattativa della storia del Napoli. Investimento lautamente
ricompensato dalla vendita del Pipita argentino alla Juventus per 90
milioni di euro tre anni dopo
Questi erano i racconti di un Napoli
capace di muoversi tra le big ma presto o tardi destinato a separarsi
dai suoi migliori talenti. Per la stabilizzazione l’uomo del destino è
stato, in quest’ottica, Cristiano Giuntoli. Dopo la sua
chiamata alla carica di direttore sportivo, il manager ed ex calciatore
classe 1972 artefice del miracolo Carpi, guidato come dirigente dalla D
alla Serie A nel decennio precedente, ha impostato in tandem con De
Laurentiis una strategia di programmazione societaria molto ambiziosa.
Il modello Napoli che ha portato allo scudetto
Il Napoli non ha alle spalle una struttura tale da poter gestire vivai ramificati come quelli che hanno in Europa società come l’Ajax e l’Atalanta. La struttura stessa del club e della sua tifoseria, che sovraespone gli enfant du pays sotto il profilo delle aspettative, ha fatto sì che pochi, a parte lo storico ex capitano Lorenzo Insigne, abbiano
avuto modo di emergere dalla Primavera ai ranghi dei titolarissimi. La
strategia di Giuntoli è stata invece pragmatica e a metà strada.
Acquisti di giocatori da campionati minori e dalla classe medio-bassa
delle massime leghe europee si sono saldati a investimenti mirati su dei
big capaci però di garantire, in prospettiva, rendimenti sul campo
notevoli e una crescita delle prestazioni capace di stabilizzare ad alti
livelli il club.
I
giocatori in questione, inoltre, sono stati chiamati anche sulla logica
della fidelizzazione alla maglia, sfruttando la tendenza di De
Laurentiis e Giuntoli a chiedere ai neo-firmatari del club l’impegno a
garantire al club la gestione esclusiva dei propri diritti d’immagine.
Una scelta spesso ritenuta controversa, ma che ha creato
un’identificazione del Napoli come collettivo al di sopra dei singoli.
L’allenatore del Napoli si commuove
quando dedica lo scudetto: «A mia figlia Matilde, alla famiglia, che è
sempre lì a spingere. A tutti gli amici, a mio fratello Marcello», morto
quattro anni fa
Lo ha vinto sul campo, come voleva. Non nel suo, e il finale è stato incandescente. Spalletti, il visionario, l’allenatore geniale, distende la fronte,
libera il sorriso, abbraccia chiunque gli capiti a tiro. Molla i freni
dopo una gara tiratissima, si rivolge a Napoli:«Questo traguardo è per
te». Ha tutti i giocatori attorno, nello stadio friulano i tifosi
dell’Udinese (qui 117 panchine e la qualificazione ai preliminari di
Champions) lo hanno offeso per tutta la durata della partita. Agli
insulti lui risponde alzando le braccia: il calcio sa essere ingrato, il
suo è anche lo scudetto della rivincita. Al triplice fischio di Abisso
non si aprono le danze alla Dacia Arena, la festa è rovinata
dall’invasione di campo: lo scudetto è servito in trasferta, il finale è
rissa. De Laurentiis è a Napoli tra la sua gente:
«Una gioia immensa», la sua gioia è incontenibile. Sciarpa azzurra al
collo, dice ai tifosi del Maradona: «Mi avete sempre detto noi vogliamo
vincere, lo abbiamo fatto tutti insieme. Lo rifaremo ancora, ci manca la
Champions e la conquisteremo. Stasera ci vorrebbe Modugno per cantare: Meraviglioso».
L’interminabile attesa è finita, capitan Di Lorenzo urla: «Siamo campioni d’Italia»
con l’ultima vocale ripetuta oltre l’inverosimile. Gli vanno incontro
gli altri compagni: braccia al cielo, sorrisi, applausi come se non ci
fosse un domani. L’euforia tocca picchi altissimi, nonostante la
tensione. Lui, il grande vincitore Spalletti resta in campo. «La
felicità è un attimo fugace» ripete, ed è talmente forte l’emozione che
stavolta un po’ si lascia andare. È l’ottavo allenatore dell’era De
Laurentiis in serie A, il primo a vincere. Risponde così, con la gioia
esagerata, a quell’etichetta di uomo spigoloso che pure a Napoli si era
portato addosso. «Il problema per quelli abituati a lavorare duramente
sempre, come me — dice — è che non riescono a gioire totalmente nemmeno
delle vittorie. Bisogna di nuovo lavorare». Quando vinse allo Zenit con
una temperatura polare sfilò in campo a torso nudo. La sua prima volta a
64 anni in Italia è il traguardo della maturità e della commozione («ho
dedicato tutto il mio tempo a questi ragazzi»), soprattutto quando alla
fine arriva la dedica agli affetti più cari: «A mia figlia Matilde,
alla famiglia, che è sempre lì a spingere. A tutti gli amici, a mio fratello Marcello».
E a quel punto Spalletti, nominando il fratello scomparso 4 anni fa, si
commuove e in lacrime lascia la postazione dell’intervista. Riavvolge
il nastro e per una notte vive intensamente e senza limiti. Il bagno di
spumante nello spogliatoio è un rito inedito per questo Napoli, viene
ripetuto più e più volte mentre sui cellulari arrivano le immagini dal
Maradona: una città impazzita.
IL NAPOLI È CAMPIONE D’ITALIA 2022/2023
Alla Dacia Arena festeggiano gli oltre 13 mila napoletani arrivati
in mattinata, poi quando a tarda sera la squadra torna in hotel
(rientrerà a Napoli in mattinata) anche lì è un via vai di amici
friulani, si tira tardi e arrivano davanti all’ingresso un migliaio di
tifosi. Spalletti fa fatica a ricomporre il puzzle del campionato che
resta: ci sono altre cinque partite da giocare, vuole (ancora) il
massimo, deve stravincere, lui è così. «Questa è una vittoria
extralusso. Napoli è una città unica, inimitabile. Bellissima,
passionale» aveva detto prima della partenza. Nella notte dello scudetto
l’elogio è ancora più forte: «I napoletani lo sanno che è bella ma
quanto lo sia veramente lo può dire meglio chi come me ne è ospite e ne
resta folgorato».
di Paolo Foschi, Monica Scozzafava e Redazione Online
Il Napoli di Spalletti va sotto con
l’Udinese, poi pareggia grazie a un gol di Osimhen: vince così
aritmeticamente il terzo scudetto della sua storia, con 5 giornate di
anticipo. Al fischio finale tensione a Udine
• Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. • La squadra allenata da Luciano Spalletti ha vinto lo scudetto dopo il pareggio di giovedì sera contro l’Udinese, gol di Victor Osimehn. • L’urlo liberatorio al fischio finale si è levato dallo stadio Maradona, dove 50 mila tifosi hanno assistito alla sfida. • La festa ufficiale sarà il 4 giugno, ultima gara di campionato. • Il pagellone della stagione: lode a Spalletti, Kvara e Osimhen da 10
Ore 02:39 – È morto uno dei feriti nei festeggiamenti
È morta una delle
quattro persone ferite a Napoli da colpi d’arma da fuoco durante i
festeggiamenti per lo scudetto. Lo si apprende dalla Polizia. Si tratta
di un giovane di 26 anni che era stato ricoverato all’ospedale
Cardarelli in gravi condizioni. La dinamica è in corso d’accertamento.
Ore 02:16 – Napoli: 4 feriti da arma da fuoco, uno è grave
Sono quattro le
persone ferite da arma da fuoco stasera a Napoli, mentre erano in corso i
festeggiamenti per la conquista dello scudetto. È quanto si apprende
dalla Questura. Una delle quattro persone ferite è in gravi condizioni
ed è ricoverata all’ospedale Cardarelli. La dinamica è attualmente in
fase di ricostruzione.
Ore 02:05 – L’ex moglie di Maradona: «Il cielo è in festa»
Claudia Villafane, ex
moglie di Diego Maradona e madre di Dalma e Giannina, ha pubblicato una
storia su Instagram per celebrare lo scudetto ottenuto dal Napoli.
Un’immagine mostra un cielo azzurro con le scritte «Napoli Campione
d’Italia» e «di sicuro state festeggiando, il cielo è in festa»,
riferendosi al campione scomparso quasi tre anni fa che aveva guidato la
squadra azzurra alla conquista dei primi due titoli.
Ore 01:37 – Udine, folla di tifosi davanti all’Hotel del Napoli
Centinaia di tifosi
azzurri stazionano ancora davanti all’albergo Là di Moret di Udine, dove
è alloggiata la squadra del Napoli per la seconda notte consecutiva.
Adulti, giovani ma anche molti bambini sventolano bandiere e ogni tanto
intonano cori per i loro beniamini, nonostante l’ora tarda. I giocatori
sono usciti per qualche momento a ringraziarli e a fare qualche selfie
insieme. Qualcuno ha acceso fumogeni in una atmosfera pacificamente
festosa. Le forze dell’ordine non consentono comunque che la folla si
avvicini troppo all’albergo, tenendola a distanza.
Ore 01:36 – Napoli: spari e petardi, cinque feriti
Cominciano a
registrarsi purtroppo i primi feriti – cinque – dei festeggiamenti per
il Napoli campione d’Italia. Secondo quanto apprende l’ANSA da fonti
dell’Asl Napoli 1, due persone sono rimaste ferite da colpi d’arma da
fuoco nella zona di piazza Garibaldi ed altre tre dall’esplosione di
petardi. I primi due sono stati trasportati all’Ospedale del mare e al
Cardarelli, mentre gli altri tre – tutti feriti alle mani – sono stati
ricoverati al Vecchio Pellegrini.
Ore 01:29 – Il prefetto di Udine: 8 feriti (non gravi) nella calca allo stadio
È di otto feriti non
in gravi condizioni il bilancio della calca provocata alla Dacia Arena,
alla fine della partita tra Udinese e Napoli, dai tafferugli in campo:
lo ha riferito all’ANSA il prefetto di Udine, Massimo Marchesiello. «Da
quanto abbiamo registrato – ha fatto sapere – non si tratta di feriti da
scontri o da colluttazione, ma di traumi da caduta provocati dalla
calca». Il direttore della Sores Fvg, Amato De Monte, ha confermato il
bilancio spiegando che in totale il servizio di emergenza si è occupato
di 15 persone prima durante e dopo la partita: non ci sono casi gravi
salvo alcune fratture provocate da cadute dall’alto nel momento in cui i
tifosi stavano entrando in contatto e c’è stata calca.
Ore 01:23 – Il sindaco Manfredi: «Lo scudetto ha mostrato la città, quella vera»
«C’e’ un messaggio
positivo che va al di là del calcio. Io non credo sia stato lo scudetto
del riscatto ma lo scudetto che ha mostrato la città, quella vera,
organizzata, di competenze, di capacita’ e che ha raggiunto un risultato
vincente»: così il sindaco Gaetano Manfredi parlando dalla terrazza di
Palazzo Reale dopo il terzo scudetto conquistato dal Napoli. Dal punto
di vista della sicurezza «finora non abbiamo avuto grandi criticità,
siamo in contatto con le forze dell’ordine, è stato esploso qualche
mortaretto, questo fa parte della festa. Il centro di controllo in
prefettura ha rilevato minime criticità».
Ore 00:54 – Nation: «È successo, primo titolo dopo era Maradona»
«È successo!
Esattamente 33 anni e cinque giorni dopo che Diego Armando Maradona
portò il Napoli all’ultimo titolo in Serie A, la squadra del Sud
d’Italia ha finalmente conquistato il suo terzo scudetto». La partita
pareggiata dal Napoli con l’Udinese apre il sito online del giornale
argentino La Nation, dove la foto dello stadio di Udine in festa
campeggia nell’Homepage. La partita nel paese latino americano, patria
del campione storico del Napoli, è stata trasmessa in diretta da
Espn-Star+ che al termine ha mostrato l’invasione festante di campo dei
tifosi napoletani alla squadra e all’allenatore.
Max Verstappen vince anche il Gran Premio d’Australia, terzo
appuntamento della stagione di Formula 1. Il pilota della Red Bull, dopo
esser stato bruciato alla prima partenza dalle due Mercedes, domina
come al solito grazie alla forza della sua monoposto e va a vincere poi
in modo rocambolesco in un finale di gara con due bandiere rosse
consecutive (tre totali). Si chiude dietro la Safety Car con Lewis
Hamilton e Fernando Alonso a completare il podio, il terzo consecutivo
per lo spagnolo dell’Aston Martin.
Ancora notte fonda per la Ferrari: Carlos Sainz chiude addirittura 12
costretto a scontare una penalita’ di 5 secondi per il contatto con
Alonso nel finale, mentre Charles Leclerc ha rimediato il secondo zero
stagionale dopo un incidente con Stroll al via. Sfortunatissimo invece
George Russell, ritirato nel corso nel 18 giro per problemi al motore
della sua Mercedes, dopo esser stato leader nelle prime tornate grazie
ad una super partenza. Chiude con un buon sesto posto Sergio Perez, che
partiva addirittura dalla pit-lane con l’altra Red Bull. La partenza
sorride alle due Mercedes, con Russell che si prende subito la prima
posizione bruciando Verstappen, superato qualche tornata dopo anche da
Hamilton. Sainz invece passa il connazionale Alonso, mentre appena
dietro Leclerc prova subito a lanciare qualche segnale, ma un contatto
con l’Aston Martin di Stroll lo mette immediatamente fuori dai giochi.
Nel corso dell’ottavo giro un incidente di Albon forza la bandiera rossa da parte della direzione gara: si erano appena fermati Russell e Sainz, in quel momento rispettivamente primo e quarto, che alla ripartenza si ritrovano sfortunatamente settimo ed undicesimo in griglia. Hamilton diventa quindi il nuovo leader, ma alla ripartenza la sua Mercedes viene letteralmente sverniciata dalla Red Bull del campione del mondo in carica.
Jannik per evitare il cappotto e salire al numero 6 del mondo, Daniil
per vincere la sua quarta finale sulle cinque disputate negli ultimi
cinque tornei, e rimettersi in caccia del numero 1.
La finale di Miami di stasera fra Sinner e Medvedev mette di fronte i
due giocatori più in palla e continui di questo inizio di 2023,
rispettivamente numero 4 e numero 1 della Race, la classifica che conta
solo i punti dell’anno solare (il n.2 è Djokovic, il 3 Alcaraz)
Medvedev ha visto la sua striscia vincente di 19 partite interrotta
da da Alcaraz due settimane fa nella finale di Indian Wells, ed è in
vantaggio 5-0 nei precedenti con Sinner. L’ultimo risale a febbraio,
nella finale di Rotterdam, quando Medvedev ha chiuso in rimonta 5-7,
6-2, 6-2, conquistando il primo di tre titoli consecutivi.
Grazie alla vittoria contro Khachanov ora Daniil ora vanta almeno la
finale in tutti i sei Masters 1000 e nei due Slam che si disputano sul
veloce, mentre Jannik è l’unico italiano capace di approdare a due
finali di Masters 1000 (la prima sempre a Miami la perse nel 2021 contro
il polacco Hurkacz), l’unico a riuscirci sul veloce, e può diventare il
secondo a vincerne uno nell’era Open dopo Fabio Fognini, trionfatore a
Monte Carlo nel 2019 (Berrettini vanta invece una finale a Madrid). E’
anche il settimo azzurro a sconfiggere un numero 1 in carica dopo
Corrado Barazzutti (Nastase, 1972), Adriano Panatta (Connors 1975 e
1977), Pozzi (Agassi, 2000), Filippo Volandri (Federer 2007), Fabio
Fognini (Murray 2017) e Lorenzo Sonego (Djokovic, 2020).
«Jannik sta facendo grandi progressi», ha ammesso il russo. Da fondo
campo picchia fortissimo, con il diritto arriva a 160 chilometri
all’ora, io non ci riesco, e questo è un vantaggio».
Percussione contro imprevedibilità, progressione contro
accelerazioni, risposta contro servizio. Tutti e due puntano soprattutto
su un tennis di grande potenza da fondo, gli indicatori statistici
dicono che a Miami finora nessuno è riuscito a comandare il gioco come
Jannik. Fra l’altro l’italiano ha aumentato, con successo, le sue
discese a rete, e aggredire Medvedev togliendogli ritmo e punti di
riferimento potrebbe diventare una chiave tattica importante. Ma Jannik
dovrà anche migliorare il suo rendimento al servizio, uno dei punti di
forza di Medvedev. «Sicuramente sarà una partita completamente diversa
da quella con Carlos», ha ammesso Jannik. «Non ho mai battuto Daniil. Ci
siamo già affrontati in finale a Rotterdam. quando sono riuscito a
vincere un set, ma devo fare qualche cambiamento, cercando di variare un
po’ il gioco. Sono felice di essere in finale, vediamo come andrà». Tre
dei loro cinque incontri hanno avuto bisogno del set decisivo, compresa
la vittoria di Medvedev alle Atp Finals del 2021, ma il Sinner di oggi è
un giocatore diverso, più maturo e sicuro di se stesso, cresciuto sia
muscolarmente sia tatticamente.
Per gli appassionati, la giornata di domenica può trasformarsi in una
lunga preparazione al big match del giorno. Le emozioni dell’incontro
elettrizzante con Alcaraz si possono rivivere grazie alle repliche di
Sky Sport, con ampio spazio anche sul canale all news Sky Sport 24 con
highlight e interviste da Miami. Anche il canale Sky Sport Tennis è
dedicato al campione altoatesino con le repliche del match notturno
(disponibile anche on demand) e lo speciale «Sinner oltre il tennis».
Accordi segreti con altri club, per
acquisti e cessioni di calciatori, difformi da quelli depositati in
Lega. Contratti occulti, al pari delle side letter delle manovre
stipendi, per riuscire a far quadrare i conti dei bilanci.
Sarebbe questo il nuovo sviluppo
investigativo su cui stanno lavorando i magistrati torinesi, che
accusano gli ex vertici della Juventus — tra loro l’ex presidente Andrea Agnelli e il suo vice Pavel Nedved —
di falso in bilancio e false comunicazioni sociali. Di presunti
«rapporti opachi» tra la società bianconera e altri club si racconta
diffusamente negli atti dell’inchiesta. Ora, però, sarebbero emersi
nuovi episodi (che potrebbero portare a contestazioni suppletive nell’udienza preliminare del 27 marzo) in cui si parla di plusvalenze e di debiti, verso altre società, non registrati.
«Debiti morali», li aveva definiti il ds Fabio Paratici. «Debiti reali» derivanti da «side letter», secondo gli inquirenti. Ed è in questo contesto che vanno lette alcune audizioni avvenute nell’ultima settimana. Davanti ai pm Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Ciro Santoriello si sono seduti l’ex calciatore juventino Rolando Mandragora, il padre (che di fatto è il suo agente), il vice presidente dell’Udinese Stefano Campoccia (il suo nome era già emerso tra i partecipanti alla cena organizzata il 23 settembre 2021 da Agnelli alla Mandria e alla quale era stato invitato il presidente della Lega Gabriele Gravina) e Maurizio Lombardo (ex dirigente Juve, oggi alla Roma). Mandragora, oggi nella rosa della Fiorentina, viene ceduto dalla Juve all’Udinese nel 2018 per 20 milioni di euro, con una plusvalenza di oltre 13 milioni.
Il contratto prevedeva una clausola facoltativa di «recompra» a 26 milioni da esercitare entro il 2020. Mandragora
gioca due anni, con risultati poco brillanti, e nel giugno 2020 si
infortuna al crociato. Tuttavia, la Juve lo ricompra a 10 milioni di
euro (più 6 di bonus) per poi lasciarlo in prestito ai friulani. Secondo
i pm, parallelamente al contratto depositato in Lega in cui si parlava
di «facoltà» di riacquisto, la Juve avrebbe sottoscritto un secondo
accordo segreto con «obbligo» di riacquisto. L’operazione — stando
all’ipotesi investigativa — avrebbe permesso alla società bianconera di
iscrivere nel bilancio 2019 la plusvalenza e di non iscrivere il debito
di 26 milioni. Traccia del debito emergerebbe da una mail del 10 luglio
2020 in cui Claudio Chiellini, capo dell’area prestiti della Juve, elenca le cifre ancora dovute a club e agenti: accanto all’Udinese c’è scritto 26 milioni.
Il documento di 36 pagine della
Corte d’Appello federale: «Illecito grave, ripetuto e prolungato;
bilanci non attendibili; alterazione del risultato sportivo». La replica
della società: «Evidente illogicità e infondatezza»
Le parole fanno quasi più impressione del numero — il meno 15 di penalizzazione — a leggere le 36 pagine della motivazione della corte d’Appello federale
contro la Juve e i suoi (11) dirigenti: illecito grave, ripetuto e
prolungato; bilanci non attendibili; alterazione del risultato sportivo.
Per rendere l’idea — secondo i giudici — bastano due passi: il «Libro
nero di FP» (Fabio Paratici) è «inquietante» e la «mancata presa di
distanze da esso della Juve, a prescindere da ogni ulteriore rilevanza,
ha una portata devastante sul piano della lealtà sportiva». L’altro, di
una riga: i bilanci «semplicemente non sono attendibili».
La difesa del club bianconero
Parole
e motivazione non convincono invece il club bianconero che, in serata,
ha fatto sapere in un comunicato la propria idea sulla sentenza: «Si
tratta di un documento, prevedibile nei contenuti, alla luce della
pesante decisione, ma viziato da evidente illogicità, carenze
motivazionali e infondatezza in punto di diritto, cui la società e i
singoli si opporranno con ricorso al Collegio di Garanzia presso il Coni,
nei termini previsti». E ancora: «La fondatezza delle ragioni della
Juventus sarà fatta valere con fermezza, pur nel rispetto dovuto alle
istituzioni che lo hanno emesso». Tante cose non vanno giù alla società e
ai dirigenti ed ex finiti nel mirino, a partire da questioni che dal
diritto sconfinano nel buon senso, guardando con occhi difensivi: non
esiste una norma dell’ordinamento che proibisca le plusvalenze o che ne
disciplini l’utilizzo. Per non parlare — sempre secondo la tesi
bianconera — della violazione delle garanzie per la difesa.
Di fronte a un processo sportivo per il quale — ancora una volta, e
ovviamente — i giudici spiegano la specificità: «la diversità e
l’autonomia» dell’ordinamento sportivo giustificano il discostamento
anche da principi costituzionali afferenti al giusto processo. Per lo
meno discutibile, secondo diversi giuristi e avvocati.
Bilanci non attendibili
Non
c’era e non c’è invece alcun dubbio per la corte, presieduta da Mario
Luigi Torsello: nel provvedimento si spiega perché il processo sulle
plusvalenze sia stato riaperto — dopo le sentenze di assoluzione della
primavera scorsa — accogliendo la tesi della Procura federale; e perché la pena richiesta da Giuseppe Chiné (meno 9 in classifica) sia stata addirittura inasprita.
«È indiscutibile che il quadro fattuale determinato dalla
documentazione trasmessa dalla Procura di Torino alla Procura federale
non era conosciuto al momento della decisione revocata e, ove
conosciuto, avrebbe determinato per certo una diversa decisione» viene
spiegato nel documento. «E si tratta di un quadro fattuale sostenuto da
una impressionante mole di documentazione probatoria». La conclusione a
cui giunge la corte è lapidaria, appunto. «I bilanci della Juventus non
sono attendibili».
Illecito disciplinare
La
violazione, a cui Torsello più volte fa riferimento, è quella della
lealtà, citata nell’articolo 4 del codice di giustizia sportiva. «La
Juve ha commesso un illecito disciplinare sportivo, tenuto conto della
gravità e della natura ripetuta e prolungata della violazione». In
generale viene rappresentato un sistema definito «fraudolento».
Nelle motivazioni emerge come tutta la catena di comando della società
bianconera — dall’allora ds Fabio Paratici al suo braccio destro
Cherubini passando per il presidente Andrea Agnelli e l’ad Maurizio
Arrivabene — avesse «consapevolezza della artificiosità del modus operandi della società stessa. Tutti
erano direttamente o indirettamente coscienti di una situazione fuori
controllo». L’altra norma non rispettata e più volte citata è infatti
l’articolo 31, che riguarda gli illeciti amministrativi. Si cita infatti
«l’esistenza di un sistema collaudato della Juventus di scambi
incrociati di calciatori con altre società sportive, finalizzati alla
realizzazione di plusvalenze artificiali».
Rossi, Mihajlovic, Vialli, Saltutti, Beatrice, Benedetti,
Bertuzzo, Rognoni, Zuccheri, Petrini, Viganò, Imbriani, Ferruccio
Mazzola, Borgonovo, Zucchini, Aldo Maldera, Rosato, Musiello, Pinotti.
La rosa completa di una squadra di calcio. Che c’era e non c’è più.
Morti tutti tra i 36 e i 68 anni per Sla, tumore, leucemia, malattie
rare e infarto. Come quello che nel 2003 si portò via a 56 anni Nello
Saltutti, centrocampista della viola, la squadra che piange un “undici”
tra titolari e riserve colpiti e uccisi dalla Sla. «Se avessi saputo che
per tutta quella roba avrei perso amici, e rischiato di morire anch’io,
non credo che potendo tornare indietro, rifarei tutto da capo. E mi
domando, se valga ancora la pena che un giovane sacrifichi tutta la sua
vita per un calcio del genere». Si chiude così l’ultima intervista a
Nello, pubblicata su “Palla avvelenata”, volume che corre parallelo
all’indagine Guariniello sulle malattie e le morti sospette nel calcio.
“Quando ero ancora nella Primavera già mi davano di tutto, l’infermeria
del Milan era una cosa impressionante, e non so se sarà stato un caso,
ma io da un metro e sessanta, in un anno ero passato ai miei 175
centimetri. Strano no?” riflette Saltutti. Che di cose ne racconta
tante. Come la flebo a cui passava ore attaccato Bruno Beatrice, suo
amico inseparabile nella Fiorentina, morto di leucemia linfoblastica
nell’87. «Durante il ritiro -racconta il buon Nello- Bruno era sempre
sotto flebo, dal venerdì sera alla domenica; lo avevano convinto che con
quelle avrebbe corso il doppio. Tanto per capirci, era uno che al
naturale andava molto più forte di Davids, perciò gli chiedevo: ma che
bisogno hai di farti iniettare tutte quelle schifezze? A noi dicevano:
sono solo vitamine, prendetele e starete meglio. Ma chissà che ci davano
invece…». Nel 2005 la procura di Firenze aprì un’indagine conclusasi
con una archiviazione 4 anni dopo, perché i calciatori di quella
generazione non sapevano mica cosa gli veniva somministrato. Prima di
una partita tosta contro il Manchester United tra Nello e suoi compagni
di squadra nello spogliatoio venne fatto girare un termos con “caffè
speciale”. “Bevetelo, ci dissero, vi farà bene”. E impresa fu. Saltutti
che allora giocava da punta divenne immarcabile, fece il gol dell’1 a 1 e
all’indomani i tabloid inglesi lo ribattezzarono il “levriero
italiano”.
Ora delle tante, troppe morti precoci tra gli eroi della pelota si
torna a parlare dopo gli addii di Sinisa e Gianluca Vialli, seguiti
all’allarme lanciato dagli ex campioni del Mondo e compagni azzurri di
Pablito, Baggio e zio Bergomi.
Sui casi di Sla, 34 quelli accertati, c’è uno studio condotto dal
prestigioso Istituto farmaceutico “Mario Negri” effettuato su ben 23mila
e passa calciatori di seria A, B e C, dalla stagione ’59-60 a quella
1.999-2000. Ebbene, i ricercatori hanno rilevato che una correlazione
c’è, perché l’incidenza della malattia è due volte superiore rispetto
alla popolazione che non tira calci alla palla di mestiere. Addirittura
sei volte maggiore se si considerano solo i giocatori di serie A. Tra i
quali l’insorgenza della Sla è peraltro molto precoce: 45 anni, anziché
65 com’è in media nella popolazione generale. Le cause più probabili
sono un mix tra traumi cranici e predisposizione genetica, mentre è più
difficile provare la responsabilità di certi fertilizzanti tossici
utilizzati nei campi di gioco e dell’abuso di farmaci. Questi ultimi per
via del fatto che su di loro i fari si sono iniziati ad accendere solo
quando, in tempi più recenti, sono stati messi fuori commercio o
inseriti nella lista di quelli dopanti.
Me le inchieste di questi anni, pur non arrivando a sentenza, ci
permettono di ricostruire un armadietto degli orrori farmaceutiche e
delle pratiche da apprendisti stregoni alle quali sono stati sottoposti i
giocatori.