di Luca Fraioli
GLASGOW – “I miei amati ghiacci polari? Sono
condannati a sparire, stando alla bozza di accordo che circola in
queste ore”. Peter Wadhams ha passato la vita a studiarli, anche “dal di
sotto” quando viaggiava nell’Artico a bordo dei sommergili di Sua
maestà. Oggi è professore emerito di fisica oceanica e capo del Polar
Ocean Physics Group presso il Dipartimento di Matematica Applicata e
Fisica Teorica dell’Università di Cambridge. Ed è tra gli scienziati che
per primi hanno lanciato il grido d’allarme sul riscaldamento globale,
finora inascoltato dalla politica.
Lo ascolteranno in questa Cop26, professor Wadhams?
“Lo spero. Anche perché è l’ultima Cop nella quale il mondo si trova
nella posizione di poter fare qualcosa che effettivamente inverta il
cambiamento climatico. L’anno prossimo potrebbe essere troppo tardi per
fermare la caduta verso il disastro”.
L’accordo tra Cina e Stati Uniti sta alimentando molte speranze. Anche lei crede si tratti di una svolta?
“L’esistenza stessa di una intesa sul clima tra Pechino e Washington è
positiva e importante, qualunque cosa contenga, dato che le due nazioni
stavano divergendo su un percorso di reciproca aggressione. Mi ha
colpito in particolare l’enfasi sulle emissioni di metano: forse è più
facile per le due nazioni mettersi d’accordo sulla riduzione del metano
che su quella della CO2, considerando tutto il carbone che ancora userà la Cina per anni”.
Cosa pensa delle bozze di documento finale che circolano in queste ore?
“E’ un documento deludente. E non perché non si occupi di tutti i
possibili aspetti del cambiamento climatico, ma perché lo fa senza
concentrarsi su alcuna area specifica con soluzioni concrete. Spero che
nelle ultime ore si adotti un testo più incisivo. E poi ci sono molti
numeri che non tornano”.
Per esempio?
“C’è un errore sulla temperatura attuale. Nel testo si legge che è di
1,1 gradi più alta rispetto all’era pre-industriale. In realtà siamo
già a 1,5 gradi. E questo perché i calcoli vengono fatti partendo dal
diciannovesimo secolo, mentre invece dovrebbero partire dall’inizio la
rivoluzione industriale, quando si è iniziato a bruciare carbone nelle
macchine a vapore. Facendo così si scoprirebbe che siamo già a 1,5 e che
non abbiamo una ulteriore finestra per rimediare, va fatto adesso.
Un’altra incongruenza numerica riguarda la CO2 presente in
atmosfera. Se in un paragrafo della bozza si sollecita entro il 2030 un
taglio del 45% rispetto ai livelli del 2010, poco più avanti si fa
notare che è già salita del 13,7% rispetto a dieci anni fa”.
Cosa consiglia la scienza per uscire da questa situazione?
“Ridurre le emissioni per cercare di rallentare il riscaldamento non basta, perché tutta la CO2
emessa negli ultimi due secoli rimarrà comunque lì a creare l’effetto
serra. L’alternativa è catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera, ma
non ci sono riferimenti a questa possibilità nel documento. E invece ci
vorrebbe un piano di investimenti in ricerca e sviluppo, uno sforzo
tecnologico straordinario, paragonabile a quello del progetto Manhattan.
Questa volta non per creare un’arma ma per salvare il Pianeta”.