Il sindaco di Imperia, Claudio Scajola, è indagato alla Procura della
Repubblica di Imperia con l’accusa di minaccia a pubblico ufficiale.
L’inchiesta, partita da una denuncia dell’ex comandante della polizia
locale Aldo Bergaminelli, da alcune settimane trasferito a Roma. A
Scajola è già stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini
preliminari. In particolare, gli viene contestata una telefonata a
Bergaminelli con la quale gli avrebbe ordinato di interrompere un
sopralluogo di polizia giudiziaria in un terreno di Caramagna. Non ci
sarebbe stata una minaccia esplicita ma, come sancito dalla Cassazione,
“ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia non è necessaria una
minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l’uso di
qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta,
purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico
ufficiale”. Il controllo di polizia giudiziaria al centro della vicenda
riguardava l’area di proprietà delle Ferrovie, e destinata ad
accogliere la pista ciclabile, sulla quale sorgeva un’officina
meccanica, gestita da Antonio Maiolino. All’artigiano era stato revocato
in anticipo il contratto di locazione, che avrebbe dovuto scadere nel
2024. Secondo quanto dichiarato dall’ex comandante dei vigili di
Imperia, gli era stato detto che il terreno era interessato da una
richiesta di sanatoria, circostanza risultata poi non corrispondente al
vero. Bergaminelli era stato ascoltato dagli inquirenti nell’ambito
dell’inchiesta su appalti e tangenti che aveva portati agli arresti
dell’ex sindaco di Aurigo ed ex consigliere provinciale Luigino
Dellerba, e dell’imprenditore edile Vincenzo Speranza, assieme al
fratello Gaetano.
Le perplessità sulla «capsula» in
fibra di carbonio spesso 13 centimetri e sui controlli dopo ogni
missione. Il modello di «controller» da videogiochi per guidarlo
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK – Determinare come è avvenuta esattamente (e quando) l’implosione del Titan dipenderà dal ritrovamento dei rottami sparpagliati sul fondale dell’oceano Atlantico, non lontano dal relitto del Titanic. A indicare che una «catastrofica perdita di pressione» sia il motivo della fine del piccolo sommergibile usato per le spedizioni turistiche sono stati giovedì i primi due rottami —
la parte posteriore appuntita e la rampa sottostante — individuati da
un Rov (remotely operated vehicle) a 500 metri dalla prua del Titanic. Gli esperti credono che possa esserci stata una infiltrazione durante la
discesa in profondità, dove la pressione sullo scafo è equivalente al
peso della Torre Eiffel (decine di migliaia di tonnellate) e la
struttura sperimentale in fibra di carbonio dello scafo si sarebbe
disintegrata.
Per capire perché questo è accaduto e che cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo il ritrovamento dei rottami è cruciale, ha spiegato alla BbcRyan Ramsey, ex capitano di sottomarini della Royal navy britannica.
«Non esiste una scatola nera, per cui non è possibile tracciare gli
ultimi movimenti del sommergibile. Ma al di là di questo il processo di
indagine non è diverso da quello che si fa nel caso di disastri aerei».
La Marina Usa, usando dati provenienti da una rete segreta di sensori creata
per individuare sottomarini nemici, ha captato domenica scorsa «una
anomalia che può indicare una implosione o esplosione» proprio nelle ore
in cui il Titan fu calato in profondità. I dati, combinati con informazioni degli aerei di sorveglianza e delle sono boe, sono serviti a localizzare la posizione approssimativa del Titan ed erano stati comunicati alla Guardia costiera già durante le ricerche.
Potrebbe però essere difficile individuare il luogo preciso anche
perché i rottami cercati dai Rov si trovano sul fondale, sono piccoli e
c’è una totale oscurità.
Saranno analizzati in superficie al microscopio,
esaminando le fibre di carbonio, in cerca di lacerazioni che possano
dare degli indizi. Se gli esperti concluderanno che c’è stata una falla,
la domanda cruciale è se ciò dipenda dalla mancanza di test completi
sul sottomarino, come suggerito da diversi ex dipendenti di OceanGate. Il Titan non era stato certificato da un organismo esterno:
l’azienda sostiene che era un mezzo così innovativo che le attuali
metodologie di valutazione sarebbero state obsolete, ma diversi
campanelli d’allarme erano emersi prima dell’ultimo viaggio fatale del
sommergibile. Era composto da due «cupole» in titanio tenute insieme ad un cilindro in fibra di carbonio spesso 13 centimetri (una
scelta poco convenzionale per un sommergibile destinato alle grandi
profondità, di solito in acciaio o titanio): era più leggero ed
economico, ma come ha osservato il regista del film «Titanic» ed esperto
di spedizioni sottomarine James Cameron, meno resistente alla pressione. Ogni volta che il Titan è stato usato per spedizioni dal 2021, lo scafo avrebbe subito cambi di pressione e questo continuo sforzo sulla struttura ha quasi certamente portato ad un suo indebolimento.
Robot in mare, sentiti dei rumori.
Le speranze di poter trovare e riportare in superficie i passeggeri sono
ormai flebili. «L’ossigeno sta per finire»
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE NEW YORK — «È un’operazione di ricerca e soccorso, dobbiamo per forza continuare a sperare»,
ha risposto ieri sera a Boston il capitano della Guardia Costiera Jamie
Frederick ai giornalisti che gli chiedevano se ancora fosse ottimista,
mentre ormai mancavano 20 ore prima che l’ossigeno a disposizione dei cinque passeggeri del Titan si esaurisse.
Le famiglie aspettano disperatamente su una delle cinque navi americane
e canadesi — destinate nelle ore successive a diventare dieci — che
dalla superficie li cercano nei pressi del relitto del Titanic.
«Dopo aver considerato tutti i fattori, a volte ti trovi nella
posizione di dover fare una scelta difficile — ha aggiunto Frederick —.
Potremmo trovarci a quel punto, e allora ne discuteremo innanzitutto con
le famiglie».
La speranza di poter trovare e
riportare in superficie i passeggeri del sommergibile, disperso da
domenica nell’Atlantico, ieri sera era ormai flebile. La fine dell’ossigeno, secondo una stima, è fissata alle 6 del mattino di oggi,
cioè intorno a mezzogiorno ora italiana. Nessuno poteva dire se fossero
ancora vivi: non era noto nemmeno se il sistema di riscaldamento a
bordo fosse rimasto in funzione. Ma ad alimentare la speranza c’erano
dei suoni captati dai sonar di un aereo canadese sia ieri che il giorno
prima: possibili colpi contro lo scafo, hanno affermato i media americani,
citando un rapporto inviato al dipartimento di sicurezza interna del
governo che parlava di rumori ogni 30 minuti. La Guardia costiera non ha
confermato quest’ultimo dettaglio, che però è rilevante: almeno uno dei
5 dispersi, Paul-Henri Nargeolet, ex capitano della Marina francese, senz’altro conosce il protocollo di fare rumore ogni mezz’ora per tre minuti, in modo da essere notati dai sonar.
«C’è la possibilità che questi suoni siano umani», dice al Corriere
l’ex capitano della Marina militare americana David Marquet, che ha
comandato il sottomarino nucleare USS Santa Fe e scritto il bestseller
pubblicato anche in Italia «The Leader Ship». Ma l’oceano è un luogo rumoroso:
«Ci sono molti suoni, di balene, navi di passaggio, di quelle stesse
navi usate ora per le ricerche. Anche gli aerei producono suoni che
arrivano sott’acqua», continua il capitano. Gli esperti, che includono
britannici e francesi, hanno deciso di seguire questa pista. «Così gli
aerei hanno lasciato cadere nell’oceano delle boe acustiche a un
chilometro di distanza l’una dall’altra. Se più di una boa capta il
rumore si può ottenere una localizzazione che di solito è grande quanto
un campo da football — spiega Marquet —. Questa localizzazione viene
trasmessa al sistema di controllo di un ROV (remotely operated vehicle, ndr), un veicolo subacqueo che va in profondità».
ROMA. Un milione e mezzo di interventi, 99mila indagini, 83
mila controlli doganali sulle merci in entrata in Italia, oltre 177mila
giornate/ uomo in servizi di ordine pubblico. E ancora: quasi 20 mila
denunce per reati tributari e sequestri di beni per frodi fiscali per
quasi 5 miliardi. Sono solo alcuni dei numeri con cui la Guardia di
Finanza si presenta all’appuntamento del 21 giugno con il proprio 249°
anniversario dalla fondazione. All’epoca si chiamava “Legione Truppe
Leggere”: era stata pensata come uno speciale Corpo militare che già
prima dell’unità d’Italia aveva compiti complessi, dal vigilare sui
diritti doganali al difendere i confini del Regno. Dopo quasi
duecentocinquant’anni, quello che non è cambiato per le Fiamme Gialle è
l’impegno “a tutto campo” nel contrastare gli illeciti
economico-finanziari e le infiltrazioni della criminalità nell’economia,
a tutela di famiglie e imprese.
Questo nel dettaglio gli aspetti
principali del il bilancio operativo delle attività della GDF nei
diversi capitoli che la vedono coinvolta, nell’arco dell’ultimo anno e
mezzo, dal gennaio 1922 al maggio 2023.
Frodi ed evasioni fiscali Stanati 8.924
evasori totali, completamente sconosciuti al fisco (molti attivi su
piattaforme di commercio elettronico) e 45.041 lavoratori in “nero” o
irregolari, scoperti 1.246 casi di evasione fiscale internazionale,
denunciate 19.712 persone per reati tributari. E ancora: contrasto al
contrabbando e al gioco illegale. Ma quel che spicca di più, in epoca di
bonus, è il sequestro di crediti inesistenti per un ammontare di circa
5,4 miliardi nell’ambito delle indagini su crediti d’imposta agevolativi
in materia edilizia ed energetica.
Danni erariali
Specifica e cruciale l’attività svolta nel comparto della tutela della
spesa pubblica, vigilando sul corretto utilizzo delle risorse nazionali e
dell’Unione europea. Complessivamente nell’ultimo anno e mezzo la GDF
ha svolto 50.171 interventi nel settore e 19.935 indagini delegate dalla
magistratura nazionale ed europea: 35.651 i soggetti denunciati e 5.766
segnalati alla Corte dei conti per l’accertamento di danni erariali per
oltre 3,33 miliardi di euro. Scoperte inoltre frodi ai danni delle
risorse Ue per oltre 491 milioni e analoghe frodi sulla spesa
previdenziale e assistenziale nazionale per altri 852 milioni. Sono
stati infine 24.290 i controlli eseguiti in tema di reddito di
cittadinanza per un totale di 18.240 denunce in relazione a 203 milioni
indebitamente richiesti o percepiti. Mentre ammontano a 3.944 le persone
denunciate – di cui 291 tratte in arresto – per corruzione e delitti
contro la P.A.
È uno dei capitoli più ricchi dell’attività espletata dai finanzieri: sono stati 1.572 gli interventi in materia di riciclaggio e autoriciclaggio, che hanno portato alla denuncia di 5.066 persone, di cui 379 tratte in arresto, e al sequestro di beni per un valore di oltre 1,7 miliardi, mentre ammontano a circa 43 milioni i sequestri per usura e a 240mila le segnalazioni di operazioni sospette analizzate, di cui quasi 750 attinenti al finanziamento del terrorismo. Ai confini terrestri e marittimi sono stati eseguiti oltre 23.400 controlli sulla circolazione della valuta con la scoperta di illecite movimentazioni per oltre 247 milioni e l’accertamento di 10.494 violazioni.
Allarme nell’Atlantico. Il biglietto costa 250 mila dollari
Per alcuni è un sogno poter vedere il
Titanic con i propri occhi. Scoperto nel 1985 sul fondo oceanico, il
relitto del transatlantico più grande della sua epoca che affondò nel
1912 dopo lo scontro con un iceberg portando con sé 1.500 anime continua
a colpire l’immaginazione collettiva, al punto da diventare meta
turistica. Ma un piccolo sommergibile chiamato Titan,
usato per portare i turisti sul sito, a 3.800 metri di profondità e a
circa 640 chilometri di distanza dall’isola canadese di Terranova, è scomparso ieri nei pressi del relitto.
A bordo
La capienza del Titan è di cinque persone. A bordo l’imprenditore ed esploratore britannico Hamish Harding, che aveva scritto sui social di essere in «compagnia di un paio
di leggendari esploratori che si sono immersi per vedere il Titanic
trenta volte dagli anni Ottanta ad oggi». Secondo Sky News sarebbero
l’esperto esploratore
francese Paul-Henry Nargeolet e il fondatore e amministratore delegato
della compagnia che ha organizzato la spedizione, Stockton Rush.
La missione — la terza di
quest’anno — era stata organizzata dalla compagnia privata OceanGate
Expeditions, che chiede 250mila dollari a persona. Normalmente ci sono tre ospiti paganti oltre al pilota e a un «esperto».
«Sto provando a realizzare un sogno. Qualcuno sogna di comprare una
Ferrari, altri una casa, io volevo andare a vedere il Titanic. E i sogni
non hanno prezzo», ha detto Renata Rocas, una banchiera che fece
quest’esperienza la scorsa estate. «Abbiamo clienti appassionati del
Titanic, li chiamiamo Titaniacs —
ha detto l’amministratore delegato della società Stockton Russ, che ha
paragonato queste spedizioni al nascente turismo spaziale —: c’è gente
che ipoteca la casa per fare il viaggio». La visita prevede la partenza
in nave da St. John’s, la capitale della provincia di Terranova e
Labrador, in Canada, fino al punto in cui avviene l’immersione. Sul sito
web della compagnia vengono pubblicizzati viaggi di otto giorni
descritti come «un’occasione per scoprire qualcosa di veramente
straordinario». Questa spedizione era giunta sul luogo domenica mattina, stando a un post su Facebook di Harding.
I contatti sono stati persi domenica sera. L’autonomia di ossigeno
disponibile è di 96 ore, ieri poco dopo l’inizio delle ricerche ne erano
passate circa 32. Harding aveva aggiunto che sarebbe stata l’unica
spedizione dell’anno a causa delle condizioni meteorologiche.
La liberatoria
Per salire a bordo bisogna firmare una liberatoria, come racconta il giornalista David Pogue, ospitato un anno fa per un servizio su Cbs News. «Non dirò bugie: ero un po’ nervoso, soprattutto a causa delle scartoffie da firmare: “Questo natante — c’era scritto — non è stato approvato o certificato da nessun organismo di regolamentazione e potrebbe provocare lesioni fisiche, traumi emotivi o la morte”». Nel suo caso, per due volte i tentativi di raggiungere il fondale erano falliti, prima di riuscirci e le comunicazioni con la superficie si erano interrotte per un paio d’ore.
Lo psichiatra: «Gli ex contestatori
sono servi dei figli». La Pandemia? «È stato un big bang. Ha prodotto
disagio per il modo in cui è stata gestita»
Paolo Crepet
è uno degli analisti più attenti dello stato della condizione
giovanile. Sta per uscire un suo volume, per Mondadori, intitolato
Prendetevi la luna
.
Come vedi l’esplodere del disagio tra i ragazzi del nostro tempo? «Coesistono due fenomeni: da una parte la tendenza
all’autoisolamento, la diffusa perdita di speranze, la difficoltà di
vedere il futuro. Ma non è solo questo, il senso di rinuncia convive con
un atteggiamento opposto: la rabbia, la violenza, la prepotenza del
bullismo. Non è un fenomeno nuovo, se ci si pensa. Negli anni in cui
eravamo giovani una parte dei ragazzi precipitò, fino a morirne,
nell’eroina, la cui improvvisa esplosione è un fenomeno mai indagato
davvero, e un’altra nel terrorismo che, in fondo, era una forma di
indifferenza e di cinismo nei confronti della vita altrui. E persino
della propria. Se si vuole il racconto più drammatico di quella
condizione di disagio bisognerebbe rileggere le lettere a Lotta
Continua. In quel tempo esisteva, infatti, una diffusa e coinvolgente
partecipazione politica e civile. Ciò che manca, oggi. Sia chiaro,
comunque: un adolescente non inquieto è inquietante».
Quanto ha pesato la pandemia? «È stato un big bang. Ha prodotto disagio per il modo in cui è stata
gestita: chiusura delle scuole, didattica a distanza, conseguente
chiusura in casa dei ragazzi, isolati dal contesto sociale. È stata dura
per tutti, ma per loro è stata un’esperienza afflittiva. A scuola si va
certo per imparare, certo perché è un dovere. Ma si va anche perché c’è
un cortile, un corridoio, una ricreazione. Lì si trovano gli amici, gli
amori, si costruisce la ragnatela fondamentale, la prima, dei rapporti
sociali. I ragazzi sono stati rinchiusi nel loro cellulare. Quando una
ragazza di un liceo di Bologna alla quale è stato tolto il cellulare ti
dice, due settimane dopo, “Non è male, questo esperimento, finalmente
siamo tornati a parlare” ci sta parlando di una possibilità. Se io
prendo una ragazza di sedici anni e la chiudo con le cuffiette, con una
visione del mondo che passa solo attraverso lo schermo, è chiaro che
qualcosa in quella esperienza umana accade. Dovremmo studiarla bene».
Cosa pensi degli sviluppi tecnologici annunciati, come il visore Apple e l’intelligenza artificiale? «Tim Cook ha ragione a dire che il visore sarà una rivoluzione. La
terza tappa: il computer, l’Iphone, ora il visore. Ma il visore porta a
un mondo prevalentemente virtuale. La prima cosa che mi viene in mente è
la follia. Il mondo della psicosi è sempre stato descritto come un
mondo altro, in cui tu costruisci una tua vita virtuale. Parli da solo,
pensi da solo. È l’uomo sull’albero di Amarcord di Fellini. Mondi altri,
costruiti per sfuggire a quello reale. Che inquieta, fa soffrire. Il
virtuale è stare su quell’albero».
Il nostro tempo è causa di infelicità? «Mi viene in mente il caso del “ragazzo selvaggio” magnificamente
raccontato nel film di Francois Truffaut. Un adolescente trovato nel
bosco dove aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita che si
cerca di riportare nel mondo civile. Siamo in pieno illuminismo e la
domanda che si fanno i medici che lo curano è: la civiltà porta
felicità?».
Nel caso del ragazzo la risposta è no. Non riuscì mai a integrarsi, morì infelice. «Perché citare questo caso? Perché questo è il tema. E se le
tecnologie, nel separarci e relegarci in un mondo virtuale costruissero
la nostra infelicità? “Think different” diceva Apple: era un messaggio
di libertà, di innovazione, era una promessa di libertà e di felicità. È
stato davvero così? Gran parte del disagio giovanile nasce o si
alimenta in relazione con questi strumenti. Torniamo all’illuminismo:
libertè, egalitè, fraternitè. Cos’è la fraternitè, Facebook? E cos’è la
libertè, il metaverso? Tutto questo crea appagamento, dipendenza o
maggiore libertà? Forse è venuto il momento di ragionarne senza le
catene dell’ovvio o del politicamente corretto imposte dallo spirito del
tempo».
«Impossibile moralmente proseguire,
pensiamo solo a Manuel», hanno scritto sulla loro pagina di Youtube.
Matteo Di Pietro ha schiacciato il piede sull’acceleratore per superare
un’auto, forse una bravata
Oltre 30mila visualizzazioni in meno di un’ora per l’addio degli youtuber di «TheBorderline». I ragazzi che dal 2020 hanno catturato l’attenzione di milioni di utenti in
Rete e circa 600 mila iscritti alla loro pagina, hanno comunicato ieri
sera di aver chiuso con la loro attività dopo l’incidente nel quale,
mercoledì scorso, uno dei fondatori della crew, Matteo Di Pietro, 20 anni,ha ucciso il piccolo Manuel travolgendo con un Suv l’auto della mamma nel quartiere romano di Casal Palocco.
«I TheBorderline — hanno scritto in un testo pubblicato nell’ultimo
video — esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo
dolore. Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda
ferita, nulla potrà mai più essere come prima».
E ancora: «L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con
uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende
per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il
gruppo TheBorderline interrompe ogni attività con quest’ultimo
messaggio. Il nostro pensiero è solo per Manuel».
Chi c’era sul Suv?
Sul
fronte delle indagini da chiarire ci sono ancora alcuni aspetti. Come
chi c’era davvero sul Suv che ha ucciso Manuel. A parte Di Pietro,
indagato per omicidio stradale, e Vito Loiacono, la sua spalla in
numerose challenge su YouTube, secondo chi indaga sulla Lamborghini Urus
lanciata a 110 chilometri all’ora c’erano almeno due ragazzi e una
ragazza sui quali il riserbo è massimo.
Perché? Le smentite della «dirigenza» dei
«TheBorderline» — in tre hanno ribadito che non c’erano — fanno ritenere
che i due a bordo abbiano fatto salire altri giovani. Come un ragazzo
coinvolto nella zuffa con i genitori di altri bambini dopo l’incidente: è
stato ripreso in un video mentre una poliziotta cerca di fermarlo.
Chi è? Interrogativi che alimentano il
mistero, insieme con la presunta fuga di uno o più passeggeri del Suv da
via di Macchia Saponara. Anche su questo aspetto lavorano i carabinieri
che indagano sulla morte del bambino: fra le informazioni contenute nei
telefonini sequestrati agli youtuber insieme con telecamere e schede
video, ci sarebbero anche le chat con i messaggi che i ragazzi si sono
scambiati prima ma soprattutto dopo lo schianto.
L’auto superata
Dalla ricostruzione dei vigili urbani viene soprattutto confermato il fatto che Di Pietro prima dell’incidente ha superato un’auto a forte velocità. Da
capire se sia stata solo una manovra azzardata o una bravata al volante
di una supercar capace di toccare i 100 km/h in meno di 3,5 secondi. E
comunque al vaglio c’è il ruolo di questa terza vettura.
Funerali in settimana
Oggi
intanto dovrebbe arrivare il nulla osta della procura per restituire
Manuel alla famiglia come richiesto dai suoi legali. I funerali
potrebbero essere celebrati a metà settimana, preceduti da una
fiaccolata di solidarietà a Casal Palocco. Una dimostrazione di affetto alla famiglia
della piccola vittima, ma anche di rabbia nei confronti dei ragazzi
coinvolti che continuano a ricevere minacce social, come anche il
noleggiatore del Suv, titolare della società Skylimit. Alcuni di loro
sono stati costretti a trasferirsi.
FIRENZE. Sette lunghissimi giorni. E ancora Kata non si
trova. Il suo papà, Miguel Angel Romero Chicillo, 27 anni, giovedì notte
è andato a cercarla con alcuni amici in un campo nomadi di Firenze.
Perché insieme alla moglie Kathrina non sa più dove sbattere la testa e
si aggrappa a tutte le piste possibili. Anche a quella di una zingara
ladra di bambini. Ma della piccola peruviana di 5 anni, rapita il
pomeriggio di sabato scorso dall’hotel Astor occupato abusivamente, tra
le roulette dei Rom non c’era traccia. Una spedizione a vuoto, dunque,
sintomo tuttavia del tormento che attanaglia Miguel e Kathrina, 26 anni,
genitori anche di un altro figlio di 8 anni.
Intanto è iniziato
lo sgombero del palazzo Astor occupato: sul posto numerose forze
dell’ordine tra polizia, carabinieri, guardia di finanza e municipale.
Il tratto della strada dove si affaccia l’ex hotel e la strada laterale,
via Boccherini sono bloccate al traffico. Si vuole procedere
all’abbattimento di tutte quelle parti interne dietro le quali potrebbe
essere stata nascosta la bimba. I carabinieri, nei giorni scorsi, hanno
provveduto ad un censimento interno degli occupanti abusivi, che sono
stati anche tutti fotografati. Le assessore al welfare e alla sicurezza,
Sara Funaro e Benedetta Albanese, da sette mesi chiedevano lo sgombero,
«esattamente da quando è occupato, cioè da quando la destra ha vinto le
elezioni».
Un mistero sempre più fitto In
questo giallo che da una settimana non trova soluzione, le suggestioni
purtroppo si accavallano con pochi elementi concreti e sembra di
rimanere in un tunnel alla fine del quale non compare alcuna luce. Tra
gli ultimi tam tam che circolano tra gli occupanti peruviani dell’Astor
ora domina anche il timore per «un nordafricano che dà fastidio ai
bambini, li avvicina e poi cerca di farseli amici». Sospetti infondati?
Timori che affondano le radici in un clima di rivalità perenne con
persone di altre etnie? Fatto sta che giovedì sera una zia peruviana è
andata all’Astor a prelevare i suoi due nipoti di 9 e 14 anni (che
vivevano nell’ex albergo insieme alla mamma) per portarli via con sé
proprio per il timore che possano anch’essi essere molestati dal
nordafricano. C’è dunque un orco che ha approfittato di Kata dietro il
suo sequestro? La prudenza è d’obbligo in questi casi e le indagini dei
carabinieri procedono fra mille cautele.
Anche perché comunque,
al momento, la pista più accreditata è quella del rapimento come
vendetta nell’ambito di una guerra tra bande per la gestione del racket
delle stanze. Un sistema più che collaudato e sicuro, in cui la famiglia
di Kata avrebbe svolto un ruolo attivo, per riscuotere 500 euro al mese
per l’affitto delle camere. A contendersi la riscossione del “pizzo”
due bande di peruviani e un clan di romeni che vivono all’Astor.
Si
tratta di un conducente di bus e di un automobilista che si trovavano
dietro la Smart della mamma di Manuel a Casal Palocco. L’avvocato
dell’indagato Matteo Di Pietro: «L’altra auto doveva dare la precedenza»
Silenzio commosso, alternato ad applausi. La folla di circa 10mila persone riunite in piazza Duomo a Milano, che ha assistito ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi dai due maxischermi, ha reagito così all’omelia dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini. L’alto prelato ha esaltato la vitalità dell’ex premier e presidente di Forza Italia. Parole pronunciate con grande trasporto quelle di monsignor Delpini che hanno esaltato la forza del Cavaliere: “Vivere e accettare le sfide della vita”. Ecco il testo integrale dell’omelia dell’arcivescovo di Milano.
Vivere
Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena.
Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone
care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a
frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita.
Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere
e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che c’è sempre una
speranza di vittoria, di riscatto, di vita. Vivere e desiderare una vita
che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia
sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. Vivere e non
sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e
continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli
insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il
declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per
vivere ancora. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di
vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.
Amare ed essere amato
Amare e desiderare di essere amato. Amare e cercare l’amore, come una
promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà
compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa
essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione
tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e
provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via
per un amore più alto, più forte, più grande. Amare e percorrere le vie
della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed
arrendersi. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore,
che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.
Essere contento
Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere
contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere
contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che
danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti
anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non
siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli,
degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della
compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del
gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e
sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire
l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che
rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte
all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire
dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il
suo compimento.