Roma, 9 luglio 2022 – Anche i piccoli fenomeni crescono. Eppure, facendo i conti, da ‘Io speriamo che me la cavò ai maturandi 2022,
sono passati più di trent’anni. Quindi, o i bambini di Arzano autori
della raccolta hanno patito una lunga serie di bocciature, o ci troviamo
di fronte a una nuova generazione di padroni della lingua e della
cultura italiana. Proprio così. I siti specializzati in vicende
scolastiche stanno sciorinando in queste ore le mirabili gesta dei
maturi (o quasi) dinanzi alle commissioni d’esame. Giusta ci sembra una
premessa: ogni interrogazione richiede una buona dose di autocontrollo.
Capita che un nostro ragazzo, vittima della paura, non riesca nemmeno a
profferir parola. Detto tra noi, sarebbe forse meglio fare scena muta
che rispondere che un tal Sergio Mattarella è uno sconosciuto,
come ha sostenuto un’esaminata. Dietro a questa affermazione non si
nasconde solo scarsa conoscenza delle istituzioni, ma mancanza di
rispetto verso chi ha fatto, col proprio dolore, la storia del Paese.
Una profonda ignoranza che farebbe inorridire persino quel “comunista” di Benito Mussolini.
Perché anche questo è risonato nelle aule d’esame. Per restare in tema,
il Duce del fascismo – secondo un altro candidato – non subisce la fine
ortodossa della fucilazione in quel di Giulino di Mezzegra dinanzi al
cancello di villa Belmonte, ma, al pari dei rivoluzionari francesi, fu decapitato.
Non ci è dato modo di sapere se la confusione sia poi proseguita nello
scambio tra la parigina Place de la Concorde – sede delle esecuzioni
rivoluzionarie – e la meneghina Piazzale Loreto. Ma meglio crediamo sia
non indagare oltre. Mi pare comunque impagabile questa visione fluida
della Storia. Ogni avvenimento può essere adattato alla fantasia del
maturando. E non solo.
Dopo
quel fatidico giorno, il maturo sarà in grado di affrontare da solo la
vita e diventare padrone del mondo che vorrà. Forse proprio questo
dovrebbe preoccuparci e farci correre ai ripari. Evito di puntare il
dito su strafalcioni minori come ‘il cespuglio’, siepe nell’infinito leopardiano, la Pasqua (e non l’Epifania) dei protagonisti pirandelliani e il “nobile dell’epoca” verghiana Mastro don Gesualdo. Per fortuna esistono persone come Liliana Segre:
la sua commovente missione di lasciare nei giovani memoria della follia
che ha infangato un secolo le rende gloria. E apre un varco
nell’ignoranza. Peccato che un altro esaminato abbia detto che la
persecuzione razziale di cui fu vittima la senatrice a vita era dovuta
al colore nero della sua pelle. Biasimare il livello di conoscenza dei
nostri ragazzi equivale a denunciare il fallimento della nostra
missione.
Oggi la prima prova dell’esame di
maturità 2022: nelle tracce Nedda di Verga, La via ferrata di Pascoli,
un brano dal libro di Liliana Segre e Gherardo Colombo, ma anche il
Covid, la musica e l’iperconnessione e i suoi rischi. Rispettate le
attese della vigilia.
• Alle 8.30 di oggi, 520 mila studenti hanno cominciato il loro esame di maturità con la prima prova scritta. • Tra le tracce più attese Giovanni Pascoli e Giovanni Verga. • Intervistato ieri dal Corriere,
il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dice: «L’esame di maturità
non è un test: serve a valutare il percorso svolto dai ragazzi in un
periodo particolarmente difficile. E infatti la media dei voti del
triennio quest’anno conta fino al 50 per cento sul voto finale. Non
serve usare il bilancino. Anche in caso di uno scivolone nello scritto,
le commissioni possono essere equilibrate: sono autonome e hanno la
responsabilità di valutare la persona» • Tutti gli aggiornamenti nello speciale Maturità 2022
Ore 09:42 –
Ore 09:40 – «Nedda» di Giovanni Verga, la prima traccia
«Era una ragazza bruna,
vestita miseramente; aveva quell’attitudine timida e ruvida che danno
la miseria e l’isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e la
fatica non ne avessero alterato profondamente non solo le sembianze
gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano
neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti
bianchi come l’avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti
che rendeva attraente il suo sorriso. Gli occhi erano neri, grandi,
nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a
quella povera figliuola raggomitolata sull’ultimo gradino della scala
umana, se non fossero stati offuscati dall’ombrosa timidezza della mi –
seria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e continua
rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate
violentemente da sforzi penosi erano diventate grossolane, senza essere
robuste. Ella faceva da manovale, quando non aveva da trasportare sassi
nei terreni che si andavano dissodando, o portava dei carichi in città
per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quella
parte stimansi inferiori al compito dell’uomo. La vendemmia, la messe,
la raccolta delle olive, erano per lei delle feste, dei giorni di
baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano
appena la metà di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava
13 bravi soldi! I cenci sovrapposti in forma di vesti rendevano
grottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza
muliebre. L’immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che
quelle mani costrette ad un’aspra fatica di tutti i giorni, a raspar fra
il gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi
abituati ad andar nudi sulla neve e sulle rocce infuocate dal sole, a
lacerarsi sulle spine, o a indurirsi sui sassi, avrebbero potuto essere
belli. Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse codesta creatura
umana; la miseria l’aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti
che deformano e induriscono il corpo, l’anima e l’intelligenza. – Così
era stato di sua madre, così di sua nonna, così sarebbe stato di sua
figlia. (…) Tre giorni dopo udì un gran cicaleccio per la strada. Si
affacciò al muricciolo, e vide in mezzo ad un crocchio di contadini e di
comari Janu disteso su una scala a piuoli, pallido come un cencio
lavato, e colla testa fasciata da un fazzoletto tutto sporco di sangue.
Lungo la via dolorosa che dovette farsi prima di giungere al casolare di
lui, egli, tenendola per mano, le narrò come, trovandosi così debole
per le febbri, era caduto da un’alta cima, e s’era concio a quel modo41.
– Il cuore te lo diceva! mormorò egli con un triste sorriso. Ella
l’ascoltava coi suoi grand’occhi spalancati, pallida come lui, e
tenendolo per mano. L’indomani egli morì. (…) Adesso, quando cercava del
lavoro, le ridevano in faccia, non per schernire la ragazza colpevole,
ma perché la povera madre non poteva più lavorare come prima. Dopo i
primi rifiuti e le prime risate ella non osò cercare più oltre, e si
chiuse nella sua casupola, come un uccelletto ferito che va a
rannicchiarsi nel suo nido. Quei pochi soldi raccolti in fondo alla
calza se ne andarono l’un dopo l’altro, e dietro ai soldi la bella veste
nuova, e il bel fazzoletto di seta. Lo zio Giovanni la soccorreva per
quel poco che poteva, con quella carità indulgente e riparatrice senza
la quale la morale del curato è ingiusta e sterile, e le impedì così di
morire di fame. Ella diede alla luce una bambina rachitica e stenta:
quando le dissero che non era un maschio pianse come avea pianto la sera
in cui avea chiuso l’uscio del casolare e s’era trovata senza la mamma,
ma non volle che la buttassero alla Ruota».
Ore 09:34 – Il Nobel Parisi dal Parlamento alla maturità
La terza traccia del testo argomentativo ha come spunto il discorso tenuto dal Nobel Giorgio Parisi alla Camera dei Deputati l’8 ottobre 2021. Eccolo: «L ’umanità deve fare delle scelte essenziali, deve contrastare con forza il cambiamento climatico. Sono decenni che la scienza ci ha avvertiti che i comportamenti umani stanno mettendo le basi per un aumento vertiginoso della temperatura del nostro pianeta. Sfortunatamente, le azioni intraprese dai governi non sono state all’altezza di questa sfida e i risultati finora sono stati assolutamente modesti. Negli ultimi anni gli effetti del cambiamenti climatico sono sotto gli occhi di tutti: le inondazioni, gli uragani, le ondate di calore e gli incendi devastanti, di cui siamo stati spettatori attoniti, sono un timidissimo assaggio di quello che avverrà nel futuro su una scala enormemente più grande. Adesso, comincia a esserci una reazione forse più risoluta ma abbiamo bisogno di misure decisamente più incisive. Dall’esperienza della COVID sappiamo che non è facile prendere misure efficaci in tempo. Spesso le misure di contenimento della pandemia sono state prese in ritardo, solo in un momento in cui non erano più rimandabili. Sappiamo tutti che «il medico pietoso fece la piaga purulenta». Voi avete il dovere di non essere medici pietosi. Il vostro compito storico è di aiutare l’umanità a passare per una strada piena di pericoli.
Previsto
l’arrivo di un centinaio di pullman da tutta Italia per la
manifestazione in piazza Santi Apostoli a Roma. La protesta, a pochi
giorni dalla conclusione dell’anno scolastico, è stata proclamata dai
sindacati contro le novità in tema di formazione, reclutamento, salario e
carriera varate dal governo con il Decreto Legge 36/22. “Misure
inaccettabili” le avevano definite le organizzazioni sindacali. Contrari
i presidi: “E’ una manifestazione populista”. Molte scuole sono chiuse e
solo alcune apriranno per poche ore vista l’assenza di docenti e
personale Ata.
La protesta è stata indetta da FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS
Confsal e GILDA Unams, che hanno anche organizzato un sit-in a Roma a
Piazza SS. Apostoli (con qualche polemica preventiva, non essendo stata
concessa dalla Questura Piazza Montecitorio, tradizionale luogo di
protesta di fronte al Parlamento). Quattro le richieste principali dei
sindacati al governo: stralciare dal decreto tutte le disposizioni che
invadono il campo della contrattazione, dalla formazione agli aspetti
economici e normativi che riguardano il rapporto di lavoro; rivalutare
nel nuovo contratto le retribuzioni: più risorse nella legge di Bilancio
e no a un sistema a premi per pochi; dare stabilità al lavoro e
rafforzare gli organici invece che tagliarli, con un sistema di
reclutamento che assicuri la copertura dei posti vacanti e preveda
opportunità di stabilizzazione per i precari; riconoscere la
professionalità di chi lavora nella scuola come risorsa fondamentale:
mettere in sicurezza le scuole, ridurre gli alunni per classe.
Per i sindacati il Dl 36/22 “invade i campi della contrattazione in
materia di reclutamento e formazione: capitoli che dovrebbero essere,
appunto, regolati tra le parti. Quella disegnata dal decreto è una
formazione tra l`altro finanziata con un cospicuo taglio di personale
(10mila unità), mentre le nuove modalità di reclutamento – oltre a dare
un nuovo impulso al mercato dei crediti – non lasciano nessuna
possibilità di stabilizzazione per i precari, quelli che da anni hanno
permesso alle scuole di andare avanti. Il tutto, tradendo lo spirito del
Patto per la scuola, siglato un anno fa, che invece “prometteva”
scelte condivise. Infine sul contratto – concludono i sindacati –
le cifre stanziate sono assolutamente insufficienti per dare una
risposta dignitosa all`impegno del personale della scuola”.
“Lo sciopero avrà una alta adesione perché le ragioni della protesta
sono motivate: il governo sceglie di costruire una formazione per pochi,
finanzata con il taglio degli organici. In più si umiliano i precari
con un nuovo sistema di reclutamento e gli si nega l’abilitazione. Un
intervento da respingere, che io non chiamo nemmeno la riforma. Viene
tradito il Patto per la scuola. Il contratto poi è scaduto da tre anni e
ci aspettiamo un investimento serio per il rinnovo contrattuale: le
risorse stanziate non bastano anche dato l’impegno della scuola tutta
negli anni della pandemia. Evidenziamo l’inadeguatezza del governo
rispetto alle esigenze della scuola”, dice Francesco Sinopoli che guida
la Flc Cgil.
Tutti compatti a protestare contro le prove scritte alla
maturità: i ragazzi scendono in piazza, i presidi si schierano al loro
fianco e ora anche il Consiglio superiore della pubblica istruzione si
proclama contrario alla decisione del ministro Bianchi: almeno il
secondo scritto deve saltare alle superiori, e all’esame di terza media
niente prove scritte d’italiano e matematica e niente colloquio di
lingue straniere, anzi, meglio abolire l’esame stesso. La motivazione è
che, dopo quasi tre anni scolastici a singhiozzo tra Dad e quarantene,
questi ragazzi non sono in grado di sottoporsi alle prove tradizionali.
Qualcuno si è accorto che si tratta di una ammissione di inadempienza
e inefficacia senza pari? Un’autoaccusa, una sorta di plateale
confessione: è come se la scuola dicesse che non ha fatto scuola per due
anni, se ora accetta che i ragazzi si dichiarino impreparati a
sostenere uno scritto di latino o di matematica.
Giustificabile? Non so. Certo, lo sapevamo che la pandemia ha
costretto a una scuola rimediata e sconfortante. Ma fino a questo punto?
Allora abbiamo lasciato aperte le scuole per che cosa? Abbiamo tenuto i
ragazzi appesi a un video per due anni cinque ore al giorno (seppure a
intermittenza) per non insegnare loro nulla? Se non stava funzionando,
dovevamo dirlo prima, e non aspettare che l’annuncio del ministro sulle
due prove finali scatenasse l’inferno. Dovevamo correggere la direzione,
inventare un altro modo di far scuola (per esempio fare meno
videolezioni e insegnare ai ragazzi a studiare anche scollegati e da
soli, magari dedicando a ciascuno di loro uno spazio di verifica, un
colloquio costante e individuale).
Se non stava funzionando, i ragazzi per primi dovevano denunciarlo,
scendere in piazza almeno un anno fa a dire: ehilà, guardate che noi non
stiamo imparando niente, volete darcelo o no uno straccio di
istruzione? Perché protestano solo ora e, solo perché spaventati dalle
prove scritte?
Pronta l’ordinanza per l’esame di
stato del prossimo giugno. Ci sarà il tema e anche l’orale, ogni
commissione deciderà la seconda prova in base al programma svolto.
Bianchi: dobbiamo tornare alla normalità gradualmente. La protesta degli
studenti
La sessione d’esame avrà inizio il 22 giugno alle 8.30, con la prima prova scritta di italiano, che sarà predisposta su base nazionale. La prova proporrà sette tracce con tre diverse tipologie: analisi e interpretazione del testo letterario; analisi e produzione di un testo argomentativo; riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. Il 23 giugno si proseguirà con la seconda prova scritta, diversa per ciascun indirizzo, che avrà per oggetto una sola disciplina tra quelle caratterizzanti il percorso di studi. Le discipline saranno comunicate al termine dell’iter formale delle Ordinanze.La seconda prova sarà predisposta dalle singole commissioni d’esame, quindi da ogni singolo istituto, per consentire una maggiore aderenza a quanto effettivamente svolto dalla classe e tenendo conto del percorso svolto dagli studenti in questi anni caratterizzati dalla pandemia.
I commissari interni
È previsto il colloquio,
che si aprirà con l’analisi di un documento o un testo scelto dalla
commissione. Nel corso dell’orale il candidato dovrà dimostrare di aver
acquisito i contenuti e i metodi propri delle singole discipline e di
aver maturato le competenze di educazione civica. la seconda parte
prevede l’analisi, con una breve relazione o un lavoro multimediale,
delle esperienze fatte nell’ambito dei Percorsi per le competenze
trasversali e l’orientamento (Pcto). La commissione sarà composta da sei commissari interni e un Presidente esterno.
In arrivo una revisione delle regole
su contagi e quarantene. Elementari in autosorveglianza come medie e
superiori. Dad di soli 5 giorni. Un solo tampone per i piccoli. E gli
altri tornano in classe solo col green pass
Oltre a decidere di prolungare le misure per discoteche e mascherine all’aperto il governo comincia ad occuparsi del dossier scuola, anche se il decreto potrebbe arrivare non prima di mercoledì o
giovedì: alcuni nodi richiedono un ulteriore vaglio dei tecnici del
ministero della Salute. L’idea alla base della revisione delle regole su
contagi e quarantene per gli studenti è quella di «allineare tutti i
gradi scolastici», applicando le regole che attualmente si usano nelle
scuole medie e superiori anche alle elementari.
Non cambierà probabilmente nulla per le scuole dell’infanzia dove i bambini non sono vaccinati e non portano le mascherine.
La proposta dei ministri dell’Istruzione Patrizio Bianchi e della Salute Roberto Speranza mira ad arrivare ad avere meno Dad, meno tamponi e un rientro in classe più facile. Sono del resto le richieste che arrivano da presidi e famiglie,
anche se i contagi specie tra i più piccoli (fascia 0-9) erano in
aumento consistente nell’ultimo rapporto dell’Iss venerdì scorso. Il
decreto che alleggerisce il protocollo scolastico deve ancora essere
limato ma le modifiche principali sono pronte, mentre per altre misure
bisognerà capire quale sarà il compromesso che si troverà in consiglio
tra la semplificazione e la garanzia di sanitaria.
Il monitoraggio del ministro
dell’Istruzione Patrizio Bianchi: ho segnalato al ministro Speranza le
richieste di semplificazione delle procedure per le qurantene». Il caso
Lombardia
Che cosa fotografano i dati della prima settimana di scuola del 2022 sarà
oggetto di discussione. Per la Cgil sono opachi, per il sindacato Gilda
riduttivi del disagio, per i partiti della maggioranza sono invece
confortanti. Di certo hanno lasciato di stucco molti genitori dei
bambini più piccoli, che dall’autunno scorso sono alle prese con
interruzioni della scuola e quarantene. E’ infatti nella fascia d’età
delle scuole dell’infanzia e delle elementari che i dati che il ministro
dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha illustrato ieri alla Camera,
indicano una situazione meno allarmante che per gli studenti di medie e
superiori.
Il caso Lombardia
Tra i più piccoli è in quarantena il 9 per cento, all’incirca un bambino su dieci. Si tratta comunque del doppio rispetto a dicembre, quando gli studenti a casa erano complessivamente il 4,5 per cento. Del resto i dati sulla diffusione del virus tra i più piccoli sono in crescita esponenziale e sono stati anche nelle vacanze di Natale. Sono esplosi in Lombardia dove, secondo l’ultimo report sulla diffusione del SARS-CoV-2 nelle scuole stilato dalla Direzione generale Welfare e trasmesso all’Ufficio scolastico e alle Ats, la scorsa settimana si sono impennate le curve relative alle fasce d’età 6-10 anni e 3-5 anni, con un incremento dei contagi del 37% e dell’80%. Al contrario dei dati relativi agli studenti della fascia 14-18 che hanno fatto registrare una diminuzione del 20 per cento rispetto alla settimana precedente.
Mancano metà delle scuole
Come
si spiega che allora, in percentuale, tra i bambini sono meno quelli
confinati in casa rispetto ai loro compagni più grandi di medie e
superiori? Una causa di questa discrepanza potrebbe essere data dal
fatto che il monitoraggio del ministero dell’Istruzione ha riguardato
circa la metà dei bambini, solo quelli iscritti alle scuole
dell’infanzia statali e non quelli delle scuole comunali o private, che
sono oltre un terzo. Sono 691 mila coloro che sono stati inseriti nel
report su oltre 1 milione e trecentomila iscritti totali. Dunque i
62.539 bambini in quarantena sono un numero largamente sottostimato.
I dati
Ma anche per quanto riguarda le elementari i dati forniti da Bianchi sono inaspettatamente positivi: il 10,9 per cento è a casa in Dad, poco più di uno su dieci, meno comunque che nelle scuole superiori. I numeri assoluti misurati dal ministero indicano che su 1.902.883 alunni 207.937 sono in Dad. Ma non è soltanto questione di numeri e di percentuali. Come ha ribadito lo stesso ministro, la questione che in questi giorni ha innervosito i presidi e risulta particolarmente pesante per i genitori riguarda le procedure per i tamponi, i controlli e le quarantene da gestire in casa. E’ difficile che le cose cambino molto, visto che i bambini della scuola dell’infanzia non sono vaccinati né portano le mascherine. «Ho segnalato al ministro Speranza la richiesta di semplificazione», ha spiegato Bianchi.
Come era ampiamente previsto alla vigilia della loro contestata
riapertura gran parte delle scuole italiane sono nel caos, colpite sia
dalla variante Omicron che dalla variante «norme folli su quarantene e
Covid». Secondo il presidente dell’associazione nazionale presidi,
Antonello Giannelli, «in base a quanto riferitoci dai nostri colleghi in
Italia il 70 per cento delle classi è in didattica digitale integrata.
Su 400mila classi totali, dunque 280mila sono in ddi. Difficile da dirsi
quanti stanno a casa e quanti a scuola. Ma ci sono classi con appena
sei alunni in presenza.
Dunque la ddi è una soluzione illusoria che tra l’altro non funziona». Parole che riflettono la realtà ben nota a molti genitori e studenti: nidi e asili stanno chiudendo uno dopo l’altro intere classi come è consentito dai protocolli, mentre nella scuola dell’infanzia e in quelle dei più grandicelli si compone ogni giorno di più quel mosaico confuso di compagni di classe un po’ in presenza e un po’ a casa collegati a linee che spesso non funzionano. Già dopo un giorno o due dalla riapertura il pasticcio si è formato, perché il virus ha ripreso a correre in molte Regioni proprio nella popolazione in età scolastica che traina le classifiche dei contagi. È stato così da settembre alle vacanze di Natale, poi grazie alla chiusura delle scuole la fascia di età più rilevante per i contagi è diventata quella fra 20 e 29 anni, con bambini e ragazzini che scendevano vari posti in classifica. Ed è presumibile quindi che i presidi, che hanno sotto occhio tutti i giorni la realtà, abbiano ragione. Anche perché i dati aggiornati quotidianamente da ogni Regione stanno confermando quella situazione: la sola Campania ieri ha segnalato 25.745 contagi in età scolastica, con le relative quarantene imposte (quasi 16 mila nella sola provincia di Napoli). Ma alla evidenza della realtà si oppone indispettito il ministro della pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi, che ieri ha contestato le ipotesi dei presidi: «Ancora una volta il presidente della associazione nazionale», ha sostenuto il ministro, «dà dei dati sulla Dad, noi li stiamo elaborando, li daremo quanto prima e saranno i dati ufficiali. Grandissimo rispetto per tutti coloro che fanno delle stime, ma i dati li diamo noi. Domani (oggi per chi legge, ndr) sarò in commissione alla Camera e lì sicuramente ci saranno i dati ufficiali». Un tono più da Napoleone o da marchese del Grillo che da ministro, visto che l’istituzione in questi due anni di pandemia proprio su quelle statistiche ha fatto acqua da tutte le parti. Al ministero più che una raccolta dati si effettua infatti una sorta di sondaggio sulla base dei casi volontariamente segnalati dai dirigenti scolastici.
ROMA. Non fa previsioni, Patrizio Bianchi. Del resto, è impossibile
descrivere quale sarà la situazione nelle scuole italiane, da qui a fine
mese: «Per ora i problemi riscontrati sono gestibili – dice il ministro
dell’Istruzione – e siamo attrezzati per affrontare un eventuale
peggioramento del quadro». L’importante è affermare un principio, cioè
che «la scuola resta aperta e in presenza, una scelta portante di questo
governo», sottolinea Bianchi nell’intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione 30 minuti al Massimo
(versione integrale su lastampa.it). Di fronte al possibile aumento di
contagi e assenze tra studenti e docenti, l’indicazione, che suona come
un avvertimento per presidi, sindaci e governatori, è chiara: «Il
ricorso alla didattica a distanza non può essere indiscriminato, ci sono
regole precise da seguire».
Secondo l’Associazione nazionale dei presidi, potremmo ritrovarci con 200mila classi in Dad nel giro di una settimana… «Guardi,
io non escludo né affermo niente, ma siamo pronti ad affrontare tutte
le situazioni, anche quelle più estreme. In Italia abbiamo 365mila
classi, allo stato attuale non c’è questo scenario, poi può darsi che ci
sia un aumento nei prossimi giorni, ma il tema non è se ci sarà o meno
un maggiore ricorso alla formazione a distanza. Che, comunque, non è il
demonio, ma uno strumento da usare in modo specifico e per un tempo
specifico».
Il governo manterrà le promesse su la
scuola nella quarta ondata? Il direttore Giannini intervista il
ministro dell’Istruzione Bianchi – L’integrale
E qual è, allora, il tema? «È che abbiamo fatto
una norma, il decreto del 5 gennaio, che dà una linea di marcia chiara:
la scuola deve essere aperta e, nel caso, deve essere l’ultima a
chiudere. E abbiamo definito regole precise per usare la didattica a
distanza, che non può essere un provvedimento generalizzato, preso a
livello regionale o comunale, e senza giustificazioni. Non può valere
per tutti, insomma, ma solo in situazioni specifiche».
Per questo avete fatto ricorso contro l’ordinanza del presidente della Campania De Luca, bocciata dal Tar… «Ha
fatto ricorso anche un gruppo di genitori, che non voleva la chiusura
delle scuole. Come governo, ci siamo confrontati fino all’ultimo minuto
con i presidenti delle Regioni, poi abbiamo fatto una scelta di unità
del Paese».
De Luca ha detto che avete usato gli studenti come cavie. Come risponde? «Mi
permetta di non commentare questa frase, ma penso ci sia il dovere
istituzionale di misurare le parole, da parte di tutti. D’altra parte,
ricordo che abbiamo avuto il massimo dei contagi quando la scuola era
chiusa. E, come ha sottolineato anche il presidente Draghi, non è che,
se non vanno in classe, gli studenti restano blindati in casa. Avere la
scuola chiusa con i ragazzi in giro sarebbe difficilmente spiegabile».
Partiamo da una osservazione, quasi un’ovvietà: non c’è organizzazione della nostra società altrettanto complessa della scuola.
Istituzione fatta di strutture materiali, personale di diverse
categorie, oltre a elementi non trascurabili come gli alunni e le loro
famiglie, variabile quest’ultima spesso più incontrollabile di una
Omicron. Istituzione attorno a cui ruota in stretta connessione il mondo
dei trasporti, quello della sanità, per non parlare della politica. Se
ci metti pure un’epidemia, è chiaro come il ritorno in aula porti con sé
una quantità di problemi. Ma anche un interrogativo.
Né aule né FFp2 e molti docenti tifano Dad
Non era possibile fare in modo che questa quantità di problemi fosse
minore, e che oggi si vivesse solo un giorno difficile e non quello
dell’apocalisse? La risposta, onestamente, è si. Intanto ribadiamo che la scuola si fa a scuola (è successo anche in guerra)
e che troppa didattica è già stata fatta a distanza. Un nodo che pare
essere sfuggito agli ultimi governi. Che hanno provveduto ai banchi a
rotelle, ma non agli impianti di areazione o a fornire
le necessarie mascherine FFP2. Roba che costa, certo. Ma come disse
Draghi, c’è il debito buono e quello cattivo. Questo sarebbe stato
sicuramente buono. E se un nodo sono le cattedre vuote causa Covid, sono
vuote sia per la presenza, sia per la Dad. O no?
Semmai c’è da osservare come il personale della scuola sia
particolarmente fragile se i presidi ipotizzano 100 mila assenze (80
mila docenti) il 10 per cento di tutta la categoria. Può darsi che in
questa fragilità giochi anche il dato che spesso ricorda l’economista
Giuliano Cazzola: in Italia gli allievi sono soprattutto al Nord, e gli
insegnanti vengono soprattutto dal Sud. Il che provoca difficili
transumanze e altrettanto difficili rientri, in particolare in coda ai
periodi festivi come questo.
False promesse. I bus supplementari nessuno li ha visti
Quanto a transumanze, anche gli studenti (e i pendolari) ne sanno qualcosa.
Certo i mezzi pubblici non possono essere moltiplicati come i pani e i
pesci; ma quei pochi autobus in più messi in servizio negli orari di
punta, orari non a sorpresa, ma sempre quelli e sempre nelle stesse
tratte, dunque programmabili, non hanno sciolto il nodo affollamento.
Anche gli stuart alle fermate sono stati un filtro relativo. Insomma,
diciamo che le arterie che hanno collegato casa e scuola sono rimaste
troppo intasate, quasi a rischio collasso. Certamente a rischio pandemia