PAOLO BARONI
ROMA. Hai voglia a fare buoni contratti e a spuntare aumenti con due zeri se poi il Fisco se ne mangia una fetta enorme. Anche il 50% stimano i metalmeccanici della Cisl, secondo cui più si contratta salario e più aumentano le tasse. In pratica ogni 10 euro «guardagnati», 5 si volatilizzano. Per cui ora «non basta un piccolo taglio del cuneo fiscale ma occorre ripristinare il recupero del fiscal drag, rivedere le aliquote ed adeguare le detrazioni all’inflazione», sostiene il sindacato.
Il caso più emblematico, secondo uno studio della Fim che La Stampa
è un grado di anticipare, è quello dei 69 mila lavoratori del Gruppo
Stellantis, di Iveco, CnhI e Ferrai che, sulla base degli importanti
aumenti salariali ottenuti per il 2023 e 2024 col recente rinnovo del
contratto specifico di lavoro (Ccsl), finiscono per essere ancora più
tartassati e spremuti dalla pressione fiscale.
Uno stipendio medio
Se
si prende ad esempio il caso di un lavoratore residente a Torino di
Stellantis, con un reddito annuo di 30 mila euro, i 207 euro di aumenti
mensili in busta paga (ottenuti col recente rinnovo del Ccsl, assieme a
400 euro di una tantum e 200 di flexible benefit) scattati in parte a
marzo (119 euro) ed in parte a gennaio 2024 (87,8 euro) vengono tassati
al 50% per effetto delle aliquote marginali, del minore impatto delle
detrazioni e delle addizionali comunali e regionali alte e progressive.
Risultato? Al lavoratore, tolti contributi sociali e tasse, al netto
restano in tasca solamente 103,4 euro dei 207 contrattati.
Per
il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia «siamo di fronte
ad una situazione paradossale e ormai insostenibile. Il ritorno del
fiscal drag, che né il governo precedente né quello attuale hanno
considerato nelle manovre fiscali, fa sì che più il sindacato difende le
buste paga con la contrattazione e più il lavoratore è vessato. La
pressione fiscale media che per un metalmeccanico, con un reddito medio è
sotto il 25%, si raddoppia ad ogni ulteriore aumento contrattuale»
aggiunge il sindacalista, secondo cui «vedere tassati del 50% circa
l’11,3% di aumento ottenuto per difendere i lavoratori del Gruppo
Stellantis dall’inflazione è incredibile. La dice lunga sugli effetti
distorsivi del nostro sistema fiscale che continua a “tosare” sempre di
più chi le tasse le paga veramente».
Quanto pesa il taglio del cuneo
E
il taglio del cuneo fiscale? A parte il fatto che per il 2024 lo sconto
è tutto da confermare, anche perché per farlo servirebbero ben 10
miliardi di euro, quello previsto da maggio secondo l’analisi della
Fim-Cisl, questo mese produrrà solo una lievissima attenuazione della
crescente pressione fiscale di pochi euro. Prendendo ad esempio una
retribuzione media di 30.000 euro, corrispondente a 2.308 euro lordi
mensili, col taglio contributivo di due punti (dal 9,49% al 7,49) la
retribuzione imponibile mensile è pari a 2.135 euro, 1.778 euro al netto
dell’Irpef nazionale che poi diventano 1.721 euro applicando le
addizionali locali.
A marzo con l’aumento di 119 euro la
retribuzione lorda sale invece a 2.427 euro, ma il netto finale per
effetto dei meccanismi fiscali sale invece della metà, 60 euro in tutto,
a quota 1.781. Da rilevare dal punto di vista fiscale che con l’aumento
di 119 euro mensili, la retribuzione media che prima ricadeva nel
secondo scaglione Irpef ricade invece nel terzo scaglione (oltre 28.000
euro di imponibile). Lo stesso vale per le addizionali comunali, dove si
passa dal primo scaglione (aliquota dello 0,8%) al secondo (1,1% sopra i
28.000 euro); e per quelle regionali, dove si passa dal secondo
(aliquota del 2,13%) al terzo scaglione (aliquota del 2,75%).
Il nuovo sconto sui contributi
A
maggio, secondo quanto previsto nel Def, ci sarà il nuovo taglio
contributivo al 5,49 che farà scendere da 183 a 133 euro le trattenute
con un risparmio di poco più di 49 euro. Parte di questa diminuzione è
però erosa dall’aumento dell’imponibile che produce un aumento di
tassazione tanto che la retribuzione netta finale aumenta praticamente
solo della metà, 25 euro.