Archive for the ‘Economia – Lavoro’ Category

Fisco, precompilata 2023 online da oggi con la novità della delega: invio dall’11 maggio

martedì, Maggio 2nd, 2023

Sandra Riccio

Prende il via da oggi la Dichiarazione dei Redditi Precompilata 2023. Da questo pomeriggio le dichiarazioni già compilate dall’Agenzia delle Entrate potranno essere consultate. Il passo successivo arriverà giovedì 11 maggio quando sarà possibile accettare, modificare e inviare il 730 e il modello Redditi.

Quest’anno la Precompilata è accompagnata da importanti novità: la Precompilata sarà più semplice da utilizzare, grazie alla possibilità di delegare una persona di fiducia sia online che in videocall. Si tratta di una novità che in molti aspettavano.

Da quest’anno l’Agenzia delle Entrate dispone di nuovi dati, oltre a quelli che raccoglie per la compilazione, come spese mediche e sanitarie, premi assicurativi e certificazioni uniche di lavoratori dipendenti e autonomi, dati sui mutui e così via. L’elenco è lungo ci sono anche spese veterinarie e i contributi versati alle forme di previdenza complementare fino alle spese funerarie. Quest’anno saranno utilizzati nuovi dati: corsi post-diploma presso istituti statali di alta formazione e specializzazione artistica e musicale, spese per canoni di locazione, spese di intermediazione per l’acquisto di immobili adibiti a prima casa. Tutte informazioni che si aggiungono a quelle già presenti negli anni scorsi, come ad esempio i contributi previdenziali e assistenziali, quelli versati per i lavoratori domestici, le spese universitarie, per gli asili nido, le spese per gli interventi di ristrutturazione e di efficentamento energetico.

Il consiglio è di controllare sempre tutte le spese inserite nella Precompilata. Il rischio è di perdere detrazioni o deduzioni.

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L’allarme del World Economic Forum: “Nei prossimi 5 anni a rischio 14 milioni di posti di lavoro”. Chi rischia e quali sono le nuove frontiere

lunedì, Maggio 1st, 2023

Francesco Bertolino

MILANO. Il 2% dell’occupazione globale è in pericolo a causa d’inflazione, rallentamento economico e carenze di approvvigionamento. Digitalizzazione e transizione energetica offrono nuove opportunità, ma urge una riqualificazione professionale. L’intelligenza artificiale? Minaccia le mansioni impiegatizie e di segreteria, ma avrà un impatto globale positivo

Nei prossimi cinque anni quasi un quarto dei posti di lavoro è destinato a subire modifiche per adattarsi alle incombenti transizioni gemelle, digitale ed energetica. La trasformazione non sarà indolore: di qui al 2027 nasceranno 69 milioni nuovi impieghi nel mondo, ma ne scompariranno 83 milioni. Il saldo sarà quindi negativo per 14 milioni, pari al 2% dei 673 milioni di posti di lavoro.

La stima è frutto di un sondaggio svolto dal World Economic Forum all’interno di un campione rappresentativo: 407 aziende che impiegano oltre 11,3 milioni di lavoratori in 45 Paesi. C’è quindi di che preoccuparsi, anche perché la fosca previsione sui dati occupazionali proviene da un’organizzazione influente e tradizionalmente ottimista.

A dispetto dei timori di Elon Musk, però, la colpa non sarà dell’intelligenza artificiale, ma dell’inflazione, del rallentamento della crescita economica e delle carenze di approvvigionamento. Il progresso tecnologico e la conseguente digitalizzazione, certo, imporranno un radicale mutamento del lavoro.

Ruoli impiegatizi e di segreteria – come sportellisti di banca, cassieri e addetti all’inserimento di dati – sono destinati a essere progressivamente automatizzati. Nuovi sistemi di AI come ChatGpt hanno poi dimostrato di poter svolgere anche mansioni comunicative che in passato sembravano appannaggio dell’umanità.

L’impatto non va però sovrastimato. Secondo le imprese sondate, circa un terzo delle mansioni è oggi automatizzato, appena l’1% in più di tre anni fa. Rispetto all’ultimo rapporto sul futuro del lavoro del Wef, inoltre, le aspettative di ulteriore automazione sono state riviste al ribasso: se nel 2020 si prevedeva che i robot avrebbero svolto il 47% delle mansioni già nel 2025, oggi si è scesi al 42% entro il 2027.

Il 50% delle imprese prevede in ogni caso che l’intelligenza artificiale finirà per aumentare l’occupazione, mentre solo il 25% teme la sostituzione massiccia di dipendenti. Stesso discorso vale per la transizione energetica che pure creerà più posti di lavoro di quanti ne distruggerà. In entrambi i casi, però, il bilancio positivo dipenderà dalla capacità di governi e imprese di favorire la riqualificazione della forza-lavoro.

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Eldorado Indiano

lunedì, Maggio 1st, 2023

Federico Rampini

L’analisi delle opportunità economiche rappresentate dall’India

Tutti si stanno interessando dell’India, anche gli italiani.
Ma prima di noi c’è qualcun’altro che ha cominciato ad allungare lo sguardo sull’India come nuova opportunità. E’ Tim Cook, chief executive di Apple. Cook è andato in missione in India, ha incontrato il premier Modi (che gli ha voluto fare anche uno spot pubblicitario con l’esibizione di un iPhone co una custodia dorata): dietro tutto questo c’è una riconversione strategica di come le multinazionali americane vedono l’economia globale.
Apple è un esempio lampante: della Cina non potrà mai fare a meno (è un mercato troppo grande dove in trent’anni Apple ha costruito una piattaforma produttiva colossale), ma vuole ridurre il rischio-Cina geopolitico legato alle tensioni crescenti tra Cina e Stati Uniti.

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Un euro su due finisce in tasse: il cuneo fiscale si mangia gli aumenti

domenica, Aprile 30th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Hai voglia a fare buoni contratti e a spuntare aumenti con due zeri se poi il Fisco se ne mangia una fetta enorme. Anche il 50% stimano i metalmeccanici della Cisl, secondo cui più si contratta salario e più aumentano le tasse. In pratica ogni 10 euro «guardagnati», 5 si volatilizzano. Per cui ora «non basta un piccolo taglio del cuneo fiscale ma occorre ripristinare il recupero del fiscal drag, rivedere le aliquote ed adeguare le detrazioni all’inflazione», sostiene il sindacato.

Il caso più emblematico, secondo uno studio della Fim che La Stampa è un grado di anticipare, è quello dei 69 mila lavoratori del Gruppo Stellantis, di Iveco, CnhI e Ferrai che, sulla base degli importanti aumenti salariali ottenuti per il 2023 e 2024 col recente rinnovo del contratto specifico di lavoro (Ccsl), finiscono per essere ancora più tartassati e spremuti dalla pressione fiscale.

Uno stipendio medio
Se si prende ad esempio il caso di un lavoratore residente a Torino di Stellantis, con un reddito annuo di 30 mila euro, i 207 euro di aumenti mensili in busta paga (ottenuti col recente rinnovo del Ccsl, assieme a 400 euro di una tantum e 200 di flexible benefit) scattati in parte a marzo (119 euro) ed in parte a gennaio 2024 (87,8 euro) vengono tassati al 50% per effetto delle aliquote marginali, del minore impatto delle detrazioni e delle addizionali comunali e regionali alte e progressive. Risultato? Al lavoratore, tolti contributi sociali e tasse, al netto restano in tasca solamente 103,4 euro dei 207 contrattati.

Per il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia «siamo di fronte ad una situazione paradossale e ormai insostenibile. Il ritorno del fiscal drag, che né il governo precedente né quello attuale hanno considerato nelle manovre fiscali, fa sì che più il sindacato difende le buste paga con la contrattazione e più il lavoratore è vessato. La pressione fiscale media che per un metalmeccanico, con un reddito medio è sotto il 25%, si raddoppia ad ogni ulteriore aumento contrattuale» aggiunge il sindacalista, secondo cui «vedere tassati del 50% circa l’11,3% di aumento ottenuto per difendere i lavoratori del Gruppo Stellantis dall’inflazione è incredibile. La dice lunga sugli effetti distorsivi del nostro sistema fiscale che continua a “tosare” sempre di più chi le tasse le paga veramente».

Quanto pesa il taglio del cuneo
E il taglio del cuneo fiscale? A parte il fatto che per il 2024 lo sconto è tutto da confermare, anche perché per farlo servirebbero ben 10 miliardi di euro, quello previsto da maggio secondo l’analisi della Fim-Cisl, questo mese produrrà solo una lievissima attenuazione della crescente pressione fiscale di pochi euro. Prendendo ad esempio una retribuzione media di 30.000 euro, corrispondente a 2.308 euro lordi mensili, col taglio contributivo di due punti (dal 9,49% al 7,49) la retribuzione imponibile mensile è pari a 2.135 euro, 1.778 euro al netto dell’Irpef nazionale che poi diventano 1.721 euro applicando le addizionali locali.

A marzo con l’aumento di 119 euro la retribuzione lorda sale invece a 2.427 euro, ma il netto finale per effetto dei meccanismi fiscali sale invece della metà, 60 euro in tutto, a quota 1.781. Da rilevare dal punto di vista fiscale che con l’aumento di 119 euro mensili, la retribuzione media che prima ricadeva nel secondo scaglione Irpef ricade invece nel terzo scaglione (oltre 28.000 euro di imponibile). Lo stesso vale per le addizionali comunali, dove si passa dal primo scaglione (aliquota dello 0,8%) al secondo (1,1% sopra i 28.000 euro); e per quelle regionali, dove si passa dal secondo (aliquota del 2,13%) al terzo scaglione (aliquota del 2,75%).

Il nuovo sconto sui contributi
A maggio, secondo quanto previsto nel Def, ci sarà il nuovo taglio contributivo al 5,49 che farà scendere da 183 a 133 euro le trattenute con un risparmio di poco più di 49 euro. Parte di questa diminuzione è però erosa dall’aumento dell’imponibile che produce un aumento di tassazione tanto che la retribuzione netta finale aumenta praticamente solo della metà, 25 euro.

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Decreto lavoro, più contratti a termine e voucher per occasionali fino a 15 mila euro

domenica, Aprile 30th, 2023

di Claudia Voltattorni

Decreto lavoro, più contratti a termine e voucher per occasionali fino a 15 mila euro

C’era una volta il decreto dignità. Fortemente voluto nel 2018 dall’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio, modificava il Jobs Act e introduceva nuove regole per i contratti a tempo determinato. Da un lato li accorciava dai 36 ai 24 mesi massimi e riduceva da 5 a 4 le proroghe, ma poi permetteva il rinnovo dopo i primi 12 mesi e per un massimo di altri 12 mesi solo in presenza di alcune causali senza le quali il contratto sarebbe stato trasformato in assunzione definitiva. Una norma criticata perché rischiava di scoraggiare le azienda ad assumere a tempo indeterminato: queste avrebbero preferito, allo scadere dei 24 mesi, rivolgersi a un nuovo dipendente con un nuovo contratto a tempo determinato. lavoro

Contratti più flessibili

Il nuovo decreto Lavoro allo studio del governo, e che lunedì primo maggio arriverà in Consiglio dei ministri, rimette tutto in discussione, in particolare per quanto riguarda i contratti a termine. Le causali dai 12 ai 24 mesi diventeranno più «soft» e saranno legate ai contratti collettivi o aziendali oppure demandate a patti tra datore di lavoro e lavoratore. «Una nuova deregulation che favorisce la precarietà» attacca l’opposizione. Ma secondo la ministra del Lavoro Marina Calderone, «l’obiettivo non è precarizzare ma rendere più fluido e più corretto il singolo adempimento e la gestione dei contratti». le misure

Incentivi e giovani

Ma le novità riguardano anche altro. Per le nuove assunzioni, ai datori di lavoro sono riconosciuti degli incentivi. Quelli per i giovani fino a 30 anni che rientrano nella categoria «neet», cioè che né studenti né lavoratori, durano 12 mesi e valgono per le assunzioni dal primo giugno 2023 a fine anno e pesano per il 60% della retribuzione mensile lorda. Ma l’incentivo viene esteso anche per i contratti di apprendistato e somministrazione. Confermato l’esonero contributivo per l’assunzione nelle regioni del Mezzogiorno e nelle Isole di giovani fino ai 35 anni e disoccupati. Il decreto prevede inoltre un fondo di 10 milioni di euro per il 2023 e di 2 milioni dal 2024 per le famiglie di studenti di scuole e università deceduti (dal primo gennaio 2018) mentre erano impegnati in attività di formazione, come ad esempio l’alternanza scuola-lavoro. il decreto

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Calo demografico? “Bloccare l’età pensionabile”: riparte il tormentone dei sindacati

sabato, Aprile 29th, 2023

di Antonio Mastrapasqua

Ci risiamo. È ripartito il tormentone delle pensioni. La Cisl chiede di riaprire un tavolo di confronto, la Cgil minaccia già scioperi a maggio. Sarà il contagio francese? È bene ricordare che il conflitto scatenatosi Oltralpe si riferisce a norme che non sembrano prevedere correzioni. Le “salvaguardie” per gli “esodati” sembrano vocaboli senza traduzione in francese. È altrettanto opportuno sottolineare che i programmi delle agitazioni annunciate in Italia dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, riguardano tre sabati: il 6, il 13 e il 20 maggio. Nulla a che vedere con la durezza e la ferialità (anche ferinità, forse) dei cugini che protestano e han protestato tutti i giorni della settimana, non solo festivi o prefestivi.


Nei fatti il Documento di economia e finanza (Def) del Governo non indica alcuna risorsa che il Governo dovrebbe stanziare per il superare la legge Fornero. E questo irrita le organizzazioni sindacali. Ma c’è da preoccuparsi? Gli ultimi numeri che si leggono dicono che quasi 3 milioni di nuovi pensionati accederanno alla quiescenza per anzianità, quindi ben prima della soglia tanto vituperata dei 67 anni e rotti. Già oggi, su un totale di 17,7 milioni di pensioni erogate dall’Inps (al primo gennaio 2023) oltre 5 milioni sono di anzianità, o “anticipate”. Con buona pace dei giovani che vedono ingrossare le fila dei titolari di trattamento pensionistico.


ASSISTENZA
Nel solo 2022 l’Inps ha pagato 1.350.222 nuove pensioni, il 46,5% delle quali di natura assistenziale. Di quei 17,7 milioni di pensioni, i tre quarti sono di natura previdenziale (cioè liquidate in base ai contributi versati) e circa 4 milioni (il 22,8%) con una fisionomia assistenziale. Il costo complessivo degli assegni liquidati è di 231 miliardi: 206,6 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali e 24,4 miliardi riconducibili all’assistenza. In questo quadro, che non dovrebbe rassicurare i giovani lavoratori – non dico i trentenni, ma nemmeno i quarantenni – bisogna ricordare l’“inverno demografico” che ci vede con una natalità stabilmente sotto i 400mila neonati l’anno, e un invecchiamento della popolazione che ci pone in cima a ogni classifica (insieme a Giappone e a Principato di Monaco).

USCITA IN DISCUSSIONE
E c’è ancora chi discute della riforma delle pensioni, immaginando di ridurre l’età di uscita. E c’è chi si rifugia in dibattiti politici che poco o nulla hanno a che fare con i dati attuariali. Non solo, molti si avventurano ancora – nel tempo della sacrosanta inclusione – a verificare il colore dei contributi previdenziali, ragionando su chi possa garantire le prossime pensioni. Immigrati sì, immigrati no? Che senso ha? Se ha un senso riguarda solo la polemica politica. Stupisce che in questo vortice di opinioni – di opinioni si tratta – si getti anche chi ha il ruolo del responsabile dell’Amministrazione pubblica che deve assicurare il migliore servizio in base alle leggi dello Stato vigenti.

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Meloni prova a rassicurare gli investitori della City: “Il Pil corre, il Pnrr si farà”

sabato, Aprile 29th, 2023

dal nostro inviato Ilario Lombardo

Nei volti e nelle parole degli analisti e degli uomini della finanza c’è tutto il realismo di una città come Londra. Aspettare, vedere, giudicare. L’Italia è un osservato speciale, ma non c’è un rischio 2011, quando lo spread fece collassare il governo Berlusconi e trascinò il Paese a un passo dal fallimento. Però il futuro come economia credibile a livello globale si gioca tutto con il Pnrr. La crescita dello 0,5% di Pil che autorizza le dichiarazioni trionfanti nel governo, è una buona notizia, ma non è abbastanza. È il Recovery la chiave, sostengono gli investitori: la realizzazione dei progetti negoziati con l’Europa. Almeno così sembra raccogliendo sensazioni e previsioni durante il ricevimento all’Ambasciata italiana di Grosvenor Square dedicato alla visita di Giorgia Meloni.

Ci sono circa 400 invitati tra imprenditori, Camera di commercio locale, aziende dell’agroalimentare. Ci sono anche banche d’affari, fondi e rappresentanti del mondo della finanza – Black Rock, Lazard, Hsbc -, e si intravedono facce più o meno conosciute: Lorenzo Codogno, ex capo economista al Tesoro, oggi analista; Domenico Siniscalco, vice chairman di Morgan Stanley Europa, rimasto per settimane in cima al totonomi per il ministero dell’Economia del governo Meloni; Filippo Taddei, ex consigliere economico di Palazzo Chigi ai tempi di Matteo Renzi, oggi capo economista per il Sud Europa di Goldman Sachs, la banca d’affari che ha appena bocciato i titoli di Stato italiani; Matteo Cominetta di Barings, società di investimento, con un portafogli di oltre 387 miliardi di euro. Non è un incontro con la City, di quelli che si organizzano con premier o ministri quando c’è da rassicurare i mercati, ristretti a poche persone. «Non ce n’è bisogno», precisano da Palazzo Chigi. Non ci sono colloqui bilaterali, o confronti a margine con Meloni.

Il bilancio personale dei due giorni londinesi della premier è un debutto di successo nel cuore dei conservatori. Il bilaterale con il primo ministro inglese Rishi Sunak è andato bene, e ieri la presidente del Consiglio ha anche ricevuto il Premio Grotius del Policy Exchange, think thank di ispirazione Tory. Con lei ci sono il compagno Andrea Giambruno e la figlia Ginevra: resteranno nella capitale inglese ancora un giorno, per una brevissima vacanza. Tra gli italiani presenti in Ambasciata c’è curiosità per una leader che ancora una parte del Regno Unito considera un’estremista post-fascista.

Alla finanza interessano poco queste letture politiche. Il ragionamento è più pragmatico: il vero appuntamento per l’Italia sarà il rapporto sul Pnrr a fine giugno, lo stato di avanzamento dei lavori e i progetti rivisti. La revisione è in ritardo e gli avvertimenti di Goldman Sachs e dell’agenzia di rating Moody’s sono solo i primi segnali di allarme. La sostenibilità di un debito enorme e l’appeal dei titoli di Stato dipendono anche dalla riforma del Patto di Stabilità e della ratifica sul Mes, che Meloni continua a rinviare. Questa è in sintesi l’analisi delgi investitori di casa a Londra. Tutto si tiene, sotto la più importante sfida per l’Italia: il Pnrr. Giriamo i dubbi degli investitori alla presidente del Consiglio, che però la vede diversamente. «Questa preoccupazione dei mercati finanziari non la leggo. Io vedo uno spread sotto la media dello scorso anno, la borsa che sale, una previsione di crescita del Pil più alta di Francia e Germania e di quel che era stato previsto. I fatti dicono che l’economia italiana sta andando bene. È questo che guardano i mercati». I fatti, secondo Meloni, sono la stima Istat sul Pil del primo trimestre (+0,5% sul trimestre precedente e +1,8% tendenziale), il confronto con il Pil tedesco che è fermo, e con la crescita francese che non va oltre lo 0,2%. «Non si può sempre fare il Tafazzi anche quando le cose vanno bene».

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Salari, l’Italia ultima in Europa: respirano solo i dipendenti dei ministeri

sabato, Aprile 29th, 2023

Francesco Bertolino

Le banche centrali sono preoccupate che la rincorsa fra prezzi e salari alimenti l’inflazione in Europa. In Italia possono stare tranquille: la gara non è mai cominciata.

Fra gennaio e marzo la retribuzione oraria media è aumentata del 2,2% rispetto al 2022. Nello stesso periodo i prezzi al consumo sono cresciuti dell’8,2%. Una forbice del 6% che taglia il potere d’acquisto. Quando il tasso d’inflazione è superiore agli incrementi delle buste paga, infatti, significa che il costo della vita sta salendo più in fretta della capacità di spesa. E in Italia il distacco sta aumentando. L’anno scorso il compenso orario medio è cresciuto del 2,3% in Italia, il dato più basso dell’Unione europea, e nell’arco del triennio 2019 e 2022 l’incremento è stato inferiore al 3%.

Stando alle analisi dell’Ocse, così, i salari reali in Italia sono calati di oltre il 2% in un anno. Il dato non è lontano da quello registrato in altri Paesi europei che, anzi, in alcuni casi hanno fatto peggio. Altrove, però, la rincorsa è iniziata. In Germania, per esempio, governo e sindacati hanno appena raggiunto un accordo per alzare gli stipendi dei dipendenti statali in media del 5,5%, accordando loro anche un bonus una tantum anti-inflazione di 3000 euro. In Francia, invece, l’adeguamento automatico del salario minimo sta trascinando al rialzo le retribuzioni.

In Italia, assenti meccanismi di indicizzazione all’inflazione, gran parte degli stipendi sono fermi al palo. «C’è un problema salariale grande come una casa», ha tuonato il segretario della Cgil, Maurizio Landini.«Abbiamo avanzato delle richieste precise» al governo. «C’è bisogno di ridurre di cinque punti il cuneo contributivo, di ripristinare il fiscal drag per far sì che gli aumenti lordi corrispondano agli aumenti netti e non siano mangiati dalle aliquote fiscale», ha aggiunto. «Poi c’è un problema di tassare la rendita e i profitti e di ridistribuirli e di fare una seria riforma fiscale».

Landini ha infine sottolineato la necessità di rinnovare al più presto gli accordi collettivi che, in mancanza del salario minimo, sono il principale strumento di aggiornamento retributivo. «Il Governo, che è il datore di lavoro, non ha messo un euro per rinnovare i contratti del settore pubblico, ha concluso. «E così non si va da nessuna parte».

I dipendenti pubblici non sono gli unici a sperare in un nuovo accordo collettivo che consenta il recupero di almeno parte del potere di acquisto perso negli ultimi tempi. La Cgil calcola che a marzo dei 188 contratti firmati dalle sigle Confederali 112 risultano attualmente scaduti, il 61%. Nel complesso, 7 milioni di lavoratori italiani sono in attesa di un rinnovo, un’attesa che si protrae in media per quasi due anni ma che per un quarto dei contratti supera i quattro anni. Spesso si tratta di categorie di lavoratori poco sindacalizzate o attive in settore in crisi, dove il potere negoziale delle maestranze è inferiore. Secondo l’Istat, i lavoratori di edilizia,commercio, farmacie private, pubblici esercizi e alberghiI non hanno ottenuto incrementi salariali nellnell’ultimo anno. Hanno invece beneficiato di incrementi significativi i vigili del fuoco (+11,7%), dipendenti dei ministeri (+9,3%) e del servizio sanitario nazionale (+6,4%).

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Giorgetti: «Con queste regole europee dovremo rivedere anche gli investimenti»

giovedì, Aprile 27th, 2023

di Federico Fubini

Giorgetti: «Con queste regole europee dovremo rivedere anche gli investimenti»

Giancarlo Giorgetti non è sorpreso. Sapeva da quando ha accettato l’incarico che, come ministro dell’Economia, avrebbe governato un cambio di stagione. Sono finiti gli anni sull’orlo della deflazione e quelli della pandemia, che avevano portato la Banca centrale europea a sostenere il debito dell’Italia. Si spera siano nel passato anche gli choc — il Covid stesso, la crisi energetica — che avevano indotto a sospendere le regole di bilancio europee. Quella fase era stata dura, certo. Ma ora Giorgetti dovrà navigare in tempi normali – senza sostegni dall’esterno – con un’economia e specialmente un debito pubblico che sono tutto salvo che normali. Il sistema Italia era fragile e lo resta: anche ora che le regole di bilancio europee stanno per tornare.

La reazione

Per questo la reazione del ministro alla proposta della Commissione è a tre stadi. C’è sicuramente del disappunto perché gli investimenti del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) non risultano esentati, né il loro peso è mitigato, nella valutazione dei conti pubblici. Il commento di Giorgetti alla proposta della Commissione è stato immediato: «È un passo avanti – ha detto a caldo – ma noi avevamo chiesto l’esclusione delle spese d’investimento, incluse quelle tipiche del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul digitale e la transizione verde, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è». La proposta

Il flusso delle informazioni da Bruxelles

Poi però, con il flusso delle informazioni da Bruxelles e l’esame dei documenti, il ministro ha iniziato a mostrare anche dell’irritazione e soprattutto una dose massiccia di realismo. Quest’ultimo è legato al fatto che l’inevitabile compromesso fra le posizioni di diverse nelle capitali non renderà morbidissimi i nuovi vincoli. Dice il ministro: «Il nuovo Patto di stabilità impone una rigorosa revisione della spesa (pubblica, ndr), di tutta la spesa, compresi gli investimenti». Il perché è nelle regole proposte da Bruxelles e, almeno queste, ben viste a Berlino: in base ad esse la spesa pubblica potrà crescere percentualmente negli anni a venire, in sostanza, meno di quanto sia cresciuta l’intera economia negli anni passati; e poiché l’Italia quasi non è cresciuta nell’ultimo decennio, la spesa dovrebbe restare molto compressa e servirebbero tagli su altre voci se si volessero fare investimenti. Giorgetti osserva: «La spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del Pnrr che hanno un impatto sugli obiettivi». In altri termini, quelli basati su prestiti europei (per circa 120 miliardi di euro) che entrano nel debito pubblico.

Non rinunciare ai prestiti europei

Questo però per il ministro non significa rinunciare ai prestiti europei. Piuttosto Giorgetti non vuole più casi della categoria dello stadio di Firenze, cioè a basso moltiplicatore di crescita futura. «Si tratta di riconsiderare i programmi, di ripassarli al setaccio e eventualmente riallocare le risorse su quelli realmente in grado di aumentare il potenziale produttivo del Paese». Esempi virtuosi? «I programmi di RePowerEU», i piani di transizione e indipendenza energetica che il governo presenterà tra poche settimane a Bruxelles. Poi però nel ministro c’è anche dell’irritazione, ma non per il contenuto dei documenti ufficiali. È per le voci da Bruxelles che, se passasse questa proposta, accreditano per l’Italia un cammino preciso: correzioni nette di bilancio da 0,85% del prodotto lordo all’anno (16 miliardi di euro ai valori del 2022) per stare nelle regole con programmi di risanamento quadriennali; o correzioni da 0,45% (8,5 miliardi) per stare nelle regole con programmi magari su sette anni, che però implicano un percorso preciso di riforme e investimenti. La logica di Bruxelles è che quella stretta da 0,85% del Pil all’anno sarebbe quanto serve all’Italia per risanare fino al punto in cui il debito inizia a scendere da solo, senza nuovi sacrifici. Quegli interventi porterebbero il surplus primario di bilancio – quello prima di pagare gli interessi – così in alto da tagliare il debito rispetto al Pil ogni anno. il piano

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Reddito di cittadinanza, arriva la stretta: in bilico Gal e Pal, i sussidi per gli «occupabili»

mercoledì, Aprile 26th, 2023

di Enrico Marro

Reddito di cittadinanza, arriva la stretta: in bilico Gal e Pal, i  sussidi   per gli «occupabili»

Nemmeno l’ultima bozza di riforma del Reddito di cittadinanza è chiusa. Palazzo Chigi considera il testo messo a punto sotto la regia della ministra del Lavoro, Elvira Calderone, ancora morbido e spinge per togliere del tutto o quantomeno stringere ancora le norme sulla Gal, Garanzia per l’attivazione lavorativa, cioè la prestazione da 350 euro al mese per i cosiddetti occupabili.
La riforma del Reddito dovrebbe far parte del menù del consiglio dei ministri che Giorgia Meloni ha convocato, con un colpo a effetto, il primo maggio, festa del lavoro. Obiettivi della premier: annunciare un nuovo taglio del cuneo fiscale sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi; smontare il decreto legge Dignità, rendendo più facile per le imprese assumere a termine; abolire il Reddito di cittadinanza e sostituirlo con un sussidio per le famiglie povere non accessibile a single e coppie abili al lavoro.

La Gal

Per gli occupabili l’ultima bozza prevede una prestazione ad hoc, la Gal appunto, di appena 350 euro al mese, al massimo per 12 mesi non ripetibili, contro i 500 euro più eventuali 280 euro per l’affitto previsti per il sussidio ordinario di povertà, ribattezzato Gil, Garanzia per l’inclusione, che inoltre ha una durata massima di 18 mesi ripetibili. Ma anche la Gal non soddisfa Palazzo Chigi, dove la linea è sempre stata: «Niente sussidio a chi può lavorare».

L’idea iniziale, infilata nella legge di Bilancio, era che gli occupabili sarebbero stati coinvolti in corsi di formazione per aiutarli a trovare un lavoro quando, da agosto, cesserà per loro il Reddito di cittadinanza. Ma il piano è fallito. Che fare allora? Meloni e il sottosegretario alla presidenza, Giovanbattista Fazzolari, non vogliono più correre il rischio di erogare la Gal a occupabili che stanno sul divano. Di qui la tentazione di far saltare la Gal. Del resto, secondo i falchi, i potenziali richiedenti la Gal, che la bozza di relazione tecnica stima in 426 mila nel 2024, in realtà spesso un lavoro ce l’hanno, ma in nero e finora lo hanno cumulato illecitamente con il Reddito di cittadinanza.

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