Aumento degli stipendi al Csm. Nell’ordine del giorno della seduta odierna del plenum dell’organo che governa la magistratura, compare una proposta di «adeguamenti delle indennità e degli altri emolumenti».
La
riforma Cartabia, approvata lo scorso anno, aveva previsto un taglio di
circa 60 mila euro annui ai consiglieri togati (magistrati eletti dai
colleghi) e di circa 100 mila euro annui a quelli laici, eletti dal
Parlamento. In particolare, la legge impone anche al Csm il tetto
massimo di 240mila euro annui onnicomprensivi, sterilizzando così i
rimborsi spese e i gettoni di presenza per le sedute delle commissioni e
del plenum, che contribuivano a rimpinguare fin quasi a raddoppiare lo
stipendio base, oscillante tra 140mila e 180mila euro circa.
L’effetto si è visto subito nel nuovo Csm, con una riduzione delle sedute di commissione e di plenum.
Ora
il Csm corre ai ripari. Lo strumento tecnico è l’adeguamento delle
indennità all’inflazione. La delibera proposta dal comitato di
presidenza fa presente che le voci erano bloccate dal 2010 e che si è
scelto un aumento del 7 per cento, anziché dell’11% come pure possibile
calcolando la dinamica del costo della vita.
Ecco l’effetto, in concreto.
L’indennità
di seduta, dovuta per ogni seduta del plenum, passa da 297 a 320 euro;
per ogni seduta del comitato di presidenza da 184 a 200 euro; della
sezione disciplinare da 366 a 400 euro. A volte queste indennità vengono
calcolate per due sedute giornaliere.
Un vicepresidente del Csm espressione del centrodestra. Il
successore del dem David Ermini è Fabio Pinelli, avvocato eletto in
Parlamento in quota Lega e votato dall’Aula, una settimana fa, tra i
dieci componenti laici dell’organo di autogoverno della magistratura con
516 voti. Dal plenum di Palazzo dei Marescialli, ieri, di voti ne ha
presi invece 17 al terzo scrutinio, quello decisivo.
Solo secondo
Roberto Romboli, costituzionalista pisano vicino al Pd e favoritissimo
alla vigilia, che il 18 gennaio era stato il membro laico più votato
dall’Aula. Proprio per questo Romboli si era ritrovato tra i tre
componenti della Commissione verifica titoli del Csm e aveva potuto
giudicare se il suo status di pensionato fosse o meno una condizione di
ineleggibilità, come qualcuno sosteneva. La Commissione ha escluso
qualsiasi condizione di ineleggibilità e il plenum ha approvato la
delibera che dava luce verde a Romboli, con il solo voto contrario del
più «anti-correnti» e «anti-sistema» dei componenti togati, Andrea
Mirenda. Poi il voto, e la sorpresa.
Come
detto, un vicepresidente di centrodestra a Palazzo dei Marescialli è un
elemento inedito: Michele Vietti fu scelto nel 2010 in quota Udc, ma il
partito di Casini in quel periodo era in fredda con il Pdl e lo stesso
Vietti venne eletto proprio perché non considerato organico al
centrodestra. «Orienterò ogni mio comportamento nell’interesse del Paese
con la guida e il faro del presidente della Repubblica», ha commentato
Pinelli dopo la sua elezione, spiegando di essere «onorato dell’incarico
e del ruolo che mi avete riconosciuto. Una grande emozione. Una
gravosissima responsabilità». L’auspicio, ha proseguito il nuovo
vicepresidente, è cercare «di essere credibili, trasparenti, mai obliqui
nell’interesse del Paese». Un pensiero lo ha rivolto anche al
Carroccio: «Ringrazio la parte politica che ha ritenuto di poter
spendere e investire con una candidatura in Parlamento su una figura non
politica e indipendente».
Il panico che la fine di un’epoca sta seminando nelle file della
magistratura organizzata è tale che saltano anche le regole elementari
del vivere civile e del rispetto reciproco. Così va a finire che Maria
Luisa Savoia, giudice milanese di prestigio indiscusso, esponente della
corrente di Area, colpevole di volersi candidare al Consiglio superiore
della magistratura senza la benedizione della sua corrente, venga
accusata di trasformismo sulle chat interne in modo inurbano: «A te la
Gelmini ti fa un baffo» (ma il termine è assai più greve ndr)».
Così
i vertici delle correnti spesso si sono trovati spiazzati dalla rivolta
delle basi. Eclatante il caso di Milano dove Area, la corrente di
sinistra che da anni è egemone nel capoluogo lombardo, si è spaccata ,
con gli iscritti che rifiutavano le decisioni dei capi. La candidatura
autonoma della Savoia, quella che le ha meritato il paragone
(ingiurioso, almeno nelle intenzioni) con Maristella Gelmini nasce così,
e così pure quella del pm Roberto Fontana, altra figura storica di Md
Venerdì scorso è arrivato al nord a incontrare la «base» Mario Palazzi,
il pm romano che è il candidato di punta della sinistra. Ma non ha
trovato una buona accoglienza, molti la considerano una candidatura
obbligata perchè quattro anni fa Palazzi fu costretto a cedere il posto a
un altro big, Giuseppe Cascini, poi emerso anche lui nei messaggini di
Palamara. «Io votare Palazzi? Non ci penso nemmeno», diceva a margine
della riunione un militante solitamente taciturno. E anche questo dà il
segno dell’aria che tira.
Nella riforma Cartabia ci sono algoritmi surreali a base di recupero di resti e robe simili per cui in queste settimane le correnti studiano giorno e notte come indirizzare i voti, dove conviene vincere, dove è meglio perdere. Insieme ai correntoni, in gara ci sono i «piccoli»: gli ex davighiani, gli antisistema di Articoli 101, c’è persino un «listino Ferri», che si richiama al parlamentare di Azione (e magistrato in aspettativa) Cosimo Ferri. Il problema è che mentre nell’era ante-Palamara i voti correntizi erano governati più militarmente che nella Dc di Antonio Gava, oggi il magistrato-massa, stanco e sfiduciato, vota chi gli pare. Se c’è una corrente in grado di indirizzare con precisione buona parte dei suoi voti è Magistratura Indipendente, cioè la destra.
E adesso, improvvisamente, i magistrati si scoprono fan della libertà di informazione. Si tratta degli stessi magistrati che – con poche, lodevoli eccezioni – fino a ieri amavano così tanto i diritti della stampa da querelare ad ogni piè sospinto chi osasse anche timidamente criticarli. E che oggi invece in convegni e interviste si preoccupano delle esigenze dell’informazione messe a rischio dal decreto legislativo che l’8 novembre scorso ha cercato di riportare un po’ di civiltà nei rapporti tra giustizia e informazione. Un decreto cui l’Italia era obbligata da una direttiva europea, ma che secondo le toghe è andato ben oltre il mandato di Bruxelles. In realtà il decreto dice poche e in fondo banali cose: che le notizie degli arresti e di quant’altro le può dare solo il capo della Procura, e che non può darle in corridoio o chiacchierando con questo o quel cronista, ma con una conferenza stampa o con un comunicato; che può farlo solo se la notizia ha rilievo pubblico; e che dando la notizia si dovrà rispettare il criterio costituzionale della presunzione di innocenza, quella buffa cosa per cui un malcapitato ha diritto di non essere considerato colpevole finché non lo si dimostra: in un processo, e non in un mandato di cattura o in un talk show. Sono misure così ovvie da rendere fondato il timore che cambierà poco: chi ama spifferare lo scoop al reporter contiguo continuerà a farlo, perché in 75 anni di repubblica non un solo magistrato è stato condannato per fuga di notizie; e il tributo alla presunzione di innocenza diventerà un vezzo formale, un preambolo di prammatica alle conferenze stampa; esaurito questo fastidio, per la serie «Bruto è un uomo d’onore», si tornerà a presentare come prove quelle che nessun giudice ha ancora ritenuto tali, e a offrire in pasto all’opinione pubblica semplici indagati. Il decreto appartiene insomma a quella cerchia di norme nobili e inutili su cui in genere nessuno storce il naso.
Credibili, capaci di riscuotere fiducia, senza ombre e sospetti.
Così il capo dello Stato vorrebbe i giudici. E pronti ad affrontare le
proprie responsabilità. Ma chi sbaglia paga? I magistrati che commettono
reati affrontano i tre gradi di giudizio, come tutti i cittadini. Ma
nel frattempo è il
Consiglio Superiore della Magistratura a decidere se trasferirli,
sospenderli, radiarli, o lasciarli al loro posto fino a sentenza
definitiva. Ed è sempre il Csm a decidere se, e come sanzionare i comportamenti che non onorano la toga. Vediamo come funziona il sistema.
La sospensione da funzioni e stipendio è obbligatoria solo in caso di arresto.
È facoltativa, invece, per chi è sotto procedimento penale. Il ministro
o il Procuratore Generale la devono chiedere, ma non sempre lo fanno, e
il Csm la può comunque revocare. Così c’è chi, anche con accuse gravi
pendenti, continua ad esercitare. Come Maurizio Musco, pm di Siracusa, accusato di favorire nelle indagini l’amico avvocato sbroglia-faccende Piero Amara e i suoi amici. Il Guardasigilli Paola Severino ne aveva chiesto e ottenuto «con urgenza» il trasferimento cautelare a Palermo già a fine 2011.
Ma nel 2014 il gup lo assolve, la procura fa ricorso e il Csm lo
rimanda a Siracusa, dove 8 magistrati su 11 denunciano il «rischio di
inquinamento dell’azione della procura». Musco viene ritrasferito, a
Sassari. Intanto fioccano le condanne in Appello, in Tribunale a
Messina, alla Corte dei conti. Il Csm lo radia solo nel 2019. La
Cassazione conferma nel 2020. In quegli otto anni Musco ha continuato a processare gli altri. O
come Ferdinando Esposito, accusato di pressioni improprie fatte tra il
2012 e il 2014 per avere un attico a due passi dal Duomo di Milano a
canone stracciato. Per lui, figlio di Antonio Esposito, che condannò Silvio Berlusconi, ci fu solo il trasferimento per abuso di potere.
Chi avrebbe potuto chiederne la sospensione da funzioni e stipendio era
la procura generale di Cassazione, a capo della quale, fino al 2012
c’era lo zio Vitaliano. Non lo fece. Ferdinando Esposito ha esercitato fino alla radiazione, avvenuta tre mesi fa.
Il ruolo di quell’ufficio è cruciale. Se una pratica arriva istruita
male il Csm non può che archiviare. Per questo dovrebbero esserci
magistrati senza ombre. Ecco perché ha fatto scalpore che il
pg Mario Fresa dopo aver sferrato, durante il lockdown, un pugno alla
moglie causandole un «vistoso ematoma sull’arcata sopracciliare» non sia stato trasferito dal Csm lo scorso 19 maggio (9 voti pro, 8 contro, 8 astenuti). Lei ritira la querela e ritratta.
Continua la pioggia di autosospensioni di consiglieri del Csm coinvolti nella bufera seguita all’inchiesta di Perugia che vede indagato per corruzione l’ex presidente Anm, Luca Palamara.
Gli ultimi due nomi ad aggiungersi alla lista sono quelli del
presidente della Commissione Direttivi Gianlugi Morlini (Unicost)e dei
consiglieri Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni e Antonio Lepre. Il
vicepresidente del Csm David Ermini: “Serve riscatto o saremo perduti”.