Archive for the ‘Editoriali – Opinioni’ Category

Xi vuole Taiwan Ma non è gradito

giovedì, Aprile 6th, 2023

di Danilo Taino

Il partito ora al governo, il Dpp della presidente Tsai, ha abbandonato l’idea di una Cina sola e sostiene lo status quo di Taiwan indipendente di fatto, non potendo puntare a formalizzare l’indipendenza perché ciò provocherebbe l’invasione da parte della Cina.

I taiwanesi favorevoli all’unificazione con la Cina erano il 15,9% del totale della popolazione nel 2018. Alla fine del 2022 sono scesi al 7,2%: l’1,2% la vorrebbe «il più presto possibile», il 6% ritiene che sarebbe bene mantenere, per ora, lo status quo e nel frattempo muoversi per preparare nel tempo l’abbraccio a Pechino. Il resto — a parte un 5,6% di cittadini dell’isola che non risponde — non vuole rinunciare alla migliore democrazia dell’Asia per finire sotto il controllo del Partito Comunista di Xi Jinping. In questo momento, le opinioni degli abitanti di Taiwan sui rapporti da tenere con il vicino sono ancora più importanti del solito. La presidente del Paese Tsai Ing-wen ha incontrato ieri in California lo speaker della Camera dei Rappresentanti Usa Kevin McCarthty e altri membri del Congresso. Pechino ritiene che il governo di Taipei non abbia diritto di avere rapporti con politici di alto livello di Paesi, come gli Stati Uniti, che hanno accettato il principio di Cina Unica e che non riconoscono l’isola come Nazione indipendente. Quindi minaccia «misure risolute» in risposta all’incontro californiano: sono già iniziate ieri, vedremo come si svilupperanno.

La questione è ancora più rilevante perché all’inizio del 2024 si terranno le elezioni presidenziali a Taiwan e il governo cinese sta già operando affinché le vinca il Kuomintang, il partito taiwanese più gradito a Pechino, sostenitore esso stesso dell’idea di Cina Unica. Il partito ora al governo, il Dpp della presidente Tsai, ha invece abbandonato l’idea di una Cina sola e sostiene lo status quo di Taiwan indipendente di fatto, non potendo puntare a formalizzare l’indipendenza perché ciò provocherebbe l’invasione da parte della Cina. L’Election Study Center di Taiwan conduce un sondaggio di opinioni dal 1994, quando il 20% della popolazione era favorevole all’unificazione.

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Il rischio diaspora tra gli azzurri

giovedì, Aprile 6th, 2023

Marcello Sorgi

Senza nulla togliere – anzi, aggiungendosi – al coro di auguri levatisi anche dai più acerrimi avversari di Berlusconi, si può dire che il ricovero del Cavaliere al San Raffaele, il secondo in pochi giorni, ha rinfocolato nelle chiacchiere di corridoio a Montecitorio l’interrogativo su cosa sarebbe di Forza Italia, non nel caso in cui il leader venisse a mancare, ma anche se dovesse accentuarsi la forzata assenza a cui è costretto da oltre un anno.

Negli ultimi tempi c’è stato chi ha messo in dubbio la reale convinzione con cui il Fondatore avrebbe pilotato l’accostamento filogovernativo del suo partito, voluto in realtà – s’è detto – dai figli Marina e Piersilvio, soprattutto dalla prima, che avrebbe costruito uno stretto rapporto personale con la premier Meloni. Quanto ci sia di politico e quanto di aziendale nella svolta, non è neppure il caso di chiederselo: si sa che la politica di Forza Italia è sempre stata un mix di questi due elementi, che possono coincidere o essere divergenti, in rari casi, ma tendono sempre a sovrapporsi.

Il nome di Marina Berlusconi è già venuto alla ribalta altre volte, in tema di successione. E non c’è dubbio che in un momento in cui è donna la presidente del consiglio e donna la leader del principale partito d’opposizione, l’ingresso in scena di una terza first lady, con cognome e personalità forti e curriculum manageriale di tutto rispetto, non potrebbe che essere incoraggiata dalle circostanze: se lei volesse, e non è affatto detto che lo voglia, Marina insomma potrebbe accompagnare l’ultima fase del regno del padre come in parte sta già facendo, insieme alla compagna Marta Fascina, in attesa di prenderne il posto.

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La libertà non deve farci paura

mercoledì, Aprile 5th, 2023

Elena Stancanelli

Se avessi desiderio di pensare l’immaginario italiano, se ritenessi utili degli Stati italiani della cultura nazionale, se dunque partecipassi al convegno che si svolgerà domani all’Hotel Quirinale accanto, tra gli altri, al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, inizierei senz’altro dalle parole del sindaco di Rimini. Usate in risposta alla cancellazione del murales (che era stato autorizzato) nella sua città: “Le sentinelle della libertà hanno provveduto alla liberazione di Rimini passando una mano di vernice bianca sul murale di via Savonarola. Savonarola non a caso: c’è sempre un rogo, o un pennello che censura e cancella, nella testa degli intolleranti e dei violenti. Quelli che tra loro si chiamano difensori sempre di qualcosa: della città, del buongusto, del genere, della razza, della bellezza (la loro) contro il brutto (degli altri). Umana pietà per queste povere persone, per la vita che fanno: il bianco della loro vernice è l’assenza di colore della loro vita… senza pensare che l’opera di cancellazione è inutile non tanto e non solo perché comunque un altro murale verrà, ma perché con questo “atto” hanno per sempre reso immortale l’uomo che allatta. Volendo toglierlo dalla quotidianità lo hanno direttamente elevato alla permanenza permanente”. Al convegno sopra citato, dove ci si interrogherà sui fondamenti della cultura del nostro paese, riterrei cruciale ricordare, come ha fatto il sindaco, Girolamo Savonarola. Ribadire con forza che fondamento della nostra cultura è il rifiuto per l’intolleranza e la violenza, proprio perché siamo stati intolleranti e violenti e corriamo il rischio di tornare a esserlo. Così come, per definire l’immaginario italiano, userei senza alcun dubbio le parole con cui stigmatizza chi difende le proprie idee in modo violento e intollerante. Noi (italiani) non siamo, o non vogliamo essere, quelli che trasformano tutto in una crociata, che pensano “se non piace a noi è brutto, se offende noi è offensivo, se si scosta dal nostro modello è sbagliato”.

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La pantomima di Ignazio

martedì, Aprile 4th, 2023

Gian Carlo Caselli

Come magistrato, dovendomi occupare – in tempi e circostanze molto diversi – di terrorismo rosso e di violenze riferibili a frange No Tav, sono stato tacciato da qualche disinvolto benpensante di essere “fascista”. Un’accusa falsa e oltraggiosa. Ovviamente sempre respinta.

Una situazione simile, ancorché rovesciata, sembra profilarsi oggi quando i protagonisti di certe performance sono indicati come fascisti, post o tout court. Definizione che molti di costoro vorrebbero ancora rivendicare ufficialmente perché in effetti le loro radici politico-culturali affondano nel Ventennio e nella Fiamma. Ma non possono permetterselo se non togliendo spazio alla strategia – molto apprezzata nella loro area – del revisionismo fittizio (editoriale di Massimo Giannini di domenica scorsa), che ha come obiettivo di riscrivere la storia (e la Costituzione) passando per la cancellazione di ogni differenza tra fascismo e antifascismo. Un corto circuito, un letto di Procuste non facile da gestire per i nostalgici. E qualcuno può anche sbarellare.

Ad esempio proclamando che l’azione partigiana di via Rasella del 23 marzo 1944 non colpì soldati nazisti delle SS ma semi-pensionati di una banda musicale. Per di più mimando, due volte, il gesto di chi suona una chitarra (neanche una tromba o un tamburo…), come documenta la registrazione della boutade. Alla quale è poi seguita la rettifica che sì, erano nazisti; accompagnata però da una precisazione che peggiora le cose: la notizia della banda musicale non si sa se fosse errata, ma è stata presa per buona in quanto più volte pubblicata. Mentre è evidente che per avventurarsi in certe ricostruzioni servono dati precisi e non confusi ricordi tratti magari da qualche vecchio opuscolo del Fronte della Gioventù.

Il protagonista di questa singolare pantomima (si sa) è nientemeno che la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa. Per cui non si tratta di polvere che si possa nascondere sotto un tappeto (tanto più se c’è il precedente di un busto del Duce a lungo ostentato in casa a mo’ di prezioso souvenir, poi traslocato dalla sorella). Certamente è difficile anche solo ipotizzare qualche possibile rimedio.

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La destra di governo e il dilemma delle nomine

martedì, Aprile 4th, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

La maggioranza deve decidere se vuole rappresentare solo il potere oppure essere un autentico motore di cambiamento. E i cambiamenti cominciano dalle idee

È quando la destra di governo si accinge al cruciale compito delle nomine che emerge una delle sue più gravi debolezze: non aver visto un numero sufficiente di puntate di Downton Abbey, privandosi così della possibilità di approfondire la differenza che passa tra un maggiordomo e un cameriere.

Una differenza decisiva. Come infatti sa ogni spettatore della fiction inglese, il signor Carson, il maggiordomo al servizio della nobile famiglia Crawley, è chiamato, sì,a sovrintendere al buon andamento quotidiano di tutte le faccende domestiche, ma in realtà egli ha di mira sempre e solo una cosa innanzi tutto: tenere alto il prestigio della casata e dei suoi padroni. Questa è la sua vera funzione: badare in ogni circostanza che il loro nome non venga offuscato dalla minima ombra, prevenire l’eventualità che un qualunque disguido, un qualunque incidente o malaccortezza leda l’immagine e la fama della casata. E in tal modo accrescerne il prestigio.

Il signor Carson non è un dipendente incaricato di un servizio, insomma. È il custode di un rango (cioè di una tradizione, di uno stile, di un’idea). Compiere i vari servizi, obbedire e servire è invece cosa dei camerieri. Degnissime persone, intendiamoci. C’è una nobiltà nel servire, ha scritto Thomas Mann, che solo i poveri di spirito non riescono a comprendere: ma per l’appunto il compito di chi serve è quello di eseguire quanto altri ha deciso, non di prendere iniziative e di rappresentare un’idea.

Ora, quando chi governa deve procedere a nominare qualcuno per un incarico pubblico si trova per l’appunto di fronte a questa scelta: designare un maggiordomo o un cameriere? Cioè da un lato una persona che in maniera indipendente e creativa si cali nel suo ruolo, che si faccia carico dei valori e della prospettiva politica generale di chi lo nomina mettendo le proprie competenze al servizio di quei valori e di quella politica perché crede in essi, pur se comunque è deciso a mantenere una propria autonoma sfera di giudizio e soprattutto di decisione. Dall’altro lato, invece, una persona forse anche capace ma soprattutto disposta a seguire le indicazioni di chi lo ha nominato: quindi un puro esecutore, una persona dalle convinzioni presumibilmente non fermissime e in ogni caso pronta a rinunciarvi.

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È già cominciato lo scaricabarile

lunedì, Aprile 3rd, 2023

Alessandro De Angelis

Partiamo dal Pnrr, e l’elenco delle scuse è già piuttosto consistente. L’ultima, di Giovanbattista Fazzolari, detto “l’ideologo”, è che la colpa dei ritardi è del Conte 2, perché il piano «è stato fatto frettolosamente». La penultima, di Giancarlo Giorgetti è che invece vanno addebitati alla pubblica amministrazione, grande classico per tutte le stagioni. Per Matteo Salvini, prima ancora, la causa è l’inflazione, sebbene fosse già alta quando, con Draghi, il cronoprogramma era rispettato. E nessuno, appena insediatosi, lanciò l’allarme. Nemmeno Raffaele Fitto, che adesso chiama in causa l’eredità di Draghi, pur essendo stata smantellata la governance di quella stagione, a vantaggio di una “struttura di missione” che fa capo al suo ministero dove confluiranno, oltre agli attuali, anche un’altra cinquantina di tecnici. Peccato: il decreto per vararla non è ancora stato convertito dal Parlamento. E speriamo che i nuovi responsabili non abbiano bisogno di un periodo di apprendistato per capire dove mettere le mani. Poi però Giorgia Meloni ha chiamato il suo predecessore, lasciando intendere che il problema non è l’eredità, ma la solita Europa, nonostante Gentiloni sulla rinegoziazione degli obiettivi stia dando una mano, oltre il possibile, al governo italiano. Intanto, di rinvio in rinvio, non si risolve ancora nemmeno la questione dei balneari e della concorrenza. E qui è complicato pure accampare pretesti.

E se cambiamo argomento, passando all’immigrazione, seconda grande emergenza sul tavolo, il metodo è lo stesso. L’ultima, di Matteo Piantedosi, è che la colpa è dell’«opinione pubblica» italiana, troppo favorevole ai migranti. E, almeno in termini di decenza, è un po’ meglio della prima, quando lo stesso ministro aveva dato la colpa ai morti per essere morti, in quando «la disperazione non giustifica le partenze». In mezzo c’è stato l’allarme sui 900 mila arrivi dalla Tunisia, cifra che non si capisce da dove esca. Poi la Wagner data in pasto all’opinione pubblica al posto di Soros. Prima ancora gli scafisti, contro cui fu annunciata una caccia per tutto l’orbe terraqueo con il codice penale inasprito in mano. Incredibile: non si sono spaventati. In totale assenza di una politica sul tema, in Italia e in Europa, la previsione è facile, annunciata dal carteggio dei prefetti che scrivono ai sindaci che a loro volta scrivono al governo: uno scenario tipo 2016, quando, con numeri ingestibili, i primi cittadini rifiutavano l’accoglienza, anche quelli del medesimo colore del governo, e la situazione andò tecnicamente fuori controllo.

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Cina, Russia, il confronto e le nuove logiche imperiali

lunedì, Aprile 3rd, 2023

di Angelo Panebianco

Che cosa dovrebbe averci insegnato, a più di un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, lo scontro con potenze decise a rimodellare il mondo e a piegarlo alle loro logiche imperiali? Che cosa significa per la società occidentale doversela vedere con risorgenti imperi?

Abbiamo appreso, in primo luogo, che gli imperi sono potenze revisioniste, ossia potenze spinte da quella che ritengono la loro missione imperiale a cambiare gli equilibri mondiali. Con la guerra, se non ci sono altre strade. Tale volontà revisionista non riguarda solo le grandi potenze (Cina, Russia) ma anche medie potenze come Turchia e Iran, anch’esse ispirate nella loro azione dal ricordo di un glorioso passato imperiale (l’impero ottomano, l’impero persiano). L’Occidente che aveva tentato di plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza, è sulla difensiva, protegge un ordine internazionale che i risorgenti imperi vogliono abbattere. Di tale ordine sono componenti essenziali istituzioni, come il diritto internazionale, che non hanno valore per i suddetti imperi. Quando denunciamo crimini di guerra e legalità internazionale violata usiamo argomenti per loro privi di significato. Il diritto internazionale, nella loro prospettiva, è soltanto un modo, inventato dall’Occidente, per imbrigliare l’impero.

La seconda lezione è che il fossato culturale che ci divide (quelli che per noi sono valori sono disvalori per gli imperi e viceversa) spiega le illusioni coltivate a lungo dagli occidentali nei rapporti con Russia e Cina.

Abbiamo per tanto tempo pensato che l’interdipendenza economica avrebbe portato quelle potenze ad integrarsi nell’ordine internazionale. Di più: abbiamo creduto — è un’idea che l’Occidente si porta dietro da secoli — che l’interdipendenza economica avrebbe spinto quelle società a liberalizzarsi, a sostituire col tempo la democrazia all’autocrazia. È un’idea — errata, come ormai sappiamo — a sua volta rivelatrice della più grave difficoltà che abbiamo trovandoci oggi a competere con gli imperi: un rapporto radicalmente diverso con la storia passata. Gran parte degli occidentali vive in una specie di eterno presente, non attribuisce più valore al passato. Gli estremisti (di sinistra e di destra) che se la prendono con statue, monumenti, opere letterarie, sono solo la punta dell’iceberg, manifestazioni estreme di un più generale rifiuto del passato e delle sue eredità. In un certo senso, la «fine della storia» ce la siamo fabbricata con le nostre mani: abbiamo creduto di poterci sbarazzare del passato, dimenticando che esso condiziona sempre il presente. E ora ci troviamo a competere con progetti imperiali che proprio dalla storia passata (dal ricordo di un glorioso passato imperiale) traggono forza e legittimità. Abbiamo irriso le strampalate ricostruzioni di Putin della storia russa fatte per giustificare l’intervento in Ucraina, dimenticando che gli imperatori hanno sempre manipolato la storia in funzione dei loro disegni e delle loro azioni. Abbiamo giudicato «anacronistica» la guerra di Putin proprio perché, avendo abolito la storia, non siamo stati in grado di comprenderne la logica.

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Cara Meloni, la Ue aspetta il suo piano

lunedì, Aprile 3rd, 2023

MASSIMO GIANNINI

L’Italia pare davvero la Nave dei Folli. Ci stiamo giocando i fondi europei. Stiamo mandando in fumo almeno metà dei 191,5 miliardi che l’Europa ci ha messo a disposizione di qui al 2026. In un impeto di dissennato autolesionismo, sembriamo quasi sollevati nel riconoscere che «non c’è niente da fare». Sembra quasi di cogliere un senso di liberazione, nel mondo politico e imprenditoriale che alza le mani e dice «non possiamo farcela», «il Sistema-Paese non è in grado di spendere un volume di investimenti di quella portata», «la nostra burocrazia non ce lo permette», «gli enti locali non hanno capacità progettuale», «i grandi contractor pubblici e privati più di tante risorse non possono assorbire». Siamo onesti. È vero che l’Italia, su riforme strutturali e investimenti infrastrutturali, ha difficoltà ataviche e non risolvibili in pochi mesi.

Se così non fosse, non saremmo il fanalino di coda sull’utilizzo dei Fondi di coesione, che riusciamo a spendere per una quota annua inferiore al 60 per cento. Ma è altrettanto vero che il Next Generation Eu era e sarebbe ancora l’occasione per invertire la rotta. O almeno per provarci. Ma non sta succedendo. Viceversa, anche in questa circostanza riusciamo a sfoderare la solita, ineluttabile “sindrome del fallimento”. Come se fosse vano dare il massimo per portare a casa il risultato. Del resto, se in un anno abbiamo completato l’1 per cento dei progetti e speso il 6 per cento dei finanziamenti, non può dipendere solo dallo storico deficit di efficienza della macchina statuale. C’è dell’altro. Un tempo si sarebbe detto «manca la volontà politica». Oggi, forse, è ancora così. O per lo meno questa è la sensazione, e la preoccupazione, che si toccano con mano tra le istituzioni europee. Colpite da un certo stupore, mentre contemplano l’affannata inconcludenza tricolore.

Sergio Mattarella, che con le istituzioni comunitarie mantiene contatti quotidiani, ne è ben consapevole. Per questo il 24 marzo ha suonato l’allarme, riprendendo l’appello post-bellico di De Gasperi: «È il momento per tutti, a partire dall’attuazione del Pnrr, di mettersi alla stanga». Sono passati dieci giorni, ma “alla stanga” pare non si sia messo nessuno. Hanno parlato ministri e sottosegretari, leader di partito e esponenti della maggioranza, presidenti di regione e sindaci. Tutti si sono limitati a prendere atto dei ritardi, e a rinnovare generici propositi di accelerazione. Anche per questo il presidente della Repubblica ha voluto incontrare Giorgia Meloni, venerdì scorso, e spronarla a fare atti concreti per sbloccare gli ingranaggi dell’Amministrazione e della gestione.

Lo stesso sollecito, in modo formale e informale, è arrivato anche da Francoforte e da Bruxelles. Christine Lagarde, nella sua due giorni fiorentina organizzata dall’Osservatorio Permanente Giovani Editori di Andrea Ceccherini, lo ha detto ai tanti interlocutori istituzionali che le hanno chiesto lumi sulle difficoltà nella messa a terra del Pnrr: «Italy must deliver it… Please, let’s do it!». Quasi una preghiera. E si capisce perché anche la presidente della Banca Centrale Europea speri nel nostro Piano di Ripresa e Resilienza. Nutre la stessa apprensione che comincia a insinuarsi tra i mercati finanziari, per ora rimasti in posizione neutral sull’Italia, complice la buona tenuta dei conti pubblici che ha mantenuto basso lo spread dei nostri titoli di Stato. Ma nessuno può prevedere cosa potrebbe succedere, nel momento in cui il governo dovesse davvero gettare la spugna, e perdere le prossime due rate del Pnrr previste di qui alla fine dell’anno.

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Le sfide di governo e la realtà lontana

domenica, Aprile 2nd, 2023

di Antonio Polito

Nell’ultima settimana l’Italia ha vietato l’intelligenza artificiale, un parlamentare della maggioranza ha proposto multe fino a 100 mila euro per chi usa parole inglesi, e il presidente del Senato ha contestato il valore di un’azione partigiana del 1944, scusandosene il giorno dopo.I vincitori delle elezioni si sono a lungo vantati di essere più in sintonia della sinistra con il Paese reale, di conoscere i bisogni del popolo, di saperne interpretare le angosce. Ma è difficile ricordare una settimana del nostro dibattito pubblico più lontana di questa dalla realtà italiana, da ciò di cui si occupano quotidianamente famiglie e imprese.

La presidente del Consiglio ha fatto molto in questi mesi per indirizzare la nuova fase politica verso il fare, l’agire, l’ottenere. Rientra in questo quadro una profonda revisione di idee e atteggiamenti nei confronti dell’Unione Europea e nei rapporti con Bruxelles, che ha prodotto tra le altre cose positive anche una gestione fin qui seria e responsabile dei conti pubblici. Ma col passare dei giorni stanno emergendo due seri problemi per la destra di governo.

Il primo è che intorno a Giorgia Meloni si agitano troppe ansie identitarie, quasi come se la vera preoccupazione di chi è andato al potere fosse quella di dimostrare che non ha cambiato idea, né mai la cambierà. Naturalmente ciascuno ha diritto alle sue idee, ma l’esercizio di funzioni pubbliche, in cui si rappresenta anche chi quelle idee non condivide, richiede quanto meno di cambiare agenda e priorità (e qualche volta anche di tacere, se l’idea si dimostra sbagliata oppure offensiva).

La destra al governo non ci deve dimostrare quale sia la sua identità, e cioè chi ritiene di essere, ma che cosa pensa di fare. D’altra parte esibire la propria identità con quotidiani esercizi da culturista rischia di ingrossare le schiere degli avversari, allarmando molti agnostici per eccitare pochi nostalgici.

Il secondo problema è che c’è davvero tanto da fare, invece che questo. Le cronache di tutti i giorni ci raccontano di un Paese che ha bisogno di decisioni. Non basta elencare i problemi e la loro gravità. Bisogna poi anche trovare le soluzioni, o almeno cominciare a lavorarci su.

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Bobbio, Ignazio e l’equazione tra fascismo e antifascismo

domenica, Aprile 2nd, 2023

MASSIMO GIANNINI

Mancano ventitré giorni alla Festa della Liberazione, e vogliamo dire al presidente del Senato che di qui ad allora, e poi anche oltre, noi non gli daremo tregua. Siamo convinti da sempre che Ignazio Benito La Russa non possieda le qualità morali e istituzionali, etiche e politiche, per rappresentare la seconda carica dello Stato. Ma con le sue intemerate su Via Rasella ha superato un limite, e indietro non si torna. Conosco già le obiezioni di sapienti e benpensanti, opinionisti a gettone e benaltristi un tanto al chilo: ancora con le polemiche sul fascismo e l’anti-fascismo? Che c’entriamo noi contemporanei con le polveri del passato, quando siamo aggrediti dai virus del presente? Non vedete che le priorità del Paese sono inflazione e immigrazione? Lo vediamo benissimo, tanto che ai sondaggi di Alessandra Ghisleri che certificano queste ansie degli italiani dedichiamo regolarmente l’apertura del nostro giornale. Lo vediamo a tal punto che da mesi facciamo inchieste quotidiane sul dissesto della sanità pubblica e sul disastro del lavoro povero, e da giorni abbiamo lanciato con forza l’allarme sui ritardi inaccettabili della giustizia e su quelli incolmabili del Pnrr. Ma in una democrazia sana tutto si tiene, nulla si elide. E ora rivolgo io una domanda ai valorosi sostenitori della mozione “basta parlare di fascismo e anti-fascismo”, presenti anche tra i nostri lettori. Non vedete l’uso ideologico che certa “destra nazionale” sta facendo della Storia, per ripulirsi dai suoi errori e i suoi orrori, rendendoli uguali a quelli degli altri, quindi equivalenti e pertanto irrilevanti? Non vedete l’insidia culturale di un revisionismo fittizio che, distorcendo la Memoria, crea le basi per l’abiura e poi la riscrittura del patto che ci lega, cioè la Costituzione repubblicana?

Al fondo, da cinque mesi a questa parte, stiamo assistendo a questo: la pretesa tracotante e grossolana di imporre un’egemonia “alternativa”, come se questa non fosse il risultato naturale di un “processo” che può durare anni, ma l’esito scontato di una “procedura” che si consuma dalla sera alla mattina (cioè le elezioni vinte). Senza un lungo e serio impegno di riflessione culturale e di elaborazione politica. Senza un pensiero nuovo, che non nasca dalla manipolazione dei nudi fatti o dalla riesumazione di Renan.

L’intero storytelling del governo e della maggioranza, dal 25 di settembre in poi, riflette questa idea di riaffermazione/riabilitazione identitaria e questa sfrontata volontà di rilegittimazione di se stessi attraverso la delegittimazione degli altri. Sul fronte interno non c’è quasi nulla, di ciò che hanno fatto e detto la presidente del Consiglio, i suoi ministri e i suoi Fratelli, che non abbia questo movente psico-politico. Tutto si fa e si propone “contro” qualcuno o qualcosa. Il decreto anti-rave lanciato “contro” i devianti “che fumano e occupano”. I decreti migranti concepiti “contro” le Ong e gli scafisti da inseguire “per tutto il globo terracqueo”. La vicenda Cospito giocata “contro” le sinistre “complici dei terroristi e dei mafiosi”. La delega fiscale studiata “contro” lo Stato-nemico che tartassa i contribuenti. L’abolizione del reddito di cittadinanza pensata “contro” i poveri e gli “occupabili sdraiati sul divano”. L’iscrizione anagrafica dei figli di coppie omogenitoriali negata “contro” i gay che “ricorrono all’utero in affitto”. La battaglia sulla legge che impedirebbe a donne in gravidanza e bambini di scontare pene in carcere combattuta “contro” le “rom che scippano e rapinano”. Persino le nomine nelle partecipate pubbliche e nella Rai immaginate “contro” i “piccoli Stalin col colbacco” rimasti in circolazione. Ha ragione Luciano Canfora: la destra sta provando a “inventare la Tradizione” (approfittando dell’accidia della sinistra, che gliene ha ceduto il monopolio). In molti casi lo fa conservandola, a botte di intolleranza e xenofobia. In altri casi lo fa adulterandola, a colpi di falsificazioni storiche.

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