LUCIA ANNUNZIATA
Avviso ai naviganti appassionati delle riforme
costituzionali: il modello presidenzialista tanto ammirato da molti
governanti, incluso gli italiani, per la sua capacità di fornire alla
democrazia in crisi (troppo lenta, troppo inconcludente) il vigore di un
centro decisionale più chiaro, pare non funzioni. È in crisi infatti
lungo una delle linee più importanti dell’Occidente: quella che va dagli
Usa, passa per Parigi, e si chiude sul lato orientale del mediterraneo,
a Gerusalemme.
In Usa Trump ha cavalcato nel suo primo mandato un rafforzamento
della Presidenza in senso personalizzato e divisivo. Presidenza
rafforzata, per pratica di governo e prese di posizione ideologiche,
fino al rifiuto di accettare la sconfitta della sua rielezione,
denunciandone «il furto». Affermazioni, le sue, che hanno contribuito
all’organizzazione di un assalto alle istituzioni, il 6 gennaio del
2021. Azione eversiva, che, in altri paesi (ad esempio poche migliaia di
chilometri giù nel Sud del continente) si sarebbe chiamata tentativo di
golpe.
Nel sistema politico Usa, che si definisce per una visione bipartisan
ed etica di sé stesso, il dubbio sulla correttezza del voto è una messa
in discussione della reputazione (dunque della stabilità e della
sicurezza) della nazione.
Emmanuel Macron, in crisi di autorevolezza (pessimi sondaggi) e spazi
di agibilità politica, dopo il vanificarsi del suo partito, e la
radicalizzazione delle forze di Melechon e di Le Pen, ha invece
abbracciato la vecchia tentazione bonapartista che si nasconde sempre
nelle pieghe del sistema francese. Ha imposto una riforma, quella delle
pensioni, non amata dagli elettori, e soprattutto senza maggioranza
neanche in Parlamento. L’articolo 49. 3 usato per far passare la riforma
prevede che il governo abbia la possibilità di adottare direttamente
una legge, «dopo la deliberazione del consiglio dei Ministri»,
assumendosi «la responsabilità di governo davanti all’Assemblea
Nazionale». Facendo ricorso a una regola che permette al Presidente di
far passare a maggioranza semplice un provvedimento. Mossa legale, che
però apre la strada a una gestione presidenziale che si svincola dai
lacci e lacciuoli del Parlamento.
Infine Israele. Benjamin «Bibi» Netanyahu leader del Likud, eletto
primo ministro il 29 dicembre 2022, con alle spalle molti anni nello
stesso ruolo – dal 1996 al 1999, e dal 2009 al 2021– si è fatto invece
tentare da una ambizione per certi versi persino più forte di quella dei
presidenti di cui abbiamo appena parlato. Netanyahu, eletto in una
delle ore più difficili della sua nazione, a capo di una coalizione
fragile e molto radicalizzata a destra, ha abbracciato l’idea di
consolidare le istituzioni restringendo il potere della Corte Suprema,
che nel sistema parlamentare (per certi versi molto simile all’Italia),
funziona come il più rilevante potere riequilibrante del parlamento e
del vertice governativo. Una mossa definita dall’opposizione «un golpe
senza carriarmati». Val la pena spiegare – anche se ci si arriva da soli
– che le modifiche ai poteri della Corte costituzionale porterebbero al
rafforzamento di quelli del Premier, con l’aggiunta di un bonus
personale: la cancellazione delle pendenze del Premier stesso con la
giustizia.
Tre esempi chiari, inquadrabili per altro (con più dubbi per le
azioni di Trump) nel framework istituzionale dei tre paesi. Eppure sono
tutti e tre miseramente falliti. Producendo massicce, e soprattutto
inedite, scosse in tre società fra le più stabili e le più affluenti del
mondo.
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La grandezza delle reazioni è facilmente misurabile a occhio nudo.
L’importanza del ruolo di Trump, con la mobilitazione permanente che lo
segue, continua a segnare la politica Usa. La forza e l’ampiezza delle
manifestazioni nelle strade delle città francesi e in quelle di Israele,
non si vedevano da decenni in Occidente.
Ma è l’aggettivo «Inedite» a catturare la novità di questi processi.
Trump in Usa ha dato voce a una classe media bianca, radicalizzata
nelle sue opinioni, come nel suo ruolo sociale. Una rivolta di nuovi
«emarginati», esclusi da un processo politico e un panorama economico
che sta cercando e trovando un nuovo assetto. È la classe media bianca,
di operai scontenti, famiglie intimorite dall’infiltrarsi nel mondo
dell’educazione delle nuove politiche di «genere», di famiglia, di nuove
priorità culturali e sociali. Motivazioni che si traducono
immediatamente in scontro politico fra democratici e conservatori, in un
revanchismo profondamente nutrito dal senso di ingiustizie subite da
una «sistema», che è quello Americano, ma senza più il Sogno né sogni.
Un mix profondamente efficace, molto vicino alla narrazione del
profilo del nuovo mondo, che sta uscendo dalla distruzione delle vecchie
classi e dai vecchi poteri. Un discorso molto simile a quello che
motiva oggi il nuovo governo italiano di Meloni.