Archive for the ‘Editoriali – Opinioni’ Category

Una narrazione arrischiata che esacerba le divisioni

sabato, Aprile 1st, 2023

di Massimo Franco

Le frasi del presidente del Senato La Russa sulla strage di via Rasella possono essere classificate come parole in libertà ma finisce per alimentare lo scontro

 Una narrazione arrischiata che esacerba le divisioni

Le frasi del presidente del Senato, Ignazio La Russa, sulla strage di via Rasella che provocò per rappresaglia l’eccidio delle Fosse ardeatine, possono anche essere classificate come parole in libertà.

Sostenere che l’attentato dei partigiani fu «una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza», è discutibile perfino nel senso che se ne può discutere. Aggiungere che i tedeschi uccisi a Roma nel marzo 1944 erano una «banda musicale di semipensionati e non nazisti delle SS», è inquietante. E la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, gli ha ricordato la verità storica.

Ma l’intervista rilasciata dalla seconda carica dello Stato al podcast di Libero Quotidiano rischia di alimentare un filone che ha come protagonisti esponenti della destra. E mostra una tendenza a trovare, non si capisce se volutamente, occasioni di scontro in nome di una narrativa alternativa coltivata per decenni ma mai elaborata.

Lo stesso fanno, si dirà, le opposizioni del M5S di Giuseppe Conte e del Pd di Elly Schlein con il loro estremismo antigovernativo. Ruolo e peso politico sono diversi, però, come i temi trattati e gli effetti prodotti. Il primo, paradossale, è di rianimare polemiche che l’opinione pubblica ha dimostrato di non ritenere importanti; e che gli stessi avversari non hanno sollevato più di tanto dopo il voto del 25 settembre. Si finisce dunque per creare a freddo contrapposizioni artificiose e laceranti. Il secondo effetto è di proiettare l’immagine di una maggioranza in preda alla voglia di riscrivere il passato remoto: nonostante la funzione di governo che dovrebbe spingere a unire.

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Quel battaglione Bozen che si arruolò nelle SS

sabato, Aprile 1st, 2023

Giovanni De Luna

Musicisti altoatesini… Il presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, liquida così i militi del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen” che furono uccisi in via Rasella. Omettendo che quel “reggimento di musicisti” sarebbe diventato pochi giorni dopo, il 16 aprile 1944, l’SS-Polizeiregiment “Bozen”. A pensarla diversamente da La Russa furono, fin da subito, proprio i tedeschi che considerarono quei morti come loro morti chiedendo agli alleati fascisti di “onorarli” con una rappresaglia spietata e immediata.

Ormai è chiaro il progetto del governo di destra di riscrivere la storia. Ma questa volta si è davvero sfiorato il grottesco. La Russa, lo sappiamo, si è formato nell’ambiente missino che considerava la Resistenza come un’esperienza “di comunisti e voltagabbana”. Tracce di quella vulgata affiorano in ogni sua dichiarazione pubblica e ritornano puntualmente anche in quella su via Rasella. Dire oggi che la Resistenza fu “inquinata” dalla presenza dei progetti totalitari dei comunisti vuol dire negarsi ogni possibilità di sciogliere uno dei paradossi più complessi e affascinanti della nostra storia: l’ideologia comunista, che in altri Paesi, a cominciare dall’Urss, ha voluto dire gulag e dittatura, qui da noi è stata una parte decisiva della lotta per la libertà. Su 5.122 condannati dal Tribunale speciale del fascismo, 4.900 erano comunisti. Nel ventennio furono cioè i comunisti la forza di opposizione numericamente più rilevante nello schieramento che si oppose a Mussolini. Durante la Resistenza il 50% degli effettivi partigiani militava nella brigate Garibaldi (il 30% era di GL, il restante 20% diviso tra socialisti, monarchici, democristiani, anarchici, repubblicani, etc…). E anche nel dopoguerra, nel clima infuocato della guerra fredda, il Pci, che pure prendeva ordini da Mosca, contribuì a rintuzzare le spinte antidemocratiche di quello che allora veniva definito il clericofascismo. Da noi, insomma, è stato l’antifascismo che ha indotto i comunisti a lottare per la libertà e la democrazia. Questo per gli storici è un dato di fatto che però non è mai riuscito a scalfire le granitiche certezze dei reduci di Salò (inchiodati allo slogan “onore e fedeltà all’alleato tedesco”) e dei loro eredi.

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Decreto Schillaci, solo cipria sui mali profondi della Sanità

venerdì, Marzo 31st, 2023

Eugenia Tognotti

Una spolverata di cipria; o, si potrebbe dire, un pannicello caldo, per restare in tema. È quanto viene da pensare di fronte a una serie di articoli concernenti la sanità nel Decreto bollette, approvato dal Consiglio dei ministri. Quali effetti – viene spontaneo chiedersi – sono in grado di dispiegare quei provvedimenti di ordine normativo, che non prevedono impegni di spesa (o quasi) nel contesto di emergenza nazionale sanitaria in cui ci troviamo? E ancora. È pensabile che possano influire sull’efficienza del sistema e sulla qualità dell’assistenza in una condizione in cui la salvezza del Ssn e il sistema pubblico di cure richiedono adeguate risorse economiche e nuovi modelli organizzativi?

Nessuna meraviglia che l’Intersindacale medica abbia vigorosamente protestato, salvando le parti che riguardano il fenomeno dei “gettonisti” e l’anticipo delle indennità di straordinario per i pronto soccorso. Il ministro Schillaci ha assicurato che trattasi solo di un primo passo verso una riforma complessiva della sanità. Con la quale s’intende, tra l’altro, ridare al Servizio sanitario nazionale un appeal al cui crollo hanno contribuito le condizioni di lavoro e retributive nella sanità pubblica, con stipendi fino al 40 per cento più bassi degli altri Paesi europei.

Siamo di fronte a una delle tante promesse seriali di riforma; mentre – spinta da diversi fattori tra cui la pandemia e i ritardi della “Missione salute” prevista dal Pnrr – permane la mancanza di integrazione tra ospedali e servizi territoriali e la combinazione tossica tra calo progressivo del personale sanitario e aumento della popolazione anziana, con complesse multimorbidità che influiscono sulla domanda di cure.

Tra le novità contenute nel Decreto gli incentivi – peraltro già previsti da tempo – destinati agli operatori sanitari che lavorano nei reparti di urgenza/emergenza; una maggiore flessibilità per l’arruolamento degli specializzandi e dei camici bianchi stranieri e per la stabilizzazione di chi, per quanto privo di una specializzazione, ha maturato esperienza sul campo. Uno degli articoli prevede inoltre l’inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce e minaccia gli operatori sanitari, un fenomeno in crescita, che riguarda in particolare gli infermieri/e.

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Sono tempi bui se Cospito al 41 bis non può leggere neanche la Bibbia

venerdì, Marzo 31st, 2023

Massimo Cacciari

Tempi bui per la nostra Patria. Tanto precario il suo stato di salute, tanto minacciata la sua sicurezza, da essere costretta a tenere in isolamento assoluto, in carceri inviolabili non solo mafiosi stragisti (i terroristi “in grande” degli anni di piombo – tra collaborazioni e pentimenti – se la sono quasi tutti cavata), ma anche un anarchico colpevole di reati che mai in passato avremmo immaginato capaci di ledere le fondamenta del nostro ordinamento. Ma non basta. A questo micidiale sovversivo, vicino per il lungo digiuno ormai alla agonia, è stata recentemente proibita anche la lettura della Bibbia. I miei connazionali devono sapere che un detenuto col 41 bis non può ricevere libri, ma solo ordinarli tramite la direzione del carcere che si riserva di decidere quali letture siano atte alla rieducazione del criminale e al suo reinserimento nel generoso grembo della comunità. Attenzione però, i libri non possono essere più di tre (incerta rimane l’interpretazione della norma, se i tre si riferiscano ai titoli o ai tomi). Ora poiché Bibbia è plurale, ta biblia, i libri, è evidente la ragione per cui la direzione del carcere, ben addentro alla grammatica greca, ha ritenuto di non poter concederne al Cospito la lettura.

Se i giuristi sembrano tacere da tempo su questa e altre vicende, bisognerebbe chiedere questa volta ai teologi di dire la loro. Siamo un Paese che per mezzo secolo è stato governato da una forza politica che aveva l’audacia di chiamarsi cristiana. Altrettanto audaci mi sembrano ora tanti suoi eredi a non gridare allo scandalo di fronte a comportamenti delle autorità politiche così radicalmente privi di ogni senso minimo di umanità. Profonde davvero le nostre radici cristiane, blasfemamente blaterate da schiere di politici nostrani. Altro che legge dell’amore, nomos tes agapes (lo dico nel greco del Vangelo in ossequio alla direzione del carcere-bara di Cospito). La legge da noi proibisce la lettura della Bibbia, impedisce di abbracciare per un minuto parenti e amici, rifiuta gli arresti domiciliari a un moribondo dichiarato. Se i giuristi tacciono, che gridino i teologi. E se tacciono anche loro grideranno le pietre (si diceva in uno di quei libri che a Cospito sono stati rifiutati – perché se ne sospetta il carattere rivoluzionario? Se sì, bene, per una volta i suoi così intelligenti e zelanti custodi hanno ragione).

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Ecco le sfide (vere) per l’Italia

venerdì, Marzo 31st, 2023

di Francesco Giavazzi

Chi critica i ritardi nel Pnrr ancora non ha capito che quel piano è costruito su due presupposti: riforme e investimenti. Le riforme devono essere attuate prima che partano gli investimenti onde evitare che gli investimenti appena avviati si fermino

Nelle prossime settimane la presidente del Consiglio dovrà prendere qualche decisione importante in campo economico: innanzitutto se chiudere le polemiche sul Pnrr e concentrarsi sull’attuazione del piano, oppure seguire chi, nella sua maggioranza, attribuisce i ritardi ad errori del precedente governo e chiede di spostare in là le scadenze. Poi decidere chi nominare al vertice di numerose aziende controllate dallo Stato, a cominciare da Enel, Eni e Leonardo. Infine, costruire alleanze con altri Paesi per non trovarsi isolata nei prossimi Consigli europei dove si discuterà di regole fiscali, di un nuovo Patto di stabilità e di come rispondere all’Inflation Reducion Act di Biden che ha stanziato circa 400 miliardi di dollari in sussidi per imprese americane e europee.

Chi critica i ritardi nel Pnrr ancora non ha capito che quel piano è costruito su due presupposti: riforme e investimenti. Le riforme devono essere attuate prima che partano gli investimenti onde evitare — è il caso ad esempio del nuovo Codice degli appalti approvato alcuni giorni fa dal Consiglio dei ministri — che gli stessi investimenti, come spesso accade in Italia, appena avviati si fermino. Non ritardi quindi, ma interventi che impediranno che le opere del Pnrr partano di corsa per poi fermarsi dopo poco.

La redazione del nuovo Codice degli appalti fu affidata al Consiglio di Stato, il nostro massimo organo amministrativo, pensando che i magistrati amministrativi, che un giorno potrebbero dover dirimere eventuali controversie, fossero le persone più adatte a scriverlo. Il codice approvato, che il ministro delle Infrastrutture ha impropriamente chiamato «Codice Salvini», ricopia quello redatto dal Consiglio di Stato, purtroppo con più di un elemento peggiorativo. Non sviste, ma modifiche ad hoc introdotte per accontentare richieste precise.

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L’arroganza francese sugli ex Br

giovedì, Marzo 30th, 2023

Gian Carlo Caselli

La mitica “grandeur” dei francesi può giocare anche dei pessimi scherzi. Per esempio, spingere a prese di posizione del tutto incompatibili con la logica e il buon senso. Per ispirarsi invece a una arrogante intolleranza, fino a cedere alla tentazione, evidentemente irresistibile, di insegnare a tutti gli altri (gli italiani in particolar modo) come si debba stare al mondo. Ecco così una inaspettata declinazione francese di quel “Marchese del Grillo” che sembrava essere una nostra esclusiva.

Sono queste le prime reazioni che suscita la notizia della conferma definitiva, da parte della Corte di Cassazione francese, della decisione (già presa dalla Corte d’Appello) di rifiutare l’estradizione di dieci terroristi italiani, protagonisti di violenze anche estreme negli “anni di piombo” che hanno a lungo impestato il nostro Paese.

Le motivazioni di tale grave decisione oscillano tra il paradossale e l’incredibile. Si sostiene infatti che l’estradizione avrebbe provocato un danno spropositato al diritto a una vita privata e familiare ormai stabilmente acquisita in Francia dagli estradandi. Così dimostrando una disumana insensibilità per i danni cagionati alla vita privata e familiare delle vittime delle azione terroristiche. Per non parlare delle sofferenze e del dolore che ancora oggi affliggono i familiari delle vittime (chiedendo scusa a quegli intellettuali nostrani che accusano il dibattito sul crimine organizzato di soffrire di “parentocentrismo”…).

E attenzione: senza che da parte dei terroristi da estradare vi sia mai stato un qualche segnale di pentimento o ravvedimento e men che mai una qualche manifestazione di solidarietà o intenzione di riparazione dei guasti causati.

Ancora più pretestuosa è la motivazione che si ricollega alla mancanza in Italia di un equo processo. Qui si avverte l’influenza di cattivi maestri riparati e coccolati in Francia, soprattutto se presentano il nostro Paese come un concentrato di obbrobri giudiziari. La vicenda di Cesare Battisti e le attenzioni che gli sono state riservate sono al riguardo illuminanti.

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La partita da vincere sul Pnrr

giovedì, Marzo 30th, 2023

di Federico Fubini

Molte cose vanno riviste nei progetti presentati inizialmente in grande fretta. Ma c’è bisogno che finalmente operi la struttura centrale del Pnrr, spostata dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi, che presto dovrebbe disporre di 70 funzionari

La partita da vincere sul Pnrr
La sede della Commissioine europea a Bruxelles (Afp)

Il rinvio di un mese per il versamento della terza rata da 19 miliardi di euro non farà la differenza, nella storia del Piano di ripresa e resilienza dell’Italia. Se non altro, perché comunque quei fondi non sarebbero stati spesi nei prossimi trenta giorni. Probabilmente neppure nei prossimi sessanta o novanta. Dunque per il momento i 19 miliardi possono restare tranquillamente a Bruxelles per arrivare magari tra qualche settimana. Ci sono già altri 67 miliardi di fondi del Recovery che, in gran parte, attendono ancora sui conti del Tesoro in Italia. La Corte dei conti ha appena certificato che l’assorbimento delle risorse procede a rilento, appena il 12 per cento del totale fra il 2020 e il 2022.

Tuttavia, se siamo onesti, non è questo oggi il principale problema del Pnrr. Era chiaro dall’inizio che gran parte della spesa sarebbe arrivata a partire da quest’anno, perché prima andavano pensati e sviluppati i progetti, bandite le gare d’appalto, aperti i cantieri. Almeno altri tre problemi oggi sono più urgenti, se l’Italia vuole sperare che il suo più grande programma d’investimenti dal dopoguerra non vada essenzialmente sprecato.

Il primo riguarda il merito di alcuni dei piani originari, quelli che il governo di Mario Draghi mandò a Bruxelles nella primavera del 2021. Anche se ora lo si dimentica, quel progetto non nacque in condizioni normali. Dal giorno del giuramento, Draghi e i suoi ebbero non più di un mese per rivedere e riscrivere tutto prima di spedire il loro documento a Bruxelles. Inevitabile dunque che alcune delle incoerenze di oggi riflettano la fretta di allora. Gli stadi di Firenze e Venezia non hanno niente a che fare con la logica del Recovery ed è comprensibile che l’attuale governo si chieda perché la Commissione non abbia mai sollevato il problema prima, mentre lo fa ora. La sperimentazione del trasporto su gomma all’idrogeno non sembra praticabile. I trattori o treni all’idrogeno, non ne parliamo. Anche i campi eolici off-shore nel Mediterraneo sono idee audaci, non progetti realizzabili a costi competitivi.

Dunque il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha ragione, quando dice che vuole tagliare alcuni piani e sostituirli con altri. Il punto è attuare questo disegno in pratica e questo è il secondo problema: a quanto pare, la Commissione europea non avverte (ancora) molta concretezza da parte italiana nell’indicare nuove direzioni di marcia e nel farle vivere nella realtà. Il governo ha ancora un mese per riscrivere alcune parti del Pnrr, dunque è presto per i processi alle intenzioni. Come fa la Casa Bianca con l’Inflation Reduction Act, l’innovazione digitale e la transizione energetica potrebbero essere affidata in buona parte delle imprese sul mercato tramite ampi crediti d’imposta sugli investimenti, finanziati dai fondi del Pnrr.

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Quel miraggio presidenziale che non funziona ma piace all’Italia

giovedì, Marzo 30th, 2023

LUCIA ANNUNZIATA

Avviso ai naviganti appassionati delle riforme costituzionali: il modello presidenzialista tanto ammirato da molti governanti, incluso gli italiani, per la sua capacità di fornire alla democrazia in crisi (troppo lenta, troppo inconcludente) il vigore di un centro decisionale più chiaro, pare non funzioni. È in crisi infatti lungo una delle linee più importanti dell’Occidente: quella che va dagli Usa, passa per Parigi, e si chiude sul lato orientale del mediterraneo, a Gerusalemme.

In Usa Trump ha cavalcato nel suo primo mandato un rafforzamento della Presidenza in senso personalizzato e divisivo. Presidenza rafforzata, per pratica di governo e prese di posizione ideologiche, fino al rifiuto di accettare la sconfitta della sua rielezione, denunciandone «il furto». Affermazioni, le sue, che hanno contribuito all’organizzazione di un assalto alle istituzioni, il 6 gennaio del 2021. Azione eversiva, che, in altri paesi (ad esempio poche migliaia di chilometri giù nel Sud del continente) si sarebbe chiamata tentativo di golpe.

Nel sistema politico Usa, che si definisce per una visione bipartisan ed etica di sé stesso, il dubbio sulla correttezza del voto è una messa in discussione della reputazione (dunque della stabilità e della sicurezza) della nazione.

Emmanuel Macron, in crisi di autorevolezza (pessimi sondaggi) e spazi di agibilità politica, dopo il vanificarsi del suo partito, e la radicalizzazione delle forze di Melechon e di Le Pen, ha invece abbracciato la vecchia tentazione bonapartista che si nasconde sempre nelle pieghe del sistema francese. Ha imposto una riforma, quella delle pensioni, non amata dagli elettori, e soprattutto senza maggioranza neanche in Parlamento. L’articolo 49. 3 usato per far passare la riforma prevede che il governo abbia la possibilità di adottare direttamente una legge, «dopo la deliberazione del consiglio dei Ministri», assumendosi «la responsabilità di governo davanti all’Assemblea Nazionale». Facendo ricorso a una regola che permette al Presidente di far passare a maggioranza semplice un provvedimento. Mossa legale, che però apre la strada a una gestione presidenziale che si svincola dai lacci e lacciuoli del Parlamento.

Infine Israele. Benjamin «Bibi» Netanyahu leader del Likud, eletto primo ministro il 29 dicembre 2022, con alle spalle molti anni nello stesso ruolo – dal 1996 al 1999, e dal 2009 al 2021– si è fatto invece tentare da una ambizione per certi versi persino più forte di quella dei presidenti di cui abbiamo appena parlato. Netanyahu, eletto in una delle ore più difficili della sua nazione, a capo di una coalizione fragile e molto radicalizzata a destra, ha abbracciato l’idea di consolidare le istituzioni restringendo il potere della Corte Suprema, che nel sistema parlamentare (per certi versi molto simile all’Italia), funziona come il più rilevante potere riequilibrante del parlamento e del vertice governativo. Una mossa definita dall’opposizione «un golpe senza carriarmati». Val la pena spiegare – anche se ci si arriva da soli – che le modifiche ai poteri della Corte costituzionale porterebbero al rafforzamento di quelli del Premier, con l’aggiunta di un bonus personale: la cancellazione delle pendenze del Premier stesso con la giustizia.

Tre esempi chiari, inquadrabili per altro (con più dubbi per le azioni di Trump) nel framework istituzionale dei tre paesi. Eppure sono tutti e tre miseramente falliti. Producendo massicce, e soprattutto inedite, scosse in tre società fra le più stabili e le più affluenti del mondo.

*****

La grandezza delle reazioni è facilmente misurabile a occhio nudo. L’importanza del ruolo di Trump, con la mobilitazione permanente che lo segue, continua a segnare la politica Usa. La forza e l’ampiezza delle manifestazioni nelle strade delle città francesi e in quelle di Israele, non si vedevano da decenni in Occidente.

Ma è l’aggettivo «Inedite» a catturare la novità di questi processi.

Trump in Usa ha dato voce a una classe media bianca, radicalizzata nelle sue opinioni, come nel suo ruolo sociale. Una rivolta di nuovi «emarginati», esclusi da un processo politico e un panorama economico che sta cercando e trovando un nuovo assetto. È la classe media bianca, di operai scontenti, famiglie intimorite dall’infiltrarsi nel mondo dell’educazione delle nuove politiche di «genere», di famiglia, di nuove priorità culturali e sociali. Motivazioni che si traducono immediatamente in scontro politico fra democratici e conservatori, in un revanchismo profondamente nutrito dal senso di ingiustizie subite da una «sistema», che è quello Americano, ma senza più il Sogno né sogni.

Un mix profondamente efficace, molto vicino alla narrazione del profilo del nuovo mondo, che sta uscendo dalla distruzione delle vecchie classi e dai vecchi poteri. Un discorso molto simile a quello che motiva oggi il nuovo governo italiano di Meloni.

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Quell’inutile ossessione per la privacy, tanto ci conosciamo tutti (per fortuna)

giovedì, Marzo 30th, 2023

Concita De Gregorio

Una piccola storia personale che mi fa sorridere e pensare da giorni: sull’ossessione per la privacy in cui viviamo immersi, in certe occasioni burocratiche un vero delirio, e sull’essere – questa sulla privacy – una battaglia inutile. Perché in un attimo, in una platea di sconosciuti identificati solo da un numero, tutti ci scopriamo collegati. Tutti sappiamo ogni cosa di ciascuno, siamo in grado addirittura di avere accesso ai propri gusti personali, agli amici comuni, ai reciproci numeri di telefono. E meno male, nel caso che sto per raccontare. La storia è questa.

Entro come ogni giorno nella grande sala d’attesa di un luogo pubblico dove passerò in compagnia di un centinaio di persone le prossime ore. Ci conosciamo, da mesi, ma non ci conosciamo: siamo identificati da sigle, questione di privacy. Mi accorgo di non avere il telefono. L’ho lasciato a casa o l’ho perso, non so. Il luogo dove sono è lontanissimo dal posto dove vivo, non avendo telefono non posso noleggiare un’auto in car sharing per tornare a casa, non posso chiamare un taxi (non ce ne sono mai, al parcheggio).

Mi ero accordata così, uscendo: quando ho finito chiamo, venitemi a prendere. Naturalmente non potrò chiamare. A un certo punto, forse a tarda sera, sarò chiamata per avere mie notizie e non potrò rispondere. Si annuncia una serata infernale. Prima considerazione su cui riflettere: non so nessun numero a memoria. Ricordo solo quello fisso della mia casa di ragazza, ma mia madre ha creduto alla vantaggiosa offerta di uno degli operatori che chiamano senza tregua, si è fatta convincere e l’ha cambiato. Ricordo un numero morto. Certo, è un problema mio: senz’altro voi saprete a memoria il numero di cellulare del coniuge, dei figli o dei fratelli, di un amico. Io no, scopro in quel momento. Non ci avevo mai pensato. Che brutta cosa, no?, affidarsi alla tecnologia e rinunciare alla memoria. Ma andiamo avanti. Come faccio ad avvisare qualcuno di cui non conosco il numero? Posso chiedere a una delle persone in sala d’attesa di prestarmi il telefono, ma poi? Chi chiamo, se non so il numero?

I social network. Posso entrare su Instagram, su Facebook o quel che sia di uno dei miei figli e mandare un messaggio, per esempio. Proviamo. Le persone in sala d’attesa sono solo numeri. E126. A405. Siamo tutti coperti da mascherine, oltretutto: non ci riconosceremmo fuori da qui, ne sono certa. Qui ci distinguiamo dagli occhi, brevi cenni di saluto con la testa. Qualche giorno fa, però, U307 – una ragazza molto giovane, gentile – mi ha raccontato di essere un’appassionata lettrice, mi ha fatto il nome di alcuni autori che ama, abbiamo parlato di libri e salutandomi mi ha detto piacere, Francesca. Vado da Francesca. Le chiedo di entrare sul profilo Facebook o Instagram dei miei familiari per mandar loro un messaggio. Lo fa, ma il problema è che i miei familiari non la seguono, non sono – naturalmente – suoi follower. Dunque, siccome per le regole dell’Internet se non sei “amico” non puoi scambiare messaggi né, figuriamoci, telefonare attraverso quel mezzo, attendiamo che i destinatari della richiesta accettino l’amicizia.

Sono le quattro del pomeriggio, passo in rassegna mentalmente cosa staranno facendo i miei consanguinei nelle loro vite, escludo una reazione abbastanza rapida da evitare le serata infernale. Mai disperare, ma cerchiamo altre vie. Intanto l’attenzione della platea della sala d’attesa si concentra su di noi: consigli, altri telefoni che si attivano, un certo entusiasmo per la novità inattesa, un pezzo di vita che si incunea nell’abituale tran tran. Solidarietà fra numeri.

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Buon senso da riscoprire per chiarire i dilemmi morali

martedì, Marzo 28th, 2023

di Antonio Polito

Nelle società complesse non tutto può essere risolto dalla legge, non se sono in corso cambiamenti epocali

Ci sono dilemmi morali non decidibili. Almeno non con gli strumenti della norma giuridica, dei delitti e delle pene. Per esempio: in molti riteniamo degradante e per certi aspetti perfino coloniale la pratica della maternità surrogata, quando essa trasforma l’esperienza intima della gestazione in una prestazione, regolata da un contratto di affitto dell’utero materno; ma troviamo inaccettabile che i bambini portati in grembo e partoriti in quel modo siano anche minimamente discriminati rispetto agli altri. Eppure è questo che avviene se si riconosce loro il diritto ad avere un solo genitore anziché due.

Oppure ancora: siamo convinti che lo Stato non debba cedere mai al ricatto della violenza, e che il regime carcerario del 41 bis abbia le sue giustificazioni, ma non vogliamo in nessun modo che Alfredo Cospito muoia; vogliamo anzi che lo Stato, soprattutto oggi che non è più in pericolo di vita come ai tempi delle Brigate Rosse, faccia di tutto perché resti in vita il detenuto in sua custodia.

È probabile che la maggioranza degli italiani la pensi pressappoco così. Non è incapacità di decidere, è puro buon senso. Nel dibattito pubblico ci viene spesso chiesto di schierarci con l’una o l’altra delle posizioni alternative, di scegliere tra la soluzione A e la soluzione B. Perché questa è la logica della politica e della democrazia dell’opinione, organizzata come un derby quotidiano tra fazioni. Ma noi spesso vorremmo sia A sia B, vorremmo che il principio del rispetto della legge fosse sempre reso compatibile con il principio della centralità della persona e della vita umana. Pensiamo infatti che il primo sia lo strumento e il secondo il fine. E perciò preferiremmo una soluzione che accresca la «felicità generale», e dunque anche quella personale di tutti i soggetti coinvolti; perché «se la felicità di una persona è un bene per quella persona, la felicità generale è un bene per l’insieme di tutte le persone».

Questa idea l’ha formulata un filosofo, John Stuart Mill, considerato il maggiore esponente di una dottrina etica, l’utilitarismo. È nata in un contesto culturale, il liberalismo inglese, che fu capace di separare la morale dalla politica. E si trova molto a suo agio in un ambiente di «common law» come quello anglosassone, dove non comanda il Codice ma il Diritto consuetudinario, la giurisprudenza basata sulle decisioni precedenti. È molto più difficile dunque da applicare a un sistema come quello italiano che invece idolatra la Legge, la Norma, e anzi ne produce in quantità mostruose, non paragonabili a quelle degli altri grandi Paesi civili.

E così eccoci qui, ancora una volta, a voler decidere con una norma (ovviamente penale) del comportamento individuale, trascurando la critica del paternalismo etico che proprio Stuart Mill ci ha consegnato: «Non si può costringere legittimamente qualcuno a fare o non fare qualcosa spiegandogli che sarebbe meglio per lui agire in quel certo modo, che agire così apparirebbe saggio o addirittura giusto agli occhi degli altri. Tutte queste sono delle buone ragioni per muovergli delle obiezioni, per invitarlo a discuterne, per persuaderlo oppure per supplicarlo: ma non per costringerlo o per fargli del male nel caso agisca diversamente».

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