Rinunciare al Mes, scelta perdente
martedì, Marzo 28th, 2023Veronica De Romanis
L’Europa, dal 2008, si è dotata di diversi strumenti per far fronte a nuove eventuali crisi finanziare. I principali sono l’Unione bancaria e il Meccanismo europeo di stabilita (Mes). Ad oggi, però, nessuno dei due è operativo al cento per cento. E, ciò danneggia, in particolare, il nostro Paese. Per un motivo molto semplice: l’elevato debito restringe (e di molto) i margini d’azione nel caso di un intervento pubblico. Spingere per completare l’Unione bancaria e ratificare la riforma del Mes dovrebbe, pertanto, essere una priorità dell’attuale governo. Eppure, l’esecutivo prende tempo. Al Consiglio europeo della scorsa settimana, Meloni ha spiegato che il Mes è superato dall’Unione bancaria che sarebbe, a suo avviso, “uno strumento ben più efficace”. La realtà, tuttavia, è un po’ diversa. I due strumenti non si sovrappongono. Bensì agiscono congiuntamente in presenza di una crisi sistemica. Vediamo il perché.
L’Unione bancaria è stata creata nel 2014, subito dopo il salvataggio della Spagna. Il crollo del settore bancario iberico dimostra l’inadeguatezza di un sistema basato su diciannove supervisioni nazionali diverse sia in termini di regole sia in termini di efficacia. Nello specifico, quello della Banca centrale spagnola è estremamente debole. Come oramai da prassi, l’Europa compie passi in avanti verso una maggiore integrazione solo dopo (e non prima, ahinoi) una crisi. E, così, solo dopo il salvataggio di Madrid, i leader trovano un compromesso in materia di vigilanza. Viene, così, creata l’Unione bancaria europea volta a garantire l’affidabilità, la trasparenza e la sicurezza del settore creditizio. Il nuovo assetto istituzionale è composto da tre pilastri, che si applicano alle economie della zona euro (a quelle non appartenenti ma solo su base volontaria). Il primo pilastro prevede un Meccanismo di vigilanza unico in capo alla Banca centrale europea (Bce), seppur in stretta cooperazione con quelle nazionali. Con simile schema, le norme e i conseguenti controlli periodici diventano uguali per tutti. Ciò consente di evitare che alcuni istituti possano essere soggetti a regolamentazioni più blande di altri con il rischio di creare instabilità all’interno dell’Unione monetaria. Il secondo pilastro è basato su un Meccanismo di risoluzione unico composto da un Comitato e da un Fondo di risoluzione finanziato dai contributi erogati dal settore bancario a livello nazionale. In caso di crisi di una determinata banca, il Comitato decide il tipo di intervento. Le soluzioni dipendono dalla gravità della situazione. In alcune circostanze può essere sufficiente trovare nuovo capitale. In altre è necessario ricorrere al cosiddetto bail-in, ossia a un salvataggio interno. Si tratta di un cambio radicale rispetto al passato quando le banche venivano salvate con i soldi dei contribuenti europei (bail-out). Con la nuova normativa, infatti, le perdite vengono assorbite in base alla logica della responsabilità: paga di più chi ha maggiormente contribuito al dissesto. Si comincia con gli azionisti che hanno scelto i manager incompetenti; poi i creditori subordinati che hanno comprato prodotti ad alto rischio ma anche ad alto rendimento; infine, i depositanti sopra centomila euro che hanno commesso l’errore di scegliere la banca sbagliata. In questo processo, il Fondo di risoluzione unico entra in gioco solo quando è stato applicato un bail-in minimo, ossia pari all’otto per cento delle passività totali. In altre parole, il Fondo può assorbire le perdite al posto dei creditori solo entro certi limiti. La capacità totale è di circa 55 miliardi di euro. Il terzo pilastro dell’Unione bancaria prevede la creazione di un’assicurazione unica per proteggere i depositanti sotto centomila euro. Ad oggi, essi sono tutelati dai sistemi nazionali che, però, variano, in termini di entità, da Paese a Paese. L’obiettivo è quello di disporre di una copertura più solida e più uniforme. Ciò contribuirebbe ad assicurare parità di condizioni per le banche dell’eurozona. E, quindi, maggiore stabilità. Nonostante ciò, questo sistema comune di protezione dei depositi non è ancora stato introdotto.