Archive for the ‘Editoriali – Opinioni’ Category

Il vero nemico resta l’inflazione

martedì, Marzo 21st, 2023

Veronica De Romanis

Guidare la Banca centrale europea sta diventando sempre più complesso. In questi ultimi mesi, la Bce ha ricevuto molte critiche da diversi esponenti politici del nostro Paese. Per alcuni fa “troppo”, per altri “troppo poco”, per altri ancora fa “troppo tardi”. Eppure, fino allo scorso anno, l’operato di Francoforte non è mai stato messo in discussione. Il motivo è semplice. La politica monetaria era espansiva. Che cosa significa? I tassi venivano tenuti bassi e i debiti degli Stati membri dell’area dell’euro venivano acquistati in quantità significative. In particolare, durante la pandemia. L’obiettivo era quello di sostenere le famiglie e le imprese con iniezioni di liquidità e basso costo del denaro. Una simile politica non poteva che raccogliere il favore della classe dirigente di un’economia come la nostra che “vanta” il secondo debito in rapporto al Pil più elevato dopo quello greco. Con l’arrivo della crisi energetica, quindi dell’inflazione, la Bce ha dovuto “normalizzare” la sua politica mettendo fine al periodo (durato probabilmente troppo a lungo) dei tassi bassi. E, così, sono iniziate le critiche.

In primo luogo, si è detto che alzare i tassi era inutile in presenza di un’inflazione da offerta, cioè derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia: tassi più alti non avrebbero cambiato la situazione che era il risultato di uno shock esogeno: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Nel giro di pochi mesi, però, l’inflazione ha smesso di essere generata solo dal lato dell’offerta. Lo dimostra la dinamica dell’inflazione core, l’indicatore depurato dagli energetici e dagli alimentari. A febbraio ha raggiunto il 6,3 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al mese di novembre. A fronte di questi dati, alzare i tassi è la cosa giusta da fare. Eppure, le critiche non sono finite. Sono in molti a ritenere che il rialzo dei tassi dovrebbe avvenire in modo ben più graduale. Una posizione che si è rafforzata in questi giorni con il fallimento della Silicon Valley Bank e i problemi della banca svizzera Credit Suisse.

L’incremento di mezzo punto percentuale deciso dal Consiglio direttivo della Bce giovedì scorso non è piaciuto a più di un esponente del governo. In particolare, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che «aumentare il costo del denaro non è giusto perché arreca danno alle imprese». A suo avviso «bisognerebbe studiare una strategia differente per combattere l’inflazione». Studiare soluzioni alternative è certamente possibile. È bene, però, tenere a mente che – ad oggi -, variare i tassi (in aumento quando c’è inflazione, in diminuzione nel caso contrario) è la politica a cui ricorrono tutte le banche centrali. Nessuna esclusa. Chiaramente questa politica ha delle implicazioni. Del resto, è esattamente ciò che ci si aspetta che accada: tassi più elevati servono a raffreddare l’economia e, quindi, a calmierare la corsa dei prezzi. In altre parole, l’impatto negativo a cui fa riferimento Tajani è inevitabile quando si combatte l’inflazione che, non deve essere dimenticato – è una tassa che colpisce maggiormente le persone svantaggiate. Fa, quindi, molto bene la Bce a perseguire il suo obiettivo, ossia la stabilità dei prezzi. Il compito di chi ha responsabilità di governo dovrebbe essere quello di minimizzarne gli impatti. Ciò dovrebbe avvenire attraverso provvedimenti capaci di distribuire i costi tra i cittadini. Ma anche con scelte politiche volte a contribuire al rafforzamento dell’Unione.

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Quella partita doppia tra Schlein e Conte

lunedì, Marzo 20th, 2023

Alessandro De Angelis

Da quando c’è Elly Schlein, Giuseppe Conte appare spiazzato perché dall’essere un problema per gli altri, si è ritrovato a gestire un bel problema in casa. C’è poco da fare: anche il suo eloquio un po’ barocco cozza con la disinvoltura con cui la neo-segretaria del Pd si muove nelle piazze, da quella antifascista di Firenze a quella arcobaleno di Milano. Piazze che hanno rivitalizzato sentimenti già esistenti. Mica è una novità che il Pd canta Bella ciao ed è schierato sui diritti, ma è chiaro che una giovane donna di sinistra-sinistra riesce a incarnare meglio questo sentiment, a parità di linea, rispetto a un democristiano come Enrico Letta. Ancor di più con un governo orgogliosamente polacco in carica. Dettaglio interessante: in entrambe queste occasioni, Elly Schlein non ha avuto neanche bisogno di parlare, lasciando che fosse l’argomento a imporsi, perché per biografia non serviva neppure.

Però il cammino è lungo e, quando c’è bisogno di parole e opere, più complicato. Non è solo questione di “fuori”, dove la neo-leader del Pd sembra essere più a suo agio, e “dentro” il suo partito, dove, dopo una settimana dall’insediamento, non ha ancora nominato capigruppo e gruppi dirigenti (a proposito di “cacicchi”, correnti e del loro potere di condizionamento). Ma è ancora un’incognita la costruzione di un popolo “fuori”, oltre le issues delle élite urbane. E l’avvocato del popolo che in questo derby a sinistra ha incassato un paio di goal (neppure l’immigrazione è il suo forte dai tempi dei decreti sicurezza) si prepara al contropiede sulla guerra (tema assai popolare). Sa bene che per Elly Schlein è complicato dire sì alle armi, e infatti domani in Parlamento la parola resterà innominata nella mozione del Pd, ma è altrettanto complicato dire di no, spostando senza traumi interni la collocazione internazionale del suo partito. E, in ogni caso, questo slittamento di cui si vedono i prodromi ha bisogno di tempo. Il che consentirà ancora al leader M5s di essere l’alfiere, agli occhi di un pezzo di opinione pubblica, di un pacifismo senza se e senza ma. E al Pd di apparire come il partito che quella posizione vorrebbe assumerla ma per ora non può.

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Il Leviatano della finanza e le colpe della politica

lunedì, Marzo 20th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Saltano le banche. Un’altra volta, come nel 1929, come nel 2008, come nel 2015. E allora? Che sarà mai? Di che ci meravigliamo? Mi torna in mente il magnifico “Qualcosa sui Lehman” di Stefano Massini, quando il cinico Philip rimbrotta suo cugino Herbert, graffiato per un attimo dalla lama arrugginita del rimorso: «Cos’è il mondo, se non mercato? Gli esseri umani non possono vivere senza denaro… Non esiste un solo aspetto dove non regni il vendere-comprare. Dunque non capisco: cos’è che non ti piace?». E infatti. Cos’è che non ci piace nel gioioso crac della Silicon Valley Bank, tempio votivo della modernità e propaggine finanziaria del meraviglioso mondo delle start up californiane, così meta-versiche, iper-tecnologiche, super-dinamiche?

Cos’è che non ci piace nel gaudioso dissesto del Credit Suisse, carro allegorico del “capitalismo reale” e simbolo schumpeteriano della distruzione creatrice permanente e ricostituente? Una ha polverizzato 42 miliardi di dollari di depositi in un solo giorno, l’altra ha perso il 25% del suo valore in pochi minuti. In due sedute, a distanza di tre giorni tra il primo e il secondo default, le Borse europee hanno visto svanire più di 600 miliardi di capitalizzazione. E allora? Che problema c’è? Nessuno. Così assicurano gli economisti e gli statisti, i padrimaristi e i palastilisti. Non si vedono all’orizzonte né minacce alla stabilità del circuito internazionale né effetti domino da una parte all’altra dell’Atlantico (dati i coefficienti patrimoniali più severi del pianeta imposti alle banche europee). Svb crolla per un deficit di liquidità: cattivo rapporto tra attivi e passivi della banca innescato dall’aumento dei tassi di interessi.  

Eccesso di investimenti pregressi in titoli di lunga durata a rendimenti bassi e fissi, deprezzati in tempi di stretta monetaria, conseguente fuga della clientela verso impieghi più remunerativi, improvviso e irrimediabile svuotamento delle casse. Credit Suisse collassa per un deficit di affidabilità: squassata dal Big Crash del 2007-2008, zavorrata da scandali e conti in rosso, multata per corruzione e tangenti, condannata per riciclaggio, infine mollata dal primo azionista Saudi National Bank che si rifiuta di aumentare la sua partecipazione, accendendo la miccia sui mercati. La vulgata dice che non si tratta di “cigni neri” sistemici ma di “bachi” singoli e scollegati, e che le soluzioni sono già pronte. In America paga lo Stato: come annuncia lo Zio Jo e, nessun risparmiatore subirà perdite e le autorità monetarie interverranno whatever it needs (variante bideniana del whaterver it takes draghiano). In Svizzera paga la Banca centrale, con un prestito emergenziale di 50 miliardi di franchi, con la speranza che basti e con l’auspicio che ora, all’inevitabile spezzatino del gigante malato zurighese, partecipino “gnomi” più seri e più solidi.

Sarebbe magnifico poter credere a questa storiella, assolutoria e rassicurante. Magari il cordone sanitario, stavolta, funzionerà davvero ed eviterà il contagio. Ma la diffidenza psicologica dei cittadini è comprensibile e l’acribia dogmatica dei decisori è discutibile. Troppe incognite, in un mercato globale già terremotato dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dalla spirale inflazione-recessione. Il nuovo virus bancario incuba durante ma in parte anche a causa della stretta monetaria decisa un anno fa da Fed e Bce. Fronte Federal Reserve: tra martedì e mercoledì capiremo se il governatore Powell rivedrà la strategia del rigore, visto l’impatto negativo del rialzo dei tassi sui bilanci delle banche e il calo dell’indice dei prezzi a febbraio. Nel frattempo, come scrive Adam Tooze, proprio Svb ha perso un miliardo di dollari ogni volta che i tassi sono aumentati dello 0,25% (e negli ultimi dodici mesi la Banca centrale Usa li ha portati da 0 al 4,5%). Fronte Banca centrale europea: giovedì scorso la presidente Lagarde ha riconfermato la Linea Maginot, si va avanti con i rialzi previsti, per non far perdere credibilità all’istituzione e non allarmare la business community su possibili fallimenti creditizi nascosti nell’Eurosistema. Ma intanto, come sostengono il governatore di Bankitalia Visco e il presidente dell’Abi Patuelli, il caro-tassi indebolisce la tenuta patrimoniale delle banche perché ne fa lievitare le minusvalenze in portafoglio, e per questo serve “una riflessione ulteriore” prima di stringere ancora i bulloni del credito (visto che in parallelo sono crollati i prezzi del gas e in dodici mesi la Bce ha comunque innalzato il suo tasso di riferimento al 3,5%).

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Campo largo, ora la “Cosa” esiste davvero

venerdì, Marzo 17th, 2023

Marcello Sorgi

«La cosa esiste!», si potrebbe dire – o ripetere – ricordando uno slogan molto in voga trent’anni fa, quando i post-comunisti, liquidato il Pci insieme con le macerie del Muro di Berlino, impiegarono un paio d’anni a scegliere il nuovo nome della «cosa», che intanto continuò a chiamarsi così. Invece al congresso della Cgil, padrone di casa Landini, che sabato sarà riconfermato segretario del maggior sindacato italiano, il «campo largo» di cui si parla da tempo si è materializzato con i leader del centrosinistra, da Calenda a Fratoianni, passando per Conte e – manco a dirlo – Schlein, seduti uno accanto all’altro sul palco. E sebbene nessuno abbia preso impegni per il futuro, di buona volontà se ne è vista, chissà che non possa servire per le prossime amministrative d’autunno, dove, senza costruire una coalizione, la sconfitta sarebbe nuovamente assicurata. Intendiamoci: le difficoltà ci sono ed è inutile nascondersele, hanno ripetuto uno dopo l’altro i potenziali alleati. Ma l’ingresso in scena della nuova segretaria del Pd ha introdotto una novità che può funzionare, nel bene e nel male. Nel bene: Schlein, al di là degli slogan a cui è affezionata, sta rivelando giorno dopo giorno un pragmatismo insospettabile e una testardaggine imprevedibile alla vigilia delle primarie. Tanto che certe volte, a sentirla parlare, sembra di ascoltare Bonaccini e non lei.

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Il doppio segnale della Bce

venerdì, Marzo 17th, 2023

di Federico Fubini

Molti banchieri centrali dell’Europa centrale e del Nord vorrebbero continuare la stretta monetaria. Altri, soprattutto dell’Europa del Sud, vorrebbero che la banca centrale si fermasse per vedere e capire cosa sta accadendo, Ma ieri la Bce non si è lasciata bloccare dai tremori delle banche

Se la democrazia è la peggiore forma di governo eccetto tutte le altre, come diceva Winston Churchill, allora la Banca centrale europea è profondamente democratica. Non solo perché decide a maggioranza e chi è in minoranza — ieri tre o quattro contrari al sesto aumento consecutivo dei tassi — semplicemente accetta. Lo è anche perché ha sviluppato un suo modo di lavorare che ne garantisce l’equilibrio anche quando prende dei rischi. Lo è anche quando le minacce all’esterno e i conflitti al suo interno non sono risolti: sono solo rimandati a quando, si spera, la turbolenza sui mercati si sarà diradata.

Ieri la Bce non si è lasciata fermare dai tremori delle banche. Negli ultimi giorni i dissesti in serie da Silicon Valley Bank in California a Credit Suisse a Zurigo hanno spazzato via dal settore del credito 120 miliardi di euro di valore di Borsa in Europa e 229 miliardi di dollari negli Stati Uniti. La Bce ha comunque alzato i tassi dello 0,5%, come aveva promesso di fare tre mesi fa scommettendo (con troppa sicurezza di sé) sulla sua capacità di leggere il futuro. Probabile che senza quell’impegno la Banca centrale ieri si sarebbe mossa con più cautela. A maggior ragione dopo aver spiegato essa stessa ai ministri finanziari che alcune banche europee potrebbero essere vulnerabili in questa fase di contagio. Ma anche se prosegue così l’aumento del costo del denaro più rapido della storia dell’euro, Francoforte non è un’eccezione. L’area euro continua ad avere un costo del denaro fra i più bassi dell’Occidente, pur essendo lontana dall’avere l’inflazione più bassa.

Che i banchieri centrali abbiano deciso di andare avanti, conoscendo i segreti dei bilanci meglio di chiunque altro, significa che non vedono rischi di crac bancari nell’area euro. In realtà ne erano convinti anche nel 2008 e nel 2011, quando la Bce alzò i tassi più volte subito prima dei passaggi più drammatici della crisi finanziaria. Ma stavolta la storia non è esattamente uguale, o almeno si spera che quegli errori non saranno ripetuti in una sorta di ciclo dell’eterno ritorno. La vigilanza sulle banche in Europa oggi dovrebbe essere più omogenea e stringente di allora. E la Bce di Christine Lagarde sta dando segni di non essere accecata dalla stessa arroganza di quella, ormai lontana, di Jean-Claude Trichet. Ieri per la prima volta da molti mesi ha ammesso di non conoscere il futuro e dunque ha sospeso ogni giudizio: non c’è più alcun impegno a continuare ad alzare i tassi, prima di capire come si svilupperà la situazione sui mercati e nell’economia reale da ora in poi.

Naturalmente dietro questa apparente umiltà si nascondono anche divisioni profonde. Molti banchieri centrali dell’Europa centrale e del Nord vorrebbero continuare la stretta monetaria, anche se più gradualmente, per anticipare il momento in cui l’inflazione tornerà al 2%. Altri, soprattutto dell’Europa del Sud, fanno presente che le previsioni della stessa Bce di fatto indicano già una discesa del carovita verso l’obiettivo fra due anni. Dunque i primi vorrebbero frenare di più l’economia fin da subito, creando disoccupazione per sradicare il rischio di perdere il controllo dei prezzi. Gli altri vorrebbero che tra poco la Banca centrale si fermasse per vedere e capire cosa sta accadendo, a maggior ragione ora che la sfiducia corre di nuovo sui mercati e di sicuro renderà l’offerta di credito più scarsa e più costosa per le famiglie e per le imprese.

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Ora il vero rischio è la crisi di fiducia

giovedì, Marzo 16th, 2023

Stefano Lepri

Quando sono addirittura le banche a dubitare l’una dell’altra, viene subito di pensare che là dentro si sa qualcosa che ancora noi non sappiamo. Stando alle cifre che si conoscono, non ci sarebbero i presupposti per difficoltà diffuse come quelle di cui i mercati finanziari in questi giorni stanno mostrando di temere. Ma di certezze solide non ce ne sono, quando tutto dipende dalla fiducia.

Una crisi di fiducia può abbattere anche una banca sana, come sapevano benissimo gli sceneggiatori hollywoodiani del film «Mary Poppins» nel 1964 e come dimostrarono con rigore scientifico nel 1983 i due vincitori del Nobel 2022 per l’Economia, Douglas Diamond e Philip Dybvig. Non è necessario dunque che ci siano magagne nascoste. Può bastare il contagio della paura.

Da queste cognizioni ormai condivise, dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008, ci si era illusi di aver tratto tutte le conseguenze necessarie. Non è così. Negli Stati Uniti, una legge giusta è stata rivista a causa di pressioni lobbistiche. In tutti i Paesi, i banchieri tentano di eludere i controlli delle autorità di regolazione pubbliche incaricate di verificare i loro conti.

Inoltre, quando una banca va a rotoli può far danni molto più gravi di quanto la sua dimensione potrebbe far pensare. In Italia lo abbiamo visto alla metà dello scorso decennio, quando le malefatte clientelari di Vicenza o di Arezzo hanno scosso l’economia nazionale, spingendo a interventi di Stato e anche collettivi del sistema bancario (a Washington avrebbero fatto bene a studiarlo).

Facile ironizzare sui banchieri che fino a ieri inneggiavano a una assoluta libertà di mercato e oggi implorano soccorso dai governi. In realtà la ricetta giusta non era facile stabilirla in anticipo. I due casi della Silicon Valley Bank e del Crédit Suisse non potrebbero essere più diversi, eppure cooperano a suscitare uno stesso panico.

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Crolli bancari: le colpe sono note

giovedì, Marzo 16th, 2023

di Daniele Manca

Dobbiamo iniziare ad aver paura davvero? La settimana scorsa la crisi in California di una banca legata alla Silicon Valley, simbolo della tecnologia motore della crescita. Un istituto tanto interconnesso da aver nel suo nome, Silicon Valley Bank (SVB), la ragion d’essere. Ieri in Svizzera, la caduta di un altro istituto, il Credit Suisse, anch’esso con nel nome la presunta quanto iconica solidità elvetica. Due inneschi per un incendio che ha coinvolto i mercati mondiali crollati in Europa come in America.

La risposta alla domanda iniziale dovrebbe essere «no». Ma solo in teoria. E non dovremmo aver paura per almeno un paio di motivi. Il primo è che paradossalmente le crisi finanziarie che abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni avrebbero dovuto insegnare molto a chi queste situazioni doveva controllare. Ed evitarle. Il secondo è che, in entrambi i casi, la caduta delle due banche è legato non tanto a sofisticati investimenti in esotici derivati o a chissà quale truffa. Ma a ragioni chiare ed evidenti.

In California è stata l’incapacità di comprendere che se i tassi di interesse erano aumentati del 4% nel giro di poco tempo qualcosa doveva cambiare nella strategia della banca. (E analoga riflessione dovranno fare anche gli istituti europei).

In Svizzera era chiaro che inanellare nel giro di un paio d’anni investimenti sbagliati, perdite, fuga dai depositi e dalle gestioni, bilanci da chiarire, e infine l’ingresso di azionisti mediorientali ricchi quanto poco accorti, poteva avere conseguenze.


Ma conoscere le ragioni della caduta delle due banche non spinge certo a essere tranquilli. I crolli sui mercati di ieri fanno capire quanto il nervosismo pervada il mondo dell’economia. In fondo SVB investiva in «noiosi» quanto sicuri titoli di Stato americani. Il Credit Suisse aveva varato un aumento di capitale miliardario. Ma abbiamo capito purtroppo a nostre spese quanto possano essere fatali in questa situazione imperizie nella gestione delle banche e una vigilanza non all’altezza per dire chiaramente carente.

Il crollo delle Borse di questi giorni (e ieri è toccato anche a Wall Street che sembrava avesse digerito la crisi della SVB), dimostra che la mancanza di fiducia in un uno o due istituti fa presto a trasformarsi in panico generale. Ogni crisi bancaria inizia dal fatto che investitori, imprese e cittadini tolgono la fiducia al proprio istituto ritirando depositi e investimenti. Ma se il panico si diffonde, il tutto si trasforma in perdurante crisi. Ed è questo che va evitato.

Almeno la lezione del 2008 dovrebbe essere stata imparata. Iniziò a cadere la Bear Sterns, oggi dimenticata. Ma anche 15 anni fa quel segnale fu sottovalutato. E quando, sempre nel settembre 2008 fallì Lehman che diventò l’emblema della crisi, la bufera fu tale che solo parecchi anni dopo il mondo intero riuscì a uscirne. E qual era la lezione? Che la stabilità finanziaria va preservata o sarà l’intera attività economica a soffrirne.

Avere strade in disordine o senza manutenzione non permette ad automobili e camion di poter viaggiare. Alla stessa maniera, un sistema finanziario traballante frena o addirittura blocca l’economia. E le banche sono l’architrave di quel sistema. «Attaccate» a un istituto ci sono milioni di persone, migliaia di imprese. Ma questo non deve significare conferire a banche e banchieri una sorta di salvacondotto.

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La questione cattolica nella sinistra di Schlein

mercoledì, Marzo 15th, 2023

Annina Lubbock*

Apprezzo, come sempre, l’argomentare garbato di Graziano Delrio. Fa bene a ricordare i temi centrali della “agenda Schlein” sulla difesa dei deboli, l’economia sociale e l’ambiente, come questioni che stanno particolarmente a cuore a quelle parte del mondo cattolico che guarda al Pd, e ne fa parte. Tuttavia, alcune sue posizioni mi lasciano perplessa. “I cattolici sono molto preoccupati”. Quali? Ne conosco davvero tanti, dentro il Pd e fra i moltissimi che hanno votato Schlein, che non sono affatto preoccupati, anzi, nutrono molte speranze per il futuro. E mi chiedo cosa vuole dire “Non mettere i diritti civili in contrasto con la famiglia?”. Quale famiglia? Oggi in Italia, come altrove, di configurazioni di famiglia ce ne sono tante, e non solo perché ci sono anche famiglie omogenitoriali: genitori single; genitori divorziati con figli – conviventi e non – di unioni precedenti; genitori adottivi; famiglie con nonni o altri parenti conviventi; famiglie che vivono in comune. E la famiglia “tipo” (ma non certo unica) di oggi (padre/madre/figli) è già assai diversa da quella di 50 anni fa, e cambierà ancora.

Una famiglia è una comunità di affetti in cui i bambini, che siano figli biologici o non, che abbiano genitori omo o etero, possono crescere amati, protetti, ascoltati ed educati. Genitori, etero o omo che siano, in grado di garantire tutto questo a dei minori sono una risorsa per la società. Tutte le famiglie vanno sostenute, tutelando i diritti dei figli, che sono tutti uguali. Negare, come sta cercando di fare questo governo (vedi il caso di Milano e il conflitto con la Ue sul tema), il riconoscimento ai bambini di coppie omogenitoriali (che siano nati con gpa, fecondazione assistita, o siano adottati) è una intollerabile violazione dei diritti dei bambini, che i cattolici non possono non difendere.

La ricerca scientifica, compresi diversi studi longitudinali, ci dice che non vi è differenza in termini di esiti affettivi, cognitivi e di formazione della propria identità sessuale, fra figli di famiglie omo o etero-sessuali, né quanto a conflitti e separazioni. Non consentire a coppie non eterosessuali di definire la loro unione un “matrimonio”, manda alla società il messaggio che la loro unione ha meno legittimità e valore di quella di un matrimonio fra un uomo e una donna. Immaginate l’impatto sui figli di quelle coppie (“la mia famiglia è di serie B”). Non credo che sia accettabile per un cattolico che vi siano cittadini di serie A e di serie B.

Quali sono le politiche per la famiglia che servono? Non tanto bonus o assegni alle casalinghe, ma le azioni che sono dentro il manifesto di Schlein: la lotta alla precarietà e per il lavoro decente (la insicurezza riguardo al futuro è la principale ragione per la quale i giovani – uomini e donne – non “fanno famiglia”, o lo ritardano o si fermano al primo figlio); più asili nido, soprattutto al Sud; tempo pieno nelle scuole; congedi parentali uguali per padri e madri; aumento della occupazione femminile (che come è noto ha un impatto positivo sulla natalità); una sanità pubblica con più risorse; un fisco più equo; un ambiente più sostenibile per le future generazioni.

Non è poi chiaro cosa si intenda per “diritti comunitari”? Come potrebbero essere in contrasto con i diritti individuali? In che modo riconoscere il diritto di coppie omogenitoriali a fare famiglie violerebbe un buon senso comune, se è a questo che si allude con il termine “diritti comunitari”? Eppure, tante ricerche demoscopiche ci hanno confermato che il sentire della società su queste questioni si evolve con rapidità: i sondaggi ci dicono che anche in Italia la proporzione di popolazione a favore dei matrimoni egualitari è ormai alta e in costante crescita.

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Elly Schlein e le sue tre cittadinanze

mercoledì, Marzo 15th, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Non si vuole certo mancare del dovuto riguardo al cosmopolitismo, ma sommessamente sollevare solo un dubbio: non sarebbe stato opportuno che Elly Schlein nel momento in cui è diventata segretaria del Pd annunciasse di rinunciare alle due prestigiose cittadinanze delle tre che ha, quella statunitense e quella svizzera, decidendo quindi di accontentarsi della certamente meno accattivante cittadinanza italiana?

Oggi la Schlein è a capo del principale partito d’opposizione, ma domani, chissà, grazie a qualche imprevedibile terremoto politico-parlamentare qui da noi però sempre possibile, potrebbe magari trovarsi a essere addirittura in corsa per la Presidenza del Consiglio. «Sta bene» mi chiedo — adopero volutamente questa categoria dell’etichetta: dal significato alquanto indefinibile eppure chiarissimo — che una persona in una tale condizione oltre che cittadina italiana sia anche cittadina svizzera e americana? Cioè da un lato dell’unico o quasi Paese europeo che non fa parte dell’Unione e dall’altro di un paese come gli Usa con il quale è inutile sottolineare la complessità dei rapporti che intratteniamo sia come italiani che come europei? «Sta bene», ancora, che un giorno, mettiamo, i governanti di Berna o di Washington incontrandola possano chiedersi se l’italiana che si trovano davanti abbia votato per loro o per i loro avversari?

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Il senso dell’equilibrio

martedì, Marzo 14th, 2023

Augusto Minzolini

Dopo il tragico e straziante naufragio di Cutro, sulle nostre coste sono arrivati, salvati dalla nostra Marina militare e dalle motovedette delle capitanerie di porto, migliaia e migliaia di immigrati imbarcati su quei rottami galleggianti che usano gli scafisti (dall’inizio dell’anno più di 18mila clandestini). E a sentire la nostra intelligence, sulle coste libiche ce ne sarebbero 685mila pronti a partire. Una marea umana pronta a riversarsi sulla penisola. Una moltitudine che da una parte va soccorsa per evitare che affidandosi alle grinfie di organizzazioni criminali senza scrupoli finisca in fondo al mare. Dall’altra va scoraggiata o, almeno selezionata, in modo che i perseguitati e i provenienti da zone di guerra trovino asilo da noi com’è loro diritto, mentre chi viene solo per popolare quei ghetti criminali che sono sorti nelle nostre città (furti, aggressioni e spaccio) sia respinto. Anche perché è fatale che il prossimo fatto di cronaca truculento che abbia come protagonista qualche immigrato clandestino susciti nella nostra opinione pubblica una reazione emotiva, uguale e contraria, a quella giustamente provocata dalla disgrazia di Cutro. Le emozioni, si sa, non si governano.

Ecco perché c’è un bisogno profondo di senso dell’equilibrio nell’accostarsi ad un problema che non ha soluzione. Da parte di tutti. È necessario assicurare il soccorso in mare a chi si affida a questi viaggi del dolore. Non potrebbe essere altrimenti: solo qualche scemo del villaggio può pensare che il nostro governo non abbia salvato scientemente i naufraghi di Cutro. È anche necessario, però, trovare nel contempo strumenti che scoraggino l’immigrazione, che spieghino a questa umanità disperata che non basta arrivare in Italia per restarci. Motivo per cui è giusta la guerra senza quartiere agli scafisti. Intensificare i soccorsi in mare. Ma nel contempo, la vera partita si gioca sul potenziamento e l’efficientamento dei nostri centri di rimpatrio: per rimanere nel nostro Paese (o in Europa) devi averne diritto o meritartelo; i settemila dollari dati agli scafisti non sono una garanzia, ma rischiano di essere soldi sprecati se non hai i requisiti per essere accolto.

È una misura essenziale, specie se si punta a promuovere la politica dei flussi e dei corridoi umanitari. Chi viene da noi in cerca della terra promessa deve seguire i percorsi legali. Anche perché un’immigrazione senza limiti può determinare una reazione di rigetto. E in quel caso l’orientamento politico conta poco: il conservatore inglese Rishi Sunak e il democratico americano Joe Biden usano strumenti simili per contenere il fenomeno.

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