Archive for the ‘Editoriali – Opinioni’ Category

Governo in confusione e l’altolà dell’Europa

martedì, Maggio 23rd, 2023

Stefano Lepri

Non si poteva trovare simbolo migliore dei guai dell’Italia. Alle prese con il Pnrr rischiamo, come Paese, di mostrarci incapaci di preparare il domani. Le difficoltà a realizzare gli investimenti che più darebbero frutti in futuro sembrano spingere le forze politiche dominanti a preferire meno soldi ma a pronto effetto. Eppure, proprio queste difficoltà ci indicano dove occorrerebbe innovare.

L’Europa offre un sacco di soldi per dare alla nostra economia una spinta che duri negli anni, e che dunque eviti all’Italia di perdere altro terreno nel mondo. Ora si scopre non solo che quei soldi faticheremo a spenderli, o che rischiamo di dedicarli a opere poco utili; si scopre perfino che dubitiamo dell’idea stessa di investimento, ovvero costruire qualcosa che sia utile poi. Avremmo la possibilità di prospettarci traguardi ambiziosi, tipo infrastrutture e servizi al livello dei Paesi più avanzati; ma non si smuovono strutture pubbliche inefficienti perché paralizzate da conflitti e veti reciproci di mille piccoli poteri litigiosi e invidiosi, più ancora che dalle scarse capacità di uffici dove per anni non si sono assunte persone competenti e capaci.

Tutto ciò che non marcia nell’attuazione del Piano conferma l’urgenza delle riforme che secondo gli accordi europei ne sono parte essenziale, e casomai segnala che ne occorrerebbero di più incisive. Ma proprio di riforme – burocrazia, giustizia, concorrenza, la lista è nota – si sente parlare pochissimo, né si intravedono novità. Sono intasati i canali attraverso i quali la politica dovrebbe raccogliere le esigenze dei cittadini. Erano stati inseriti nel Piano gli stadi di Venezia e di Firenze, non c’erano invece abbastanza residenze per studenti universitari, quelle che ora reclamano ragazze e ragazzi attendati in svariate piazze: quando appunto l’Italia ha meno laureati di tutti gli altri Paesi d’Europa. Investire sul futuro non è solo costruire opere che migliorino città e comunicazioni, è preparare meglio i giovani. Però i maggiori finanziamenti per la ricerca universitaria rischiano di disperdersi nelle scelte piccine di cerchie accademiche chiuse. Né ci si domanda come mai nei confronti internazionali vadano bene i bimbi delle elementari, appaiano in ritardo i ragazzi delle superiori.

Se le amministrazioni pubbliche sono lente ad agire, non è di per sé una cattiva idea dare più spazio al settore privato. Ma per che cosa? Da trent’anni, fin da quando non colsero l’occasione storica offerta dallo smobilizzo dell’industria di Stato, le nostre imprese private si sono mostrate poco ardite nell’innovazione, e in media hanno investito meno delle concorrenti. Occorrerebbe concentrare gli sforzi su investimenti di valido contenuto. Non serve distribuire a pioggia; né gli altri governi ci permetterebbero di destinare le risorse dell’Europa a sussidi per far meglio competere le aziende nostre con le loro. Va detto poi che le aziende italiane più dinamiche sono, quasi sempre, quelle che hanno avuto poco a che fare con il denaro pubblico.

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Lo Stato, l’autonomia, le Regioni e un bilancio da fare

martedì, Maggio 23rd, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Non ho mai conosciuto qualcuno che, nato a Roma, non si dicesse «romano» ma «laziale» (che semmai, come si sa, oggi significa perlopiù uno che tifa per la squadra di Ciro Immobile). Egualmente, mai ho sentito un napoletano presentarsi come «un campano» o qualcuno nato a Torino dirsi di primo acchito piemontese invece che torinese. Anche di chi sia nato alla Giudecca scommetterei quello che volete che non gli verrebbe mai in mente di non dirsi veneziano ma «veneto».

Scrivo questo per sottolineare quanto dovrebbe essere noto a tutti: e cioè che storicamente in Italia l’identità cittadina è sempre stata estremamente più forte di quella regionale. «L’Italia è un Paese di città» diceva Carlo Cattaneo: di città con intorno il proprio contado (cioè la provincia). Pochi sanno che in qualche caso i confini e le denominazioni regionali oggi in uso furono addirittura letteralmente inventati subito dopo l’Unità per pure ragioni statistiche.

Anche al momento di scrivere la Costituzione l’istituzione di un ordinamento regionale fu voluta solo dai cattolici in omaggio alla loro antica diffidenza verso lo Stato unitario, e alla fine accettata più o meno malvolentieri anche dagli altri costituenti ma solo come una generica istanza di decentramento di tipo amministrativo. Nulla di più.

Tuttavia, negli anni ‘90 del secolo sorso, in coincidenza con la disintegrazione della Dc e con la crisi della prima Repubblica, una significativa richiesta regionalista — talvolta con un esplicito sottinteso federalista se non addirittura secessionista — emerse nel nord e specialmente nel nord-est del Paese. Fu, come si sa, l’inizio della battaglia della Lega. A proposito della quale va considerato, tuttavia, che dal 1989 ad oggi in nessun turno di elezioni politiche o regionali la Lega stessa ha mai superato a livello nazionale il 20 per cento dei voti, e in trent’anni solamente tre volte essa è riuscita ad andare oltre il 10 per cento (alle politiche del ’96 con il 10,7; alle regionali del 2010 con il 12,28; alle politiche del 2018 con il 17,37). A riprova del consenso evidentemente minoritario che presso l’opinione pubblica ha sempre riscosso e continua a riscuotere quello che è il suo principale tema identitario.

Ancora più strabiliante quindi (in realtà fu un disperato tentativo di togliere comunque voti al centro destra nelle imminenti elezioni politiche) appare la svolta decisa nel 2001 sulla base di una risicatissima maggioranza, dal governo Amato sostenuto dalla sinistra, in particolare dai diesse guidati da Walter Veltroni. Si tratta della svolta che ha riformato il titolo V della Costituzione stravolgendo l’impianto originario del regionalismo. Innanzi tutto attribuendo tanto allo Stato che ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Province e alle Regioni il medesimo rango in quanto elementi costitutivi della Repubblica. Il che ha voluto dire che tutti quegli enti substatali hanno perso la loro precedente connotazione di stampo prevalentemente territoriale per diventare, viceversa, attori di primaria importanza nella definizione dell’attività normativa generale, in certi casi anche internazionale, del Paese.

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E nessuno parlò

martedì, Maggio 23rd, 2023

di Massimo Gramellini

Se fosse vero, ma non può esserlo, ci sarebbe da uscirne pazzi. Il manager Gianni Mion ha dichiarato in tribunale che nel 2010, otto anni prima del crollo, si tenne una riunione con i massimi dirigenti del gruppo Autostrade, durante la quale i tecnici rivelarono l’esistenza di un difetto che metteva a repentaglio la stabilità del ponte di Genova. Nessuno dei presenti batté ciglio.

Nessuno tranne Mion, che volle sapere a chi spettasse certificarne la sicurezza. E quando gli fu risposto «ce la certifichiamo da soli», non aggiunse nulla per paura di perdere il posto. Se fosse vero, ma non può esserlo, toccherebbe aggrapparsi alla speranza che fosse lui, Mion, l’unico reprobo. E che tutti gli altri non avessero sentito niente, persi dentro gli smartphone o nei loro pensieri.

Perché la notizia che il ponte, il tuo ponte, rischia di spezzarsi come un grissino dovrebbe terrorizzare persino il più cinico degli amministratori, non foss’altro perché lì sopra potrebbe passarci anche l’auto dei tuoi figli. O la tua. Se fosse vero, e non ne hanno parlato prima del crollo, ci sarebbe già da uscirne pazzi. Ma, se fosse vero, come reggere alla scoperta che non ne hanno parlato neanche dopo?

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Pace e difesa, partita doppia in Europa

lunedì, Maggio 22nd, 2023

di Angelo Panebianco

Rileggere adesso la politica di Angela Merkel verso la Russia aiuta a capire quale è stata la vera «colpa» dell’Occidente, la sua vera responsabilità, nella guerra in Ucraina

Il summit del G7 in Giappone è stato soprattutto una presa d’atto. Ha registrato i radicali cambiamenti ormai da tempo in corso nel rapporto fra the West and the Rest, fra l’Occidente e il resto del mondo. Chiusa la parentesi, durata solo pochi decenni, dopo la fine della Guerra fredda, dell’incontrastato predominio statunitense, tutti dobbiamo fare di nuovo i conti con la tradizionale, aspra, competizione fra le grandi potenze. Come è sempre stato. C’è la volontà della Cina di riscrivere le regole della convivenza internazionale in coerenza con il suo ormai raggiunto status di superpotenza. Anche usando la forza (Taiwan) se lo riterrà necessario. E c’è la sfida russa all’Occidente (Ucraina). Si può dire che nel caso degli europei, assuefatti, grazie alla protezione americana, a una lunga pace, una pace che dura dalla fine della Seconda guerra mondiale, non ci sarebbe stata alcuna sveglia, alcuna presa d’atto, senza l’aggressione all’Ucraina. Il 24 febbraio del 2022 (inizio dell’invasione russa) gli europei scoprirono improvvisamente di essersi svegliati, quella mattina, in un nuovo mondo.

Niente dimostra più efficacemente il cambiamento di percezioni e di giudizio da parte degli europei della vicenda di Angela Merkel. Parlarne aiuta a comprendere quali siano i problemi che gli europei devono fronteggiare oggi.

Possiamo riassumere con una formula la parabola dell’ex cancelliera tedesca: da «santa subito» a «Merkel chi?». Ricordate? Sia quando era al potere sia, ancor più, quando lo lasciò, Angela Merkel venne celebrata da tanti europei (italiani in testa) come una delle grandi statiste del secolo, una leader che, per tanti anni, aveva guidato con saggezza non solo la Germania ma anche l’Unione europea nel suo complesso. Ma la sua tanto celebrata statura politica, la sua grande reputazione, andarono in pezzi quando Putin diede il via all’invasione dell’Ucraina. Improvvisamente si capì ciò che, colpevolmente, non si era capito prima: se abbracci una belva (come fece Merkel con Putin) nel tentativo di ammansirla, quella prima o poi ti sbranerà. La politica di Merkel verso la Russia aiuta a capire quale fu la vera «colpa» dell’Occidente, la sua vera responsabilità, nella guerra in Ucraina. Secondo i teorici dei due imperialismi equivalenti (russo e americano), è la Nato, con la sua politica di espansione ad Est, la causa della guerra in Ucraina. Ma la colpa dell’Occidente (che c’è) è tutt’altra, è quella di non avere messo in atto per tempo le misure dissuasive che avrebbero forse scoraggiato il risorgente imperialismo russo: non è abbracciandola, ma agitando sotto il suo naso un grosso bastone, che si può impedire a una belva di azzannarti. Merkel non fu la sola responsabile. La responsabilità più grande, ovviamente, spettò agli Stati Uniti. E anche gli altri europei, come francesi e italiani, fecero la loro parte contribuendo al verificarsi del disastro. Ma Merkel, proprio perché a capo del più potente Stato europeo, ebbe un ruolo decisivo.

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I negazionisti dell’apocalisse che si lavano la coscienza

domenica, Maggio 21st, 2023

MASSIMO GIANNINI

La risposta più bella e commovente, di fronte a questa nuova tragedia degli umani, la danno gli umani stessi. Quelli che spalano a mani nude il fango e il dolore, da Lugo a Conselice, da Faenza a Cesena. Quelli che il grande Maurizio Maggiani, ricordando un’altra alluvione di 150 anni fa, chiama gli “scarriolanti”: gente tosta, che annega le lacrime nel Lamone mentre scava, spazza, pulisce, porta via terra e acqua a tonnellate, perché anche a questa disgrazia, “ciò, ci andremo su dietro”. Quelli che se ne fregano delle putride polemiche politiche e delle trucide regine del tua culpa, perché qualunque cosa accada o sia accaduta, il peggio diluvio o la peggio malattia, adesso “la si insegue, gli si salta in groppa e la si doma”.

Come al solito, piangiamo i morti e gli sfollati. Piange anche Giorgia Meloni dal Giappone, e dopo quattro giorni, vivaddio, dice: «La mia coscienza mi impone di tornare». Ci angoscia la Spoon River degli anziani, che soli e ammalati non vogliono lasciare le loro case distrutte. Ci commuove l’epopea degli angeli del fango che a diciott’anni si infilano le galosce e imbracciano le pale, altro che sdraiati e divanisti. E invece due cose ci fanno inorridire, in questo eterno day after delle sciagure italiche. La prima è il cinismo di chi specula, per qualche voto o qualche copia in più, cinguettando ironie e sarcasmi attraverso le grate della fogna social o titolando “Sott’acqua il modello Pd” le penose prime pagine ispirate dal novello Minculpop. Da Santagata a Bagnacavallo stiamo ancora recuperando i cadaveri dalle cantine allagate, e volonterosi carnefici della grande Revanche patriottica, insieme a vogliosi artefici della nuova “egemonia culturale”, sentono l’urgenza di un bel processo sommario, con condanna ovviamente incorporata, alla famigerata “Emilia Rossa”.

Neanche fosse ancora vivo Togliatti.

“Se la sinistra affonda non è mai colpa sua”, scrivono e dicono. Come se questo fosse il problema, adesso: piove, e non più governo ladro ma sinistra assassina. Vergogna, vergogna per tanta squallida demagogia. In quelle lande sommerse della Val Padana affondano cose e persone, di cui conta la vita e non il colore politico. In quel gorgo maledetto non affonda “la sinistra”, che nei decenni, nei mesi e persino nei giorni passati, che sia stata di governo o di opposizione, nazionale o municipale, di errori a carico ne ha tanti, gravi e meno gravi. Semmai affonda l’Italia, in un naufragio perenne che oggi inghiotte la “Romagna Nostra” come ieri ha già inghiottito il Polesine nel ’51 (quando morirono 101 poveri cristi), il Piemonte nel ’94 (che fece 70 vittime) e Sarno nel ’98 (che se ne portò via 161). Oppure la Liguria nel 2014, la Sardegna nel 2020, Capri nel 2021.

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Il (solito) grande scontro per il piccolo schermo

sabato, Maggio 20th, 2023

di Antonio Polito

Stupisce che dopo trent’anni di bipolarismo il confronto in Italia sia ancora fondato sul sospetto reciproco e sulla mutua negazione della legittimità altrui

Per l’utente, in fin dei conti, cambia davvero poco. Chi ama la televisione di Fabio Fazio, e sono tanti, dovrà solo premere il tasto 9 invece che il tasto 3 sul telecomando. Il pluralismo delle voci, un tempo ricercato all’interno di un unico contenitore pubblico, la Rai, oggi è garantito dalla pluralità delle emittenti, a conferma che il mercato è amico della libertà di espressione. Ironia della sorte: stavolta è stata una multinazionale americana, la Warner Bros, a dare un contratto al beniamino della sinistra italiana. Ma se una logica commerciale fosse stata seguita anche dai nuovi azionisti di maggioranza della Rai, non avrebbero certo rinunciato a un cespite aziendale, cedendolo alla concorrenza, visto che i programmi di Fazio hanno ascolti e introiti pubblicitari che difficilmente garantiranno i sostituti.

Serve dunque qualcos’altro a spiegare perché questo addio e il collegato cambio della guardia nel management dell’azienda siano stati vissuti nel nostro dibattito politico drammaticamente, quasi come una ripetizione del conflitto del 25 Aprile. A destra quella data è stata anzi apertamente evocata: il tweet di Salvini ritorceva con un «Belli, ciao» indirizzato a Fazio e Littizzetto il «Bella, ciao» intonato dall’antifascismo militante contro Giorgia Meloni e il suo governo. Mentre a sinistra il 25 Aprile è stato implicitamente invocato, alzando di nuovo l’allarme democratico per il regime televisivo in arrivo, fatto di censura e soppressione delle libertà, in una parola un Minculpop.

Non sarebbe facile spiegare a uno straniero come mai qui da noi la televisione e i suoi programmi, non solo di informazione ma anche quelli di intrattenimento e di svago, siano diventati un vero e proprio elemento della Costituzione materiale del Paese, al punto da accendere conflitti politici di prima grandezza; e perché mai la Rai rappresenti il Sacro Graal di ogni maggioranza, lo scalpo cui non si può rinunciare dopo aver vinto una battaglia elettorale.

Ci sono ragioni storiche, ovviamente. In un Paese che è arrivato tardi all’alfabetizzazione di massa (e che sta rapidamente regredendo a un nuovo analfabetismo di ritorno), la televisione ha rappresentato fin dagli inizi una formidabile agenzia di formazione delle coscienze e dei comportamenti. Ha forgiato gli italiani del Dopoguerra, un po’ come il libro Cuore formò gli italiani dopo l’Unità, trasformandosi in un vero e proprio collante della Nazione, definendone il gusto e la lingua. Il declino delle altre grandi agenzie formative, dalla scuola alla Chiesa ai partiti di massa, ha fatto il resto: ancora oggi, in tempi di streaming, la tv generalista resta il modo più efficace di creare un evento, di affermare un’idea, di lanciare una suggestione.

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L’Italia hotspot del clima malato

venerdì, Maggio 19th, 2023

Carlo Petrini

Ormai è innegabile: sulla nostra penisola la crisi climatica sta dando perfetta manifestazione di sé con eventi estremi molto spesso opposti (pensiamo alla siccità e alle alluvioni), che si manifestano in sequenza e con frequenza sempre più elevata, condizionando profondamente le nostre vite. Fino a pochi giorni quasi tutto il territorio nazionale era attanagliato dalla più lunga siccità degli ultimi due secoli; pensiamo che per quasi un anno e mezzo le precipitazioni potevano essere contate con il contagocce. Ora invece le energie, le preoccupazioni e anche l’attenzione mediatica sono catalizzate sulle precipitazioni a carattere alluvionale che stanno colpendo l’Emilia Romagna causando vittime e oltre diecimila sfollati. In 18 ore si sono riversati i millimetri di pioggia che in media cadono in un mese.

Questo ha provocato l’esondazione di tutti i fiumi, allagamenti nei paesi in pianura, isolamento di quelli collinari a causa delle frane di molte strade, i campi coltivati sono diventati veri e propri laghi e i frutteti che erano in una fase cruciale della maturazione dei loro prodotti sono stati severamente danneggiati. Sarebbe bello che questa situazione tremenda che sto descrivendo fosse un fenomeno sporadico e isolato, ma purtroppo così non è. Oggi è stata la volta dell’Emilia Romagna, nel novembre del 2022 era toccato a Ischia e solo due mesi prima alle Marche. E domani? Non è dato saperlo eppure sappiamo che succederà. L’Italia come il resto del bacino del Mediterraneo rientra infatti tra quelli che gli scienziati definiscono “hotspot dei cambiamenti climatici”, ossia aree del pianeta che subiscono gli effetti della crisi del clima con maggior intensità e con conseguente impatto sui sistemi naturali e umani. I dati forniti dall’Ispra nel 2021 danno conferma di ciò mostrando come il 94% dei Comuni italiani è a rischio frane e alluvioni. Mentre uno studio dell’Osservatorio del Legambiente ha rivelato che in soli dieci anni il numero annuale di allagamenti da piogge intense è passato da dieci nel 2012 a 150 nel 2022. Inondazioni, frane e alluvioni da un lato, e dall’altro uno stato di siccità che si sta cronicizzando e che acutizza gli effetti delle piogge rendendo il terreno impermeabile. Ecco allora che le piogge, non riuscendo a penetrare nel suolo, da un lato allagano le città e dall’altro non vanno ad alimentare le falde, mentre bisognerebbe fare di tutto fuorché impedire l’accumulo di riserve d’acqua (prima fra tutte le azioni recuperare gli invasi che non riescono più a svolgere il loro compito perché mal gestiti nel tempo). Come se tutto ciò non bastasse c’è un ulteriore fattore, questo di natura umana, che si aggiunge a questo quadro di tempesta perfetta. Sto parlando della cementificazione che fa sì che le strade si trasformino in veri e propri torrenti che trascinano appresso tutto quello che incontrano nel loro percorso. In un Paese quale l’Italia che è sull’orlo della crisi demografica ogni giorno del 2021 si sono cementificati una media di 19 ettari al giorno, con una velocità di due metri quadrati al secondo. Gli abitanti diminuiscono e gli edifici si moltiplicano.

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Opposizioni prigioniere delle lotte intestine

venerdì, Maggio 19th, 2023

di Massimo Franco

Rimane l’incognita di una strategia che permetterà al Pd magari di ridimensionare nettamente un grillismo in crisi

C’è una doppia disgregazione in atto nelle opposizioni. Una, sempre più evidente e che sembra subire un’accelerazione, riguarda l’alleanza tra Carlo Calenda e Matteo Renzi. Il loro progetto di Terzo polo si sta sfasciando a livello politico e parlamentare, minato dai protagonismi e dai magri risultati elettorali. Ma, seppure meno vistosa, comincia a intravedersi anche una diaspora strisciante di settori moderati nel nuovo Pd di Elly Schlein.

Al momento si tratta di segnali di malessere, seppure sottolineati da alcune defezioni. Quello dei contorni e dell’agenda del partito, tuttavia, sta diventando «il» tema dell’avversario principale della premier Giorgia Meloni e della sua destra. Il modo in cui la segretaria ha spostato il Pd su un versante radicale, con forti connotazioni sociali e movimentiste, toglie ossigeno al M5S di Giuseppe Conte: al punto da far vacillare la sua leadership dopo un voto locale nel quale i grillini non brillano mai.

Ma questo implicherà un’ostilità ancora più forte del M5S nei confronti della sinistra; e uno smarcamento accentuato in politica estera, tanto da portare i Cinque Stelle a un’equidistanza di fatto tra Nato e Ue, e la Russia. E renderà più incalzante la polemica grillina contro Elly Schlein, accusata già adesso di subalternità all’Alleanza Atlantica e agli Usa per il sì agli aiuti militari a favore dell’Ucraina. Per questo ha gioco facile chi, nei paraggi di Renzi e Calenda, sostiene che un’alleanza tra Pd e M5S è impossibile.

Il problema è che appare poco verosimile anche un approdo degli scontenti del nuovo corso nel recinto rissoso di Calenda e Renzi. Uscire da un partito che sta cambiando rapidamente pelle e identità ma mantiene al momento una sua consistenza, per approdare in un feudo dominato da due alleati-coltelli, non appare una prospettiva allettante.

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Harry e Diana

giovedì, Maggio 18th, 2023

di Massimo Gramellini

Ovvero: lo strano caso di un orfano che cerca di far rivivere sua madre dentro di sé. Ci vorrebbe uno psicanalista per spiegarci se quella di Harry Windsor sia una scelta inconscia o un desiderio consapevole, in parte suggerito da una moglie forse troppo spregiudicata.

Sta di fatto che il secondogenito di Diana si è infilato con voluttà nei panni ereditari della vittima incompresa e perseguitata. E, dopo avere intentato cause giudiziarie all’universo mondo, persino al governo britannico reo di non pagargli più la scorta, l’altra sera ha sostenuto che lui e la moglie, con l’aggiunta della suocera, sono stati inseguiti dai paparazzi per le strade di New York, sfiorando la replica della tragedia che consegnò Diana Spencer al mito popolare.

Realtà o esagerazione? Al di là delle versioni discordanti, è comunque il film che Harry sta girando nella sua testa: la storia di due fratelli precocemente orfani di una principessa ribelle, uno solo dei quali, l’erede al trono, tradisce il mandato materno e si uniforma alla ragion di Stato, diventando il clone dei suoi avi. Mentre l’altro – il cadetto, lo scarto, lo “spare”- resta fedele alla missione di Diana, quella di scardinare il perbenismo della Casa Reale inglese, al punto da incamminarsi lungo lo stesso destino.

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Niente è più mite nel tempo dell’ambiente estremo

giovedì, Maggio 18th, 2023

Paolo Giordano

Poiché questo è il momento in cui dovremmo restare in silenzio — e nel silenzio concentrarci sugli alluvionati, gli sfollati, le vittime —, questo è anche il momento in cui esprimersi. La nostra psiche collettiva è intrappolata ormai da anni in cicli di emergenza e disinteresse, sempre più drammatici e sempre più brevi, che alla fine lasciano per lo più le cose come sono. La disponibilità ad ammettere e discutere un problema si apre e si chiude come una valvola a scatto. Così rimangono solo le occasioni peggiori, le meno adeguate in assoluto, quando la commozione è al culmine e sarebbe meglio tacere, per ribadire ciò di cui per il resto del tempo dovremmo parlare.

Nel caso specifico, per ribadire il concetto centrale, il più ambiguo ma anche il più devastante della crisi climatica, nonché quello che continua a sfuggire ai più: crisi climatica significa l’aumento in intensità e in frequenza dei fenomeni estremi. Di un segno e di quello opposto: siccità e alluvioni, ondate di caldo e ondate di gelo. La parola chiave, quella su cui sventatamente non è stato concentrato lo sforzo comunicativo dall’inizio, è proprio «estremo». Siamo già entrati in un’epoca in cui il clima, in ogni sua manifestazione, è più estremo di come lo conoscevamo.

Anche la siccità dei mesi scorsi in pianura padana e le inondazioni delle ultime ore sono tutt’altro che slegate. Il «come» è reperibile nelle spiegazioni dei climatologi interpellati ovunque, che di certo accompagneranno anche questo articolo, ma bisogna cogliere l’attimo, leggerle oggi, perché scompariranno non appena la pioggia sarà cessata e l’acqua si ritirerà. Qui ci è sufficiente dire che chi vede in un fenomeno la negazione dell’altro — nell’eccedenza di piogge la negazione della siccità — si sta fermando allo stadio delle impressioni, del pensiero irragionevole, e rifiuta di accogliere ciò che quegli stessi climatologi ripetono non da ieri e nemmeno dalla scorsa primavera o dall’ultimo decennio: i fenomeni atmosferici estremi sono più estremi e più frequenti, e lo saranno sempre di più. Quella che viviamo è un’escalation ambientale.

Martedì mattina ero in treno. Mentre la situazione meteorologica si aggravava, ho colto uno scambio di battute fra i miei vicini. Uno di loro, il più giovane, si occupava di qualcosa legato alla sostenibilità e ha mostrato al signore che gli sedeva di fronte il telefono con le immagini che arrivavano dall’Emilia-Romagna. L’altro ha commentato in modo lapidario: almeno è piovuto, i fiumi hanno raggiunto il loro livello normale, finalmente ci lasceranno in pace «con la storia della siccità».

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