Archive for the ‘Editoriali – Opinioni’ Category

Diritto di famiglia

venerdì, Maggio 12th, 2023


Annalisa Cuzzocrea

In un Paese che attende da anni una legge che tuteli le famiglie arcobaleno, il male ha inizio con una circolare. Non con un decreto, non con un atto normativo dibattuto in un Parlamento che comunque a ogni prova dimostra di essere indietro rispetto alla realtà, ma con un dispositivo firmato dal ministro dell’Interno che ha dato il via a una serie di conseguenze nefaste. Per chiamare le cose col loro nome, a una catena insopportabile di discriminazioni.

Ci sono bambini, oggi, 12 maggio 2023, in un Paese che si definisce sviluppato, che fino a qualche settimana fa avevano due madri, e oggi ne hanno una sola. E non perché alla seconda mamma sia successo qualcosa, ma perché lo Stato ha cambiato idea e ha deciso che è così. Che un presunto ordine naturale andava ristabilito. Che la loro esistenza è irregolare e come tale deve essere considerata dai documenti di cui hanno bisogno per andare a scuola, in ospedale, per viaggiare, uscire dal Paese, definirsi. Per esistere.

Alcune procure – per ora Padova, Bergamo, Milano – hanno preso talmente alla lettera la circolare emanata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi da decidere che non doveva valere solo per il futuro, e già su questo c’è moltissimo da discutere, ma anche per il passato. Così ci sono mamme, in questo Paese, che si sono viste dire da un tribunale: da oggi tu, per questo bambino che hai voluto amato e accudito ogni giorno della sua vita, non esisti. Ma, soprattutto, ci sono bambini cui viene all’improvviso preclusa metà della propria famiglia. La madre o il padre non biologici, e quindi nonni, zii, cugini. Bambini che ogni giorno – mentre andranno a scuola, al parco, in gita, dal medico – sapranno che lo Stato li considera e li tratta da diversi, semplicemente per il modo in cui sono nati. Come accadeva un tempo con i figli illegittimi.

Pensavamo che tutto questo fosse alle spalle, da quando il diritto preminente del minore è diventato un principio cardine della nostra giurisprudenza. È lo stesso principio sancito nella Convenzione per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite nel 1989. È l’Abc di ogni Paese che rispetta i diritti umani e i diritti civili, ma pian piano, da lì, stiamo tornando indietro. E le armi di distrazione di massa seminate dalla destra e dai movimenti omofobici non c’entrano nulla. Non c’entra la gestazione per altri, che in Italia è vietata e tale sarebbe rimasta anche se – quando si presentò l’occasione – con le Unioni civili fosse stata approvata la stepchild adoption, l’adozione automatica del figlio del partner.

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La famiglia è uguale per tutti: la nostra battaglia per i diritti

venerdì, Maggio 12th, 2023

di   Massimo Giannini

Due secoli fa Voltaire avrebbe risolto tutto ricordando che «la tolleranza non ha mai provocato guerre, mentre l’intolleranza ha coperto la terra di massacri». Oggi, per fortuna, non è di «massacri» che stiamo parlando (anche se di episodi di violenza fisica se ne continuano a verificare tanti). E non stiamo parlando più neanche di «tolleranza» (perché non c’è proprio niente da «tollerare», di fronte alla normalità dell’amore in tutte le sue forme e le sue espressioni). È assurdo dirlo, nel 2023, ma quando parliamo delle persone Lgbtq parliamo ancora di discriminazione e di esclusione, di pregiudizio sociale e di stigma giuridico. Non esistono solo «le parole per ferire». Esistono soprattutto «gli atti che feriscono». E infatti la deriva politica oscurantista che attraversa il Paese ci pone di fronte all’ennesimo attacco ai principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona. Il governo nazionale nega il riconoscimento dei figli e delle figlie delle coppie omogenitoriali, e intima ai sindaci di non procedere alle relative trascrizioni anagrafiche. Il motivo è che non si vuole legittimare il ricordo alla gestazione per altri («utero in affitto», lo chiamano, e non per caso). Un alibi vergognoso, che nulla c’entra con il riconoscimento di quel diritto. Un divieto da Stato etico, che colpisce soggetti indifesi e «colpevoli» di nulla, come i bambini, relegati in un’apartheid insopportabile per una Repubblica democratica fondata sul principio di uguaglianza.

Di fronte a tanta cinica inciviltà, c’è in tutta Italia un movimento di sindaci che si oppone a questa torsione culturale e morale, e chiede all’esecutivo non solo di autorizzare quei riconoscimenti anagrafici, ma di riconoscere il matrimonio egualitario, per consentire anche alle coppie omosessuali l’accesso alle adozioni ordinarie previsto per quelle eterosessuali. È una battaglia di civiltà, che dobbiamo e vogliamo sostenere con tutte le nostre forze.

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Il difficile equilibrio tra poteri sui dossier economici

giovedì, Maggio 11th, 2023

di Francesco Giavazzi

Per il Pnrr ancora una volta può essere utile rifarsi al metodo adottato da Ciampi nel 1993 per realizzare le privatizzazioni

Sarà per il piglio della presidente del Consiglio, sarà per le divergenze di vedute che affiorano qua e là fra i partiti della maggioranza, sempre più spesso i dossier economici del governo vengono discussi a Palazzo Chigi. In una situazione che continua a risentire delle crisi degli anni recenti, ciò può anche essere elemento di rapidità e di chiarezza: purché di questo si tratti e non sia l’effetto di un riversare al centro compiti e decisioni che potrebbe avere persino effetti opposti a quelli desiderati.

La nuova governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (ogni tanto serve ricordare che cosa si celi dietro la sigla Pnrr) è un esempio di riporto a Palazzo Chigi i cui effetti sull’esecuzione del piano potrebbero essere negativi. Il Pnrr, ora che è stato avviato, per funzionare e concludersi entro i tempi stabiliti, ha bisogno di un «cacciavite», cioè di una struttura di comando agile, che ogni mattina individui i progetti che stentano a partire, intervenga sulle amministrazioni che ne sono responsabili e, se necessario, attivi i «poteri sostitutivi» cioè la norma, forse la più importante del Pnrr, che consente al Consiglio dei ministri di sciogliere i nodi che bloccano i progetti superando gli ostacoli eventualmente posti da Comuni, Regioni o altri soggetti. Serve cioè una struttura che riesca a individuare rapidamente i punti critici e a correggerli.

C’è un pericolo che può nascondersi nella nuova governance. La guida del Pnrr vede a capo un ministro, politico molto abile, ma proprio in quanto ministro, figura di indirizzo, lontana dagli interventi da attuare. Allertato di una procedura che si è incagliata, il ministro chiamerà il suo capo-gabinetto, che a sua volta chiamerà il collega dell’amministrazione in cui si è manifestato il problema. Prima di arrivare all’ostacolo e rimuoverlo saranno trascorse settimane e nel frattempo si potrebbe anche essere persa l’informazione sui motivi dell’incaglio. Inoltre, nei giorni scorsi, fra il ministro e i responsabili dell’attuazione dei progetti è stata interposta un’altra figura, un magistrato contabile, presidente di sezione della Corte dei Conti, con il compito di coordinare la «struttura di missione» che a Palazzo Chigi guiderà il piano. Va ricordato che la Corte dei Conti vigila sulla correttezza delle procedure e della rendicontazione contabile della spesa pubblica.

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Se la Francia conia anche l'”eco-ansia”

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Francesco Maria Del Vigo

Avviso ai lettori: i collezionisti di ansie e gli ipocondriaci patologici abbandonino immediatamente queste righe, prima di iniziare ad avvertire un nuovo malessere del quale non conoscevano neppure l’esistenza. Il dizionario francese Petit Larousse ha inserito ben 150 nuovi vocaboli nella sua ultima edizione, tra questi ne spicca uno che in Italia ancora non esiste, ma non abbiamo dubbi che tra poco inizierà a spopolare: eco-ansia. Si tratta di «una forma di ansia legata ad un sentimento di impotenza di fronte alle attuali problematiche ambientali, una paura cronica di una catastrofe ecologica irreversibile provata per lo più dai ragazzi». Vocabolo nuovo di zecca per una «patologia» già ben radicata anche dalle nostre parti. Perché il dubbio che tra i militanti ecologisti più estremi, quelli che lanciano vernice contro palazzi e opere d’arte o si denudano in mezzo alla strada, serpeggiasse una sorta d’isteria lo avevamo sospettato. D’altronde ansia ed esasperazione sono allo stesso tempo causa e nutrimento di una cultura dell’apocalisse sempre più diffusa. Basti pensare alla più nota associazione di attivisti pro ambiente: «Ultima generazione», un nome menagramo davanti al quale è lecito abbandonarsi a gesti apotropaici, ma che soprattutto rivela tutto l’eccesso di catastrofismo che pervade una parte della società. Che è ben altra cosa dalla legittima e sacrosanta preoccupazione per i destini del nostro mondo. Il problema è che se pensi che tutto stia per finire da un momento all’altro, ti senti autorizzato ad agire in modo emergenziale, senza perdere tempo con inutili quisquilie come la legge e la democrazia. E questo, sì, fa venire una certa agitazione, ben poco ecologica e molto politica.

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Perché la premier adesso è più sola

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Marcello Sorgi

Nel giro di consultazioni con le opposizioni sulle riforme istituzionali, convocato solennemente alla Camera, e a cui ha dedicato quasi un’intera giornata di lavoro, Meloni non ha registrato la disponibilità al confronto che cercava e sarebbe necessaria su una materia così delicata. Ci sono stati due “no” pesanti da parte di Pd e 5 stelle. Un “sì” pronto a trasformarsi in un “ni” del Terzo Polo. E inatteso, proveniente dalla Lega, un richiamo alla lettera del programma con cui il centrodestra ha vinto le elezioni, che prevedeva il presidenzialismo e non altre ipotesi, come semi presidenzialismo o premierato forte, che la premier ha illustrato ai suoi interlocutori. Il punto che accomuna le varie proposte e motiva obiezioni, perplessità e dubbiose aperture è proprio l’elezione diretta: del Capo dello Stato o del presidente del Consiglio non fa differenza. La sensazione infatti è che introducendo un voto popolare sui vertici dello Stato non si andrebbe a una modifica costituzionale mirata a risolvere problemi annosi come l’instabilità dei governi. Ma a capovolgere il fondamento della Carta: la centralità del Parlamento.

Questo problema si manifesterebbe più forte nel caso del presidenzialismo, cioè di un Presidente della Repubblica all’americana che diverrebbe anche capo del governo, cancellando il ruolo di garanzia della Costituzione e di rappresentanza dell’unità del Paese affidato al Capo dello Stato all’italiana, com’è adesso, votato dalle Camere in seduta comune e integrate dai rappresentanti delle Regioni. Un Presidente dichiaratamente di parte, inoltre, non potrebbe nominare giudici costituzionali o senatori a vita, solo per fare due esempi. A meno, appunto, di andare a uno stravolgimento dell’impianto costituzionale.

Né questi problemi verrebbero meno se si adottasse la formula semi presidenziale alla francese, in cui il Presidente sceglie un primo ministro che si trasforma, in pratica, in un suo segretario. E com’è accaduto di recente, con la riforma delle pensioni che sta ancora provocando grandi proteste di piazza in Francia, può decidere per decreto senza sottoporsi al voto del Parlamento. L’unico vero bilanciamento in quel tipo di sistema è dato dalla possibilità che gli elettori formino due maggioranze diverse per la scelta del Presidente e per quella della maggioranza parlamentare, costringendo il Capo dello Stato a una “coabitazione” che, s’è visto, finisce per ingolfare il funzionamento dello Stato.

Inoltre anche la formula del premier eletto direttamente – diversa da quella tedesca in cui il nome del candidato è soltanto indicato sulla scheda e il governo nasce dalle trattative tra i gruppi parlamentari -, sperimentata solo per qualche anno in Israele, in Italia aprirebbe una questione che un costituzionalista del peso di Enzo Cheli ha indicato per tempo ed è ancora senza soluzione. E cioè: se il presidente del Consiglio è votato dagli elettori, che lo eleggeranno con oltre dieci milioni di voti, presumibilmente e stando agli attuali livelli di affluenza al voto, come potrebbe essere sfiduciato da un centinaio di senatori e un paio di centinaia di deputati? Si genererebbe uno squilibrio, tra il peso dell’elettorato e quello del Parlamento, destinato a pesare sul lavoro dell’eventuale successore del premier caduto in una crisi parlamentare, e a spingerlo verso lo scioglimento delle Camere.

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Nei secoli fedele

mercoledì, Maggio 10th, 2023

di Massimo Gramellini

Montanelli sosteneva che gli italiani sognano sempre di fare la rivoluzione d’accordo con i carabinieri. Quando però sono i carabinieri a farla, la rivoluzione, significa che è diventata istituzione. E chi la contrasta non è più un conservatore, ma un reazionario. L’appuntato scelto Angelo Orlando non è il primo carabiniere a sposarsi con un altro uomo, eppure il fatto che lavori a Palazzo Chigi, i cui attuali inquilini non vanno particolarmente pazzi per i matrimoni gay, dà alla sua scelta un significato ironico.

Il resto lo fanno l’alta uniforme dello sposo e l’arco di spade incrociate del picchetto d’onore sotto il quale l’appuntato Angelo e il parrucchiere Giuseppe si sono baciati dopo essersi tenuti per mano. Quell’uniforme e quel picchetto rappresentano il marchio della più prestigiosa istituzione del Paese, gelosa custode dei valori della tradizione, su un rito che fino a non molto tempo addietro era vietato e ancora oggi suscita in alcuni (penso allo sgomento che starà provando il senatore Pillon) un moto di condanna o comunque di fastidio. A queste persone bisognerà pur dire che sono circondate, ormai persino dai carabinieri.

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Se Putin festeggia la liberazione con i suoi generali da operetta

martedì, Maggio 9th, 2023

Domenico Quirico

Gli anniversari, le celebrazioni pubbliche hanno un loro odore, una sorta di alito soprannaturale che forse i loro sacerdoti neppure colgono. Che odore ci sarà oggi sulla Piazza rossa durante la sfilata che ricorda la vittoria nella seconda guerra mondiale? Certo sfileranno carri armati rombanti, missili paurosamente enigmatici come dinosauri, quadrate legioni di fanti, “specnaz”, cadette alternate a ceffi marziali, mobilitazioni quasi epilettiche, veterani grigi come ceneri di storie spaurite.

Guerra Russia-Ucraina, le notizie di oggi in tempo reale

Odore di gloria, di potenza, di forza dunque? Quello che si annuncia anche nelle Alte Sfere è semmai uno sfinimento generale che è il nome scientifico della tristezza. Un anno dopo l’aggressione all’Ucraina, nella stessa piazza, l’odore che si respira è di muffa, di ragnatele, zaffate di rassegnazione, di impotenza. L’odore dei regimi in balia alla decadenza senza potervi porre rimedio. Nella piazza l’unica rimembranza circondata da aure fatidiche beh!, pare proprio la mummia di Lenin. La parata è la vetrina di un negozio dove si vendono cose nuove che sembrano vecchie ma che comunque non si possono comprare per i prezzi troppo alti. La vecchia Urss brezneviana, insomma. Qualcosa che ha già appiccicato addosso il soccombere alla peste dell’oblio. Per i regimi autoritari è peggio che subire una sconfitta militare o diplomatica. Da quelle si risorge, dall’altra no. Un anno fa ci si interrogava, in modo un po’ grottesco per la verità, su quale poteva esser la sorpresa che Putin avrebbe infilato nel suo discorso, alcuni ipotizzavano che avrebbe annunciato una unilaterale fine della operazione speciale. I silenzi del “vozhd”, del duce supremo, allora erano interpretabili come astuzie subdole, raffinate che nascondevano terribili colpi di scena, armi segrete, ferinità diaboliche. Un anno dopo l’apoteosi di questo ermetismo è il nulla da dire. Ogni parola, ogni gesto anche i più naturali, oggi, acquisteranno il carattere spettrale del vuoto. Alla vigilia di un altro nove maggio forse il dato più preoccupante per il futuro è che nessuna sorpresa è possibile, che non ci saranno svolte palingenetiche, passi indietro o passi avanti. La guerra continuerà orribilmente naturale, tragedia da cui nessuno è esentato, in un mondo quotidianamente arenato attorno ad essa, occupata a straziarsi in un ossesso scrutinio di sé. Ci si appiglia alla “controffensiva” ucraina come a un palpito liberatorio in un copione piatto. Perfino i russi sembrano, per paradosso, affidarsi alla controffensiva, poiché l’attacco nemico restituirebbe loro una parte, difendersi, resistere, al di là del rituale insistere su bombardamenti ciechi.

Al secondo appuntamento con l’impegnativo anniversario con la Vittoria l’autocrazia putiniana somiglia al moribondo regno borbonico di fronte a Garibaldi. Quando le cose vanno male gli assolutismi ancora vitali reagiscono con la ferocia, trovano colpevoli veri o finti. E punirli non basta più, bisogna costruire rituali e dannazioni che siano peggio della morte, trasformarli in messaggi per spaventare. Nulla di tutto questo è accaduto a coloro che oggi sfileranno o saranno in prima fila sulla tribuna d’onore con i loro carichi di medaglie appesi a ventri ben torniti, i marescialli, i generali, gli ammiragli, i cortigiani in uniforme che sembrano aver addosso qualcosa di guasto. Certo non sono più i tempi staliniani con gli eroi definitivamente retrocessi di fronte a spicci plotoni di esecuzione per “tradimento’’. Ma trascinarli sul banco degli imputati per incapacità, in prigione: questo sì. In prigione, non in pensione.

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Un muro contro muro che elude le priorità (e insegue i miraggi)

martedì, Maggio 9th, 2023

di Massimo Franco

Un muro contro muro che elude le priorità (e insegue i miraggi)

Il percorso abbozzato dal governo sulle riforme istituzionali e sulle nomine di organismi che appartengono allo «Stato profondo», come Polizia e Guardia di Finanza, non si può definire incoraggiante. Come minimo, appare pasticciato e poco trasparente. Sulle riforme, si ha l’impressione che la maggioranza guidata da Giorgia Meloni stia facendo di tutto per alimentare le diffidenze e gli istinti peggiori delle opposizioni: cosa che sta puntualmente avvenendo. L’impostazione della destra è quella di evocare il dialogo, salvo aggiungere che se non sarà accettata la sua impostazione cambierà comunque la Costituzione: magari con un referendum. Quella delle sinistre è di fare muro, favorendo un’eventuale forzatura. Sembra quasi che tra le minoranze ci sia una gran voglia di opporsi pregiudizialmente, per poi poter gridare al colpo di mano. E nella coalizione governativa, in modo simmetrico, il calcolo è di ricevere quei rifiuti a priori, per avviare una sorta di fai-da-te costituzionale: con presidenzialismo, premierato e autonomia differenziata come stelle polari. Stelle polari al plurale, perché quando si tratta di passare ai fatti, i tre partiti della maggioranza inseguono obiettivi differenti, quando non contrastanti. E l’idea di una repubblica presidenziale, lungi dall’unire Fdi, Lega e FI, ne accentua le divergenze.

E la sensazione che a questo si possa arrivare non in base a una convinta adesione a un modello di Stato, ma come prodotto di un baratto tra l’autonomia regionale cara alla Lega e l’elezione diretta del presidente della Repubblica accarezzata da Fratelli d’Italia, aggiunge dubbi e perplessità. Ma soprattutto, non è chiaro in base a quale urgenza il tema sia stato fatto rotolare sulla scena dell’attualità, quando incalzano problemi economici, sociali e di rapporti con l’Europa e i mercati finanziari ben più incombenti; senza contare le implicazioni di oltre quattordici mesi di invasione russa dell’Ucraina.

Il miraggio del «potere verticale», capace di scansare tutti gli inciampi della complessità democratica, è ormai pluridecennale, in Italia. E si tratta di un miraggio suggestivo, che incrocia la voglia di semplificazione e di rapidità decisionale di molti governi e, probabilmente, di settori consistenti di opinione pubblica. Ma che permetta di far funzionare meglio le cose è, come minimo, opinabile. Siamo reduci da una riduzione del numero dei parlamentari voluta dai grillini, e assecondata per pavidità da un sistema partitico che temeva di essere travolto dall’ondata iconoclasta del populismo, se avesse resistito. Non pare, tuttavia, che la riforma abbia prodotto grandi risultati. Tra l’altro, è in corso un piccolo grande risarcimento per alcuni di quanti non sono stati eletti, trovando per loro posti in altri gangli dell’amministrazione pubblica.

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Riforme, si parte ma è un’altra partita al buio: i nodi per il governo

lunedì, Maggio 8th, 2023

Riccardo Mazzoni

Domani, attraverso le consultazioni della premier con le forze di opposizione, parte il percorso delle riforme istituzionali che il centrodestra ha posto fra gli obiettivi di legislatura. La sinistra, tanto per cambiare, si presenta divisa, con i Cinque Stelle pronti all’Aventino, il Terzo Polo in posizione dialogante e il Pd ancora incerto sul «che fare», anche se la maggioranza schleiniana sembra già orientata al pollice verso. Memore dei fallimenti del passato, Giorgia Meloni ha scelto di non presentarsi con un progetto precostituito, anche se è nota la propensione del suo partito per il semipresidenzialismo francese, con la consapevolezza che il punto di caduta per un accordo potrebbe essere il premierato nelle due varianti dell’elezione diretta del capo del governo o del cancellierato tedesco. Sul presidenzialismo la sinistra ha cambiato più volte verso, a seconda delle convenienze politiche del momento, e oggi che al governo c’è il centrodestra i pregiudizi e gli anatemi sui rischi di una svolta autoritaria sono cresciuti in modo esponenziale. C’è chi lo ha definito un sistema alieno alla storia d’Italia, oppure un esperimento da apprendisti stregoni che per copiare Parigi ci porterebbe direttamente a Mosca. Si è evocato «il fantasma del presidenzialismo» che esalterebbe l’odio sociale, con il sottinteso che «l’interesse della destra non coincide con quello del Paese». Anche se da anni i sondaggisti certificano che la grande maggioranza degli italiani sarebbe favorevole a una riforma presidenziale. Sarà insomma una partita complicata e rischiosa, anche perché sull’unica apertura finora registrata, quella sul premierato, i distinguo si sprecano: in teoria ci sarebbe un largo fronte favorevole a rafforzare i poteri del premier, trasformandolo in un cancelliere sovraordinato rispetto ai ministri e stabilizzato dalla sfiducia costruttiva. Non più dunque un primus inter pares come adesso, che non ha neppure la facoltà di mandare a casa un ministro. Ma qui si pone il problema di salvaguardare «la preziosa funzione neutra del capo dello Stato» e di non svilirla attraverso «l’impossibile convivenza tra un premier eletto dal popolo e una controfigura di presidente di investitura parlamentare che darebbe vita a un conflitto permanente, dominato dal premier». Per cui niente sindaco d’Italia, come vorrebbe Renzi, o premierato forte (una formula che garantirebbe ai cittadini di poter scegliere non solo un partito, ma anche un programma, una coalizione, una proposta di governo e un premier), ma una sorta di cancellierato che resti però nel solco della democrazia parlamentare. Questa è, ad ora, la posizione del Pd, che ha presentato un disegno di legge costituzionale in proposito e non vuol in alcun modo toccare le prerogative del Capo dello Stato, per cui non accetterebbe neppure una riforma in tal senso che entrasse in vigore solo dopo la scadenza del mandato di Mattarella.

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La posta in gioco del presidenzialismo

lunedì, Maggio 8th, 2023

Alessandro de Angelis

Non serve il presidenzialismo per nominare il comandante della Guardia di Finanza in scadenza, sottraendolo allo scontro politico tra bande. E nemmeno per sostituire il capo della polizia, non in scadenza, su cui si sta consumando una forzatura senza precedenti, nel medesimo clima e col medesimo effetto in termini di danno agli apparati. Né per governare l’immigrazione, dossier tecnicamente fuori controllo, dove il numero degli sbarchi è più fragoroso di una legislazione mediatica, sostitutiva di un’azione politica, tra aumenti delle pene agli scafisti, stati di emergenza e abolizione della protezione speciale. E neppure per evitare l’annunciato splash down del Pnrr o per domare l’inflazione che si è già mangiata l’una tantum data al ceto medio.

Però proprio questo bilancio impegnativo spiega il perché, in anticipo sulle previsioni, Giorgia Meloni abbia calato sul tavolo la carta presidenziale. Quel che conta, prima ancora della realizzazione, è la costruzione di un messaggio, che ha un alibi incorporato: non è il governo incapace a governare, ma il sistema, coi suoi lacci e laccioli, a impedirlo. E dunque cambiamo il sistema, dando più poteri a chi guida. Insomma, una grande bandiera politica da sventolare di qui alle Europee che, al contempo, ha l’effetto non banale di impedire alla Lega di sventolare la propria perché la discussione sull’autonomia differenziata sarà riassorbita dal tema generale.

All’interno di questa trama politica, c’è la discussione sui modelli. Va di moda, lo ha spiegato Antonio Tajani, più che il presidenzialismo tout court, il cosiddetto premierato forte, che piace anche al Terzo Polo. Consente di allargare il consenso parlamentare. E di apparire più garbato verso l’attuale inquilino del Colle, evitando l’accusa di volerlo cacciare. Proposta, per ora fumosa, perché nella sua variante di elezione diretta del premier comunque svuota la presidenza della Repubblica, di fatto, del potere di nomina e scioglimento. E depotenzia l’elemento parlamentare del sistema.

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