Evgenij Prigozhin, capo delle truppe dei
mercenari ella Wagner, dopo aver conquistato Rostov, ha tenuto tutta la
Russia col fiato sospeso finché la mediazione del presidente bielorusso
Alexandar Lukashenko lo ha indotto a fermarsi a 200 km da Mosca per
evitare “un bagno di sangue”. Un dietrofront che ha sorpreso tutti, ma
che non chiude totalmente la crisi scoppiata tra il presidente russo, Vladimir Putin,
e il suo ex fedelissimo, Evgenij Prigozhin, uno degli eroi della
campagna russa in Siria. Abbiamo raggiunto telefonicamente Carlo Jean,
ex generale di Corpo d’Armata e presidente del Centro Studi di
Geopolitica Economica, che ci ha rilasciato questa intervista per capire
quanto le mosse di Prigozhin siano da valutare come un bluff oppure un
pericolo solo rimandato.
Le truppe della Wagner hanno preso Rostov. Perché è così cruciale e strategica quella città?
“Rostov
è sede del comando della Regione Militare responsabile delle operazioni
in Ucraina.Inoltre, è nodo di comunicazione. E’ base logistica
essenziale di tutte le forze russe del Sud-est”.
Evgenij Prigozhin sarebbe potuto arrivare velocemente a Mosca?
“Le comunicazioni tra Rostov e Mosca, via Voronez, sono molto facili e lunghe solo 500 km”.
Siamo
veramente all’inizio di una guerra civile tra le truppe della Wagner e
l’esercito dell’Armata Rossa? E il presidente russo Vladimir Putin
potrebbe perderla?
“A parer mio no. ci potrebbe essere
guerra civile se il corpo degli ufficiali russi si divide tra i
sostenitori di Progozhin e i fedeli al Ministro Shoigu. L’esercito
regolare e le truppe del ministero dell’Interno possono facilmente
schiacciare le compagnie militari private tipo Wagner e quelle
costituite dai vari oligarchi”.
Storia del colpo di stato sfiorato.
Le forze della Wagner sono arrivate a poche ore di autostrada da Mosca,
poi la mediazione di Lukashenko ha bloccato tutto. Il capo dei ribelli
andrà in Bielorussia, i soldati coinvolti non saranno processati. Ma
l’immagine dello zar è cambiata per sempre
Pace fatta all’ultimo momento,
«per evitare uno spargimento di sangue», anche se non sono ancora del
tutto chiari i termini dell’intesa alla quale ha dato una copertura
«internazionale» il presidente bielorusso Lukashenko, forse per salvare
la faccia a Vladimir Putin. Ieri mattina infatti, quando i miliziani di Evgenij Prigozhin avevano iniziato la loro marcia su Mosca, il capo del Cremlino era intervenuto con parole durissime in
diretta televisiva nazionale, bollandoli come traditori, terroristi e
ricattatori. Difficile quindi poche ore dopo far digerire al popolo
russo, nonostante la sua ormai comprovata bocca buona per le cose
raccontate sull’Ucraina, che si era trovata un’intesa.
La Wagner non minaccia più il cuore del potere con la sua colonna che era giunta fino a 200 chilometri dalla capitale.
Prigozhin abbandona la partita, secondo il portavoce di Putin, e si
trasferisce in Bielorussia. I miliziani che erano con lui non saranno
perseguiti penalmente mentre gli altri potranno firmare un contratto con
la Difesa per unirsi alle truppe ufficiali. I mercenari avrebbero
lasciato Rostov tra gli applausi. Non è
ancora chiaro quale sarà il destino dei due odiati nemici di Prigozhin,
il ministro della Difesa Shoigu e il capo di stato maggiore Gerasimov.
Lui ne aveva chiesto, come minimo, l’allontanamento (ma in altre
dichiarazioni anche l’arresto, la fucilazione…) e i suoi dicono che
abbia ottenuto questo risultato. Invece il Cremlino sostiene che
eventuali riorganizzazioni alla Difesa non sono state discusse con il
capo della Wagner. Ieri sera però circolava la voce di un
avvicendamento. Al posto di Shoigu andrebbe Diumin, attuale governatore di Tula.
Il potere
Nata
come rivolta contro l’incompetenza e la corruzione degli alti vertici
militari, quella di Prigozhin si era trasformata in una ribellione contro lo stesso potere russo e contro il presidente. Almeno cinquemila mercenari avevano lasciato Rostov sul Don dopo averne preso il controllo e avevano percorso 800 chilometri verso Mosca senza incontrare alcuna resistenza. Il
centro della capitale era stato nel frattempo parzialmente blindato
mentre molti, tra i quali tutti gli oligarchi, si erano affrettati a
partire. Da ex fedelissimo esecutore degli ordini di Putin,
Prigozhin si era trasformato nei racconti delle autorità in un bandito.
Uno spauracchio per convincere gli altri Paesi (se mai ce ne fosse stato
bisogno) a tenersi fuori della disputa.
Tutto era cominciato venerdì mattina, con una intervista molto più dura e sincera delle solite, rilasciata da Prigozhin.
Non solo un attacco a Shoigu che avrebbe voluto iniziare l’Operazione
militare speciale in Ucraina «per ottenere il bastone di maresciallo» e
mettere sul petto la «seconda stella d’oro di eroe della Russia». Il
capo della Wagner aveva affondato il colpo contro l’intera leadership.
Grossolano nei gusti, nelle abitudini, nel linguaggio, nella
persona, perfino nel lavoro di padrone di una compagnia di ventura,
manesco come un facchino, schiamazzone insolente: ecco in poche parole
il ritratto del ribelle di Rostov, Prigozhin. Solo a guardarlo latrare,
con l’elmetto di traverso e il grasso che sfonda il giubbotto
antiproiettile, mentre annuncia la marcia su Mosca «per liberare il
popolo», proprio lui, dopo averne fatte di tutte le tinte, ti mette il
cuore a traverso. Sentirlo parlar di libertà è bestemmia che dovrebbe
annichilirlo, visto che nei suoi attacchi all’élite militare «con i
figli al sole delle Maldive» pigliava caldane per la legge marziale e la
guerra totale: «Bisogna vivere qualche anno sul modello della Corea del
Nord… bisogna fucilare duecento persone come ha fatto Stalin»
proponeva questa specie di Farinacci putiniano, di suocera del regime.
Una lettura che dovrebbe suggerir prudenza a coloro che a occidente
cominciano già a trovarlo simpatico perché risolverebbe il problema
Putin.
Con violenze brutali, commettendo i peggiori abusi e
spregevoli soperchierie, spremendo da un capo all’altro del Medio
Oriente e dell’Africa la sua carne da mortai, frustata, macellata e
dimenticata era diventato troppo ricco per essere punito. Finora. Ha
infinite volte nell’anno e mezzo di guerra sfiorato il reato di lesa
maestà. Chissà: il conquistatore di Bakhmut si è accorto che l’impunità
stava per finire. La sua ascesa, le sue accuse che cadevano nel vuoto
torricelliano, le sue ambizioni politiche (ha cercato di metter le mani
sul partito nazionalista Rodina) gli hanno procurato rancori feroci e
pressoché universali, nell’esercito, in una parte consistente dell’Fsb, i
servizi di sicurezza, tra i mandarini della burocrazia accaparratrice
putiniana. Uno sguaiato parvenu nella galleria dei ritratti dei
cortigiani di uno zar invecchiato, tra mammalucchi obbedienti e
servitori muti. La sua rozzezza nazionalista e antisistema gli
assicurava certe simpatie nel popolino; «Evgenij Viktorovich viene a
salvarci» gridavano gli abitanti di un villaggio bombardato dagli
ucraini vicino alla frontiera. Ma troppo poco per avere carte buone da
giocare nella successione a Putin. Prigozhin si è accorto di esser
isolato, che in una autocrazia equivale alla condanna a morte. E ha
giocato la carta più rischiosa, il tradimento. Perché, sia detto di
passaggio, in una cosa Putin ha ragione, Prigozhin è un traditore.
Questo ex bandito (è stato nove anni in prigione ai tempi dell’Unione
Sovietica) deve tutto al presidente: ricchezza potere immunità. Il
problema del tradimento non è tradire, atto in sé assai facile, ma
tradire bene.
Il fattore tempo è il cappio che si stringe
attorno al collo di tutti i ribelli, da sempre. Perché gli incerti, i
doppiogiochisti, quelli che vorrebbero approfittare del cambio di regime
e della confusione ma… all’inizio stanno in guardia, si defilano:
negli alti comandi, nei ministeri e nei circoli che contano. Nelle ville
di Rubliovka, la zona di Mosca dove vive l’élite, queste sono ore
febbrili. Si discute affannosamente sul che fare, ci si prepara a
dormire in luoghi segreti (non si sa mai i vecchi metodi della Ceka, i
cappotti di cuoio, il bussare all’alba…), si danno disposizioni ai
piloti degli aerei privati di tenersi pronti al decollo. Si fanno
partire i figli per posti sicuri: «Te l’avevo detto quando è scoppiata
la guerra» gemono le signore. I conti nei Paesi amici, Azerbaigian,
Turchia, ricevono un’ondata di improvvisi bonifici. È tutta una
questione di tempo. Ora è il momento in cui è sufficiente tacere. Ma
prima o poi bisognerà pronunciare un inequivocabile sì a uno dei due
contendenti. Il dubbio fa bollire i comandi militari, le caserme, al
fronte, nei ministeri, nei grattacieli dei colossi del gas e del
petrolio. Poi decideranno cosa conviene fare. In una telefonata troppo
anticipata a un numero sbagliato passa la linea tra esser domani
ministro o carcerato.
Figura singolare quella del padrone della
Wagner, esercito privato dell’età della globalizzazione di tutto, anche e
soprattutto della violenza. Lo abbiamo sottovalutato questo strano
oligarca quando lo definivamo “il Cuoco del Cremlino” perché, tra
l’altro, dall’amico Putin aveva in concessione (miliardaria)
l’organizzazione a corte di banchetti, ricevimenti e festini per le Loro
Eccellenze. E la refezione di innumerevoli scuole, ospedali, caserme.
L’insurrezione armata del Gruppo Wagner contro il potere
russo, provvisoriamente sedata quando le truppe di Prigozhin erano a
duecento chilometri da Mosca, può segnare una svolta nella guerra
d’Ucraina. Proprio mentre la fin troppo annunciata campagna d’estate
delle truppe di Kiev sembrava impantanarsi sulla linea del fronte, il
colpo di mano organizzato da Evgenij Prigozhin ha rovesciato il tavolo.
Comunque finisca l’avventura dei wagneriani, il vertice russo ne esce
squalificato. È in corso un rimescolamento nei rapporti di forza fra le
fazioni del sistema putiniano. Crepe profonde minano la piramide del
potere, fino a minacciarne il crollo.
Non aver saputo prevenire
un tentativo di golpe annunciato da mesi svela la fragilità delle
strutture militari e di sicurezza russe. E potrebbe inaugurare una
guerra civile dagli effetti imponderabili. Fino alla disintegrazione
della Federazione Russa. Scenario sul quale a Kiev, ma anche a Varsavia e
in altre capitali atlantiche, si lavora alacremente. Senza peraltro
disporre di un piano qualsiasi per gestirne le conseguenze, a partire
dall’eventuale perdita di controllo dello Stato sull’arsenale nucleare
russo, che conta seimila testate.
La marcia su Mosca di
Prigozhin, sospesa in extremis, è il culmine di un piano concepito da
molti mesi. Al quale hanno dato mano ufficiali delle Forze armate e
dell’intelligence, oligarchi disperati per la perdita delle loro fortune
custodite in Occidente, esponenti della cerchia intima putiniana, ultrà
nazionalisti. Nell’apparente atonia del capo. Il quale sembrava davvero
sorpreso, ieri mattina, dalle notizie provenienti da Rostov, centro
strategico caduto in mano alle milizie wagneriane. Senza il controllo di
quella città, la logistica che tiene in piedi lo schieramento russo sul
fronte del Donbas e dintorni entra in crisi.
Nei prossimi
giorni avremo un quadro meno confuso delle forze in campo, in quella
mischia che lo stesso Putin ha assimilato all’alba della guerra civile
scoppiata nel 1917 a seguito del golpe bolscevico. Capiremo meglio se
l’iniziativa di Prigozhin è di pura fabbricazione interna o se ha goduto
di sostegni esterni, non solo ucraini. Quanto agli americani, se si
rallegrano per il caos in campo nemico e per il sollievo che ne traggono
gli ucraini, allo stesso tempo ne temono le conseguenze. La Russia in
mano a un criminale comune, o contesa fra banditi vari, è un pericolo
per tutti. C’è il rischio che troppe mani si aggirino attorno al bottone
nucleare teoricamente affidato a Putin. Inoltre, non rallegra
Washington l’estensione del conflitto che vorrebbero spegnere
dignitosamente entro l’anno. Per tacere della penetrazione della Cina
nello spazio russo, già visibile. Per gli Stati Uniti è quello il Nemico
vero, l’unico in grado di minacciare il vacillante primato americano.
Il
piano di Prigozhin è tutto scritto nei recenti messaggi affidati a
Telegram. L’ultimo, datato 24 maggio, stroncava il senso
dell’«operazione militare speciale». Altro che smilitarizzazione, «siamo
noi che abbiamo armato l’Ucraina» scatenando il soccorso atlantico.
Quanto alla «denazificazione», secondo il capo della Wagner oggi gli
ucraini, semisconosciuti prima del 24 febbraio 2022, sembrano elevati al
rango di antichi greci o romani. Il fallimento è da attribuire in primo
luogo all’incapacità del ministro della Difesa Shoigu e del capo di
Stato maggiore delle Forze armate, Gerasimov. Già pronti i sostituti,
indicati per nome da Prigozhin: i generali Mizintsev e Surovikin.
Le perplessità sulla «capsula» in
fibra di carbonio spesso 13 centimetri e sui controlli dopo ogni
missione. Il modello di «controller» da videogiochi per guidarlo
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK – Determinare come è avvenuta esattamente (e quando) l’implosione del Titan dipenderà dal ritrovamento dei rottami sparpagliati sul fondale dell’oceano Atlantico, non lontano dal relitto del Titanic. A indicare che una «catastrofica perdita di pressione» sia il motivo della fine del piccolo sommergibile usato per le spedizioni turistiche sono stati giovedì i primi due rottami —
la parte posteriore appuntita e la rampa sottostante — individuati da
un Rov (remotely operated vehicle) a 500 metri dalla prua del Titanic. Gli esperti credono che possa esserci stata una infiltrazione durante la
discesa in profondità, dove la pressione sullo scafo è equivalente al
peso della Torre Eiffel (decine di migliaia di tonnellate) e la
struttura sperimentale in fibra di carbonio dello scafo si sarebbe
disintegrata.
Per capire perché questo è accaduto e che cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo il ritrovamento dei rottami è cruciale, ha spiegato alla BbcRyan Ramsey, ex capitano di sottomarini della Royal navy britannica.
«Non esiste una scatola nera, per cui non è possibile tracciare gli
ultimi movimenti del sommergibile. Ma al di là di questo il processo di
indagine non è diverso da quello che si fa nel caso di disastri aerei».
La Marina Usa, usando dati provenienti da una rete segreta di sensori creata
per individuare sottomarini nemici, ha captato domenica scorsa «una
anomalia che può indicare una implosione o esplosione» proprio nelle ore
in cui il Titan fu calato in profondità. I dati, combinati con informazioni degli aerei di sorveglianza e delle sono boe, sono serviti a localizzare la posizione approssimativa del Titan ed erano stati comunicati alla Guardia costiera già durante le ricerche.
Potrebbe però essere difficile individuare il luogo preciso anche
perché i rottami cercati dai Rov si trovano sul fondale, sono piccoli e
c’è una totale oscurità.
Saranno analizzati in superficie al microscopio,
esaminando le fibre di carbonio, in cerca di lacerazioni che possano
dare degli indizi. Se gli esperti concluderanno che c’è stata una falla,
la domanda cruciale è se ciò dipenda dalla mancanza di test completi
sul sottomarino, come suggerito da diversi ex dipendenti di OceanGate. Il Titan non era stato certificato da un organismo esterno:
l’azienda sostiene che era un mezzo così innovativo che le attuali
metodologie di valutazione sarebbero state obsolete, ma diversi
campanelli d’allarme erano emersi prima dell’ultimo viaggio fatale del
sommergibile. Era composto da due «cupole» in titanio tenute insieme ad un cilindro in fibra di carbonio spesso 13 centimetri (una
scelta poco convenzionale per un sommergibile destinato alle grandi
profondità, di solito in acciaio o titanio): era più leggero ed
economico, ma come ha osservato il regista del film «Titanic» ed esperto
di spedizioni sottomarine James Cameron, meno resistente alla pressione. Ogni volta che il Titan è stato usato per spedizioni dal 2021, lo scafo avrebbe subito cambi di pressione e questo continuo sforzo sulla struttura ha quasi certamente portato ad un suo indebolimento.
di Francesco Battistini, inviato, e Redazione Online
Le notizie sulla guerra in Ucraina
di sabato 24 giugno, in diretta. Il Cremlino ordina l’arresto di Yevgeny
Prigozhin mentre i camion militari attraversano Mosca in una escalation
di lotte intestine russe
Ore 08:44 – Cavalli, arte e società: come ha fatto la famiglia di Prigozhin a eludere le sanzioni
(Marta Serafini) Fino a pochi
giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, i figli di Prigozhin potevano
muoversi liberamente in tutta l’UE, godendosi una vita di lusso
internazionale anche se il padre e le sue aziende sono sotto sanzioni
dal 2016. Tuttavia, a differenza di molti magnati russi sostenuti dal
Cremlino, i cui parenti vivono semplicemente delle loro fortune, i
governi occidentali ritengono che i membri della famiglia del fondatore
della Wagner abbiano svolto per anni un ruolo attivo nelle sue
molteplici attività, spiega il Financial Times. Continua a leggere qui
Ore 08:39 – Lo snodo strategico di Rostov
(Marta Serafini) Rostov-sul-Don,
dove sono entrate le forze Wagner, è la città più grande della Russia
meridionale ed è la capitale della regione di Rostov che confina con
parti dell’Ucraina orientale dove la guerra infuria. Con circa 1 milione
di abitanti, la città è un importante porto fluviale e si trova a circa
100 km dall’Ucraina e 1.046 km a sud-ovest di Mosca. È il centro del
distretto federale meridionale della Russia. A Novocherkassk, a circa 24
km a nord-est del centro regionale della città, si trova il quartier
generale dell’8a armata combinata delle guardie. È stato uno dei centri
della formazione militare di Putin in vista dell’invasione dell’Ucraina
lo scorso anno. Il mese scorso, la Russia ha annunciato che un tribunale
della città avrebbe processato cinque uomini stranieri, tra cui tre
cittadini britannici, accusati di aver combattuto a fianco delle forze
ucraine contro Mosca. All’inizio di quest’anno, il personale della
Difesa russo ha iniziato a costruire un sistema di condotte idriche per
collegare la regione di Rostov con la regione orientale del Donbass
all’interno dell’Ucraina.
Ore 08:37 – Chi è Prigozhin: dalla
fortuna con i ristoranti all’insulto a Crosetto: la storia (e le
sparate) del capo della Wagner
(Marco Imarisio) «È solo un
privato cittadino, che non rappresenta lo Stato». Vladimir Putin era in
modalità sorniona, e davanti alla sala stampa strapiena pronunciò questa
frase accompagnandola con un ghigno. Quel giorno del luglio 2018 a
Helsinki, dopo il primo incontro con Donald Trump, aveva molte ragioni
per essere di buon umore. Il presidente americano lo aveva appena
onorato definendolo un «concorrente geniale», e aveva appena detto di
fidarsi più dei suoi dinieghi «molto potenti» sulle interferenze russe
nelle elezioni Usa che delle relazioni della Cia. Continua a leggere qui
Ore 08:35 – Difesa a mercenari Wagner, `siete stati ingannati, rifiutatevi partecipare rivolta
Il ministero della
Difesa russa ha rivolto un appello ai mercenari della Wagner affermando
che sono stati «tratti con l’inganno nell’avventura criminale di
Prigozhin» ed esortandoli a non partecipare «alla rivolta armata».
«Facciamo appello ai combattenti delle squadre d’assalto Wagner», recita
l’appello, riportato dalla Tass, in cui si ricorda che «molti vostri
compagni di diversi distaccamenti si sono già resi conto del loro
errore» ed hanno chiesto aiuto per lasciare la formazione guidata da
Prigozhin. «Vi chiediamo di mostrare prudenza e di mettervi in contatto
con i rappresentanti del ministero della Difesa russo o delle forze
dell’ordine il prima possibile. Garantiamo la sicurezza di tutti»,
conclude il ministero della Difesa.
Ore 08:32 – Podolyak: «In Russia siamo solo all’inizio»
Il consigliere di
Zelensky: «In Russia siamo solo all’inizio». Mikhailo Podolyak, il
consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha descritto le
azioni dal leader mercenario russo Yevgeny Prigozhin come un’«operazione
antiterrorismo» e ha detto che «tutto è giusto cominciando in Russia».
Ore 08:21 – Prigozhin, marceremo su Mosca se Shoigu non viene a Rostov
Il capo del gruppo
mercenario Wagner ha minacciato di prendere tutte le misure necessarie
per rovesciare la leadership militare russa sostenendo che le sue truppe
sono pronte a marciare su Mosca se il ministro della Difesa, Sergei
Shoigu e il generale Valery Gerasimov, non accetteranno di incontrarlo.
«Siamo arrivati qui, vogliamo vedere il capo di Stato Maggiore e Shoigu.
Se non vengono, bloccheremo la città di Rostov e ci dirigeremo verso
Mosca», ha detto Yevgeny Prigozhin in un messaggio audio da Rostov. Lo
stesso Prigozhin ha poi affermato che Gerasimov è fuggito.
Ore 08:04 – Putin lancerà presto un appello alla nazione
Il presidente russo
Vladimir Putin farà presto un appello alla nazione. Lo ha detto alla
TASS il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. «In effetti, Putin farà
un appello nel prossimo futuro», ha detto Peskov, rispondendo a una
domanda
Ore 07:27 – Attacco russo su Kiev: 2 morti e 8 feriti
Nel bombardamento russo
che ha colpito Kiev nella notte sarebbero rimaste uccise almeno due
persone e altre otto sarebbero rimaste ferite. Le bombe hanno colpito un
edificio di 24 piani, provocando danni ed incendi in diversi piani, ha
reso noto il capo dell’amministrazione militare della città, Sergey
Popko.
Ore 07:23 – Il sindaco di Mosca: «In corso misure antiterrorismo»
Sergei Sobyanin ,
sindaco di Mosca, ha scritto sui social media che nella capitale russa
si stanno adottando misure «antiterrorismo» dopo che il capo del gruppo
mercenario Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha dichiarato ufficialmente guerra
ai vertici militari del Paese: « In relazione alle informazioni che
giungono a Mosca, si stanno adottando misure antiterrorismo con
l’obiettivo di rafforzare la sicurezza».
La realtà della guerra, il suo corso subiscono un certo giorno
trasformazioni che ricordano quelle della terra quando un terremoto ne
smuove le viscere. Il movimento all’inizio è impercettibile,
l’ondeggiare di una lampadario o la caduta isolata di un soprammobile,
lo si nota appena, non si comprende cosa accada… è qualcosa che non puoi
vedere toccare eppure sta accadendo. E cambierà tragicamente,
radicalmente la vite di milioni di uomini, le nostre vite di ignari
cittadini di un secolo accecato da una mediocre ipocrisia. Fu così, ad
esempio, nel 1914 quando un ignoto studente uccise un erede al trono a
Sarajevo. Poco più che cronaca nera. A Londra si continuò a bere il tè
alle cinque in tutti i club, a Parigi gli Champs-élysées erano affollati
più al solito, a Berlino il cartellone degli spettacoli non subì alcuna
variazione.
La guerra in Ucraina è andata avanti, da un anno,
nel suo crescendo sornione e inarrestabile segnata da questi continui
piccoli movimenti: le forniture di armi sempre più sofisticate, i
bombardamenti di rappresaglia russi sulle città, la incriminazione di
Putin che ha affossato giuridicamente ogni trattativa, i sabotaggi dei
timidi tentativi di mediazione. Abbiamo scavalcato quasi senza
accorgerci infiniti Rubiconi immaginari, una azione invisibile e
silenziosa, contro cui non sembra esserci difesa, che i geologi chiamano
terremoto e gli strateghi guerra totale, feroce e materialista, ben
raggrumata di rancori e di odio. Anche se le carte geografiche non sono
state cambiate e la linea del fronte è sempre lì, quasi immobile, dopo
che è stata tagliuzzata e ricucita infinite volte da offensive e
controffensive egualmente inutili, ti accorgi che sei entrato in una
fase nuova, più grande e insidiosa, e non potrai anche volendo tornare
indietro. Di colpo tutto è diventato incerto, come quando uno comincia a
dire bugie.
Il nuovo balzo in avanti nella guerra non si
avviluppa alla qualità delle armi da fornire alla Ucraina, ad esempio
gli aerei da combattimento F16. Una linea superata con la consueta
tattica di scavalcare silenziosamente ciò che fino a un minuto prima
ufficialmente si è dichiarato come “non all’ordine del giorno”.
Provvedono, dopo qualche moina, forniture volontarie di qualche paese
Nato più battagliero. In fondo non siamo una alleanza democratica e tra
eguali?
Il nuovo passaggio a cui ci stiamo apparecchiando è la
discesa sul terreno di contingenti militari della Nato a fianco
dell’esercito ucraino per scardinare le difese nemiche nei territori
occupati. E provocare, perché no? la rotta russa. A capofila di questo
sciagurato sviluppo, palesato dalla balordaggine delle parole dell’ex
segretario della Nato, il danese Rasmussen, è la Polonia. Varsavia, che
ha già sul campo di battaglia molti “volontari” nelle cosiddette brigate
internazionali, sembra pronta a spezzare il fragile tabù del non
intervento occidentale; in linea con il ruolo di alleato di ferro degli
americani sul “limes” europeo che i governanti di Varsavia si sono
assunti in quel sanguinoso parco tematico della guerra moderna che è
diventata l’Ucraina. Si voglion saldare i conti, come non ricordarlo?
per le innumerevoli ferite che il trogloditismo russo, zarista e
staliniano, ha inferto alla Polonia negli ultimi tre secoli. Si
rinfrescano mai sopite e gloriose rimembranze dell’Armata rossa in fuga
davanti alla petulante cavalleria del maresciallo Pilsudski.
Ci
sono anche in questa determinazione pro ucraina considerazioni di
politica interna. Essere la punta di lancia nella guerra contro
l’aggressione russa è un lasciapassare infrangibile per tutte le accuse e
i dubbi che la Commissione europea accumula sulla politica interna in
tema di diritti del governo di Varsavia. La guerra serve, eccome. Non
solo al fatturato di armaioli di ogni latitudine e dimensione. E non
solo ai polacchi. Di un analogo impiego come certificato di buona
condotta si serve anche il governo italiano di centrodestra.
Si
avvicina dunque la caduta della mediocre finzione della non
belligeranza che ci ha messo finora al riparo dalla coscienza dei
pericoli di questa guerra. Presentarla con la maschera di iniziativa
autonoma al di fuori della Nato dovrebbe evitare, secondo gli ideatori,
lo scattare dell’impegnativo articolo 5 che impegna tutti gli alleati in
una guerra comune. Dovremo prima o poi tutti immischiarci nella
tragedia ucraina mentre finora abbiamo accumulato le buone ragioni per
non accostarsi troppo. La guerra falcia agnostici e dogmatici.
I rumori potrebbero essere stati
prodotti dalle persone a bordo per indirizzare le ricerche dei
soccorritori. Nel 2018 un dipendente avanzò dei dubbi sulla sicurezza
del mini sommergibile sperimentale e venne licenziato dalla OceanGate
Lo scrivono i media americani
citando come fonte un’email inviata al dipartimento per la sicurezza
interna di Washington. Secondo il documento i colpi si sarebbero sentiti per ore, a intervalli di 30 minuti;
dopo la prima segnalazione, il sonar è stato utilizzato di nuovo
quattro ore dopo nella stessa area dove il sommergibile e i rumori si
sentivano ancora. Almeno due delle persone a bordo – gli esploratori Hamish Harding, con diploma di pilota, e Paul-Henri Nargeolet, ex sub della Marina francese – hanno lunga esperienza di missioni in luoghi estremi e sono certamente consapevoli dei mezzi e degli strumenti con cui vengono cercati: potrebbero dunque aver istruito i compagni ad alternarsi nel produrre questi suoni nel tentativo di essere localizzati.
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Intanto emerge che sin dal 2018, quando era ancora in fase di sviluppo, c’erano dubbi sulla sicurezza del Titan. Quell’anno un dipendente dell’azienda, David Lochridge, è stato licenziato dopo aver espresso perplessità sullo scafo sperimentale in
fibra di carbonio: sosteneva che erano necessari ulteriori test e una
certificazione da parte di un ente indipendente. I suoi avvertimenti
sarebbero stati ignorati finché non scrisse un rapporto; allora fu
chiamato a colloquio con lo stesso amministratore delegato Stockton Rush
che si trova ora a bordo del sommergibile.
KALAMATA. «Abbiamo chiesto aiuto dalle 12 (ora di pranzo,
ndr), perché il motore della barca si era fermato. Ma l’aiuto è arrivato
tardi, solo la sera, intorno alle 21,30. La Guardia costiera greca è
venuta a quell’ora, ma non ci ha aiutati subito. Aspettava». La
testimonianza di Hadi Mahmood Makieh a La Stampa è una ricostruzione che
non lascia spazio a dubbi. Se fosse confermata, riporterebbe la
responsabilità dell’affondamento del peschereccio naufragato mercoledì
al largo di Pilo con 600 morti sull’autorità marittima greca. Che prima
non sarebbe intervenuta, poi avrebbe messo in atto una manovra di traino
sbagliata e pericolosa, considerato l’elevato carico dell’imbarcazione,
che trasportava 750 migranti.
Hadi, siriano di Damasco, oggi è
assistito nel campo profughi di Malakasa, ad Atene. Racconta: «Il mare
era calmo. La Guardia costiera guardava. Dopo molto tempo, ha lanciato
un cavo dalla parte sinistra per cercare di tirare la nostra barca. Il
cavo è stato legato da un egiziano che era a bordo, ma l’abbiamo perso,
perché non era legato bene. A quel punto, è venuto uno della
guardiacoste e l’ha legato meglio». È salito a bordo? «Sì, è salito a
bordo per legare il cavo. Siamo stati trascinati dalla sinistra. La
barca si è capovolta, forse ha preso un’onda. Io sono finito in mare. Ho
nuotato quattro ore, prima di essere salvato. Quando mi hanno trovato,
sono svenuto».
Immaginiamo un peschereccio stracolmo di persone
che viene trascinato con una cima. La nave si inclina da una parte per
il peso. E questo quadrerebbe con i racconti di altri migranti, che
spiegano come si siano spostati in tanti per controbilanciare e
l’imbarcazione abbia iniziato ad oscillare. La Guardia costiera greca,
invece, negli scorsi giorni ha negato di aver lanciato alcuna cima. Poi,
ha cambiato idea, ma ha parlato di offerta di soccorsi rifiutata,
infine di soccorsi a tarda notte, anche se non ha mai ammesso di aver
trainato la barca in difficoltà.
La gioia dei vivi e la pena dei sospesi Hadi,
dopo il disastro si è risvegliato all’ospedale di Kalamata. Si era
ferito ad una spalla. Sulla barca portava con sé un minore non
accompagnato, Yakoub Abdulwahed, di 13 anni, ma dice di averlo perso di
vista nella tragedia. «I bambini e le donne erano al piano meno due
della nave. Sotto di loro, c’erano solo i frigili». Lo zio di Yakoub,
Emad Abdulwahed, non si dà pace. Anche ieri ha continuato disperatamente
a cercare il nipote. Sembrano essere 8 i minorenni sopravvissuti,
nessuno dà i nomi. E dopo molte suppliche del famigliare, non c’è
neppure la conferma che i minorenni salvati abbiano già parlato con i
parenti che hanno fatto denuncia, il che eliminerebbe ogni speranza di
trovarlo vivo. Nel caos dei rimpalli e delle comunicazioni, Emad come
centinaia di famiglie è in attesa di una voce delle autorità greche, che
non arriva mai. «Vi faremo sapere, ci sono 250 richieste come la
vostra. Esamineremo», si è sentito dire.
Hadi, invece, i genitori
li ha incontrati e riabbracciati venerdì a Malakasa, tra le lacrime. Ci
spiega che stava nella parte anteriore del peschereccio, con altri
siriani. «Ho perso molti amici». Nessuno sa se siano tra i 78 cadaveri
rinvenuti o tra i quasi 600 affondati.
Le violenze durante il viaggio Col
passare dei giorni, lo choc per lui si affievolisce. Ha ricominciato a
mangiare. Ricorda molte cose della traversata. «Al secondo giorno dalla
partenza dalla Libia, non ci davano più da mangiare e da bere. Molti
svenivano. Io stavo sul ponte». E ancora, «i trafficanti hanno sparato a
dieci persone che si stavano ribellando, li hanno uccisi tutti».
Conferma anche come siano passate barche ad aiutarli: «Due imbarcazioni
petrolifere ci hanno dato acqua». A bordo, a qualcuno era stato permesso
di tenere i cellulari, ma si sono presto scaricati. «Io l’avevo messo
in tasca, insieme al portafoglio dove avevo dei soldi. Quando mi sono
svegliato in ospedale, non l’ho più trovato».
Passo avanti della Russia verso la fine della guerra in Ucraina. «Ribadisco che siamo grati a tutti i Paesi, a tutti gli Stati e a tutte le figure pubbliche», a «tutti coloro che parlano di pace, di una soluzione (pacifica) e che vogliono rendersi utili» e «ci sono idee interessanti che possono funzionare». Si è espressa così la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, in alcune dichiarazioni all’agenzia di stampa russa Tass in cui ha affermato che iniziative di pace per porre fine al conflitto in Ucraina proposte da vari Paesi contengono idee che potrebbero «funzionare». «Ci sono idee che sono in sintonia con i nostri approcci», ha ribadito, citando, «ad esempio, l’iniziativa cinese».
Il problema, ha accusato Zakharova, è che queste iniziative vengono bloccate «dal regime di Kiev». «Tutto questo è stato bloccato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky perché è questo il concetto che è stato definito a Washington – ha incalzato – Washington segue il principio di ‘uccidere quanti più russi possibile’. Un concetto che è stato espresso da importanti rappresentanti dell’establishment politico Usa, George Bush e Lindsey Graham compresi. E inoltre vogliono danneggiare la Russia per danneggiare la Cina».