Archive for the ‘Esteri’ Category

Bomba a San Pietroburgo, pista ucraina o faida nazionalista: non è un attentato qualunque

lunedì, Aprile 3rd, 2023

ANNA ZAFESOVA

SAN PIETROBURGO. «Vinceremo tutti, li uccideremo tutti, li rapineremo tutti, tutto come piace a noi»: Vladlen Tatarsky aveva molto probabilmente firmato la sua condanna a morte con questa frase, pronunciata a pochi metri dal presidente Vladimir Putin, nella sala del Cremlino dove era stata appena proclamata l’annessione dei territori ucraini occupati dall’esercito russo. Da «inviato di guerra» – anche se Tatarsky era in realtà un militante del Donbass che si era improvvisato blogger – era diventato il volto brutale dell’invasione, l’uomo che gioiva in pubblico per i bombardamenti russi delle centrali elettriche, perché «più maiali ucraini sarebbero morti senza poter venire operati in ospedale».

Guerra Russia-Ucraina, le notizie di oggi in diretta

Chiunque l’abbia ucciso l’ha scelto come bersaglio proprio per questo, e la scenografia di un bar dal nome altisonante «Patriot», che ospitava regolarmente raduni dei fan della «Z» simbolo del militarismo russo, non è casuale. Considerando che il bar si trovava in pieno centro della città natale di Vladimir Putin e dei membri del suo clan, e apparteneva probabilmente a Evgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner oltre che ristoratore di successo pietroburghese, la bomba al «Patriot» non è un regolamento di conti qualunque.

La scontata «pista ucraina» viene già battuta dai propagandisti russi, che chiedono vendetta, spaventati da quella che ritengono una azione punitiva contro un collega. Non c’è dubbio che diventerà la versione ufficiale dell’attentato. L’impatto di un attentato esplosivo a Pietroburgo è pesante, e indipendentemente da chi possa esserne l’autore manda un messaggio di pericolo, trasforma una guerra lontana e televisiva (soprattutto per gli abitanti delle due capitali) in qualcosa che potrebbe riguardare chiunque. Accusarne gli infiltrati ucraini, come era già stato fatto con Daria Dugina, figlia del filosofo di estrema destra Aleksandr Dugin, aumenta la paura del nemico, ma anche la percezione di essere vulnerabili. E mentre i misteri sulla dinamica restano numerosi, non può non colpire una circostanza: è il secondo attentato clamoroso nel cuore della Russia, dall’inizio della guerra, che va a colpire un esponente poco famoso ma molto simbolico della frangia più estrema della destra nazionalista russa.

Potrebbe certamente trattarsi davvero di rappresaglie degli ucraini, e la scelta di personaggi poco noti può essere spiegata con la relativa facilità di avvicinarli rispetto ai propagandisti di serie A. Stesso motivo per cui però potrebbero invece essere stati scelti per una provocazione dagli stessi servizi russi: un personaggio come Tatarsky è probabilmente più utile da morto che da vivo, il «vero russo e vero cristiano» come lo chiama Aleksandr Dugin in nome del quale lanciare un attacco agli ucraini o alla «quinta colonna» dei russi contrari alla guerra. Nei canali Telegram dei nazionalisti cominciano però anche a serpeggiare sospetti di faide interne alla estrema destra, e il consigliere di Zelensky Mikhaylo Podolyak parla di «ragni che si divorano tra di loro, chiusi dentro un barattolo». Ma la morte di Tatarsky potrebbe anche essere un segnale inviato a qualcun altro: secondo alcune voci, Prigozhin in persona avrebbe dovuto visitare il suo bar per salutare il blogger.

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Donald Trump incriminato, martedì in tribunale per le foto segnaletiche

venerdì, Marzo 31st, 2023

di Viviana Mazza

A due settimane dall’annuncio dell’ex presidente Usa, i giurati si sono riuniti e hanno votato per l’incriminazione. 34 capi di imputazione per falsificazione di documenti aziendali nel caso Stormy Daniels

Donald Trump incriminato, martedì in tribunale per le foto segnaletiche

A Mar-a-Lago il presidente Donald Trump e il suo team sono stati presi alla sprovvista. Dopo quasi due settimane di ansia per una imminente incriminazione, era stato annunciato dai media che ci sarebbe stato un mese di tempo prima della prossima riunione del grand jury, la giuria convocata dalla procura distrettuale di Manhattan. Trump, che aveva preannunciato che sarebbe stato arrestato martedì 21 marzo, poi aveva iniziato a dire che forse la procura ci stava ripensando. Invece ieri pomeriggio tra le 2 e le 5, i giurati si sono riuniti e hanno votato per l’incriminazione: una decisione senza precedenti, la prima volta che succede a un ex presidente americano.

La sua apparizione in tribunale è prevista martedì, scrive la tv CBS. Trump si presenterà probabilmente nell’ufficio del procuratore distrettuale, gli prenderanno le impronte e scatteranno la foto segnaletica, poi apparirà di fronte a un giudice che gli chiederà se si ritiene colpevole o innocente; poi è atteso che lo rilascerà in attesa dell’inizio del processo.

Sono 34 i capi di imputazione per falsificazione di documenti aziendali, secondo la Cnn. Non sono stati ancora resi noti ufficialmente. I media affermano che si tratti dei pagamenti alla pornostar Stormy Daniels , che non sono illegali di per sé ma l’accusa tenterà di dimostrare che sono avvenuti falsificandone la natura nei libri contabili e usando fondi della campagna per la Casa Bianca del 2016, violando in tal modo le leggi sui finanziamenti elettorali. I reati di cui l’ex presidente è accusato potrebbero includere comunque anche altre vicende: il Wall Street Journal ha rivelato nei giorni scorsi che il grand jury ha anche esaminato le circostanze del pagamento di una seconda donna che affermava di avere avuto una relazione con Trump, Karen McDougal, ex modella di Playboy, la cui storia fu acquistata dal tabloid National Enquirer allo scopo di farla tacere (non fu mai pubblicata, data l’amicizia tra il proprietario del giornale e il tycoon).

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«Michelangelo non è pornografia»: parla la preside licenziata in Florida

martedì, Marzo 28th, 2023

di Viviana Mazza

Intervista a Hope Carrasquilla, licenziata dopo aver mostrato una foto del David di Michelangelo ala Tallahassee Classical School in Florida: «Le lamentele dei genitori perché non sono stati avvertiti: ma anche perché insegniamo l’evoluzione o lo studio del riscaldamento globale»

«Michelangelo non è pornografia»: parla la preside licenziata in Florida

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK — Per 27 anni Hope Carrasquilla ha insegnato Storia dell’Arte, da un anno era la preside della Tallahassee Classical School in Florida. È stata costretta dal Consiglio scolastico a dimettersi dopo che l’insegnante d’arte ha mostrato il David di Michelangelo agli studenti di prima media e una dei genitori lo ha ritenuto pornografico.

Il caso ha fatto scalpore, il sindaco di Firenze Dario Nardella vuole invitare e premiare Carrasquilla, e lei dice via zoom che ne sarebbe onorata: sognava di portare gli allievi dell’ultimo anno a Roma e a Firenze.

Licenziata per il David?
«Per essere chiari, questa è una delle ragioni presentate da Barney Bishop, il capo del Consiglio scolastico, non l’unica. E i genitori lunedì scorso non capivano la necessità di discutere il mio licenziamento o le mie dimissioni. Per quanto riguarda la lezione in sé, tre genitori avevano espresso preoccupazione quando l’insegnante aveva fatto la sua bellissima presentazione sulla storia del Rinascimento. Una madre pensa che il David sia pornografico. E mi rendo conto che tutti dicano: come è possibile pensarlo… Altri due genitori erano dispiaciuti perché la lettera che avevamo mandato l’anno scorso per notificare che, quando studiamo il Rinascimento ci sono nudi artistici, quest’anno non era stata mandata. Tornata a casa, una studentessa ha detto di essere stata a disagio e la famiglia avrebbe voluto saperlo per essere preparata».

I genitori devono essere informati 72 ore prima di lezioni su temi «controversi»?
«Questa è la nuova regola stabilita dopo l’incidente».

Prima, insegnanti e preside ne parlavano in anticipo?
«È l’insegnante che manda una lettera di notifica ai genitori. Altre due vengono mandate in quinta elementare, quando in Scienze si studia il ciclo vitale degli animali e la riproduzione umana e quando si legge La vita di Frederick Douglass (ex schiavo e leader abolizionista ndr), un libro intenso per bambini che non sanno cosa succedeva a quell’epoca. Stavolta sono stata coinvolta perché l’insegnante d’arte mi ha chiesto se mandare la lettera, ho detto di sì, l’ho mandato da chi se ne occupa e lì c’è stato l’intoppo, la lettera non è partita».

Questa è una «charter school» (scuola privata sovvenzionata) legata all’Hillsdale College, noto college conservatore. Quindi alcune delle persone che mandano i figli qui vogliono che facciano studi classici ma hanno problemi con l’arte classica?
«Non solo l’arte. Si parla di evoluzione… Un altro genitore si lamentava per lo studio del riscaldamento globale… Parlo con loro, spiego che cosa insegniamo… Normalmente tutto si risolve. Quest’anno no. Non era mai successo prima pur con le stesse materie».

Non le era mai successo con il David?
«In un’altra scuola, in terza elementare, una madre si era lamentata. Ma non c’è niente di inappropriato. È arte. Guardiamo il David: c’è una vulnerabilità nella sua nudità, nel suo volto adolescente. Studiamo anche La creazione di Adamo. Se lo vesti, racconti la storia in modo inaccurato».

La direttrice della Galleria dell’Accademia a Firenze, Cecilie Hollberg, dice che definire il David «pornografico» significa non capire la Bibbia e la cultura occidentale. C’è una crociata contro il corpo in America?
«Mi addolora che succeda in una scuola di studi classici, dove ci prefiggiamo il bene, il vero, il bello, i temi della civiltà occidentale e dell’istruzione umanistica. In America abbiamo una società iper-sessualizzata. Ma gli studenti dovrebbero capire che non c’è niente di sbagliato nel corpo, niente di cui vergognarsi».

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Francia, decima mobilitazione contro la riforma delle pensioni

martedì, Marzo 28th, 2023

PARIGI. La Francia torna in piazza per la decima mobilitazione contro la riforma delle pensioni, dopo che il governo del presidente, Emmanuel Macron, l’ha approvata senza il voto dell’Assemblea nazionale. Il Paese vivrà un’altra giornata di proteste, scioperi, blocchi e disagi. Accusate di violenza dai manifestanti, le forze dell’ordine si apprestano ad affrontare «una presenza molto più numerosa di giovani», secondo una fonte della polizia che prevede «il doppio o addirittura il triplo» del loro numero rispetto alle precedenti mobilitazioni. Sorprese dall’entità dell’ultima mobilitazione – 1,09 milioni di partecipanti giovedì scorso secondo il governo, più di 3 milioni secondo i sindacati – le autorità prevedono questa volta un totale di 650.000-900.000 manifestanti, di cui 70.000-100.000 a Parigi. Mobilitati 13.000 tra poliziotti e gendarmi, di cui 5.500 nella capitale, un «dispositivo di sicurezza senza precedenti», ha sottolineato in conferenza stampa il ministro dell’Interno, Ge’rald Darmanin, che ha avvertito della possibile presenza a Parigi di «più di 1.000 elementi radicali».

Il traffico ferroviario subirà delle limitazioni: saranno attivi TGV su cinque e un TER su due in media secondo il gestore ferroviario Snfc. Difficoltà anche nei trasporti parigini, dove la RATP ha ridotto il traffico sulla maggior parte delle linee metro e RER. Il 15% delle stazioni di servizio ha esaurito almeno un carburante, soprattutto nell’Ovest e nel Sud del Paese, conseguenza della chiusura di cinque delle sette raffinerie francesi.

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L’audio presunto degli oligarchi russi intercettati a parlar male di Putin: “Ha fottuto noi, i nostri figli, il loro futuro, il loro destino, dannazione”

lunedì, Marzo 27th, 2023

Jacopo Iacoboni

Una telefonata intercettata, leakata all’esterno molto probabilmente dai servizi segreti ucraini, pubblicata sui media ucraini, sta facendo molto rumore nella «verticale del potere» di Vladimir Vladimirovich Putin. A parlare, inconsapevolmente intercettati, sono il produttore musicale (uno dei più importanti del Paese) Iosif Prigozhin (niente a che fare con l’omonimo Evgheny, il capo dei mercenari di Wagner) e l’oligarca miliardario Farkhad Akhmedov, ex membro del Consiglio della Federazione russa. I due parlano spigliatamente e si lasciano andare a giudizi pesantissimi su Putin. La telefonata è stata (un po’ flebilmente) smentita da Iosif Prigozhin, che ha detto che la sua voce è stata in parte ricreata usando l’intelligenza artificiale e i network neurali. La cosa potrebbe far sorridere ma va riferita.

Tuttavia ieri sera “Important Stories”, il collettivo giornalistico di Roman Anin, uno dei giornalisti indipendenti russi più autorevoli e stimati, e temuti dal Cremlino, l’ha avvalorata citando una fonte nel Fsb, il servizio segreto interno russo, che dichiara testualmente: «La registrazione della conversazione tra Prigozhin e Akhmedov è autentica, la dirigenza del FSB ha recentemente tenuto una riunione e ha ordinato ai subordinati di agire». Si  capirebbe, di qui, il terrore che emerge nel video di smentita di Iosif Prigozhin.

Nel presunto audio, i due parlano francamente, come tipico nelle conversazioni private. Prigozhin racconta: «Hanno collaborato, Igor Ivanovich (Sechin, nda.), Sergei Viktorovich (Chemezov) e Viktor Zolotov. Incolpano Shoigu per tutto. Lo chiamano un idiota, alle sue spalle, ovviamente. E loro hanno il compito di demolirlo, porca miseria. Sì, ma perché qualcuno deve essere incolpato. Ascolta. Sono le persone più stupide. La mia opinione è semplice: si comportano come re, come fottuti dei. Sono creature finite». Akhmedov replica: «Hanno incasinato la situazione. Hanno rovinato il paese. Hanno fottuto tutti. La domanda è: cosa succederà dopo di loro? Dannazione, da un lato, kadyroviti, prigozhiniti, ci saranno guardie. Agiteranno pugnali, martelli. Una totale follia». «Di tutto questo risponderà il Presidente. Per tutti. Glielo chiederanno. Hanno fottuto noi, i nostri figli, il loro futuro, il loro destino, dannazione, capisci?».

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Israele, proteste oceaniche nella notte. Netanyahu verso lo stop alla riforma della giustizia. Gli Usa: siamo preoccupati

lunedì, Marzo 27th, 2023

a cura della redazione

In Israele rivolta nella notte. Il presidente israeliano Isaac Herzog chiede al primo ministro Benjamin Netanyahu di fermare la riforma della giustizia che – scrive in una nota riportata dai media locali – «indebolisce il sistema giudiziario». Herzog ha fatto appello direttamente al premier, facendo riferimento anche ai disordini avvenuti nel Paese: «Abbiamo assistito a scene molto difficili. Faccio appello al Primo Ministro, ai membri del governo e ai membri della coalizione. Per il bene dell’unità del popolo di Israele, per amore della responsabilità a cui siamo obbligati, ti invito a interrompere immediatamente il processo legislativo» della riforma.

Rivolta nella notte a Israele, i manifestanti cantano la loro rabbia contro Netanyahu: “Democrazia”

Scontri da Tel Aviv a Gerusalemme, anche nei pressi della residenza del premier. Secondo i media israeliani, sono scese in strada centinaia di migliaia di persone. La polizia ha aperto gli idranti e lanciato lacrimogeni. Ora Netanyahu starebbe valutando di ritirare la riforma.

Israele, proteste nella notte: i manifestanti bloccano l’autostrada e la polizia apre gli idranti

08:39

Nuovo appello del presidente Herzog: “Fermate subito l’iter riforma”

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha rinnovato l’appello al governo e al premier Benjamin Netanyahu a fermare il progetto di riforma della giustizia dopo la nottata di proteste che ha scosso il Paese. «Per il bene dell’unità del Popolo d’Israele, per le responsabilita’ a cui siamo tenuti io vi invito a fermare immediatamente il processo legislativo», ha affermato il capo di Stato. 08:20

Media: Netanyahu verso la sospensione della riforma

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu parlerà oggi alla nazione e, secondo i media che citano fonti vicino al primo ministro, potrebbe annunciare la sospensione della riforma giudiziaria. La decisione è arrivata dopo la nottata di forti proteste in tutto il Paese a causa del licenziamento del ministro della difesa Yoav Gallant, reo di aver chiesto il fermo della riforma. Anche il presidente Herzog questa mattina ha chiesto al premier lo stop dell’iter legislativo della riforma. Secondo alcune fonti, il discorso di Netanyahu è atteso attorno alle 10.30 ora locale (le 9.30 in Italia). 08:00

Indetta una protesta di massa davanti la Knesset: Gallant sia rimesso al ministero della Difesa

I leader delle proteste anti riforma giudiziaria hanno indetto una manifestazione di massa alle 14 (ora locale) davanti la Knesset a Gerusalemme. «Non consentiremo alcun compromesso – hanno sostenuto – che danneggi l’Indipendenza della Corte Suprema». Gli stessi hanno chiesto che il ministro Gallant, licenziato dal premier Benyamin Netanyahu, sia riportato alla responsabilità della difesa. Oggi il governo ha convocato una Commissione che intende modificare il meccanismo di nomina dei giudici della Corte assicurando alla maggioranza politica la preminenza nella scelta 07:46

Proteste ignorate in Israele, riprende in Commissione esame riforma

In Israele, alla Knesset, si sono aperti i lavori in Commissione Giustizia per votare e poi consegnare al Parlamento per il voto definitivo il ddl di riforma giudiziaria che ha scatenato violente proteste nel Paese. Il gesto della coalizione al governo sembra platealmente ignorare le proteste senza precedenti che si sono svolte nella notte e anche i rumours, non confermati però, che il premier Benjamin Netanyahu potrebbe cedere e sospendere la riforma. 07:27

Uno degli avvocati della difesa di Netanyahu minaccia di non rappresentare più il premier israeliano

Uno degli avvocati della difesa di Benjamin Netanyahu, Boaz Ben Tzur, avrebbe minacciato di non rappresentare più il premier israeliano nelle aule di tribunale se non fermerà la riforma giudiziaria che ha scatenato violente proteste nel Paese. Lo scrive la stampa israeliana. Netanyahu e’ sotto processo, accusato in tre diversi procedimenti di corruzione. Boaz Ben Tzur lo difende nel processo cosiddetto Case 4000. 07:06

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Vini (e super mancia). Obama al ristorante servito da mio figlio

lunedì, Marzo 27th, 2023

di Federico Rampini

Gli aneddoti sull’ex presidente Usa: in Cina al G20 di Hangzhou il 2 settembre 2016 Xi Jinping lo umiliò

Vini (e super mancia). Obama al ristorante servito da mio figlio
Barack Obama (Ap)

Il mio ricordo più imbarazzante su Barack Obama risale agli ultimi mesi della sua presidenza. Lo seguii al G20 di Hangzhou il 2 settembre 2016, nell’antica capitale cinese della seta resa celebre da Marco Polo. La presidenza cinese che organizzava il vertice orchestrò un dispetto all’ospite americano. Quando l’Air Force One atterrò sulla pista, c’erano telecamere di tutti i network mondiali per riprendere il leader che si affaccia allo sportello del Jumbo 747 e scende dalla scaletta. È una scena vista cento volte ma conserva una solennità. Quella volta lo sportello non si aprì. Io ero lì con i giornalisti accreditati alla Casa Bianca. Passavano i minuti, molti, e lo sportello rimaneva chiuso. Il comandante dell’Air Force One non poteva aprirlo: il personale di terra dell’aeroporto non forniva una scaletta abbastanza alta per arrivare al «muso» del Jumbo.

La tensione era palpabile per l’incidente tecnico-logistico senza precedenti. Alla fine si vide in movimento sulla pista una scaletta, ma troppo bassa. La misero davanti all’uscita di servizio, sotto la coda, praticamente al «sedere» del Jumbo. Passò altro tempo in trattative febbrili tra americani e cinesi. Vinsero i padroni di casa che controllavano la logistica del cerimoniale di Stato. Obama dovette, per la prima volta nella storia dei viaggi ufficiali, uscire dal retro dell’Air Force One, alla chetichella, in una zona oscurata sotto i motori, invisibile alle telecamere che lo avevano atteso dall’uscita d’onore. Il suo arrivo fu reso irrilevante. Lo screzio venne dimenticato. Guai a sottovalutare questi segnali. Nella cultura cinese non c’è disastro peggiore che il «perdere la faccia». Quel giorno Xi Jinping aveva umiliato il leader americano. Due mesi dopo vinse l’elezione Trump, il quale non si lasciò mai sfuggire un’occasione per accusare Obama di ingenuità nei rapporti con i cinesi. L’ex vice di Obama, Joe Biden, si è convinto che la Cina sia una potenza antagonista, il cui espansionismo va contenuto. Forse quel gesto di Xi al G20 era una premonizione. LEGGI

Ho intervistato Obama due volte. La prima il 17 ottobre 2016 quando lui accolse alla Casa Bianca l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, che piaceva ai democratici americani. Già allora era emergenza profughi nel Mediterraneo. Obama volle soffermarsi su questo. «L’Italia — mi disse — è in prima linea nella crisi dei rifugiati, una catastrofe umanitaria e un test della nostra comune umanità. Le immagini di tanti migranti disperati, uomini, donne e bambini che affollano piccole imbarcazioni e annegano nel Mediterraneo, sono più che strazianti. L’Italia ha un ruolo di leadership. Ha salvato la vita di centinaia di migliaia di migranti, si adopera per arrivare ad una risposta compassionevole e coordinata alla crisi, mettendo in evidenza la necessità di dare assistenza ai Paesi africani da cui tanti di questi migranti provengono». Lui in quel momento stava affrontando un dramma simile a casa sua, al confine con il Messico, dove tentava di arginare l’ingresso di clandestini, usando anche dei metodi duri (centri di detenzione, minorenni separati dai genitori, deportazioni) che poi avrebbero fatto scandalo sotto la presidenza Trump.

La mia seconda intervista mi rimane impressa per la sincerità. Dicembre 2020. Era ormai un ex presidente da quattro anni, il periodo trumpiano si era appena concluso con la vittoria di Biden. «Fare il presidente degli Stati Uniti — mi disse Obama — è come partecipare a una gara di staffetta. Prendi il testimone da chi ti ha preceduto: alcuni erano degli eroi, altri erano al di sotto dell’ideale. Se corri al meglio delle tue forze, quando passi il testimone la nazione o il mondo saranno un po’ meglio di prima». Questa descrizione era tipica del personaggio, consapevole dei propri limiti e dei limiti della politica in generale; un uomo capace di osservare se stesso e l’America quasi dall’esterno, con distacco, disincanto. Sfoderava il tono pacato che ricordo della sua presidenza. Non tutti lo ammiravano per quello. La destra lo scherniva come «il presidente che girava il mondo a scusarsi per le colpe dell’America»: una forzatura, però coglieva una sua caratteristica, la consapevolezza del declino relativo degli Stati Uniti. Un atteggiamento più da studioso di geopolitica che da leader. A sinistra contro di lui c’è una lunga litania di lamentele. L’ala socialista del partito democratico non gli perdonò mai i salvataggi dei banchieri nella crisi del 2008. Black Lives Matter e gli intellettuali dell’estremismo antirazzista lo accusavano di «non essere nero abbastanza».

Lui aveva il torto di non condividere la cultura del vittimismo, la recriminazione arrabbiata, la ricerca costante di risarcimenti, il razzismo a rovescia contro i bianchi, l’apologia della violenza. Nella deriva sempre più intollerante della woke culture, Obama ha una macchia: governò da moderato. Una volta pensionato, non gli giova di avere accumulato un patrimonio di 70 milioni con il successo dei libri; e di frequentare troppe celebrity multimilionarie, da Richard Branson a Bruce Springsteen. Resta il fatto che nella sinistra dei campus universitari non va giù la saggezza di Obama che mi parlava così: «La democrazia funziona se ti siedi attorno a un tavolo con persone che non la pensano come te, e cerchi di convincerli. Se non ci riesci, accontentati di quello che ottieni. Perché in una nazione pluralista, nessuno mai ottiene tutto quello che vuole».

Ma l’intervista con Obama che ricordo con più gusto — e invidia — è di un altro Rampini: mio figlio Jacopo, attore, ebbe con lui un contatto più intimo e molto meno convenzionale.

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La pace di Xi sul tavolo di Putin: «Eterna amicizia tramandata di generazione in generazione»

martedì, Marzo 21st, 2023

di Guido Santevecchi

I due leader fianco a fianco, a rimarcare la «vicinanza» tra i rispettivi Paesi Lo zar «pronto a negoziare». Il Nuovo Timoniere: «Stessi obiettivi»

La pace di Xi sul tavolo di Putin: «Eterna amicizia tramandata di generazione in generazione»

Un tavolino largo cinquanta centimetri dà il senso della vicinanza tra Cina e Russia. Non può essere un caso che il cerimoniale del Cremlino abbia fatto sedere Xi Jinping e Vladimir Putin quasi spalla a spalla. Da quando ha scatenato l’aggressione all’Ucraina, lo zar ha preso le distanze da tutto e da tutti, confinando visitatori e collaboratori all’altro capo di un tavolone ovale lungo sei metri. La regola non poteva valere per «il caro amico» venuto da Pechino proprio per rompere l’isolamento del leader russo.

Le notizie sulla guerra in Ucraina, in diretta

Putin ha subito ringraziato dicendo di essere «sempre pronto a negoziare», di avere «rispetto» per la proposta di soluzione elaborata da Pechino, di volerla studiare con Xi e di essere disposto a fornire «chiarimenti». Per mostrarsi ancora più grato della visita, ha aggiunto che «la Russia è un po’ invidiosa» per il rapido sviluppo della Cina negli ultimi decenni. Su questo punto è stato probabilmente sincero: Mosca ormai è considerata la sorella povera di Pechino.

Nel minuetto diplomatico Xi ha firmato un editoriale sulla Rossiyskaya Gazeta dove chiede «una via razionale» per uscire dalla crisi ucraina (che evita sempre di chiamare invasione) e ripresenta la proposta di «soluzione politica» in 12 punti come un tentativo di «rappresentare per quanto è possibile le vedute unitarie della comunità mondiale». Xi conclude che i problemi complessi non hanno facili soluzioni e inneggia alla «eterna amicizia tra Cina e Russia tramandata di generazione in generazione» (in realtà i due imperi sono stati storicamente più divisi e sospettosi l’uno dell’altro che vicini fraterni).


Contemporaneamente il Renmin Ribao (Quotidiano del Popolo) di Pechino ha pubblicato un intervento di Putin «grato per la linea equilibrata della Cina sugli eventi in corso in Ucraina e per la sua comprensione delle cause reali». Lo zar accomuna Russia e Cina come vittime del «doppio contenimento da parte degli Stati Uniti». Anche Xi si è lamentato in pubblico dell’accerchiamento americano e ieri ha detto che «è vero che le nostre due nazioni condividono obiettivi uguali e alcuni simili».

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Irina Vereshchuk, vicepremier ucraina: «La Cina non si scontrerà con l’Occidente per aiutare Putin»

martedì, Marzo 21st, 2023


Lorenzo Cremonesi, inviato a Kiev / CorriereTv

La vicepremier di Kiev al Corriere: «Il cessate il fuoco? Dopo il ritiro dei russi dall’Ucraina»

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Putin sfida l’Aja nel buio di Mariupol, visita a sorpresa nella città rasa al suolo

lunedì, Marzo 20th, 2023

Anna Zafesova

Guidare nella notte per le strade di Mariupol occupata, entrare nelle case appena ricostruite in mezzo alle macerie, stringere le mani dei suoi abitanti e ascoltarli ringraziarlo per «questo piccolo pezzettino di paradiso»: Vladimir Putin ha reagito all’incriminazione da parte del Tribunale internazionale dell’Aja presentandosi in persona nella città ucraina di cui ha ordinato la conquista e la distruzione. Un’apparizione molto attesa dai sostenitori della guerra, ansiosi di vedere il leader russo sulla linea del fronte al pari del suo avversario Volodymyr Zelensky, per riaffermare quello che la propaganda ripete tutti i giorni e che la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha ripetuto anche ieri essere la condizione irrinunciabile di Mosca per un negoziato: «Il riconoscimento delle nuove realtà territoriali», cioè dell’annessione russa dei territori ucraini. Alla vigilia dell’arrivo a Mosca di Xi Jinping, in una visita che il Cremlino aspetta con ansia, il presidente russo ha deciso così di mandare un segnale: qualunque possa essere il “piano di pace” concordato con Pechino, non ha intenzione di discutere di Donbass e Crimea.

Una visita che però non ha avuto una scenografia solenne, e il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov forse ha ragione a descriverla come «improvvisata». Putin non si è presentato come il padrone delle sue nuove terre: le poche riprese del suo giro per Mariupol trasmesse dalla televisione di Stato russa sono avvenute al buio, a tarda sera o nella notte. Una visita quasi furtiva, forse per motivi di sicurezza, o semplicemente per non mostrare le condizioni reali di una città-martire, rasa al suolo da quasi tre mesi di bombardamenti, dove il 90% degli edifici sono stati distrutti o pesantemente danneggiati. Putin – che il giorno prima era apparso in Crimea, nell’anniversario della sua annessione nel 2014 – si è messo al volante di una Toyota insieme al vicepremier Marat Husnullin, che l’ha portato nel quartiere Nevsky, appena eretto in mezzo alle macerie. Nel buio di un cortile altrimenti deserto il presidente si è imbattuto in un paio di famiglie che gli hanno espresso la loro gratitudine e l’hanno invitato a visitare il loro trilocale, ordinato in una maniera innaturale. Poi, si è fatto spiegare da Husnullin, direttamente in strada, che Mariupol non era stata distrutta dai russi che l’assediavano, ma sarebbe stata devastata dai «nazisti ucraini» che si ritiravano «minando anche le apparecchiature mediche». Infine, il presidente russo ha visitato la nuova sala della filarmonica – quella dove i suoi falchi stavano allestendo la gabbia per il processo ai combattenti del battaglione Azov, che il Cremlino ha invece restituito a Kyiv in cambio dei prigionieri russi – sedendosi con aria annoiata in una poltrona della platea e commentando distrattamente «comodo e bello».

Un’apparizione talmente insolita da aver sollevato qualche dubbio sull’autenticità della scenografia, e aver risvegliato i soliti dubbi sul fatto che Putin fosse stato impersonato da un sosia. Poche ore prima, il presidente era stato in Crimea, in compagnia del suo confessore Tikhon Shevkunov, subito dopo è apparso – di nuovo nella notte, ma già vestito con giacca e cravatta invece del maglione con piumino sfoggiati a Mariupol – a Rostov-sul-Don, in territorio russo, salendo le scale del «centro di comando militare» insieme al capo dello Stato Maggiore Valery Gerasimov. Nella stanza del centro lo aspettava anche l’ex comandante delle truppe in Ucraina Sergey Surovikin, ma è con Gerasimov che (stando a Peskov) Putin si è «appartato a lungo» dopo la riunione, a sottolineare che resta il suo interlocutore principale tra i militari, nonostante i ripetuti attacchi del capo del gruppo Wagner Evgeny Prigozhin.

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