ROMA – I tre carabinieri che procedettero all’arresto di
Stefano Cucchi sono formalmente
accusati dell’omicidio del giovane, spirato il 22 ottobre del 2009 in un letto del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini di Roma. Omicidio preterintenzionale, è l’accusa mossa contro Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco dal procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e dal pm Giovanni Musarò al termine dell’indagine bis condotta dopo la riapertura del fascicolo, nel novembre del 2014. Dopo l’arresto, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre Cucchi sarebbe stato picchiato dai tre militari subendo le lesioni che lo hanno portato al decesso. Quando sembra finalmente dissipata la cortina che per anni ha avvolto e celato l’accaduto, un’ombra sinistra cala sull’operato degli uomini dell’Arma al chiuso delle loro caserme. Un’ombra che il comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, prova a scacciare 24 ore dopo la formalizzazione della gravissima accusa, per sottrarre il destino giudiziario dei suoi tre uomini a ogni possibile tentativo di delegittimazione dei carabinieri. Che, ribadisce Del Sette, “sono accanto alla magistratura con forza e convinzione, come sempre, per arrivare fino in fondo alla verità”.
Accanto alla magistratura per la verità. Del Sette lo aveva affermato già nel dicembre 2015, quando era stata aperta l’inchiesta su Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco. E la magistratura ha fatto il suo lavoro. “Se tutto questo sarà accertato, è grave – dichiara oggi il comandante – il fatto che alcuni carabinieri abbiano potuto perdere il controllo e picchiare una persona arrestata secondo legge per aver commesso un reato. Grave che non l’abbiano poi riferito, che alcuni altri abbiano potuto sapere e non lo abbiano segnalato a chi doveva fare e risulta aver fatto le dovute verifiche. Grave anche che queste cose possano emergere soltanto a partire da oltre sei anni dopo, nonostante un processo penale celebrato in tutti i suoi gradi”. (altro…)