Si avvicina l’8 marzo, ma niente retorica. Siamo ancora in tempi difficili e la crisi non ha aiutato. Le donne hanno retto più degli uomini, hanno perso meno occupazione e recuperato prima. Soprattutto perché erano meno numerose nell’industria e nelle costruzioni, i settori più colpiti. È per questo che le differenze di genere nel mercato del lavoro si sono ridotte. Può sembrare positivo, ma a ben vedere si tratta di una diminuzione delle disuguaglianze al ribasso: non per la crescita dell’occupazione femminile, come avvenuto negli Anni 90, dopo la precedente crisi, ma perché gli uomini hanno visto peggiorare la loro situazione occupazionale. Certo, ci sono stati miglioramenti, con l’aumento della percentuale di occupate e delle stabilizzazioni, ma non sono bastati per raggiungere il 50% di tasso di occupazione femminile. La situazione è particolarmente critica per le giovani, che non solo hanno difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro, ma che più facilmente lo perdono, per la più frequente precarietà, e per i rischi che corrono all’indomani della nascita dei figli. In generale, in questi anni, la qualità del lavoro femminile è peggiorata.
È cresciuto il part time involontario, non lo strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma quello «più utile» alle imprese, come strumento di flessibilità. E così si evidenzia il paradosso che chi vorrebbe fare il part time per conciliare i tempi di vita non riesce ad ottenerlo e chi invece, non lo vorrebbe, è costretto ad accettarlo, non trovando altro. Abbiamo una quota di part time involontario doppia rispetto all’Europa (60%): con la crisi è cresciuto anche negli altri Paesi, ma non fino a questo punto. La crescita è avvenuta in tutte le zone del Paese, di più tra le donne e in professioni non qualificate, nel commercio, soprattutto alberghi e ristorazione. Le donne, più degli uomini, sperimentano la precarietà con la conseguenza di più basse retribuzioni e instabilità economica. (altro…)