Archive for Aprile 14th, 2017

Renzi e i ministri “tecnici”, lo scontro è continuo: in autunno resa dei conti

venerdì, Aprile 14th, 2017

MASSIMO GIANNINI

LO SPREAD a quota 211, il livello più alto degli ultimi tre anni, non è il miglior “benvenuto” al pacchetto Gentiloni- Padoan. Certo, i mercati fibrillano soprattutto per l’incertezza del voto francese del 23 aprile. Ma diciamolo con franchezza: il combinato disposto “Manovra aggiuntiva-Documento di economia e finanza- Piano nazionale delle riforme” non scalda i cuori. E neanche i cervelli. Quei testi (per quel poco che ancora ne conosciamo) raccontano un Paese sospeso tra due opposti.

UN POZZO che guarda il cielo. Il “pozzo” sono i deprimenti tamponi previsti dalla manovrina da 3,4 miliardi: la pioggerella di accise sugli alcolici e le sigarette, la spremutina di balzelli sul “gratta e vinci” e le lotterie, la rottamazione delle liti fiscali, l’inestimabile “lotta all’evasione” (nel senso che non se ne può stimare il gettito, anche se si quantifica sempre in cifre-monstre) e l’irrinunciabile “spending review” (nel senso che non si rinuncia mai a evocarla, anche se si traduce spesso in tagli semi-lineari).

Il “cielo” sono le mirabolanti ambizioni indicate dal Def e dal Pnr: il “cruciale abbattimento del cuneo fiscale per aumentare il reddito disponibile dei lavoratori”, il “taglio dei contributi sociali per le fasce più deboli (giovani e donne)”, i 3,2 miliardi per il “reddito di inclusione alle famiglie in povertà”, gli “ulteriori 2,8 miliardi per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego” (come li ha fumosamente quantificati il ministro Padoan), il “tesoretto” da 47,5 miliardi (!) di investimenti disponibili fino al 2032 (come lo ha misteriosamente definito la Sottosegretaria Boschi). (altro…)

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Le tasse nel 2018 non scenderanno: i motivi

venerdì, Aprile 14th, 2017

Andrea Telara

“Conti in ordine, senza alzare tasse”. Con  questa espressione il presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, ha presentato nei giorni scorsi l’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def) che definisce le manovre fiscali dell’Italia nel prossimo triennio. A ben guardare, però, il premier non ha dato poi  una gran bella notizia. Più che un mancato aumento delle tasse, infatti, c’era chi sperava ci fosse finalmente un vero e proprio taglio. Anzi, secondo l’agenda di riforme annunciata negli anni scorsi dal predecessore di Gentiloni, cioè Matteo Renzi, il 2018 doveva essere l’anno buono per vedere una riduzione massiccia delle aliquote dell’irpef, la principale imposta che grava sugli stipendi, le pensioni e su tutti gli altri redditi delle persone fisiche.

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E invece, almeno secondo il testo dell’ultimo Def, il tanto atteso taglio dell’irpef non ci sarà. Il governo preferisce concentrarsi su altre misure come la riduzione del costo del lavoro per i neo-assunti e non vuole rinunciare a nuovi capitoli di spesa come quelli necessari per coprire  l’aumento di stipendio degli statali o il Reddito d’inclusione, cioè il nuovo sussidio contro la povertà. Non a caso, secondo le cifre riportate nel Def, durante il 2018 ci sarà addirittura una lieve ripresa della pressione fiscale, cioè del peso delle tasse sul prodotto interno lordo (pil). Dopo essere scesa dal 42,9 al 42,3% del pil tra il 2016 e il 2017, nel 2018 la pressione fiscale dovrebbe infatti risalire al 42,8%.   (altro…)

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Vespa, Fazio e Conti quasi fuori dalla Rai

venerdì, Aprile 14th, 2017
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Quattro delitti per un serial killer, l’ombra di Igor su altre vittime

venerdì, Aprile 14th, 2017

al nostro inviato GIUSEPPE BALDESSARRO

MOLINELLA (BOLOGNA) – C’è l’ombra di Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, su almeno quattro omicidi in tre province emiliano romagnole. E c’è la stessa firma su una serie di rapine. Un lungo filo rosso unisce fatti criminali che solo in parte sono stati contestati al super ricercato per i delitti di Budrio e Portomaggiore, ma sui i quali le diverse procure hanno ora riacceso i riflettori.

Il primo episodio di sangue risale al 9 settembre del 2015, quando una banda di stranieri, tutti di origine dell’Est Europa, fa irruzione in casa di un pensionato, Pier Luigi Tartari. L’anziano viene legato e massacrato di botte, fino a morire nella sua casa ad Aguscello, frazione di Ferrara. Il gruppo viene individuato, arrestato e condannato per omicidio aggravato, con due ergastoli e una pena a 30 anni. Si tratta di Patrik Ruszo, Costantin Fiti e Ivan Pajdek, sono uomini della banda di quello che all’epoca era noto come “Igor il russo”.Con loro aveva compiuto una serie di assalti a a Ferrara. Lui non partecipa alla rapina di Aguscello, ma dalla casa di Tartari spariscono due fucili da caccia che, secondo gli inquirenti, potrebbero essere stati successivamente consegnati al vecchio compagno di scorribande.

Il 30 dicembre 2015, invece, una guardia giurata viene aggredita a Savio, in provincia di Ravenna. Un bandito gli tende un agguato sparando un colpo di fucile sul lunotto posteriore, a scopo intimidatorio. L’agente Salvatore Chianese prova a reagire e viene colpito a morte da una seconda rosata di pallini esplosi in faccia. I carabinieri e la procura aprono un’inchiesta contro ignoti, ma alla luce di nuovi episodi si sono convinti che a far fuoco possa essere stato proprio Feher. In questo senso, il 2015 anticipa il modus operandi del serbo. A marzo 2017 infatti, una seconda guardia giurata viene assalita e derubata della pistola con modalità identiche, a Consandolo, vicino Argenta. L’assalitore spara contro l’auto un colpo di avvertimento, la guardia si mette faccia a terra senza reagire, e l’uomo «con l’accento dell’Est» gli sfila una Smith e Wesson calibro 9 x 21, argentata. (altro…)

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Mazzata sui professionisti: costretti ad anticipare l’Iva

venerdì, Aprile 14th, 2017
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Testamento biologico A Montecitorio è una guerra di veti

venerdì, Aprile 14th, 2017
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Tetto sugli stipendi e vecchie indennità in Parlamento: il ritorno al passato

venerdì, Aprile 14th, 2017

Care, vecchie indennità. Massacrate dalla furia rigorista che non ha risparmiato, pensate, neppure gli stipendi di Camera e Senato, eccole di nuovo. È l’ineluttabile risultato di una decisione presa dalla «Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati», ovvero l’organismo interno delegato a giudicare i ricorsi dei dipendenti del parlamento. Dove l’autodichìa, ovvero quel sistema per cui le decisioni prese nel Palazzo non sono sindacabili né sono sottoposte a controlli esterni, non riguarda solo gli eletti ma si estende anche a chi lavora lì dentro.

Con il risultato che le controversie non si discutono in tribunale davanti al giudice del lavoro, bensì davanti a una commissione interna composta da una terna di deputati. Tutti e tre del Pd e due dei quali, nella fattispecie, renziani a quattro ruote motrici: il presidente Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, ed Ernesto Carbone. Il che rende il tutto ancora più singolare, considerando quanto fu deciso dall’ex segretario democratico nel difendere il tetto dei 240 mila euro agli stipendi pubblici. Ma tant’è.

La storia di cui stiamo parlando comincia proprio quando si decide di applicare quel tetto anche ai dipendenti di Camera e Senato. La cosa provoca violente reazioni, che riescono a mitigare l’intervento, limitando i danni. Al punto che ora lo stipendio lordo del consigliere parlamentare con la maggiore anzianità può attestarsi sui 358 mila euro, quasi il 50% più del tetto di cui sopra pari alla retribuzione del presidente della Repubblica. Mentre un documentarista tecnico ragioniere può arrivare a 237.990. Ma il taglio finisce per spiovere anche sulle indennità di funzione: somme aggiuntive alla paga base in relazione al ruolo ricoperto. Per capirci, il segretario generale percepisce ora per questa voce 662 euro netti al mese, contro i 2.206 di prima.

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Gli Stati Uniti sganciano la «madre di tutte le bombe», la più potente bomba non atomica mai usata

venerdì, Aprile 14th, 2017

WASHINGTON — Il Pentagono ha usato per la prima volta la «madre di tutte le bombe», dopo di questa c’è solo quella nucleare. Un aereo delle forze speciali l’ha lanciata su posizioni jihadiste nella provincia di Nangahar, nell’Afghanistan orientale. Una serie di tunnel dove erano nascosti elementi Isis. Un’operazione che però ha un significato che va oltre questo target: il ricorso a questo ordigno — noto anche come Moab: «Massive ordnance air blast» o «Mother of all bombs», «madre di tutte le bombe» appunto — è probabilmente un messaggio anche ad altri nemici, nord coreani compresi.

La bomba Moab è stata pensata non certo per contrastare ribelli, ma piuttosto per neutralizzare posizioni ben protette. Lo strumento bellico deve affiancare le cosiddette «bunker buster», ossia gli ordigni che perforano lo «scudo» ed esplodono all’interno.

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L’inerzia dei partiti e la politica che gira a vuoto

venerdì, Aprile 14th, 2017

Sono passati quasi cinque mesi dal referendum costituzionale e la palude è diventata il luogo esistenziale della politica. Prima e dopo la consultazione abbiamo ascoltato annunci e richieste poco credibili. «Se vince il no possiamo fare una nuova riforma in pochi giorni», promettevano gli oppositori di Renzi. «Dobbiamo andare al voto immediatamente», chiedeva l’ex premier dopo la sconfitta, nonostante l’assenza di una legge elettorale e il problema dei sistemi di voto diversi tra Camera e Senato.

Invece di riflettere sulle scelte degli italiani, invece di interrogarsi su come stavano cambiando il mondo e l’Europa dopo la Brexit e la vittoria di Trump, invece di ricostruire pazientemente una proposta politica e di leadership tutto è diventato un gioco di corto respiro. Conta la battuta a effetto, il colpo all’avversario, meglio se del tuo stesso schieramento. Odi, rivalità, scissioni, avvertimenti a un governo appena nato che ha dovuto scegliere il basso profilo per ragioni di sopravvivenza.

Della nuova legge elettorale, condizione indispensabile per andare alle urne, si sono perse le tracce. Tutto è rinviato alla fine delle primarie del Pd. Poi ci sarà il G7, poi le vacanze estive… È misteriosa la ragione per cui durante le primarie il Parlamento non possa lavorare alla riforma. (altro…)

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Catene, coltelli e rapine. L’odio della baby-gang che terrorizza Bolzano

venerdì, Aprile 14th, 2017

La testimonianza: «Rispondo in italiano – dice il capo della banda al gip -. Gioco a pallone e basta. Solo una volta sono scappato dai vigili, avevo bevuto tanto»

niccolò zancan
inviato a bolzano

Non vanno più a scuola. Dormono per strada. Conoscono i loro numeri di telefono a memoria perché sono, l’uno per l’altro, una specie di nuova famiglia. Ma è una famiglia rabbiosa, come forse non si era ancora vista in Italia. Registrati dalle telecamere, parlano così: «Hey, maglietta rossa, che cazzo vuoi? Guarda questa cagnetta alla cassa, guarda che troia! Sai chi siamo? Siamo la baby-gang».

 

Sono i ragazzini difficili di Bolzano. Picchiano i coetanei. Fanno piccoli furti. Odiano la polizia. «E hanno dentro questa rabbia incredibile che ci interroga» dice Antonella Fava, capo della Procura per i minorenni. «Una volta si sono messi a saltare sui cofani di tre volanti, urlavano e irridevano gli agenti. È stato difficile venirne a capo». Sono nati quasi tutti a Bolzano, figli di migranti arrivati alla fine degli Anni Novanta dal Pakistan, dal Marocco, dal Perù e dall’Albania. Genitori apparentemente inseriti. Talvolta situazioni economiche difficili, ma conosciute e seguite dai servizi sociali. È una baby-gang che si è autonominata tale, forse sulla scia dei primi articoli usciti sulla stampa locale. Durante una rapina al supermercato Despar, addirittura hanno scritto il loro marchio sul volantino delle offerte. (altro…)

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