Il ministro Alfonso Bonafede e il filosofo Massimo Cacciari hanno avuto una discussione televisiva – abbastanza accesa – sui migranti e sulla gestione dei fenomeni migratori.
L’ex sindaco di Venezia non è nuovo a questo genere di sfoghi:
la sinistra – specie quella intellettualista – non condivide la “linea
dura” promossa da Matteo Salvini tanto che, una delle ultime volte che è
apparso in pubblico, Cacciari aveva chiesto al governo di vergognarsi. In quel caso, il suo interlocutore era stato il ministro Giulia Bongiorno.
Il vizio della raccolta firme non l’hanno mai perso. “Non non stiamo con Salvini“, titolò Rolling Stone il manifesto firmato da intellettuali, artisti e uomini dello spettacolo.
Lo stesso (più o meno) accade oggi. Cambia solo il titolo,
forse alcuni firmatari (ma non tutti) e l’occasione di cronaca. Ma la
sostanza è sempre la stessa: una sorta di armata dell’accoglienza che si
oppone alla limitazione delle migrazioni e che non vuole “essere
complice di questa strage”.
L’ultimo appello (dal titolo “Non siamo pesci“) è stato pubblicato sull’Huffington Post nel blog di Luigi Manconi. Tra i firmatari Roberto Benigni,
Sandro Veronesi, Massimo Cacciari, Gad Lerner, Paolo Virzì e
l’immancabile Roberto Saviano. Poi altri ancora. Contestano la decisione
di affidare a Tripoli il recupero di 100 migranti in naufragio,
ricordano i 117 immigrati deceduti al largo della Libia e attaccano la decisione del governo di non far sbarcare i 47 migranti a bordo della Sea Watch, bloccata per ora di fronte al porto di Siracusa.
Un elicottero si è scontrato con un aereo da turismo nella zona del ghiacciaio del Rutor a La Thuile, in Valle d’Aosta. Lo rende noto il corpo nazionale del soccorso alpino, secondo cui alcuni elicotteri sono partiti dalle basi di Ivrea, Torino e Borgo Sesia mentre, sul luogo dell’incidente, è già presente un’equipe medica. Secondo un primo bilancio ci sarebbero cinque morti e due feriti.
Il sindaco di Roma Raggi assegna le case popolari ai nomadi. Da M5S a N5S (Nomadi a 5 Stelle) il passo è breve”.
Le prima parole del post sono un’accusa al primo cittadino pentastellato della capitale. Gliele ha rivolte, ieri, Giorgia Meloni,
presidente di Fratelli d’Italia. Che in un post su Facebook accusa il
sindaco di privilegiare i cittadini rom nell’assegnazione delle case
popolari.”Grazie ai grillini, ai nomadi casa popolare e reddito di
cittadinanza. Un gran bel vivere. Per gli italiani poveri e onesti sarà
per la prossima volta. Forse”, si conclude il messaggio di Meloni contro Virginia Raggi.
La risposta dell’amministrazione
In poco tempo, come riporta Libero, arriva la risposta del Campidoglio,
che ricorda i meccanismi per l’accesso all’assegnazione degli alloggi
di edilizia residenziale pubblica, che segue la normativa vigente e non è
connessa, in alcun modo, con il Piano per il superamento dei campi rom. Che significa un’assegnazione “sulla
base dello scorrimento delle graduatorie e dei requisiti legati a ogni
domanda: gli allogggi vengono assegnati esclusivamente agli aventi
diritto”. Per l’amministrazione, quindi, una procedura valida per
tutti i cittadini, senza alcun trattamento ad hoc legato alla
provenienza etnica o geografica.
Roma, 25 gennaio 2019 – “Siamo soddisfatti del percorso trapiantologico del bambino, al momento perfetto». Franco Locatelli,
direttore del Dipartimento di Oncoematologia e Terapia Cellulare e
Genica dell’Ospedale Bambino Gesù, commenta non senza emozione, lo
straordinario successo della sua equipe.
Professore è la prima volta che questa tecnica viene utilizzata?
«No. Alex ha beneficiato di un lungo iter sviluppato a partire dal
2010. Abbiamo trattato in questo modo più di 250 pazienti, ed è il
motivo per cui i colleghi inglesi hanno autorizzato il trasferimento del
bambino in Italia mesi orsono».
Il braccio di ferro tra l’Italia e l’ongSea Watch potrebbe diventare un nuovo caso internazionale.
Di fatto la nave della ong tedesca ha a bordo 47 migranti
recuperati in mare nei giorni scorsi. Solo tre giorni fa il sindaco di Lampedusa,
Totò Martello, aveva affermato di aver avuto notizia di un possibile
avvicinamento della Sea Watch alle coste dell’isola: “La Sea Watch con
47 a bordo è vicina alle coste di Lampedusa? Noi non erigiamo muri. Gli
sbarchi del resto li abbiamo ogni giorno…Se mi interpellano per
arrivare in porto, io rispondo che devono chiedere l’autorizzazione alla
Guardia costiera. Noi siamo esecutori e di certo non mettiamo muri, nè
io nè alcun altro lampedusano. Lo sanno e non lo sanno tutti, a partire
da Salvini, che gli sbarchi qui continuano ogni giorno?”.
Telefono Rosa contro Forum, anzi
contro un giudice del tribunale tv più popolare d’Italia che da oltre 30
anni incolla milioni di spettatori davanti allo schermo all’ora di
pranzo. Nella bufera finisce l’avvocato Melita Cavallo, volto nuovo di
questa ultima stagione del fortunato programma Mediaset a fianco della
conduttrice Barbara Palombelli, accusata di aver «mancato di rispetto a
tutte le donne».
La causa dello «scandalo»
Cosa
è accaduto? La causa che ha scatenato reazioni furenti sui social e poi
la dura presa di posizione dell’associazione che tutela le donne, è
andata in onda mercoledì 23 gennaio su Rete 4 e ha avuto per
protagonista Carlotta, vittima di uno stupro all’età di 17 anni da cui è
nato Riccardo. Il motivo del contendere è proprio il bambino perché il
padre (condannato per la violenza a 6 anni di carcere) chiede di vedere
il figlio e si rivolge appunto a Forum. Quando il dibattimento entra nel
vivo, Carlotta (o meglio, l’attrice che interpreta la protagonista di
una storia realmente accaduta) è costretta a ripercorre la sua vicenda
dolorosa. Ma quello che scatena la rabbia del pubblico è la reazione del
giudice Cavallo la quale sembra non essere comprensiva anzi, usa toni
molto duri, eccessivamente duri e spropositati secondo il giudizio di
molti, nei confronti della ragazza. Quando Carlotta urla quasi in
lacrime al giudice: «Lei ha mai subito una violenza? Lei sa cosa vuol
dire svegliarsi in un campo mezza nuda?», Melita Cavallo le risponde:
«Risulta dal processo che avevate tutti bevuto, anche lei». I toni si
accendono e la ragazza: «Quindi lei è una di quelle persone che pensano
che sono io che me la sono cercata..».
La
Brexit è sempre più in bilico. E i mercati stanno scommettendo
apertamente sul rinvio dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue,
prevista per il 29 marzo: da qualche giorno la sterlina è in rialzo
proprio sulla base di queste aspettative. Che appaiono più che fondate.
Il giorno cruciale sarà martedì prossimo: quando il Parlamento potrebbe fare un passo decisivo per strappare al governo il controllo della Brexit. Quella sera i deputati saranno chiamati a votare un emendamento presentato da Yvette Cooper, la combattiva deputata laburista che si è messa alla testa dello schieramento trasversale intenzionato a impedire a ogni costo un no deal, ossia una uscita catastrofica di Londra dalla Ue, senza nessun accordo a fare da paracadute.
Se l’emendamento passerà, il 5 febbraio sarà varata
una legge che impone al governo di ottenere entro tre settimane
l’approvazione di Westminster a un accordo sulla Brexit: in caso
contrario, scatta il fermi tutti e il divorzio dalla Ue si rimanda alla
fine dell’anno, se non a data da destinarsi.
Il
trattato «sull’integrazione e la cooperazione franco-tedesca» firmato
martedì da Macron e da Merkel in quella che per noi italiani è
Aquisgrana (per i francesi invece è Aix-la-Chapelle e per i tedeschi
Aachen) è un duro colpo per la costruzione europea. Né a sua
giustificazione si può certo dire che esso sia e/o voglia essere una
risposta all’uragano nazionalista ed antieuropeista che si sta
abbattendo su tanti Paesi del continente. È difficile pensare che sia
così, infatti, dal momento che esso, tra l’altro, fu annunciato dal
presidente francese fin dal suo discorso alla Sorbona del 26 settembre
2017 — cioè quando l’uragano di cui sopra era ancora un vento non troppo
minaccioso la cui traduzione in risultati elettorali in Italia, Svezia,
Spagna, e nella stessa Germania, era ancora di là da venire.
In realtà il significato vero del trattato non sta nei suoi articoli, che non sono davvero gran cosa.
Sta nel trattato puro e semplice, nel fatto che i suoi contraenti
abbiano deciso di stringerlo, e di farlo ora. Di fronte all’affollarsi
di critiche all’interno dell’Unione Europea e dei conseguenti propositi
di riforma della stessa, il trattato significa la riaffermazione da
parte di Francia e Germania non del proprio impegno europeista, bensì
della propria volontà di mantenere sulla Ue l’egemonia di fatto che
entrambe da molto tempo vi esercitano (più esattamente: che vi esercita
la Germania, camuffandola dietro la collaborazione della Francia che vi
si presta in qualità di interessata vassalla). C
ontro i sovranismi nazionalisti veri o presunti (e quasi sempre
posticci) è la riaffermazione di due sovranità nazionali autentiche.
Un aumento dell’incitamento all’odio da parte dei politici, e del razzismo e xenofobia nel discorso pubblico, particolarmente nei media e su internet preoccupa l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. È scritto nel rapporto di monitoraggio sull’Italia votato a Strasburgo, e che la delegazione italiana, bipartisan, voleva cambiare con emendamenti tutti però rigettati. Nella relazione su cui si basa il rapporto si esprime preoccupazione anche per la chiusura dei porti italiani ai migranti. Nel rapporto, che contiene anche una valutazione di quanto fatto da altri Paesi membri del Consiglio d’Europa, sono dedicati all’Italia dodici paragrafi, su flussi migratori, lotta al razzismo, libertà dei media, giustizia, corruzione. Se nel testo non mancano le critiche e gli inviti a fare meglio, ci sono anche diversi apprezzamenti per quanto sinora fatto per allinearsi con gli standard dell’organizzazione. Così sul fronte della gestione dei flussi migratori mentre si esprime preoccupazione «per le recenti iniziative per impedire alle navi di soccorso di attraccare nei porti italiani» allo stesso tempo si plaude alla fine delle politiche di respingimento.