Archive for Febbraio 10th, 2019

Sanremo 2019, la furia di Ultimo contro i giornalisti

domenica, Febbraio 10th, 2019

Scoppia la polemica in sala stampa. Dopo la chiusura di Sanremo, Ultimo si è presentato in conferenza stampa. Quando ha fatto i complimenti al vincitore Mahmood, chiamandolo “ragazzo”, si è beccato i rimbrotti dei giornalisti e ha tuonato: “Voi giornalisti avete questa settimana per sentirvi importanti. E rompete il ca**o”. E ha aggiunto: “Io non ho mai avuto la pretesa di venire qui e vincere, a differenza di quello che avete detto voi: tirandomela. Io mi sono grattato, ma non è servita a niente. La mia vittoria e quella di tanti altri artisti è sicuramente dopo il festival. La mia vittoria sono i live, la gente che mi vuole, che si riconosce in quello che scrivo. C’avete sempre qualcosa da dire, ma non provo rancore”.

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Una lezione ai nostalgici del comunismo

domenica, Febbraio 10th, 2019

Gian Micalessin

Grazie presidente Mattarella. Da queste pagine nei giorni scorsi avevamo auspicato un suo intervento che ribadisse l’inviolabilità della Giornata del Ricordo, minacciata dall’indifferenza di molte istituzioni, dal disinteresse di una parte della cultura e dai tentativi di riproporre tesi negazioniste o riduzioniste.

Non ci illudiamo di averla influenzata, ma le siamo grati per la sensibilità con cui è intervenuto sull’argomento. Le sue parole pronunciate ieri, con 24 d’ore d’anticipo sul Giorno del Ricordo, sono esemplari perché chiariscono dei punti che qualcuno vuole nuovamente rendere controversi o discutibili con l’obiettivo di mettere in dubbio non solo la verità storica delle Foibe, ma anche la tragedia dell’esodo di istriani e dalmati. Lei l’ha impedito e l’ha fatto con fermezza e sostanza. Parlando di «grande tragedia italiana» ricorda a tutti che i morti delle foibe e i 300mila italiani costretti a fuggire dalle proprie case in Istria e Dalmazia non erano rappresentanti di un gruppo o di una fazione politica, ma dei connazionali colpevoli soltanto di esser nati italiani e di volerlo restare. Descrivendo il loro passaggio «dall’oppressione nazista a quella comunista» sottolinea come tra i due «grandi totalitarismi del Novecento» non vi sia differenza.

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Il centrodestra unito cresce ancora: 48,1% Oggi il test Abruzzo

domenica, Febbraio 10th, 2019

Fabrizio de Feo

Test abruzzese per il governo, per la maggioranza gialloverde e per il centrodestra «classico», unica vera alternativa al tandem Lega-Cinquestelle.

È il giorno del voto in Abruzzo dove sono chiamati alle urne 1.211.204 elettori. Il sistema elettorale è di tipo proporzionale, con soglia di sbarramento del 4% per liste che corrono da sole e del 2% per quelle inserite all’interno di una coalizione. Non c’è ballottaggio, pertanto sarà eletto presidente il candidato che al termine dello spoglio avrà ottenuto un voto in più degli altri.

È il primo dei sei appuntamenti elettorali del 2019 per il rinnovo dei consigli regionali. Un voto che a poco più di tre mesi dalle Europee inizierà a fornire segnali importanti sugli equilibri elettorali e politici della legislatura. La fotografia che maggiormente ha segnato questa campagna elettorale è stata quella dei tre leader di centrodestra – Salvini, Berlusconi e Meloni – riuniti, per la prima volta dal marzo del 2018.

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I presidi al ministro Bussetti: “Si impegni lei”

domenica, Febbraio 10th, 2019

“Quello che il Ministro – rappresentante del sistema scolastico nella sua interezza geografica – non può assolutamente fare è delegittimare il personale “del Sud”, utilizzando espressioni divisive che lasciano intendere che “nel Sud” non ci si impegna adeguatamente”. Lo sottolinea l’Associazione Nazionale Presidi commentando le parole del ministro Bussetti sulla scuola nel Sud, chiamata a impegnarsi per “colmare il divario col Nord”. “Che sia necessario impegnarsi in qualsiasi lavoro – ed in particolare in quello pubblico, pagato da tutti gli Italiani – noi dell’ANP lo abbiamo sempre creduto fermamente – commentano i presidi – Così come crediamo, da persone di scuola, che il lavoro scolastico rivesta una importanza tutta particolare in quanto forgia il futuro della Nazione. Se il Ministro dell’istruzione ritiene che, nel settore di cui egli è responsabile, qualcuno non si impegni a sufficienza, dispone di tutti gli strumenti per intervenire”.

VIDEO – Scuola, Bussetti ai professori del Sud: “Vi dovete impegnare, lavorare e fare più sacrifici”

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Messaggio al governo che dialoga con i gilet gialli: “Parli con chi protesta in Italia”

domenica, Febbraio 10th, 2019

“Di Maio incontra chi protesta in Francia, ma non chi protesta in Italia. Non ne capisco il senso e l’utilità, soprattutto guardando i rapporti commerciali e imprenditoriali tra Roma e Parigi…”. Nella zona palco di una piazza San Giovanni piena fino all’inverosimile, Maurizio Landini ci parla delle tensioni tra Italia e Francia stringendo tra le mani la bandiera europea che l’Associazione ‘Europanow!’ gli ha appena regalato. Passa da Parigi il senso del messaggio che il neoeletto segretario della Cgil vuole inviare al governo in questa giornata di protesta unitaria insieme a Cisl e Uil a Roma: “Se Conte guarda questa piazza e se ha capito, allora deve aprire le trattative con noi. Se incontrano chi protesta fuori Italia, allora incontrino anche noi: non abbiamo gilet gialli, ma una piattaforma articolata”.

E’ la prima manifestazione unitaria per Landini, fino a pochi anni fa vivace capo della Fiom, l’ala più ‘radical’ della Cgil, ultra-critica con la legge Fornero di Monti e il jobs act di Renzi. Ora Landini guida il più grande tra i sindacati confederali che, tutti e tre insieme, avevano programmato questa giornata di protesta già a settembre e oggi si ritrovano in piazza proprio al termine di una settimana di dati negativi per l’economica italiana, tecnicamente in recessione. “L’unico dato che schizza in alto è lo spread”, sottolinea Annamaria Furlan della Cisl dal palco a fine manifestazione.

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Regionali Abruzzo, urne aperte: è il primo test importante per il governo Conte

domenica, Febbraio 10th, 2019

dalla nostra inviata GIOVANNA VITALE

PESCARA – Non è soltanto una sfida locale, come da giorni non si stancano di ripetere i due leader gialloverdi, preoccupati per le nuove fibrillazioni che le regionali d’Abruzzo rischiano di innescare all’interno di una maggioranza già attraversata da mille tensioni. Perché se è vero che la platea è piuttosto ridotta, all’incirca un milione e duecentomila le persone chiamate oggi alle urne dalle 7 alle 23 – lo spoglio inizierà subito dopo, risultati in diretta su Repubblica.it –  si tratta pur sempre del primo test elettorale dacché il governo Conte si è insediato.

COME SI VOTA

Utile pertanto a verificare – da qui a due settimane, quando la stessa partita si giocherà in Sardegna – quanto ormai certificato da tutti i sondaggi a livello nazionale: ovvero il primato della Lega anche al Centro-Sud, saldamente in testa rispetto a un M5S in crisi di consenso; la reale consistenza del “vecchio” centrodestra unito; le chance di ripresa di un centrosinistra che in entrambe le regioni si propone in forma allargata, col Pd a fare da perno di un’alleanza civica e sociale.

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Bombe carta e paura, gli anarchici scatenano la guerriglia a Torino

domenica, Febbraio 10th, 2019

irene famà lodovico poletto torino

Bruciano i cassonetti non lontano dal centro. Si sgretolano le vetrate. Nel sabato dello shopping, quando la movida sta per iniziare, quando le famiglie stanno ancora passeggiando davanti alle vetrine, esplode la follia di chi, vestito di nero, con i caschi e le maschere sul viso, vuol vendicarsi di un «sopruso» che sopruso non è. La Polizia ha chiuso L’Asilo, storica casa del mondo anarchico torinese. Lo ha fatto dopo 25 anni. E dopo che la Digos ha arrestato sei persone sospettate di 23 attentati commessi in giro per l’Italia. Buste esplosive, essenzialmente. E la base dove tutto veniva organizzato era proprio l’Asilo di via Alessandria: due piani, un vecchio edificio di una certa bellezza. È per questo che è nata la vendetta. Il sabato di delirio in centro.

Erano partiti in poco più di mille: destinazione non ufficiale era andare a riprendersi l’Asilo. I duri e puri dell’anarchia indigena e gli amici arrivati da fuori. Dal Veneto, da Milano e da altre zone. E poi la terra di mezzo di gente solidale, ma non anarchica. Solidali per lo sgombero, come i pochi del centro sociale più politico del nord Italia, Askatasuna. È finita come raccontano le immagini di questa giornata. Strade bloccate, ovunque cassonetti in fiamme. E il fiume Dora che fa da spartiacque: sui ponti non si passa perché dall’altra parte sarebbe fin troppo facile arrivare attraverso mille strade all’Asilo.

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Foibe, la storia utilizzata come un randello nel confronto politico

domenica, Febbraio 10th, 2019

Giovanni De Luna

Nel dibattito sulle foibe gli storici vengono relegati in secondo piano; è sempre stato così, a partire dalle polemiche che accompagnarono l’approvazione della legge che istituiva il Giorno del Ricordo, approvata il 16 marzo 2004. La proposta, presentata dall’on. Roberto Menia, trovò un consenso quasi unanime. Ci si divise però sulla data: il centrodestra aveva subito proposto il 10 febbraio; il centrosinistra aveva replicato con il 20 marzo, giorno della partenza dell’ultimo convoglio di profughi italiani da Pola. Fu il sen. Servello (ex Msi) a illustrare le ragioni della scelta del centrodestra: il 10 febbraio era «il giorno del Trattato di Parigi che impose all’Italia la mutilazione delle terre adriatiche». Il fatto che nessuna delle due date fosse legata effettivamente alle foibe non sembrava degno di interesse. Menia citava il numero dell’11 febbraio 1947 del giornale Il grido dell’Istria: «Finis Histriae: 10 febbraio. L’Istria non è più Italia». Non le foibe bisognava ricordare il 10 febbraio, ma l’«infame diktat di Parigi».

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Foibe, il ricordo che divide

domenica, Febbraio 10th, 2019

Mario Baudino

Non appena la Quarta armata jugoslava entrò in Trieste, gli agenti della polizia politica di Tito si dettero da fare: la loro prima preoccupazione fu di arrestare e eliminare i membri del Comitato di Liberazione Nazionale, i leader italiani della Resistenza. Sul confine orientale l’unico antifascismo doveva essere quello dell’esercito vincitore, dei croati, degli sloveni e dei serbi. L’equazione italiano-fascista era funzionale alla geopolitica, e attecchì bene: la marea dei profughi giuliano-dalmati, che per anni si riversarono al di qua del confine abbandonando terre e proprietà, venne spesso accolta in modo oltraggioso dagli esponenti della nostra sinistra (non a Torino, però, dove il sindaco comunista Celeste Negarville organizzò accoglienza e aiuti). Alla Spezia, durante la campagna per le elezioni politiche del ’48, un dirigente della Camera del Lavoro si abbandonò durante un comizio a un gioco di parole piuttosto agghiacciante: «In Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani».

La tragedia delle foibe si ripeté due volte: i partigiani jugoslavi erano infatti dilagati in Venezia Giulia nel settembre del ’43 (con l’eccezione di Pola, Fiume, Trieste), per essere poi ricacciati dai tedeschi nell’ottobre nello stesso anno. Ma subito erano cominciate le esecuzioni sommarie (rese pubbliche dalla propaganda bellica della Rsi, e destinate a ripetersi in misura assai maggiore nel ’45) in base all’identificazione dei italiani come nemici, con le vittime annegate in mare o gettate nelle profonde cavità carsiche. E quella tragedia a lungo rimossa in un’Italia che non voleva ammettere né la sua sconfitta né le violenze commesse nei Balcani, ignorata a sinistra fino al 2002 quando un libro molto fortunato di Gianni Oliva affrontò il tabù, ancora divide, nonostante l’istituzione – anch’essa nata da una tormentatissima discussione – del «Giorno del Ricordo». Aveva appunto lo scopo di conciliare le memorie: in parte raggiunto, in parte no.

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“Azzerare i vertici di Bankitalia e Consob”, il governo torna unito

domenica, Febbraio 10th, 2019

francesco grignetti roma

Non è finito l’attacco a Banca d’Italia, anzi. Se le indiscrezioni di venerdì raccontavano di un consiglio dei ministri agitato, teso, urlato, con i ministri grillini all’attacco del vicedirettore generale Luigi Federico Signorini, e in difesa il responsabile dell’Economia, Giovanni Tria, ben appoggiato dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, ecco, da ieri la novità è che a difendere i vertici della Banca d’Italia nel governo non c’è più nessuno. Battaglia impopolare, evidentemente, spendersi per l’autonomia della più importante tecnostruttura del Paese. Così come per la Consob.

Al solo nominarle, Bankitalia e Consob, alla maggioranza giallo-verde viene l’orticaria. E così è quasi una gara a demolire. Dice Matteo Salvini: «Non è più possibile che qualcuno sbaglia, non si sa mai chi è stato, e non paga nessuno. Noi rispettiamo chi fa il suo lavoro, ma ci sono stipendi da centinaia di migliaia di euro, e non riconfermare qualcuno del passato mi sembra il minimo nel rispetto di chi è stato fregato». Gli fa eco Luigi Di Maio: «Non vogliamo mettere le stesse persone negli stessi posti dopo quello che è stato fatto in passato».

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