Chi
vede la crisi di governo, sottovaluta l’eccitazione che dà il comando:
“Il piacere del potere è più intenso di un orgasmo. Per questo, Salvini e
Di Maio dureranno per tutta la legislatura. Il calcestruzzo del potere
che li tiene insieme è molto più forte delle loro opinioni discordanti
sulla Tav”. Basta pronunciare la parola “politica” per accendere in
Franco Ferrarotti il fuoco di una passione antica: “Mi piaceva così
tanto che mi stava mangiando la vita”, dice all’Huffpost. Eppure il nome
di Ferrarotti, in Italia, è un sinonimo del termine “sociologia”.
Poiché è lui l’uomo che ha innestato, nel corpo tradizionale del sapere
italiano, il ramo moderno di questa disciplina, andando allo scontro
frontale perfino con Benedetto Croce, che della sociologia fu un grande
nemico: “Stroncò la mia traduzione de La teoria della classe agiata
di Thorstein Veblen sul Corriere della Sera. Io risposi con due
articoli sulla Rivista di Sociologia. E tutti, nel mondo della cultura
italiana, si domandarono chi era quell’incosciente che aveva osato
contraddire Croce. Ero io, un ragazzo di poco più di vent’anni”.
Il fondatore del Manifesto,
Valentino Parlato, in un articolo di molti anni lo definì “un vulcano”.
E sembra un’espressione esagerata finché non si è davanti a quest’uomo
di novantadue anni, posseduto da una vitalità tale che, una volta uscito
di lì, hai anche tu la voglia di leggere tutto, viaggiare in ogni parte
del mondo, incontrare più persone possibile: “Nella mia vita, ho avuto
quattro o cinque carriere. Non ne ho cercata nemmeno una. Sono loro che
mi hanno trovato”. Essere professore, per lui che è stato il primo ad
avere la cattedra di una disciplina che non c’era mai stata prima, in
Italia, ha significato camminare sulla strada dell’incertezza: “Non ho
mai avuto niente da insegnare. Io andavo in aula per professare le mie
idee. Nient’altro che questo: le mie idee. Nessuno può presumere di
avere la conoscenza. Semmai, è la conoscenza che ha te”.