By Pietro Salvatori
Si
svolge tutto a poche centinaia di metri. Piazza del Popolo e palazzo
Chigi. In un venerdì romano assolato si decidono qui, tra rivendicazioni
e decisioni, le sorti di un settore in crisi – quello dell’edilizia –
che negli ultimi dieci anni ha perso 600mila posti di lavoro e ha visto
120mila imprese, piccole e grandi, costrette ad abbassare le
saracinesche. La distanza fisica è minima, ma quella politica è ancora
ampia. La convergenza per arrivare quantomeno a un tentativo di
soluzione, che passa dal decreto sblocca-cantieri a cui sta lavorando al
governo, non c’è. Perché la piazza si muove, chiede lavoro, vuole la
Tav e l’avvio dei cantieri, piccoli o grandi che siano. Il Palazzo,
invece, vacilla e non riesce ancora a trovare la quadra su un
provvedimento che registra forte divisioni tra Lega e 5 stelle.
La
dicotomia che caratterizza queste dinamiche passa per due atmosfere a
oggi inconciliabili. Da una parte ci sono gli slogan e gli striscioni
che animano la piazza di Cgil, Cisl e Uil, dove la base è calda e soffre
per lo stallo nei cantieri. Significa braccia incrociate, posti in
fumo. Sono circa 20mila, secondo gli organizzatori, e si fanno sentire.
Ci sono i lavoratori della Torino-Lione, ma anche quelli del Terzo
valico e delle autostrade. Non è solo una piazza di categoria. E’ la
prima piazza significativa che protesta contro il governo. E’ una piazza
ampia, anche politica, perché si sono affacciati il neo segretario del
Pd Nicola Zingaretti, così come hanno fatto capolino gli amministratori
locali che credono nelle infrastrutture come Sergio Chiamparino,
governatore del Piemonte. E poi c’è il pezzo della sinistra che crede
nel rapporto con la Cgil: c’erano Pierluigi Bersani, Arturo Scotto,
Cesare Damiano. Da quella piazza è arrivato un messaggio chiaro: le
risorse ci sono, ma non vengono spese e questo – per usare le parole del
segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo – è “criminale”.