di Riccardo Antoniucci
Luigi Di Maio, allora ministro del Lavoro, l’aveva inserito tra le priorità del Governo Conte uno, ma il decreto di tutela sui rider vedrà la luce in un’altra stagione politica, quella dell’alleanza tra Movimento Cinque Stelle e PD nel governo Conte due, e con un altro ministro del lavoro (Nunzia Catalfo, sempre Cinque Stelle). Nel frattempo, delle norme sui rider si è discusso molto. Da subito la proposta aveva suscitato la (attesa) contrarietà di alcune piattaforme, i dubbi dei sindacati e anche dei malumori tra gli stessi rider, che non hanno una rappresentanza organizzata ma hanno costituito alcuni gruppi informali. Le norme sui ciclofattorini erano poi finite dentro il calderone del più ampio pacchetto di «disposizioni urgenti per la tutela del lavoro», il Dl.gs 101 pubblicato in Gazzetta ufficiale il 3 settembre, che ora il Parlamento deve convertire in legge entro il 3 novembre. Ora, alla luce degli emendamenti passati al Senato con il voto di fiducia, arrivano le prime tutele rafforzate, anche se a partenza differita: tre mesi per le coperture e un anno per i compensi.
Cosa cambia per i rider?
Non
era la parte del Dl più «scottante», ma ai lavoratori delle piattaforme
digitali di consegna, la Commissione lavoro nelle scorse settimane ha
comunque dedicato diverse audizioni e raccolto il parere di Inps, Inail e
Istat. Il testo uscito dal Senato apporta modifiche al Jobs Act
del 2015, inserendo le prestazioni di lavoro «organizzate mediante
piattaforme anche digitali» tra i rapporti di lavoro subordinato. Ai
fini del trattamento di lavoro, quindi, i riders verranno considerati
dipendenti a meno che non abbiano un rapporto di collaborazione
occasionale (fino a 5mila euro l’anno).