Chiedere le dimissioni del
governatore della Banca d’Italia per la vicenda della Popolare di Bari?
“Io penso che nei prossimi mesi sia utile affrontare una riforma della
governance di Bankitalia”. Lo afferma il ministro degli Esteri, Luigi Di
Maio, nella registrazione della puntata di ‘Porta a porta’, che andrà
in onda questa sera. Parlando del caso della Popolare di Bari, Di Maio
aggiunge: “Non voglio individuare in una sola persona le responsabilità.
Ma nominare tra i commissari quello che aveva seguito la questione
Tercas è abbastanza ridicolo”.
“Oggi ho incontrato il senatore
Elio Lannutti e mi ha detto che non voleva essere un alibi per non far
partire la commissione Banche, per questo ha deciso di fare un passo di
lato”, ha aggiunto.
‘O presepe, più di tanto, non gli piace. Si intuisce dalla freddezza con cui porge al Conte-bis il saluto natalizio, a mo’ di telegramma: “Esprimo gli auguri al governo di recente costruzione per la sua attività”. Punto. Però si capisce che per Sergio Mattarella l’auspicio è che duri, perché l’alternativa è peggio, anche se non viene neanche evocata. L’arbitro, si sa, è dei più rigorosi, non avvezzo a brandire spettri o a provocare allarmi.
È un po’ questo il senso del tradizionale discorso alle Alte Cariche
dello Stato: un invito ad andare avanti, a durare. Il che, fughiamo
subito il dubbio, non significa “tirare a campare”, arrocco al potere
fino a se stesso per paura di perderlo. Semmai l’opposto. La ricerca del
“come” andare avanti, di una necessaria ricerca di senso, non di mero
consenso, in una politica affogata nel presente, è affidata alle parole
di Aldo Moro: “Anche se talvolta profondamente divisi, sappiamo di avere
in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere
di andare più lontano e più in alto”. È un discorso del ’77, in piena
fase di compromesso storico, di percorso comune cioè tra diversi
nell’Italia della guerra fredda, più diversi allora di quanto lo siano i
partiti dell’attuale coalizione di governo. Per stare insieme, dice
Mattarella, non è necessario pensarla allo stesso modo, ma è necessario
il “dialogo” e la “comune accettazione delle essenziali ragioni di
libertà e rispetto”.
“Sulla legge elettorale per ora siamo all’aperitivo”. Il forzista Francesco Sisto ha risposto alla chiamata del presidente della commissione Affari costituzionali, il grillino Giuseppe Brescia. Andrà con la capogruppo di Forza Italia, Maria Stella Gelmini oggi all’incontro nell’ufficio di Brescia a Montecitorio. Dice: “Andiamo solo ad ascoltare, anche perché noi puntiamo a una proposta unitaria del centrodestra con Salvini e Meloni”. L’invito di Brescia è alquanto insolito: gli ospiti dell’opposizione saranno accolti una delegazione per volta, e conferiranno con gli sherpa della maggioranza giallo-rossa che da mesi ormai cercano di trovare una strada per cambiare le attuali regole (il Rosatellum) con cui gli italiani vanno a votare. I forzisti saranno ultimi: alle 17,30. I leghisti saranno capitanati da Roberto Calderoli – autore del fu-Porcellum e “mente” del referendum per l’ipermaggioritario su cui la Consulta deve pronunciarsi a metà gennaio – e apriranno la sfilata: sono attesi alle 10. Subito dopo, intorno alle 11, Fratelli d’Italia. L’idea di Brescia è stata: andiamo al sodo e vediamo le carte di ciascuno.
Sul tavolo comunque le opposizioni si troveranno già i due modelli elettorali su cui tra i giallo-rossi si è acceso il dibattito. Entrambi proporzionali, con differente calcolo delle soglie per accedere ai seggi parlamentari: o con uno sbarramento al 5% oppure con uno sbarramento cosiddetto implicito, perché definito dalla grandezza della circoscrizione elettorale, all’uso spagnolo.
ROMA – Due miliardi messi a disposizione già a partire dal prossimo per la salute e l’utilizzo degli specializzandi in corsia già dal terzo anno. A questo si aggiunge anche, fino al 2022, la possibilità per i medici che hanno compiuto i 70 anni di età di permanere in servizio. Sale anche il tetto della spesa per il personale – le norme sono già state inserite nel decreto fiscale – che consentirà nuove assunzioni. Il Patto per la Salute appena approvato è la risposta per superare l’emergenza della carenza di medici annunciata dal presidente della Conferenza delle Regioni.
Proviamo ad investire con vigore: lo facciamo con 2 miliardi di euro in più quest’anno e 1,5 miliardi il prossimo. Ma abbiamo un obiettivo molto più ambizioso da qui alla fine della legislatura, annunciato insieme al presidente del Consiglio Conte: 10 miliardi per la sanità. Con questo Patto affrontiamo alcuni nodi fondamentali, a partire da quelli del personale, per provare a dare più forza al nostro Servizio sanitario nazionale. Oggi, si è scritta una bella pagina di dialogo tra le istituzioni e di collaborazione istituzionale e il Servizio sanitario è più forte”.
ROMA – Sergio Mattarella sferza il mondo il mondo politico italiano a smetterla di scontrarsi giorno per giorno e di pensare invece al futuro del paese. Pensarlo alla luce dei grandi mutamenti anche ambientali, che stiamo vivendo. E con un occhio molto attento alla mancanza di lavoro e alla disoccupazione. Il presidente della Repubblica prende la parola in occasione della tradizionale cerimonia dello scambio di auguri con le alte cariche dello Stato. Da Quirinale guarda alle battaglie quotidiane che si combattono nelle aule parlamentari. Spesso fini a stesse. Mattarella osserva e commenta: “Nella stagione che viviamo il confronto politico assume sovente toni molto aspri; e anche alcuni recenti passaggi parlamentari hanno fatto registrare tensioni”.
Lo spettacolo, è evidente non gli piace. E allora, per lanciare il suo monito cita un passaggio di un discorso di Aldo Moro. Scriveva, Moro, dice Mattarella che “anche se talvolta profondamente divisi, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere di andare più lontano e più in alto. Non è importante che pensiamo le stesse cose. Invece è di straordinaria importanza la comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.
Una maxi operazione dei Carabinieri del Ros e del Comando
provinciale di Vibo Valentia è in corso dalle prime luci dell’alba per
l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro
su richiesta della Dda a carico di 334 persone. L’operazione
‘Rinascita-Scott’ ha disarticolato tutte le organizzazioni di
‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di
Limbadi.
Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati
a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura,
fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle
modalità mafiose. Pronto anche un provvedimento di sequestro beni per
un valore di circa 15 milioni di euro. Politici, avvocati,
commercialisti, funzionari infedeli dello Stato e massoni figurano tra
gli arrestati della maxi operazione.
Si dice con ironia che quello delle sardine è il primo movimento al mondo nato per contestare non il governo, ma l’opposizione.
Vero. Ma è anche vero che, se alcuni (non tantissimi) anni fa ci
avessero detto che un giorno un movimento di sardine si sarebbe levato a
Bologna per svegliare una sinistra incline in cuor suo a dare per
scontata la caduta dell’«Emilia rossa», e di lì a rapidi passi si
sarebbe esteso in tutta Italia, fino a riempire piazza San Giovanni, ci
saremmo messi a ridere. Nonostante già allora scudi crociati, falci e
martello, garofani fossero già stati sostituiti dai più vari simboli
desunti dalla flora e dalla fauna, avessimo già visto crescere,
declinare ed estinguersi rapidamente pantere, girotondi, popoli viola, e
fossero in avanzata gestazione i Cinque Stelle. Ma in politica, come
nella vita, niente è così impensabile, specie in tempi di crisi
prolungata, da non poter avvenire. Dunque, inutile arricciare il naso.
Meglio, molto meglio, cercare di capire.
Che, piaccia o non piaccia, le sardine ci siano, e siano tante, ormai è, o dovrebbe essere, un dato accertato. Che, per quanti consensi talvolta pelosi ricevano, il loro movimento non sia né un’invenzione né una filiazione di una sinistra incapace peraltro di inventare e di filiare, anche. Che si sia rapidissimamente gonfiato, fino a occupare un posto importante su una scena politica per il resto desolata e desolante, pure. Le domande sulle sardine ormai sono diventate altre. La prima è: quanto potranno durare, se non cederanno alla tentazione di trasformarsi in un partito, senza condannarsi alla fine di tutti o quasi i movimenti del nostro recente passato, deperiti, e poi scomparsi dalla scena, con la stessa velocità con la quale avevano preso corpo? Domande legittima.
Donald Trump è ufficialmente sotto accusa. Alle 20,08, le 2,08 di giovedì 19 dicembre in Italia, la Camera dei rappresentanti ha approvato la mozione di impeachment, divisa in due capi di imputazione. Il primo articolo, «abuso di potere» ha ottenuto 230 voti a favore e 197 contro. Il secondo, «ostruzione dell’indagini del Congresso», 229 contro 198. La Speaker Nancy Pelosi ha letto i risultati e ha fulminato con un gesto alcuni parlamentari che stavano esultando. «È una giornata triste, non bisogna gioire» aveva detto questa mattina, arrivando a Capitol Hill. Tutto secondo le previsioni dunque.
La parola al Senato
I democratici, in maggioranza nella House, hanno rinviato il presidente al giudizio del Senato, dove il 6 gennaio comincerà la seconda parte dell’impeachment, quella della decisione finale: colpevole o innocente? Trump entra nella storia con Andrew Johnson e Bill Clinton. Ieri sera ha reagito praticamente in diretta dal palco del comizio a Battle Creek, in Michigan: «I democratici sono divorati dall’odio, vogliono annullare il risultato elettorale con l’impeachment». Le tv hanno trasmesso in diretta sei ore di dibattito nel merito, più un altro paio sui cavilli regolamentari. Pelosi apre la seduta, facendo montare un cavalletto con la bandiera americana e ripetendo concetti durissimi: «Oggi siamo qui per difendere la democrazia per il popolo.
Seduta incolore per gli indici europei
che, senza spunti dal fronte commerciale e già in clima prenatalizio,
hanno chiuso poco distanti dalla parità. Parigi -0,15%, Londra +0,21%,
Madrid +0,08% e Francoforte -0,49%, nonostante il dato sulla fiducia
delle imprese migliore delle previsioni. Milano (-0,01%) si è inserita
nella scia delle altre piazze, tanto più che lo spread è
cresciuto di misura a 158 punti, contro i 157 della chiusura di ieri. A
livello aziendale i riflettori sono stati puntati sulla maxi fusione
tra Fca e Psa, ma in Borsa i due titoli si sono mossi poco (Fiat Chrysler Automobiles
+0,04%, dopo il +1,8% dell’avvio, e Psa +1,49% a Parigi, dopo il +4,3%
dell’apertura): il «combination agreement» non ha riservato grandi
sorprese dal punto di vista finanziario rispetto a quanto già comunicato
a fine ottobre e le conference call sono serviste a ribadirne i punti
salienti.
La situazione non è stata molto diversa anche oltreoceano, dove Wall Street è in rialzo contenuto,
con l’attenzione focalizzata sulla politica interna: la Camera voterà
per approvare i due articoli di legge per l’impeachment di Trump, anche
se il processo dovrebbe essere bloccato dal Senato (a maggioranza
repubblicana). Nel frattempo Trump è tornato a chiedere alla Fed di
essere più accomodante tagliando i tassi e lanciando il Qe.
Varata dal Consiglio dei ministri in seduta notturna e
«salvo intese» il 15 ottobre scorso la legge di Bilancio 2020 ha
incassato il via libera in prima lettura del Senato dopo il voto di
fiducia sul maxi emendamento che ha sostituito interamente la prima
sezione del Ddl. Una corsa contro il tempo – in tandem con la Camera per
evitare l’esercizio provvisorio – che ha in pratica «congelato» il
testo nella versione di Palazzo Madama. Il provvedimento deve infatti
essere ora approvato dalla Camera blindato, senza più modifiche, per
essere definitivamente approvato a ridosso del Natale. Salvo imprevisti,
dunque, la manovra non cambia più: questi i suoi capisaldi.