Tocca
dire le cose dal lato brutto da cui non si rimedia: così non funziona
più. Il doppiopesismo, il collateralismo coi magistrati e le loro
inchieste, il senso di superiorità, la grazia burbanzosa nel cascare dal
pero, l’inclinazione a discutere della moralità altrui, presupposta per
autocertificazione la propria, non andavano bene nemmeno prima, per
niente, hanno contribuito a intossicare la vita politica italiana, ma
perlomeno erano gestiti da Massimo D’Alema o Walter Veltroni, uomini
strutturati, cresciuti a scuole politiche serie, capaci di usare la
testa e il vocabolario, e a cui non era facile far fronte.
L’esibizione
del Partito democratico negli ultimi giorni, davanti alle
intercettazioni pubblicate dalla Verità, è stata più piccina che
esecrabile. Insomma, saltano fuori membri togati del Csm (il sacro luogo
dell’autogoverno della magistratura) impegnati a riconoscere le ragioni
di Matteo Salvini indagato in Sicilia per gli sbarchi negati, e
tuttavia a dargli pubblicamente addosso per convenienza politica; salta
fuori il vicepresidente dello stesso Csm, Giovanni Legnini,
del Pd, in tour telefonico con i capi delle correnti per sollecitargli
un documento di solidarietà al procuratore e dunque di distanza da
Salvini; salta fuori, ancora, il colloquio fra un paio di pm (uno è il
solito Luca Palamara) in cui viene esplicitato il dubbio di chiunque,
che Legnini non stesse ubbidendo a elevate incombenze istituzionali, ma a
più dozzinali esigenze di consenso.
C’è
qualche problema, no? No. Si fa finta di niente. Mani in tasca e
fischiettare. Il segretario Nicola Zingaretti, intervistato dalla
Repubblica, alla domanda risponde che serve una stagione riformista, e
auspica che in queste ore si affronti l’urgenza, e bibì e bibò. Come se
non fosse lui il segretario di un partito al governo. Come se il Pd non
esprimesse il vicepresidente del Csm da sei anni, e come se il Pd non
stesse a Palazzo Chigi dal 2013, escluso il solo (osceno) anno di
interregno grilloleghista. Su Huffington si prova a sentire Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia,
e il medesimo Legnini. Il primo storicizza (gulp!) perché magari altre
volte se ne sono viste di peggiori, comunque è ora di affrontare la
questione in modo sistemico, Salvini strumentalizza, Legnini ha fatto il
suo, tanti saluti; il secondo assicura sull’impeccabile sé stesso, e
riconosce giusto che l’uso del trojan – il mostruoso virus inoculato nei
telefonini per intercettare ventiquattro ore su ventiquattro, anche a
telefonino spento – forse è leggermente da ripensare, ora che ci è
finito in mezzo lui (ne parli col suo segretario Zingaretti, magari, o
coi suoi alleati a cinque stelle, che insieme lo hanno approvato tre
mesi fa, e non riescono a produrre una legge sull’utilizzo e la
diffusione delle intercettazioni).