Andrea Orsini —
“Piacere, Decreto Biondi. Decreto di nome e Biondi di cognome”. Così
amava presentarsi, giocando con le sue generalità, per ricollegarle a
quel decreto del 1994 sulla carcerazione preventiva che rimase per
sempre legato al suo nome. Alfredo Biondi era così:
capace di ironizzare su tutto, e prima di tutto su sé stesso. Era
profondamente liberale perché non aveva dogmi, si metteva continuamente
in discussione, e metteva in discussione tutto e tutti, con l’arma
dell’ironia. Ironizzava su qualunque argomento, faceva battute corrosive
su chiunque, su Borrelli – che da par suo si offese e
rispose con livore – ma anche su sua moglie, che pure amava teneramente e
che è sempre stata al centro della sua vita.
Eppure, quest’uomo scettico e ironico, senz’altra religione che non
fosse quella della libertà, era un uomo generosissimo, e singolarmente
incapace di rancore. Se una vicenda personale può essere di qualche
interesse, Biondi ed io venivamo dallo stesso partito, il Partito Liberale,
ma certo non dalla stessa corrente (c’erano le correnti, fra i
liberali, eccome se c’erano, nonostante il nostro 2%, e si combattevano
aspramente). Posso dire – oggi con dolore ma senza pentimenti – di
essere stato uno degli artefici della sua sconfitta al Congresso di Genova, quando venne battuto da Renato Altissimo ed Egidio Sterpa e perse la Segreteria del partito.
Eppure quando nel 1994 Alfredo Biondi divenne Ministro della Giustizia, non ebbe alcuna esitazione ad accogliermi fra i suoi collaboratori, su suggerimento di Gregorio Fontana, e a darmi totale fiducia. Fu ancora Alfredo il primo a propormi per un ruolo in Forza Italia.
Se il mio percorso politico non è finito a trent’ anni, lo devo a lui.
Quei mesi al Ministero della Giustizia furono per lui di grande
sofferenza. Avvocato di fama (fu parte civile nel processo di Piazza
Fontana, poi per la famiglia di Milena Sutter, per la vedova di Leon Klinghofer, l’anziano passeggero ebreo invalido gettato in mare dai terroristi palestinesi sull’ Achille Lauro),
garantista senza esitazioni, politico di grande esperienza, sapeva di
essere chiamato a una battaglia quasi impossibile, contro il
giustizialismo dominante.
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