Archive for Luglio, 2020

Lo sguardo (attento) dal ponte

domenica, Luglio 12th, 2020

di   Ferruccio de Bortoli

Nei primi giorni di agosto, a quasi due anni dal crollo che causò 43 vittime, verrà inaugurato a Genova il nuovo ponte sul Polcevera. Nel rispetto delle famiglie e del dolore di una città, sarebbe preferibile non vi fosse un’altra inutile passerella. L’opera è bellissima. La ricostruzione è un esempio della grande qualità del lavoro italiano. La gestione commissariale del sindaco, Marco Bucci, una prova di efficienza organizzativa. Non c’è dubbio che sia un modello. Non sappiamo però quanto replicabile. I costi sono stati elevati. Per alcuni quasi il doppio. Sarà giusto rifletterci con un auspicabile sforzo di trasparenza.

Autostrade per l’Italia (Aspi) ha formalizzato l’ultima proposta al governo per scongiurare la revoca della concessione. Il consiglio dei ministri si riunirà martedì per decidere. La questione spacca la maggioranza. I Cinque Stelle sono determinati a estromettere definitivamente la controllata di Atlantia (nella quale i Benetton hanno il 30 per cento) dalla gestione di circa tremila chilometri di autostrade, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato «non illegittima» l’esclusione del gruppo dalla ricostruzione dell’ex ponte Morandi. Lo scandalo degli infiniti ingorghi di questi ultimi giorni, dovuti a tardivi lavori di manutenzione nelle gallerie liguri, ha suscitato ulteriori e fondati risentimenti nei confronti del gestore autostradale. La responsabilità dei controlli è passata anni fa dall’Anas al ministero delle Infrastrutture. Una vigilanza inefficiente e per certi versi «catturata» dall’ingombrante e spregiudicato vigilato.

Da quanto si sa — e come ricostruisce puntualmente in queste pagine Fabio Savelli — Autostrade ha avanzato una proposta vicina alle attese dell’esecutivo. Il risarcimento salirebbe a 3,4 miliardi e l’adesione al nuovo sistema tariffario dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) porterebbe a un immediato sconto del 5 per cento dei pedaggi oltre a un forte aumento degli investimenti in manutenzione per anni colpevolmente precari. La questione politica però prescinde dall’esame oggettivo dei numeri. Lo scalpo da esibire è quello dei Benetton che hanno, sia chiaro, le loro responsabilità come azionisti. I processi sommari sono sempre sbagliati. Non si capisce perché un’esigenza legittima di giustizia (le inchieste fanno il loro corso accertando le responsabilità personali) debba trasformarsi in una condanna al prevedibile fallimento per un’intera azienda. Cioè per un insieme di lavoro e competenze (7 mila dipendenti), di cui l’Italia ha estremo bisogno nel momento in cui deve rilanciare gli investimenti. Se il gruppo non sarà più, come si dice in gergo, bancabile, cioè finanziabile e in grado di sostenere i propri debiti, ne faranno le spese altre società. Una reazione negativa a catena. Quando si sarà distrutta un’intera filiera produttiva si conteranno altre vittime innocenti. Gli azionisti se la cavano sempre, i lavoratori no.

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Coronavirus, stop ai voli e discoteche ancora chiuse: i nuovi divieti del governo dal 14 luglio

domenica, Luglio 12th, 2020

di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini

Coronavirus, stop ai voli e discoteche ancora chiuse: i nuovi divieti del governo dal 14 luglio

Proroga del divieto di ingresso per chi proviene da alcuni Paesi «a rischio» e regole più chiare per evitare gli assembramenti. In vista del nuovo Dpcm (il decreto del presidente del Consiglio) che deve rinnovare le misure adesso in vigore per contenere il contagio da coronavirus che scadono il 14 luglio, il governo studia alcuni aggiustamenti. Martedì sarà il ministro della Salute Roberto Speranza ad illustrare in Parlamento i provvedimenti. Una delibera del Consiglio dei ministri sarà invece firmata per far slittare alla fine dell’anno lo stato di emergenza e legittimare «le restrizioni delle libertà personali» previste, così come ha chiesto il capo dello Stato Sergio Mattarella.

Mascherine

Rimane l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi chiusi quando non si può garantire il distanziamento sociale, ma non i guanti che – dicono le Regioni – «possono rappresentare un rischio aggiuntivo con un impiego errato». Nei locali pubblici bisognerà lasciare le proprie generalità che saranno conservate per due settimane. Ancora necessaria la sanificazione dei luoghi, gli erogatori del disinfettante per le mani, i termoscanner in uffici e centri commerciali.

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Caso Autostrade, l’offerta di Atlantia al governo: 3,4 miliardi di indennizzi | Benetton pronti a scendere sotto il 50%, M5s: “Non basta”

domenica, Luglio 12th, 2020

Crescono i risarcimenti e si abbassano le tariffe, nella proposta di Aspi inviata al governo. A quanto si apprende da fonti governative, la nuova offerta dell’azienda porterebbe da 2,9 a 3,4 miliardi i risarcimenti (tra indennizzi e manutenzione straordinaria). Inoltre prevederebbe 7 miliardi di manutenzioni e 13,2 miliardi di investimenti. Ci sarebbe anche un abbassamento dei pedaggi. E sullo sfondo i Benetton potrebbero anche scendere sotto il 50%.

Rispettati dunque i tempi fissati nell’ultimatum del presidente del Consiglio e della ministra dei Trasporti che chiedevano ad Atlantia un’offerta congrua entro domenica. La palla passa ora nelle mani della maggioranza in attesa del Consiglio dei ministri che, salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe decidere in modo definitivo sulla revoca o meno della concessione. La riunione è prevista martedì, ma fonti di governo non escludono uno slittamento. Fino ad allora le parti sembrano optare per la massima riservatezza per non compromettere, viene fatto notare da più parti, una trattativa delicatissima.

Tariffe (si parla di uno sconto dell’1,75% per tutta la durata della concessione), regole per la concessione e, a cascata, valore della società restano alcune delle variabili nella complessa partita che gira attorno ad Aspi e alla gestione di 3mila chilometri di autostrade nel paese. Ancora oggi però appaiono differenze nell’approccio alla questione. E se il premier Giuseppe Conte afferma che solo una proposta “irrinunciabile” potrà evitare la revoca, M5s e Pd sono divisi su quale possa essere una proposta degna di quell’aggettivo.
 

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Sordi e felici all’appuntamento con l’Apocalisse

sabato, Luglio 11th, 2020

Et voilà, siamo a un nuovo volta-pagina di questa storia. Per esperienza, prudenza, per evitare il rischio di aggiungere allarmismo all’allarme è buona regola attendere le classiche 24 ore prima di esprimere il giudizio. Ebbene sono passate, da quando il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – prefetto di esperienza, donna prudente, solitamente taciturna, l’opposto del predecessore – ha messo agli atti una dichiarazione molto impegnativa sul rischio “concreto” di “tensioni sociali a settembre”: la crisi, la recessione, le saracinesche abbassate, dunque la rabbia, se prima non si agirà con velocità e determinazione perché, da che mondo è mondo, l’immobilismo in tempi di emergenza è un detonatore di conflitti sociali.

Parole impegnative, evidentemente supportate da informazioni ed evidentemente seguite da atti concreti, in termini di allerta e di preparazione alle evenienze che si porranno. Chi la conosce interpreta questa frase come una sorta di avviso ai naviganti, a futura memoria, quando si porrà il tema di chi è responsabile e chi no dell’autunno caldo. E giudica questo atteggiamento come molto comprensibile, anche alla luce del pregresso, di quando cioè è stata ascoltata come persona informata dei fatti, nell’ambito delle indagini sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro, dopo che, in pieno lockdown e relativo accentramento di poteri nelle mani del premier, su quei fatti e su altri non c’è stato uno spasmodico coinvolgimento del Viminale, in relazione alle decisioni da prendere.

Ecco, l’informazione fornita, a proposito di un nuovo possibile fatto, è agli atti, non contestata da nessuno, anzi qui il paradosso: condivisa quasi come un appuntamento ineluttabile con l’Apocalisse, fissato nell’agenda collettiva senza che le agende individuali prevedano altri appuntamenti per farli saltare. È così che se, con la pazienza del cronista, vai a capire cosa accadrà al cdm di lunedì, appuri che di Autostrade forse si parlerà a quello del giorno dopo e che non ne sanno nulla neanche i capidelegazione del governo, mentre tutti sono impegnati ad attribuire, in un’orgia di spin e voci da sottoscala, la paternità dei veleni forniti alle iene dattilografe sulla presunta irritazione del premier verso il Pd e il ministro De Micheli.

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l rischio della democratura

sabato, Luglio 11th, 2020

Se fossimo in un altro mondo potremmo berci sopra una birra alla proposta del presidente Giuseppe Conte di prolungare a fine anno lo stato d’emergenza. Passerà dal Parlamento e otterrà il permesso, anche di insistere con i dpcm, i decreti del presidente del Consiglio, quel simpatico modo di legiferare per cui il premier dispone e impone, col disturbo di doversi accordare con sé stesso, più o meno, e senza nemmeno fare un fischio agli eletti. Potremmo berci sopra una birra se non fossimo davanti a un governo non raramente inconsapevole della forma e della sostanza a fondamento delle democrazie liberali.

Quando è nato il governo giallorosso, in sostituzione del gialloverde, con maggioranza in Parlamento ma in minoranza nel Paese, lo si benedisse, con qualche ritrosia, sul calcolo di Catalano che avere un partito populista a Palazzo Chigi è meglio di averne due, e nella speranza che il nuovo socio, il Pd, lasciasse prevalere quel che resta della sua sapienza istituzionale sul suo, di populismo. Non è successo. Nel rapporto con la democrazia parlamentare e con l’amministrazione della giustizia, la sapienza istituzionale ha ceduto come i pantaloni senza cintura. Si va avanti con la passione dei ghigliottinatori di Place de la Concorde nel taglio punitivo dei parlamentari, non dentro una riforma complessiva, ma nell’idea a cinque stelle di far fuori una percentuale di intrallazzoni e di mangiapane a tradimento, nella spedizione a serramanico contro i vitalizi a qualche residuale decina di ottuagenari o centenari, e non in nome della solidarietà, ma della restituzione del bottino, nell’andazzo progressivo del governare con la lama alla gola della fiducia, della decretazione d’urgenza, e ora con la passeggiata di salute dei dpcm, coi parlamentari felicemente ridotti allo status di ospiti dei talk e di smanettatori da social, e nella paciosa indifferenza dei presidenti delle camere, una ricordata per l’elogio al parlamentarismo cinese, l’altro per l’indisponibilità a evolvere dal calibro del più intelligente del centro sociale. 

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I paradisi fiscali della porta accanto: tra Irlanda, Olanda & Co., all’Italia mancano 7 miliardi

sabato, Luglio 11th, 2020

di MAURIZIO RICCI

Smettete di pensare ai paradisi fiscali come scenari di acque cristalline e alberi di cocco. Nei veri paradisi fiscali, di solito piove e il bagno in mare lo fanno solo gli ardimentosi al picco dell’estate. Secondo i calcoli del Fondo monetario internazionale, a livello mondiale, i profitti che le aziende internazionali imboscano e fanno riapparire nei paradisi fiscali sono pari ad oltre 650 miliardi di dollari l’anno. E dov’è che riappaiono? In Irlanda, anzitutto. Un gruppo di economisti, fra cui un superesperto della materia, come Gabriel Zucman, calcola, infatti, che, di quei 650 miliardi, ben 100 emergano a Dublino e dintorni. Subito dopo l’Irlanda, viene l’Olanda, con 57 miliardi di profitti che i cervelli tributari delle multinazionali ritengono saggio far risultare in bilancio all’ombra delle dighe sull’oceano, per sfruttare una legislazione fiscale compiacente: aliquote basse (l’aliquota media effettiva sui profitti è il 10 per cento in Olanda, contro il 19 per cento in Italia), ma anche minor vincoli ai movimenti valutari. All’Italia, secondo la ricerca, il dumping fiscale degli altri paesi europei costa fino a 7 miliardi di euro ogni anno, in mancati incassi tributari.

La trasmigrazione dei profitti ha ormai volumi tali da superare la dimensione della routine diffusa. E’ ormai una vera e propria caratteristica di sistema del capitalismo del XXI secolo. Zucman e colleghi calcolano che il 40 per cento dei profitti delle multinazionali venga trasferito verso paesi con tassazioni di favore. Per metà, si tratta di soldi che fanno capo ad azionisti americani,  a cominciare da quelli dei giganti del Big Tech. Ma anche le aziende europee hanno un peso di primo piano, come li hanno i sei paesi della Ue, che fungono da rifugi fiscali: Irlanda, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Cipro e Malta. Il fenomeno, anzi, è primariamente intraeuropeo: l’80 per cento dei profitti che le multinazionali europee dirottano per motivi fiscali finisce non ai Caraibi, ma in altri paesi europei.

Lo aveva già segnalato, questa primavera, la stessa Commissione Ue, nelle sue raccomandazioni ai singoli paesi membri, in cui chiedeva un maggior rigore fiscale ai paesi con le legislazioni più morbide, anche se, nel documento di Bruxelles, il sesto paradiso europeo non era il Belgio, ma l’Ungheria. In ogni caso, ne risulta che la grande corsa a tagliare le tasse sul capitale, inaugurata nell’era Reagan-Thatcher, che fra il 1985 e il 2018 ha dimezzato l’aliquota media effettiva globale sui profitti aziendali dal 49 al 24 per cento ha in larga misura alimentato le operazioni di dumping tributario, che mettono in competizione i diversi sistemi fiscali. Così si spiega che in una grande economia, come quella italiana, le tasse sui profitti arrivino solo al 3 per cento del Pil, mentre nella piccola Malta pesano per l’8 per cento.

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Stefano Massini, “Parole in corso”: perché si dice “la speranza è l’ultima a morire”

sabato, Luglio 11th, 2020

Ogni giorno una parola o un’espressione da scomporre e ricomporre: “Parole in corso” è la nuova rubrica dello scrittore Stefano Massini, dal lunedì al venerdì su Repubblica.it

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Santa Sofia, la basilica torna a essere una moschea

sabato, Luglio 11th, 2020

Istanbul, 10 luglio 2020 – La basilica di Santa Sofia, a Istanbul, smette di essere un museo. Dopo 85 anni, Recep Tayyip Erdogan realizza il sogno dell’islam politico in Turchia: il presidente turco ha annunciato la riapertura ufficiale di Santa Sofia come moschea. Nel decreto, firmato da Erdogan e diffuso sul suo profilo Twitter, si legge: “E’ stato deciso che Santa Sofia sarà posta sotto l’amministrazione della Diyanet (l’autorità statale per gli affari religiosi, che gestisce le 80 mila moschee turche, ndr.) e sarà riaperta alla preghiera” islamica. La decisione è già stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. 

Il complesso di Santa Sofia visto dall'esterno (Dire)
Il complesso di Santa Sofia visto dall’esterno (Dire)

Preghiera islamica il 24 luglio

La prima preghiera islamica a Santa Sofia si terrà il 24 luglio, ha annunciato Erdogan, affermando che occorreranno dei giorni per allestire l’ex museo ad accogliere i fedeli musulmani. “Se Dio vorrà ci uniremo tutti insieme qui in preghiera il 24 luglio e la apriremo (Santa Sofia, ndr) alle preghiere”, ha detto il presidente turco in un messaggio televisivo, spiegando che potrebbero essere necessari fino a sei mesi per riconvertire del tutto l’ex simbolo cristiano. La riconversione di Santa Sofia in moschea è “un diritto sovrano” della Turchia che “tutti devono rispettare – ha detto Erdogan – Santa Sofia con il suo nuovo volto abbraccerà tutti, perché si tratta di un patrimonio di tutta l’umanità”.

In po’ di storia

Il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta avanzata da numerose associazioni annullando la decisione del 1934 con cui Hagia Sophia veniva dichiarata museo.  Santa Sofia fu basilica cristiana fino alla conquista ottomana (537-1453), e successivamente venne trasformata in moschea, fino al 1934, quando divenne un museo con un decreto del Consiglio dei Ministri del governo di Kemal Ataturk, sotto la moderna Repubblica di Turchia.

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Serve il coraggio delle scelte. Governare con lentezza fa male al Pil

sabato, Luglio 11th, 2020

di BRUNO VESPA

Una classifica dell’‘Economist’ sul crollo del Pil nei 42 principali paesi industrializzati vedeva la scorsa settimana l’Italia penultima, dopo la Francia e l’Argentina e prima della Spagna. L’aggiornamento della Commissione europea del 7 luglio (-11,2 per cento nel 2020) ci precipita all’ultimo posto. Ultimi non più dei 27 dell’Ue, ma dei 42 top del mondo. 
E’ difficile perciò non essere solidali con il presidente del Consiglio che fa il giro d’Europa fingendo di rappresentare un Paese normale: un Paese in cui una situazione tanto drammatica vede ancora i partiti di governo divaricati sui principali dossier. 

In cui alcune norme decisive per far ripartire l’Italia, ordinarie all’estero e da noi in ritardo di decenni, vengono approvate dal Consiglio dei ministri ‘salvo intese’, cioè senza un accordo che ne consenta la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. A cominciare dalle leggi per sveltire i lavori pubblici.

Tutto questo avviene mentre le navi cariche di migranti vengono trattenute per giorni fuori dei porti italiani senza che ci sia la mobilitazione “umanitaria” dell’epoca salviniana e senza che si parli più di redistribuzione nei paesi europei. E – cosa assai peggiore – mentre il ministro dell’Interno Lamorgese teme una situazione allarmante per l’ordine pubblico quando nell’autunno verranno al pettine i tanti economici e sociali aggrovigliatisi negli ultimi quattro mesi. Così come il coronavirus ha ucciso migliaia di persone debilitate da altre patologie, può dare il colpo mortale a un Paese debilitato dalla mancata crescita di vent’anni. La nuova tempistica delle Grandi Opere sarà un vaccino sufficiente a mantenere in vita l’Italia? Prenderemo i 37 miliardi del Mes per sistemare la sanità del Sud in cui – un caso tra i tanti – la mortalità infantile è di un terzo superiore a quella del Nord? Gli altri paesi non prendono i soldi del Mes perché li comprano sul mercato a tassi migliori del nostro.

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Le manovre nel governo all’ombra del premier: a ottobre tutto sarà in gioco

sabato, Luglio 11th, 2020

di Francesco Verderami

Le manovre nel governo  all'ombra del premier: a ottobre tutto sarà in gioco

Cadono i tabù: dopo quello storico di Prodi con Berlusconi, c’è Di Maio che chiede udienza a Draghi. Un evento che segna la fine di un’era (breve) e non si sa se ne inizia un’altra. Il ministro degli Esteri, vistosi scoperto, ha tentato di derubricare l’appuntamento con l’ex presidente della Bce a incontro «istituzionale». Ma è è evidente che si tratti di una delle tante manovre di posizionamento all’ombra di un Conte sempre più debole, per quanto convinto che «non esistono alternative a questo governo». A parte il fatto che molti sono caduti in assenza di alternative, «tutti sanno — come spiega un autorevole dirigente grillino — che a ottobre può cambiare il vento». E il premier, che descrivono «nervoso», non ha accolto di buon grado la notizia di cui era all’oscuro.

È sempre così appena gli parlano del «banchiere», come lo definiscono in modo sprezzante a palazzo Chigi, dove dicono anche che ci metterebbero «un minuto» a costruirgli contro una narrativa «aggressiva». D’altronde c’è la prova dell’insofferenza di Conte verso Draghi, che non è stato invitato agli Stati generali e che — quando scrisse l’articolo sul Financial Times per un «cambio di passo» dell’Europa — non fu citato da Conte in Parlamento, nonostante il Pd lo avesse sollecitato. La verità è che l’ex numero uno di Francoforte — dal quale ultimamente c’è stata una processione di personalità — non se ne cura, e avrà sorriso nel leggere che lo staff di Di Maio — per cercare di placare il polverone — lo ha definito un «analista». Ecco, al termine dei colloqui con l’«analista», il titolare della Farnesina ha avuto un quadro della situazione, che per ora è migliore del previsto: la tempesta finanziaria durante l’emergenza sanitaria non c’è stata, grazie agli interventi della Bce. E al momento l’Italia galleggia. Ma Di Maio ora sa che la situazione potrebbe cambiare rapidamente a causa del progressivo deterioramento del quadro economico. E se per ottobre si teme una crisi sociale, per l’inizio del prossimo anno c’è il rischio di una possibile crisi finanziaria.

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