“La riduzione dei
parlamentari è uno slogan elettorale, un’offesa ai valori della
democrazia”. Non usa mezzi termini Giuseppe Tesauro, presidente emerito
della Corte Costituzionale, tra i firmatari del documento degli ormai
oltre duecento costituzionalisti che si oppongono alla riforma di cui si
attende il referendum confermativo il 20 e 21 settembre. E sul presunto
risparmio, sbandierato dagli oppositori della cosiddetta casta
parlamentare, che deriverebbe dalla sforbiciata lineare dei seggi nei
due emicicli, commenta laconico: “Non voglio neppure parlarne perché mi
vergogno”, tale è l’irrisorietà dei costi che verrebbero meno.
Presidente,
il fatto che rende perplessi è che la Costituzione sia in balia di una
legge ordinaria, quella elettorale, che per di più ancora non c’è. Il Pd
di Zingaretti, infatti, si è spostato dal no al sì al referendum
confermativo della riforma, a patto che siano approvati dei correttivi,
tra cui, appunto, una nuova legge elettorale. Si può approvare una
riforma del genere?
Il fatto stesso che anche i sostenitori del sì stiano ipotizzando correttivi o aggiustamenti di vario tipo alla legge costituzionale che in ipotesi riduca il numero dei parlamentari la dice lunga sulla bontà della riforma. Il correttivo più gettonato è una legge elettorale che sia coerente con la riduzione dei parlamentari. Non è tanto il rango ordinario della legge elettorale che deve spaventare, ma l’incertezza che ancora c’è sul suo contenuto, a cominciare, beninteso, dall’alternativa fra maggioritario e proporzionale, eventuali sbarramenti, premi di maggioranza, preferenze di genere e così di seguito.