Archive for Settembre 27th, 2020

Così Pechino salva la Grande Muraglia dal disfacimento

domenica, Settembre 27th, 2020

Luigi Guelpa

Gli artigli della tigre economica hanno distrutto il simbolo del Paese. Zampata dopo zampata, mentre il Pil della Cina cresceva di anno in anno con un tasso medio del 9%, la Grande Muraglia si è sgretolata, rischiando di perdere fascino, storia e presenza stessa.

Da fine agosto qualcosa sta cambiando: lo si evince dal movimento di un gruppo di manovali che si arrampica su per le montagne a nord di Pechino. Aiutati solo dagli asini e da rudimentali sistemi di carrucole, trasportano tonnellate di materiali da costruzione lungo sentieri ripidi e accidentati. Dopo mesi di stop per la pandemia, uno dei più grandi progetti di restauro al mondo è finalmente ripartito.

Anche se è uno dei simboli nazionali della Cina, la Grande Muraglia è caduta in disgrazia durante il boom economico. Le antiche fortificazioni sono state danneggiate dalla speculazione edilizia e dal turismo di massa, che hanno cancellato centinaia di chilometri di mura. Per la politica di «ringiovanimento nazionale» di Pechino, restituire la Grande Muraglia all’antico splendore è diventato un obiettivo prioritario. Le amministrazioni locali, dalla capitale, a est, fino a Jiayuguan, a ovest, a più di 1500 chilometri di distanza, hanno avviato lavori di ricostruzione su larga scala. Intere zone sono state classificate «cintura culturale», con controlli severissimi sugli sviluppi edilizi futuri.

La Grande Muraglia rivisitata (ma non troppo) vive attraverso gli occhi di Cheng Yongmao. Bastone da passeggio alla mano, spinge via un ramo ricoperto di rugiada mentre avanza su un tratto pericolante del muro di pietra che si inerpica per la collina. Avventurarsi in queste zone può essere massacrante, ma Cheng, 63 anni, non sembra provare fatica. In qualità di capo ingegnere dei lavori di restauro di Jiankou, uno dei tratti più ripidi della muraglia, passa ore ogni giorno a scalare le vette a nord di Pechino, dando consigli agli operai sugli interventi di restauro.

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Coronavirus in Francia, la proposta di due Nobel: «Lockdown dall’1 al 20 dicembre per salvare il Natale»

domenica, Settembre 27th, 2020

di Stefano Montefiori

«Se non cambia nulla dobbiamo aspettarci un’epidemia generalizzata che durerà molti mesi», dice il presidente dell’Ordine nazionale dei medici francesi, Patrick Bouet. «La seconda ondata sta arrivando più in fretta di quanto temessimo, e il sistema sanitario non sarà in grado di rispondere a tutto le sollecitazioni». Con 14 mila 412 nuovi casi e 39 morti in 24 ore, la Francia vive momenti di grande apprensione, e si teme che le ultime misure annunciate – chiusura di bar e ristoranti a Marsiglia, «zona di allerta massima», e delle palestre a Parigi, «zona di allerta rafforzata» – non basteranno. Gli ospedali di Lione e Marsiglia, in difficoltà, si preparano a trasferire pazienti nelle rianimazioni della regione parigina, e in questo contesto i due premi Nobel per l’Economia 2019, Esther Duflo e Anhijit Banerjee, chiedono che la Francia dichiari un nuovo lockdown su tutto il territorio dal 1 al 20 dicembre, «unica speranza di salvare il Natale e soprattutto le vite degli anziani».

L’intervento

«Nessuno vuole fare la parte del Grinch che ha rubato il Natale, soprattutto non un presidente che vorrebbe essere rieletto. Eppure, se andiamo avanti così, l’ipotesi di un confinamento generalizzato proprio intorno alle feste di fine anno non è da scartare». Comincia così il testo dei due premi Nobel pubblicato da «Le Monde». Duflo e Banerjee lamentano che sia stato necessario un forte peggioramento della situazione perché si prendesse finalmente la decisione di chiudere le palestre, «veri brodi di cultura del virus», nelle grandi città. E la chiusura di bar e ristoranti a Marsiglia è stata subito definita «una punizione collettiva» da parte delle autorità locali. Gli autori del testo evidenziano la scollatura sempre più evidente in Francia tra i medici e gli esperti scientifici da un lato e i responsabili politici dall’altro: i primi segnalano che la seconda ondata sta arrivando e chiedono misure restrittive senza aspettare, per evitare gli stessi ritardi e le stesse morti della primavera; i secondi temono che la popolazione – e il tessuto economico del Paese – non sopporterebbero un nuovo blocco, e prendono tempo.

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Il processo a Palamara va chiuso in fretta, il Procuratore generale della Cassazione Salvi mette il bavaglio a Paolo Mieli

domenica, Settembre 27th, 2020

Piero Sansonetti

Sembra che il Csm voglia bruciare i tempi e trasformare il processo a Luca Palamara in una gara di velocità. Tipo Berruti e Mennea. Addirittura le voci dicono che si vorrebbe chiudere tutto nella prossima seduta di lunedì, o al massimo martedì. Condanna all’unanimità e chiuso lì. Perché? Beh, naturalmente c’è di mezzo la questione della pensione di Davigo, della quale abbiamo parlato nei giorni scorsi (cioè la scadenza del 20 ottobre quando Davigo, suo malgrado, dovrà lasciare la magistratura) ma soprattutto c’è la determinazione a non lasciare a Palamara né lo spazio né il tempo per difendersi, perché si teme che la difesa di Palamara possa comportare l’emergere di molto molto fango dai tombini ben chiusi della magistratura, e coinvolgere anche molti nomi eccellenti oltre che il sistema in sé. Quindi: correre, correre, correre. Questo è l’ordine che viene da tutte le parti. Anche dall’alto? Beh, spesso gli ordini vengono dall’alto.

Mentre i consiglieri del Csm si organizzano per liquidare in tempi lampo il reprobo Palamara (unico reprobo riconosciuto), il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, calca la ribalta e si assume in prima persona le responsabilità dell’operazione “Palamara-speedy”. Nei giorni scorsi aveva scritto e diffuso una circolare nella quale spiegava che l’autopromozione dei giudici presso i togati del Csm che dovranno poi decidere le loro promozioni, non è una attività proibita. E che dunque non vanno aperte indagini sul comportamento di chi ha tentato – spesso con successo – le arrampicate di carriera. Affermando così il principio che i magistrati non sono semplici cittadini ma cittadini superiori. Lo stesso identico comportamento può senz’altro essere considerato “traffico di influenze” o “voto di scambio” per un esponente politico (il quale può eventualmente essere arrestato, se non è protetto dall’immunità, e detenuto anche per alcuni anni in attesa di processo) ma non per un magistrato il quale invece dispone di un diritto speciale a far figurare le influenze esercitate o richieste come puro e semplice candido self marketing.

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Presidi in trincea. La solitudine dei numeri uno

domenica, Settembre 27th, 2020

di BEPPE BONI

E’ la solitudine dei numeri uno. Lavorano sostanzialmente ignorati, spesso considerati semplici contabili della didattica (qualcuno lo è sul serio) o diligenti burocrati anzichè manager dell’istruzione. La prof di italiano o di filosofia è sempre più protagonista di loro. Soli prima, più soli ancora oggi nella turbolenza della ripresa scolastica mentre il maledetto virus rialza la testa. Eccoli qua, sono i presidi, i dirigenti scolastici, combattenti per caso passati repentinamente dalle retrovie alla prima linea di una riorganizzazione avviata nel caos, fra spazi insufficienti, fantastici banchi con le ruote e linee guida ministeriali con più lacune che indicazioni. 

Dopo una vita da mediano, il preside dell’autunno 2020 diventa suo malgrado un giocatore di punta. Solo, là davanti all’area della porta avversaria. Armiamoci e partite, hanno detto dal Ministero. Amati, temuti, a volte non considerati (papà meglio tenersi buono il prof di matematica…) da studenti e genitori oggi vivono il loro Settembre nero (non c’entra il terrorismo palestinese) dovendo far fronte ad una riapertura delle scuole sotto scacco del virus. Di notte i presidi, anzichè registri dei voti sognano tamponi, mascherine, distanze, cattedre che mancano.

I programmi? Cose importanti, per carità, ma al momento argomenti di seconda fila. Quando si svegliano al mattino sanno che la giornata si avvia verso un fronte di grane risolvibili perlopiù con la fantasia e attraverso vie secondarie. I casi sospetti sono un incubo. Poi ci sono le certificazioni per la riammissione alle lezioni, i sintomi che potrebbero essere confusi col virus, i vuoti giuridici sugli insegnanti in quarantena. E nella scuola sempre poco incline ai cambiamenti si inventano figure nuove. Come i referenti Covid, strappati alle loro funzioni originarie. O come i segugi che devono inseguire le Asl come se fossero una lepre.

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Caso Becciu, il prete-blogger: “Cattolici scossi, alla Chiesa serve democrazia”

domenica, Settembre 27th, 2020

di GIOVANNI ROSSI

Domenica prossima, 4 ottobre, giorno di San Francesco, i fedeli di tutto il mondo saranno chiamati a un esercizio di carità cristiana offrendo l’obolo di San Pietro per il funzionamento universale della Chiesa. La tradizionale colletta del 29 giugno – quest’anno spostata per Covid – cadrà a pochi giorni dal licenziamento del cardinale Angelo Becciuper sospette malversazioni finanziarie. Un nuovo scandalo che Papa Francesco non ha esitato a risolvere con una decisione estrema. Per la Santa Sede sono giornate strategiche: dall’imminente ispezione di Moneyval per l’uscita del Vaticano dalla ’black list’ dei Paesi a finanza opaca, alla visita a Roma del segretario di stato americano Mike Pompeo, dopo il duro attacco sui rapporti Vaticano-Cina. Se l’agenda del Papa è tempestata di insidie, anche lo stato d’animo dei fedeli – dopo il nuovo giallo – si misura con sentimenti complessi.

Don Sergio Massironi, 43 anni, rettore del Collegio arcivescovile di Monza, prete blogger ma anche firma di Avvenire e dell’Osservatore Romano, non minimizza la perturbazione in corso: “Guido una scuola cattolica con 1.600 iscritti dalla materna al liceo. Interagisco coi ragazzi e con le loro famiglie. Rispondo continuamente a domande sul Papa e sulla Chiesa”.

Prevale il disorientamento?

“Più che disorientamento, c’è voglia di capire. Però senza ridurre tutto a una contrapposizione tra Francesco e la Curia, tema che è centrale ma a ben vedere ne nasconde un altro”.

Quale?

“La distanza ormai chiara tra la volontà di trasparenza del Papa e la mancanza di trasparenza dell’architettura istituzionale vaticana. Il Papa esprime un’esigenza di pulizia e di giustizia che è largamente condivisa dai cattolici. Nella sua azione non guarda in faccia a nessuno, anche a costo di rinnegare scelte e uomini. Agisce però in un contesto assolutista in cui è sovrano senza limiti: una dimensione che lo proietta lontano da quegli standard di trasparenza e democrazia che i fedeli vivono, laicamente, nella società. È questo il punto di conflitto”.

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Tridico: “Infangano me per attaccare il governo”

domenica, Settembre 27th, 2020

Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, si è difeso dalle critiche per il raddoppio di stipendio affermando che non è stato coinvolto nella decisione e che comunque non prenderà arretrati. “Tutto l’articolo ruota intorno a due falsi”, lamenta in una lettera a Repubblica, il giornale che ha sollevato il caso, “per effetto del decreto interministeriale che stabilisce i compensi del Cda di Inps (e Inail), al sottoscritto sarebbe riconosciuto un arretrato di 100mila euro. Questo il primo falso. La realtà invece è che la nuova misura del compenso previsto per il presidente dell’Istituto decorrerà non da maggio 2019, bensì dal 15 aprile 2020, vale a dire da quando si è insediato il cda e ne ho assunto la carica di presidente. Il secondo falso è che non è nei poteri del presidente o di qualsiasi altro organo dell’Istituto determinarsi i compensi”.
“Sono stato nominato presidente Inps con decreto del Capo dello Stato in data 22 maggio 2019”, ricorda Tridico, “successivamente, a giugno 2019, con nota del Gabinetto del ministero del Lavoro venivano proposti i compensi del cda che si stava costituendo: 150mila euro lordi per il presidente, 100mila per il vice e 23mila per i 3 componenti del consiglio. Nel frattempo, la crisi di governo dell’agosto 2019 ha ritardato la nomina del cda. Così, solo dal 15 aprile 2020 ho assunto le funzioni di presidente del cda”.

Il presidente dell’Inps in una conversazione sulla Stampa è categorico: “Infangano me per attaccare il governo, è esattamente quello che penso. Nello Stato i dirigenti di seconda fascia prendono 150 mila euro, quelli di prima fascia 200 mila. Il presidente dell’Inps, fino adesso, 60 mila euro, ma di che cosa stiamo parlando?”. “Quando ti dicono che prendi i soldi e non è vero che cosa dovresti fare? L’unica cosa sarebbe querelare, però non è il mio stile, non sono abituato a lavorare così». A chi lo invita a dimettersi risponde: “Non ci penso proprio, essendo false tutte le accuse perché dovrei?”, chiosa Tridico che fa sapere di non essere stato chiamato da nessuno, nemmeno da Di Maio.

“Nella prospettiva della ricostituzione del cda dei due enti – prosegue nella lettera su Repubblica Tridico – la legge 28 gennaio 2019, aveva previsto che, con apposito decreto interministeriale, sarebbe stata fissata la misura dei compensi dei predetti organi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Tant’è che detti compensi sono finanziati attraverso la riduzione di spese di funzionamento di Inps e Inail.

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Colpevole

domenica, Settembre 27th, 2020

Matteo Salvini ha diffuso la memoria difensiva con la quale conta di scampare alla condanna per sequestro di persona (il processo comincia fra una settimana a Catania) per il blocco della nave Gregoretti. Le considerazioni a discarico proposte dal Capitano hanno anche qualche pertinenza, ma qui continuano a prevalere i dubbi se la politica della Lega, e più in generale la politica del governo gialloverde, sia questione regolabile per via giudiziaria. Tenere a mollo oltre cento immigrati non fu una soluzione adottata col favore delle tenebre, ma ben squadernata e ben rivendicata, e alla quale l’esecutivo non si oppose: gli inviti privati alla ragionevolezza di Giuseppe Conte, successivamente diffusi, sono ben piccolo alibi per un presidente del Consiglio, per i poteri di cui dispone e la responsabilità che porta.

Seguiremo le udienze con attenzione e laicità, ma non sarà una sentenza né di colpevolezza né di innocenza a farci cambiare idea. Il problema, non misurabile col codice penale, è proprio nella spettacolarità e nella protervia con la quale Salvini negò lo sbarco ai disperati della Gregoretti. Voleva far vedere ai suoi elettori, perlomeno ai più ferventi, di quale pasta è fatto. Lo conosciamo bene, ormai: è fatto della pasta che lo conduce, col codazzo di giustizieri, a suonare al citofono di un nordafricano della periferia di Bologna per chiedergli se si mantenga spacciando droga. La stessa pasta – lui è uno che non sta lì a perdere tempo con fregnacce come la presunzione d’innocenza, sono fumisterie da parrucconi che hanno rovinato questo paese – per cui allo stupratore glielo taglierebbe, testuale, ma solo chimicamente, precisa il giurista, e per quest’altro butterebbe la chiave e quest’altro ancora lo farebbe marcire in galera, e con particolare rapidità e determinazione se ha la faccia un po’ scura.

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I commercianti sul Pos “Niente spese sotto 25 euro e occhio agli altri costi”

domenica, Settembre 27th, 2020

di ROSARIA AMATO

ROMA – Per Confesercenti è «una bella notizia», per Confcommercio «un’iniziativa apprezzabile»: il pressing che il governo sta facendo sulle banche per ottenere il taglio delle commissioni sulle “microspese”, per una cifra compresa tra i 5 e i 25 euro, viene guardato con grande favore dagli operatori commerciali, stremati prima dal lockdown, e poi dalla crisi dei consumi, che stentano a decollare anche per l’incertezza legata alla fase economica. L’iniziativa, nelle intenzioni dell’esecutivo, dovrebbe favorire l’aumento dei pagamenti elettronici, affiancando il “cashback”, il rimborso di 300 euro previsto per chi sceglie i pagamenti digitali. Ma perché il taglio delle commissioni renda i commercianti maggiormente disponibili ad accettare i pagamenti via Pos anche per cifre modeste occorre considerare nel complesso le condizioni contrattuali, afferma Ernesto Ghidinelli, responsabile credito di Confcommercio: «È auspicabile intanto che si arrivi davvero a 25 euro, e poi che si tratti di una riduzione effettiva, e non mascherata da incrementi di altri costi. Alcuni anni fa le commissioni vennero azzerate per i benzinai per i pagamenti fino a 100 euro, ma furono incrementati tutti i costi accessori di gestione del Pos».

Analogo timore da parte di Confesercenti: «Il timore è che dopo, non dovendo pagare le commissioni, le banche trasferiscano a nostro carico costi di servizio impropri, e che quello che non si paga dalla porta rientri dalla finestra», conferma Mauro Bussoni, segretario generale dell’organizzazione. Anche tagliare le commissioni bancarie, però, potrebbe non essere sufficiente per favorire i pagamenti elettronici anche per i piccoli importi.

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Pensioni, Conte manda in soffitta ‘Quota 100’. Salvini: “La Lega non lo permetterà”

domenica, Settembre 27th, 2020

ROMA – L’esito dell’election day fa fare un altro passo di allontanamento di ‘Conte 2’ da ‘Conte 1’. “Quota 100 è un progetto triennale di
riforma che veniva a supplire a un disagio sociale. Non è all’ordine del giorno il rinnovo”. Il premier Giuseppe Conte ha scelto il festival dell’Economia di Trento per annunciare che uno dei provvedimenti simbolo del governo giallo-verde e, in particolare, della Lega di Matteo Salvini, andrà in soffitta. E, ovviamente, proprio Salvini è stato il primo a reagire: “Vogliono tornare alla legge Fornero!? La Lega non glielo permetterà, promesso. Non si scherza con i sacrifici di milioni di lavoratrici e lavoratori italiani”. Al fianco di Conte il leader di Italia Viva, Matteo Renzi: “L’abolizione di Quota 100 è una svolta importante. Dopo aver cambiato linea in Europa, torniamo alla serietà sulle pensioni rimediando ancora ai danni del governo populista. Prossimo obiettivo: il Mes”.

IL cantiere della previdenza, peraltro, sempre a giudicare dalle parole del premier, non si ferma qui:  “Tra le riforme che ci aspettano possiamo anche lavorare su quella delle pensioni – sottolinea Conte –  Dobbiamo metterci attorno a un tavolo, ad esempio fare una lista dei lavori usuranti mi sembra la prospettiva migliore. Un professore universitario vorrebbe lavorare a settant’anni, mentre in tante occupazioni usuranti non possiamo prospettare una vita lavorativa così lunga. Dobbiamo avere il coraggio di differenziare”.

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Riforme di lungo periodo per costruire il futuro

domenica, Settembre 27th, 2020
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di   Francesco Giavazzi

I nomi sono sempre importanti e hanno un significato preciso. Il nome del programma non è Recovery fund, Fondo per la ripresa, ma Next generation Eu, l’Europa delle nuove generazioni. Non è una differenza solo lessicale: vuole sottolineare che il nuovo programma non dovrà essere costruito avendo in mente gli europei di oggi, ma quelli di domani. Mi chiedo se questa attenzione alle generazioni future sia presente in chi sta preparando il programma che il governo italiano invierà a Bruxelles fra due settimane. In caso contrario le nostre proposte potrebbero, a ragione, non essere accolte. Ma se sarà, come è auspicabile, un programma rivolto alle generazioni future, dovrà essere molto diverso, spesso in contrasto, con alcune delle misure che il governo oggi sta varando. Prendiamo ad esempio il futuro del Mezzogiorno.

I Paesi poveri sia di capitale fisico che di capitale umano non possono fare altro che specializzarsi nella produzione di beni «poveri», che richiedono più lavoro che capitale e costano poco grazie a salari relativamente bassi. Invece, Paesi ricchi sia di capitale fisico che di capitale umano, possono permettersi salari elevati. È la differenza che c’è fra il Vietnam e la Germania.

Ci sono poi Paesi intermedi: hanno un buon capitale umano, spesso grazie alla loro storia, alla loro cultura e ad una buona istruzione, ma scarso capitale fisico, magari perché hanno cattive istituzioni che allontano gli investitori. Questi Paesi, come ha osservato uno dei più brillanti economisti dei giorni nostri, Dani Rodrik, hanno due strade: accontentarsi di una tecnologia povera e puntare sul basso costo del lavoro, oppure investire, adottare le migliori tecnologie e permettersi alti salari. Quale strada imboccano dipende dalle scelte dei loro governi.

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