Archive for Settembre, 2020

Covid e scuola: i focolai ci saranno, e molti. Ma la paura va superata

venerdì, Settembre 11th, 2020
Paolo Giordano

Da lunedì gli insegnanti e il personale scolastico saranno la nuova prima linea. Insieme a loro, otto milioni di alunni e alunne su cui pesa lo stigma dell’asintomaticità verranno sottoposti a uno stress psicologico diverso, non necessariamente più lieve, dal momento che hanno capito benissimo di poter essere i vettori del virus verso genitori e nonni.

Se finora abbiamo potuto mantenere degli interstizi di sicurezza rispetto agli altri, stabilire il nostro livello confortevole di isolamento, da lunedì sarà molto più difficile farlo, se non impossibile. L’inizio delle scuole riempirà quegli interstizi fra cittadini come una colata di resina, ci renderà tutti istantaneamente più esposti al contagio.

Nelle simulazioni sulla fase 2 del comitato tecnico scientifico, quelle del maggio scorso, la scuola veniva disaccoppiata dal resto delle variabili perché da sola faceva saltare Rt sopra la soglia critica di uno (lo è già, sopra uno, ma per nostra negligenza prescolastica). È l’ennesimo paradosso della pandemia: la scuola va riaperta perché è il tessuto connettivo della società, ma essere il tessuto connettivo della società è la ragione per cui ci spaventa tanto aprirla.

Ribadire i rischi non contraddice la convinzione che quello di lunedì sia un appuntamento imprescindibile. Che la didattica sia infine mista, intermittente, scaglionata o ridotta, quegli otto milioni di allievi hanno bisogno urgente di una classe con cui avere scambi, di docenti in presenza, e di un’aula fisica da immaginare anche quando sono altrove.

I due aspetti, pericolo e necessità, vanno dunque considerati insieme. Lo slogan che si è imposto, «riaprire in sicurezza», è quanto mai inappropriato in tal senso. Peggio, è controproducente, perché dà a chi ci crede l’impressione fasulla che la salvaguardia possa venire dall’organizzazione scolastica in sé. La sicurezza non è mai tale in un’epidemia. E l’efficienza — il massimo a cui possiamo puntare — è una combinazione difficile di protocolli, infrastrutture e responsabilità personali.

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Scuola, 13mila lavoratori trovati positivi: ecco chi si può definire «fragile»

venerdì, Settembre 11th, 2020

di Valentina Santarpia

Scuola, 13mila lavoratori trovati positivi: ecco chi si può definire «fragile»

«Ogni minuto è prezioso»: lo dice il presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, a tre giorni dall’inizio delle lezioni in 13 regioni (in Friuli si inizia il 16, in Sardegna il 22, nelle altre si è posticipato al 24). La verità, ammette Giannelli, è che, di giorno in giorno, di ora in ora, il contatore delle criticità- banchi, docenti, mascherine, test- fa uno scatto in avanti. «Mancano circa 5 mila aule, almeno 2,2 milioni di banchi: in molte scuole gli studenti dovranno mantenere la mascherina anche da seduti».

I test

Circa il 50% dei docenti e dei collaboratori si è sottoposto a test sierologico: il 2,6% è risultato positivo, il che significa che 13 mila persone potenzialmente contagiose non entreranno a scuola, fino a quando il tampone non darà esito negativo. Non è detto che tutto il personale si sottoponga al test, volontario. L’unica regione che, tra le polemiche, lo ha reso «obbligatorio», è la Campania.

I banchi

Entro l’inizio dell’anno scolastico in tutta Italia dovrebbero essere 200 mila i banchi consegnati, ma dallo staff del commissario Domenico Arcuri si assicura che entro ottobre verranno consegnati tutti e 2,4 milioni. Sarà complicato: con l’inizio delle lezioni dovranno essere i dirigenti a trovare i momenti buoni per le operazioni, senza inficiare sull’orario, già decurtato in attesa di completare l’organico.

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Pensioni, nuova flessibilità. Quota 100 è nel mirino

giovedì, Settembre 10th, 2020

di CLAUDIA MARIN

Il cantiere pensioni tra governo e sindacati è riaperto da qualche settimana e al Ministero dell’Economia cresce la tentazione di sterilizzare Quota 100 fin dal 2021 con un intervento previdenziale ad ampio raggio da inserire nella manovra per il prossimo anno.

In campo innanzitutto l’ipotesi di sostituire il meccanismo di uscita anticipata con 62 anni di età e 38 di contributi trovando una soluzione anche più flessibile ma meno onerosa per le casse pubbliche, basata su una penalizzazione del 2-3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile di 67 anni.

Non è detto, però, che l’operazione caldeggiata dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, oltre che da una larga fetta del Pd e da tutta Italia Viva, riesca fin dal 2021. I grillini, il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e i sindacati sono contrari e puntano a far scadere Quota 100 alla fine dell’anno prossimo (quando è indicata la scadenza naturale della sperimentazione).

Il responsabile del dicastero di Via XX Settembre può far valere i numeri limitati di coloro che hanno utilizzato l’uscita anticipata quest’anno e sta preparando un pacchetto di interventi in materia previdenziale. Si tratta della proroga di Opzione donna (per le lavoratrici con meno di 60 anni che accettino il calcolo interamente contributivo della pensione), nonché di quella dell’Ape social (per chi con 63 anni si trovi in difficoltà o appartenga a categorie di lavoratori che svolgono attività gravose) e di Quota 41 per i precoci (coloro che hanno cominciato a lavorare prima dei 19 anni).

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Salvini e l’aggressione: «Per me il caso è chiuso, ma sai che coro se fossi stato Conte…»

giovedì, Settembre 10th, 2020

di Marco Cremonesi

Salvini e l'aggressione: «Per me il caso è chiuso, ma sai che coro se fossi stato Conte...»

Poco dopo l’aggressione, Matteo Salvini appare assolutamente tranquillo. I messaggi dei sostenitori pulsano sul telefono ininterrottamente: «Episodio isolato», taglia corto lui. La regola del basso profilo che si è imposto per le Regionali 2020 non viene smentita neppure a Pontassieve. Gli sfugge soltanto un «certo, se la camicia fosse stata strappata a Conte o a Zingaretti, sai che coro…». Parla dei messaggi di solidarietà della politica che sono arrivati ieri — in realtà, da tutti i partiti — dopo l’episodio. Ma, appunto, il segretario leghista non ne vuole fare una questione politica, non vuole sentirsi fare domande sulle campagne d’odio che vengono da sinistra, da destra o dal centro: «Ma no, mi dicono che fosse una persona con alcuni problemi, cosa bisogna dire? Mi pare che sia un caso chiuso. Non uso questo gesto per fare campagna elettorale, non voglio affatto che sia legata a un’aggressione».

È vero però che le apparizioni pubbliche di Salvini, così immerso tra le persone e a stretto contatto con tanta gente, lo espongono a un rischio concreto, e in questo caso non si parla di Covid. Ma che il leader leghista cambi stile proprio sui suoi bagni di folla non è all’ordine del giorno: «No davvero. Io sono un sostenitore della democrazia, della libertà di pensiero e di parola per chiunque.

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Biden vs Trump: chi vincerà le elezioni Usa 2020?

giovedì, Settembre 10th, 2020
di Massimo Gaggi, Andrea Marinelli, Viviana Mazza, Marilisa Palumbo, Giuseppe Sarcina

Mancano sette settimane e mezzo al 3 novembre: il giorno in cui l’America scoprirà se l’aspettano altri quattro anni di Donald Trump o un cambio di stile e politica con il democratico Joe Biden. Finora la campagna elettorale è stata dominata da due questioni: la pandemia, che negli Stati Uniti ha mietuto oltre 190 mila vittime; e i disordini nelle città, cominciati a maggio con l’uccisione di George Floyd e mai sopiti fino alle nuove esplosioni a Portland e Kenosha. I manuali di comunicazione politica però ci ricordano che sono pochi gli elettori che prestano attenzione alla campagna presidenziale prima di settembre. Questi ultimi giorni sono fondamentali: tutto può ancora succedere. Ci sono i dibattiti — tre tra i rivali per la presidenza, uno tra i vice Mike Pence e Kamala Harris — e ci potrebbe essere la famosa «October surprise», un evento che modifica il corso della gara. Che succederebbe se la sorpresa fosse, come ha fatto capire in questi giorni Trump, il vaccino? Il punto debole del presidente — la gestione della crisi sanitaria — si trasformerebbe in un’arma spettacolare con la promessa di porre fine all’epidemia?

Per attraversare questo rush finale abbiamo provato a fare un punto della sfida: sondaggi, slogan, volti, strategie.

Il discorso di trump alla convention repubblicana: è stato criticato per l’uso  della casa bianca, luogo istituzionale federale.  a fini elettorali

Quale leader: che cosa dicono i sondaggi
di Giuseppe Sarcina

Joe Biden affronta lo strappo finale della campagna elettorale ancora in testa a livello nazionale. Secondo la media realizzata dal sito RealClearPolitics all’inizio di settembre, il candidato democratico mantiene un vantaggio del 7,2%. È vero che anche nel 2016 Trump fu sconfitto da Hillary Clinton nel voto popolare, ma poi vinse grazie ai meccanismi del collegio elettorale. Tuttavia quattro anni fa lo scarto risultò pari al 2,1%. Ora la distanza è quasi quattro volte più ampia. Eppure nel campo democratico aumentano inquietudini e preoccupazioni.

Trump non ha mai pensato di poter ottenere in assoluto più voti, fin dall’inizio ha impostato la sua campagna per bruciare il rivale nei tre Stati che nel 2016 gli consegnarono la Casa Bianca
: Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. E qui nelle ultime settimane la distanza si è ridotta a una media del 3%.

A maggio a Washington circolava una battuta: «Se i democratici perdono anche stavolta dovrebbero chiudere il partito e buttare via la chiave». Eravamo nel mezzo della pandemia, con il presidente che sbeffeggiava l’uso della mascherina e spingeva per riaprire l’economia. Il Paese sta pagando ora il conto: i contagiati sono 6 milioni, con una spaventosa accelerazione dal 17 al 31 agosto: un milione in più.

Ora Trump è riuscito a riaprire lo scontro: la base elettorale, minoritaria ma vincente nel 2016, appare di nuovo galvanizzata. I democratici possono arginare questa controffensiva solo se riusciranno a mobilitare tutti gli spezzoni sociali di riferimento: moderati, indipendenti, liberal, radical, neo-socialisti.

I tag cloud sono una raccolta delle parole chiave emerse dalle due convention, repubblicana e democratica, che si sono svolte a fine agosto

Clan o coalizione?
Due convention, due Americhe
di Giuseppe Sarcina

Trump si arrocca nel suo clan famigliare e in una cerchia sempre più ristretta di fedelissimi. Biden, più per necessità che per scelta, schiera una coalizione larga, composita e con diverse contraddizioni non risolte e, probabilmente, non risolvibili.

La stagione delle convention democratica e repubblicana è servita innanzitutto per definire la natura dei due schieramenti e quindi la prima distinzione netta tra le candidature.
In via preliminare gli americani dovranno decidere se affidarsi a un leader forte, ma sempre più solo; o a un mediatore debole, ma più inclusivo.

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Mattarella chiama Liliana Segre: “Preziosa testimone contro l’odio”

giovedì, Settembre 10th, 2020

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato alla senatrice a vita Liliana Segre per formulandole auguri affettuosi per il suo novantesimo compleanno. L’ha ringraziata, rende noto il Quirinale, per la sua alta e preziosa testimonianza contro l’odio e la violenza, in difesa dei diritti di tutti e nel rifiuto di ogni discriminazione

Liliana Segre, che oggi compie 90 anni, è sopravvissuta ad Auschwitz e ha fatto della testimonianza degli orrori della Shoah e della lotta contro ogni forma di odio una delle sue ragioni di vita. Anche per questo Mattarella, l’ha nominata senatrice a vita nel 2018.

Nata a Milano nel 1930, subì le leggi razziali per le sue origini ebraiche ancora bambina e venne espulsa da scuola. A 14 anni venne deportata con il padre Alberto verso il campo di concentramento di Auschwitz partendo da quel binario 21 della Stazione Centrale di Milano dove ora sorge il Memoriale della Shoah.

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De Laurentiis positivo al Covid, tremano i presidenti di Serie A

giovedì, Settembre 10th, 2020

La positività di Aurelio De Laurentiis al Covid-19 ha scosso il gotha del calcio italiano. Ieri il numero uno azzurro si era infatti presentato all’assemblea di Lega senza sapere l’esito del tampone e ora c’è grande apprensione tra i presidenti e i massimi dirigenti dei club di Serie A. All’Hotel Hilton di Milano, del resto, in quella sala c’erano praticamente tutti: Agnelli per la Juve, Marotta e Antonello per l’Inter, Scaroni per il Milan, Lotito per la Lazio, Joe Barone per la Fiorentina, Cairo per il Torino, Ferrero e Preziosi per Samp e Genoa solo per citarne alcuni. Una cinquantina di persone venute più o meno in contatto col presidente del Napoli che ora dovranno sottoporsi ai controlli di rito e rimanere a distanza dalle rispettive squadre per evitare effetti catena nei contagi e nelle quarantene. 

Dal mal di stomaco per le ostriche all’assenza della mascherina: AdL in Lega

Napoli: il presidente De Laurentiis positivo al Covid-19

Ricostruendo quanto accaduto in assemblea, chi era presente ha parlato di un clima disteso e una situazione a norma con distanziamento tra le sedute. Le foto scattate prima della riunione mostrano molti dirigenti e presidenti entrare nella sala già con la mascherina, altri invece accedere a volto scoperto (tra cui De Laurentiis, Cairo, Preziosi e Fenucci). Il patron azzurro era seduto in prima fila e nel corso della riunione ci sono stati diversi momenti conviviali e contatti tra i presenti, compresi operatori e giornalisti. Come da protocollo, la conferenza del presidente Dal Pino si è svolta con i giusti distanziamenti. Terminata l’assemblea di Lega, fuori dall’Hilton però si sono creati degli assembramenti con alcuni presidenti, tra cui AdL, a stretto contatto senza mascherina con reporter e cameraman per le interviste. Una situazione che ora preoccupa non solo i vertici del calcio italiano venuti a contatto con De Laurentiis, ma anche diverse redazioni sportive presenti al vertice.

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Odio, la malattia sociale che ci lascia senza respiro

giovedì, Settembre 10th, 2020

di Walter Veltroni

Odio, la malattia sociale  che ci lascia senza respiro

Willy Monteiro, il ragazzo ucciso a Colleferro

«Vi prego, basta, non respiro più». Sono le ultime parole di Willy mentre dei ragazzi poco più grandi di lui lo stavano pestando a morte. Perché era meno forte di loro, perché aveva un colore della pelle diverso dal loro. Sono le stesse parole, proprio le stesse, di George Floyd mentre un poliziotto gli teneva il collo sotto il suo ginocchio per un numero interminabile di minuti. Due episodi molto diversi tra loro, che sarebbe sbagliato accostare, ma uniti dalle stesse parole delle vittime.
Non respiriamo più. Ci toglie il fiato un’onda di violenza e di odio che sembra impossibile da frenare. L’odio non è un virus. È una terribile malattia sociale. La storia ci ammonisce a capirne le ragioni, prima di essere travolti dallo tsunami. Nasce, in primo luogo, dalla diseguaglianza sociale, dalla insicurezza del futuro, dalla sensazione che la vita sia un rischio, persino una minaccia, e non una possibilità. L’odio sociale è figlio delle crisi economiche e porta a individuare nell’altro il pericolo per la propria serenità e stabilità. E «l’altro» è chi ti viene indicato come colui che ti sta sottraendo ricchezza, come un intruso che viene a mangiare nel tuo piatto. È il «nemico» del quale hanno bisogno le idee autoritarie che si fondano sulla negazione delle differenze.

Le parole sono importanti. Ed è importante selezionarle: scartarle non meno di sceglierle. Ci sono parole che determinano comportamenti, che sdoganano e legittimano veleni che la fatica, il sangue e il sacrificio del novecento avevano riposto in un cassetto. Il loro riemergere toglie il respiro. Mi ha colpito, tra i messaggi dei social citati da un bel servizio del tg di Enrico Mentana, il tweet di un essere umano che, pubblicando il volto di una donna nera, la chiamava «scimpanzè». Mi ha fatto venire alla mente un’immagine della Difesa della razza, il giornale che costruì le condizioni del consenso alle leggi razziali del fascismo. È la fotografia di un vero gorilla, pubblicata nel novembre del 1942, proprio mentre i nostri soldati, trattati come bestie dal fascismo, morivano in Russia. La didascalia dell’immagine recita: «No: le cure del parrucchiere lo lasceranno scimmione come prima. Così un ebreo non potrà mai diventare ariano, malgrado tutti i virtuosismi anagrafici». Gli ebrei furono demonizzati. Furono descritti come un pericolo sociale, economico e un attentato alla purezza della cosiddetta «razza ariana». Si cominciò con le parole dell’odio e si finì ad Auschwitz.

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Scissi. La separazione fra sinistra e parte del suo popolo

giovedì, Settembre 10th, 2020

Ecco, comunque vada, anche se il centrodestra dovesse vincere le Regionali 4 a 2, 5 a 1, 6 a 0, Caporetto o non Caporetto, il Governo andrà avanti. Andrà avanti se vincono i No al referendum o se vincono i Sì e, se dunque, il popolo vorrà un Parlamento più snello che sostituisca l’attuale, ma potrà averlo solo tra tre anni. Andrà avanti a prescindere, come ha spiegato Dario Franceschini in una monumentale intervista alla Stampa, che neanche Bettino Craxi. Il quale avrà anche invitato la gente ad andare al mare, ma poi prese atto che il paese non aveva fatto il bagno, ma aveva mandato al diavolo chi si era arroccato nel Palazzo, e ne trasse le conseguenze. Andrà avanti anche a costo di una lacerazione a sinistra, già in atto, profonda e dolorosa.

Occhio che questa, tecnicamente, si chiama “scissione”: politica, sentimentale, tra sinistra e popolo, sinistra e un pezzo del suo popolo. Leggetela bene l’intervista di Franceschini e leggete bene le parole di Roberto Saviano, il suo “andate a cacare, voi e le vostre bugie” perché il “Pd vota Sì solo per la sopravvivenza del Governo e il suo obiettivo è esserci sempre, comunque e a ogni costo”.

Leggete anche l’ultimo post delle Sardine, foto di Zingaretti e Di Maio che si stringono la mano con la scritta “non ci fidmaio”, un autentico e impietoso manifesto di sfiducia verso il partito e il gruppo dirigente nel quale iniettarono sangue vivo nelle vene ai tempi delle elezioni in Emilia Romagna. Oggetto della sfiducia un “partito che continua prendere dei pali nei denti da parte di un leader populista”: “La riforma della legge elettorale che Bonaccini dava per certa si è già arenata perché Renzi non la vuole, i correttivi che Bersani dà per ovvi sono ancora tutti da discutere, la grande stagione di riforme che Zingaretti vede alle porte non la vede nessun altro, la revisione dei decreti sicurezza che Delrio annunciava mesi fa è rimasta un miraggio, alle regionali invece di fare fronte comune tocca sperare nelle sardine perché “siamo disperati”, il Mes che ci servirebbe come il pane non lo possiamo usare e Dulcis in fundo: se a inizio ottobre cadesse il Governo si andrebbe a votare con i listini bloccati e le rinunce pilotate e allora sì che la Kasta avrà vinto per davvero!”.

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Lesbo brucia, l’Ue latita

giovedì, Settembre 10th, 2020
Lesbo brucia, l'Ue

“Abbiamo visto il fuoco diffondersi su Moria e infuriare tutta la notte. L’intero campo è stato avvolto dalle fiamme, provocando una fuga di massa delle persone senza direzione. Bambini spaventati e genitori sotto shock”. Le parole di Marco Sandrone, capo progetti di Medici senza frontiere, descrivono l’inferno di Lesbo. La scorsa notte è andato a fuoco il più grande campo profughi d’Europa, oltre 12mila persone ospitate su questa isola, frontiera naturale dell’immigrazione da oriente verso l’Europa. Migliaia di persone sono in fuga, tra loro anche oltre 30 positivi al covid. Ma nemmeno questa tragedia ispira solidarietà e reale partecipazione negli Stati europei.

Nessun aiuto, mentre la Grecia dichiara lo stato di emergenza. Tranne che dalla Norvegia, disposta ad accogliere 50 profughi, a patto che – è la condizione posta dal Governo di Oslo – rientrino nella quota dei tremila che il paese scandinavo deve accettare per quest’anno. Il resto è un balbettio di solidarietà oppure silenzio.  

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