Archive for Settembre 24th, 2020

Mattarella dopo le parole di Johnson: «Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore anche la serietà»

giovedì, Settembre 24th, 2020
Mattarella dopo le parole di Johnson: «Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore anche la serietà»

«Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore anche la serietà». Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella a Sassari, a margine della cerimonia in ricordo di Cossiga, conversando con alcuni partecipanti alle celebrazioni, in risposta a chi gli chiedeva cosa pensasse di quanto dichiarato dal premier britannico Boris Johnson sugli inglesi che, a differenza di italiani e tedeschi, amano la libertà. Le parole di Johnson alla Camera dei comuni erano in replica a una interrogazione sul boom di contagi in Gran Bretagna in questi giorni.

Lo chiamavano Libertà di Massimo Gramellini

Articolo in aggiornamento…

CORRIERE.IT

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Ibrahimovic positivo al Covid, Milan senza il bomber svedese contro il Bodø-Glimt

giovedì, Settembre 24th, 2020

di Monica Colombo e Carlos Passerini

Ibrahimovic positivo al Covid, Milan senza il bomber svedese contro il Bodø-Glimt

Zlatan Ibrahimovic ha il Covid. La conferma è arrivata attorno alle 15, anche se le voci circolavano ormai da qualche ora. «L’attaccante svedese è risultato positivo al tampone effettuato per la partita di stasera, Milan-Bodø-Glimt – si legge sul comunicato del club rossonero -. Informate le autorità sanitarie competenti, il giocatore è stato prontamente posto in quarantena a domicilio. Tutti gli altri tamponi effettuati sul gruppo squadra sono risultati negativi».

Brutto colpo

Dopo il difensore Duarte, positivo anche Zlatan. Una brutta botta. Anzi, una mazzata vera. Ibra è il leader assoluto di questa squadra, che da gennaio in poi ha risvegliato a suon di gol e non solo. Questo avvio di stagione è stato strepitoso: due partite e tre reti. Oltre alla solita leadership, che lo rende un giocatore indispensabile, un uomo chiave. Per il tecnico Stefano Pioli una grana vera, visto che Rebic stasera è squalificato e Leao è lui stesso reduce dalla quarantena e non ha ancora la tenuta sufficiente per partire titolare. In campo andrà il giovane Colombo, 18 anni.

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Le riforme un passo alla volta

giovedì, Settembre 24th, 2020

di Antonio Polito

La senatrice Barbara Lezzi, per rimarcare la portata della sconfitta dei Cinquestelle alle regionali, ha detto al Corriere: «È un disastro, il 70% che ha votato Sì al referendum non ha votato per noi». Dalla parte opposta Carlo Calenda, leader di Azione, ha scritto che il 30% di No sono altrettanti elettori «in cerca di rappresentanza politica», ovviamente proponendosi per rappresentarli. Quattro anni fa, di fronte alla sconfitta del suo progetto di riforma costituzionale, Matteo Renzi si consolò individuando nel 40% di chi aveva votato Sì una base politica da cui poter ripartire. Non andò così allora, non andrà così adesso. Ma l’antico vizio di confondere i risultati dei referendum con il consenso politico è difficile da estirpare. Colpa anche un po’ nostra, di noi commentatori, che tendiamo spesso a trascurare il merito della domanda posta agli italiani e della risposta da loro espressa, per concentrarci invece sui (presunti) significati politici. Invece è possibile individuare nei comportamenti degli elettori in materia costituzionale una coerenza, un filo rosso, che può tornare utile a chi volesse ricominciare a tessere la tela dell’aggiornamento della Carta. Consiste in questo: dicono di solito No a una Grande Riforma, mito ormai quarantennale della politica italiana, cioè a un radicale rifacimento della nostra democrazia; ma possono dire Sì a una Piccola Riforma, cioè a interventi mirati, comprensibili nella loro semplicità, chirurgici, che cambiano un connotato senza stravolgere il volto.

Si è detto che la riforma di Berlusconi e quella di Renzi furono duramente bocciate nei rispettivi referendum per via dell’«antipatia» politica che al momento del voto riscuotevano i due proponenti. Il referendum del 2006 si svolse poche settimane dopo la sconfitta del centrodestra alle elezioni politiche. Quello del 2016 servì a mettere fine al governo di Renzi. Non c’è dubbio che il clima politico influì. Ma forse ancor di più contò il fatto che entrambi i progetti vennero presentati dagli avversari e considerati dalla maggioranza degli italiani come un salto nel buio. Spaventarono gli elettori. I quali ritennero più saggio fidarsi dei padri costituenti, che dei politici del momento.

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La crisi del Movimento 5 Stelle: «Ora può dissolversi». Le accuse ai vertici: la gente non è stata coinvolta

giovedì, Settembre 24th, 2020

di Alessandra Arachi e Alessandro Trocino

La crisi del Movimento 5 Stelle: «Ora può dissolversi». Le accuse ai vertici: la gente non è stata coinvolta

Gira un’aria da cupio dissolvi, un desiderio latente di autodistruzione. È un po’ come in Frankenstein Junior, senza l’ironia di «Aigor»: «Potrebbe andar peggio, potrebbe piovere». E piove, anzi diluvia sul Movimento Cinque Stelle, viene giù acqua sporca a catinelle e i parlamentari, tutti infagottati in pastrani gonfi di risentimenti e disillusione, si guardano in cagnesco, aspettando di capire quando passerà la bufera e chi sopravviverà.

La profezia di Grillo e Casaleggio

Prendi Stefano Buffagni. Di solito gioviale ed estroverso, è cupo come la pece: «Sono inabissato e silente. Mi sento profondamente amareggiato. Se gli italiani ti danno questa risposta e noi facciamo finta che va tutto bene, beh allora non posso che stare in silenzio e guardare cosa succede». Cosa succederà? Elio Lannutti tira su il bavero e rievoca la profezia dei Nostradamus a Cinque Stelle: «Grillo e Casaleggio dissero che una volta raggiunto il programma, il Movimento si poteva anche dissolvere. Ecco, ormai ci siamo quasi».


«Scissione» è una delle parole più gettonate: «Se ne parla da sette anni, dal primo giorno che siamo in Parlamento — spiega rassegnato il senatore Gianni Girotto — È normale dunque che oggi se ne parli, dopo questo risultato». Persino Carla Ruocco non la esclude, laconicamente: «Può darsi». Poi comincia un percorso di astio e amarezza, un tutti contro tutti che Roberto Fico ha sintetizzato in «guerra per bande»: «La gente non è stata valorizzata — dice Ruocco — è stato tutto un gioco di amichetti e caminetti». Di Battista? «Non si è mai messo in gioco realmente». Neanche Dalila Nesci apprezza: «Basta con queste uscite altisonanti, basta con questo carrozzone di big fallimentari». Emanuele Dessì si dice «rammaricato per lui»: «Dovrebbe ringraziare Di Maio e Crimi, non si sono fatte le alleanze. E invece ancora con questi video, questi modi astiosi, questo non citare per spregio le persone».

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Il federalismo virale

giovedì, Settembre 24th, 2020
Governatori

Perché poi si fa presto a dire “destra” e “sinistra”, tre bandierine blu e tre rosse sulla cartina. Bisogna anche andare a vedere chi è stato eletto, per trarre la morale di questa storia. L’indizio lo dà Vincenzo De Luca, che a caso non parla mai. E che, vivaddio, non difetta mai di una certa sincera schiettezza: “La mia vittoria va oltre la destra e la sinistra”. Effettivamente, ben oltre, perché i voti al Pd, col suo 17 per cento, sono solo una parte di una coalizione molto larga, all’ombra del governatore uscente.

Ecco, andiamo a vedere: la sua lista, che di civico ha assai poco, porta in Consiglio regionale Carmine Mocerino, che nel 2015 entrò con la lista “Caldoro presidente”. Mocerino ha fatto un ticket – un uomo e una donna – con Paola Raia, eletta anche lei, che ai tempi del berlusconismo imperante era molto vicina a Nicola Cosentino. Ex consigliere regionale del Pdl e ora di De Luca, Paola è sorella di Luigi Raia, ex consigliere provinciale di Forza Italia e attualmente direttore generale dell’agenzia unica del turismo in Campania, di nomina regionale.

La lista “De Luca presidente” ha preso poco meno del Pd, risultato la seconda lista più votata. Tra i “Liberal-democratici Moderati” è invece eletto Giuseppe Sommese, ex Ncd, eletto anche lui cinque anni fa a sostegno di Caldoro. Giuseppe è il figlio di Pasquale, eletto nel 2010 in quota Udc e premiato allora da Caldoro con un assessorato molto pesante, con deleghe al personale, turismo, enti locali, beni culturali. Rieletto nuovamente con Caldoro è incappato in qualche guaio giudiziario, nell’ambito di una inchiesta in cui veniva considerato al vertice di una associazione a delinquere per pilotare gli appalti.

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L’indifferibile necessità di una destra liberale

giovedì, Settembre 24th, 2020

Per un residuo di senso del ridicolo, e considerati i precedenti, non parlerei di rivoluzione liberale. Oltretutto che liberali in Italia si dicono in molti, ma lo sono in pochi, e però il risultato del referendum e delle elezioni regionali non annunciano la fine del sovranismo e del populismo – lo spiega bene oggi Giovanni Orsina sulla Stampa – ma ne segnalano difficoltà e limiti non da poco.

A sinistra, con prudenze qui e là sovrabbondanti – e al prezzo di riforme pessime, come il taglio dei parlamentari praticato con denti aguzzi, o agghiaccianti, come il sequestro dei cittadini attraverso processi senza prescrizione, o come il totalitario annullamento della loro privatezza confiscata via trojan – il Pd è riuscito a portare i cinque stelle dai gilet gialli ad Angela Merkel. A pensarci vien quasi da ridere: da uscire dall’euro subito, slogan dei bei tempi piazziaioli, a prendersi gli euro subito, nella quantità di 209 miliardi. E il premier espresso dal grillismo, Giuseppe Conte, che diventa la marmorea garanzia del nostro ormai irrinunciabile europeismo. Non è poco. Restare agganciati all’Europa non è garanzia soltanto per i conti.

Ma a destra? Il lento, lungo, a questo punto esasperante declino di Forza Italia non è una giustificazione per il silenzio dei liberali, chiamiamoli così, dei cattolici adulti, dei post socialisti, o per accontentarsi di qualche voce solitaria spersa nel chiasso. Non ha nessun senso restare a ruota del sovranismo salviniano e meloniano, replicare le dinamiche fiacche del bipolarismo destra/sinistra: qui si è saldi nell’opinione che il nuovo bipolarismo è fra chi considera le istituzioni il luogo sacro, al di là di chi le abita, della democrazia liberale occidentale, e chi le considera lo sfondo per il selfie. I tanti, a destra, esausti dello strepito antieuropeista (noi siamo parte, non controparte dell’Unione, la soluzione è tutta lì), della desolante retorica autarchica, dell’uso feroce e propagandistico dell’immigrazione, del rinfocolamento programmatico delle paure popolari, della promozione della giustizia come strumento di vendetta e afflizione retributiva, dello Stato onnivoro e onnipresente, compreso lo Stato imprenditore, i tanti convinti che la globalizzazione non è una scelta, ma una condizione irrimediabile e dunque irrinunciabile, e va governata perché rifiutarla è una fantasia da imbonitori, convinti che i vari pistoleri della democrazia, da Putin a Orban a Erdogan a Xi Jinping, vanno tenuti il più possibile alla larga, ecco, tutti questi hanno spazi non ancora maggioritari ma immensi e, senza metterla giù troppo dura, hanno anche qualche dovere.

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Lo scioglimento dei ghiacci in Antartide minaccia città come New York, Tokyo e Londra

giovedì, Settembre 24th, 2020

ROMA – Immaginate New York, Tokyo, Londra e Amburgo alla prese con un innalzamento dei mari di sei metri. Da brividi. Ebbene, secondo le simulazioni pubblicate da Istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam, Università di Potsdam e Columbia University di New York, che hanno conquistato la copertina della prestigiosa rivista Nature, sarebbero queste alcune tra le città più famose ad essere duramente colpite dal futuro innalzamento del livello dei mari. Che ci sarà, con un aumento di 4 gradi delle temperature medie globali rispetto ai valori pre-industriali. Le proiezioni del progressivo scioglimento dei ghiacci in Antartide, spiegano gli studiosi, indicano l’avanzare di un processo molto lento ma inesorabile.

Antartide, il 60% delle piattaforme di ghiaccio a rischio fratture

“Ciò che perdiamo ora dell’Antartide, è perduto per sempre”. Sono queste le parole che hanno usato i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research, della Potsdam University e della Columbia University di New York per spiegare, in una nota le conclusioni del loro ultimo lavoro di ricerca sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla calotta antartica. Lo studio mostra gli effetti dell’innalzamento delle temperature sui ghiacci della calotta polare antartica, così cruciale per il livello del mare a livello globale. “L’Antartide – spiega Ricarda Winkelmann, ricercatrice presso l’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico (PIK) e l’Università di Potsdam, e autore dello studio – contiene più della metà dell’acqua dolce della Terra, congelata in una vasta calotta di ghiaccio che è spessa quasi 5 chilometri”.

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Migranti e Ue, così l’Italia paga il conto del Recovery

giovedì, Settembre 24th, 2020

di RAFFAELE MARMO

Doveva essere l’occasione per il superamento delle trappole del Trattato di Dublino sulla gestione dell’immigrazione. E, invece, il nuovo Patto su asilo e migrazioni, proposto dalla Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, rischia di rivelarsi, nella migliore delle ipotesi, l’ennesimo compromesso al ribasso ai danni dell’Italia. E, dunque, tradursi in un esito gattopardesco per consentire al nostro governo di dire che tutto cambia senza che niente cambi davvero. Ma potrebbe essere anche qualcosa di peggio: una merce di scambio per i miliardi che ci sono stati attribuiti con il Recovery Fund. Una contropartita per quello che incasseremo.

Insomma, nella ipotesi di cambiamento presentata a Bruxelles si passa dall’assenza di vera solidarietà tra gli Stati dell’Unione a una sorta di cooperazione à la carte, senza obblighi di ricollocamenti per i migranti che arrivano nel nostro Paese. E, anzi, con oneri rafforzati per gli Stati di primo ingresso. Diciamolo: la soluzione Von der Leyen, sbandierata come il superamento di quella di Dublino, non è neanche un passaggio intermedio verso un assetto più solidale nell’affrontare l’emergenza immigrazione. E’ solo una versione edulcorata della responsabilità quasi totale sul destino del migrante che il vecchio (ma attualmente in vigore) accordo assegna allo Stato del primo ingresso.

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Renato Zero festeggia con tre album. “I migliori settant’anni della mia vita”

giovedì, Settembre 24th, 2020

di ANDREA SPINELLI

Renato Zero, nato a Roma il 30 settembre 1950, in uno scatto degli anni Settanta

Non chiamatelo cantante. “Non lo sono mai stato. Mi sento piuttosto un osservatore pensante e parlante”. Se Renato Zero si nasce, a 70 anni… si rinasce. Tre, Due, Uno… Zero!

Il “count-down” che tradizionalmente nei concerti scandisce il suo ingresso in scena tiene i fili di Zerosettanta, il box celebrativo “a rate” che Renato Zero pubblica, appunto, in tre volumi per collezionare quaranta canzoni nuove di zecca. Si comincia mercoledì prossimo, giorno del fatidico compleanno, con il terzo capitolo (prodotto e arrangiato dal chitarrista Phil Palmer e musicisti di rango come il tastierista Alan Clark o il pianista Adriano Pennino), per poi proseguire con il secondo e il primo, sul mercato rispettivamente il 30 ottobre e il 30 novembre.

A introdurre le uscite l’evento celebrativo tv messo in piedi martedì prossimo da Canale 5 sommando le immagini dell’ultimo show Zero – Il Folle, realizzate a Milano l’11 e 12 gennaio scorsi, ad interventi di amici come Monica Guerritore Giancarlo Giannini, Sabrina Ferilli, Alessandro Haber, Serena Autieri, Giuliana Lojodice, Gabriele Lavia, Anna Foglietta, e Vittorio Grigolo. “Un debutto in pompa magna” lo definisce lui in teleconferenza su Zoom. “Questi tre album rappresentano un po’ la prova generale dei miei 70 anni. Sono orgoglioso di esserci arrivato incolume e di aver regalato, in qualche modo, emozioni, brividi, a diverse generazioni, ma anche di aver assorbito tutta l’energia che il pubblico sa regalarmi. Ragazzi che vivono la vita tra mille problematiche con la certezza, però, di avere Renato dietro le spalle a cantare i loro amori e le loro difficoltà”.

Tre dischi in tre mesi. In tempi di singoli è una scelta ostinatamente controtendenza.

“La loquacità artistica di cui sono portatore è affermata pure nell’esercizio delle mie funzioni. Questo disco non è il mio funerale, ma credo rappresenti per molti versi la mia rinascita”.

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Bertinotti: “La sinistra classica è morta”. Anche i comunisti nel loro piccolo spariscono

giovedì, Settembre 24th, 2020

di FRANCESCO GHIDETTI

Presidente Bertinotti, nelle ultime elezioni regionali la sinistra a sinistra del Pd si è presentata frammentata e divisa, e non è riuscita ad avere i consensi che pure, potenzialmente, c’erano. Praticamente, a parte qualche eccezione, nessun consigliere regionale è stato eletto. Quella sinistra è scomparsa?

“No, così non si comprende il nocciolo del problema”. Allarga le braccia Fausto Bertinotti, già leader di quel partito, Rifondazione comunista, che, a livello nazionale, più di venti anni fa, arrivò a sfiorare la doppia cifra elettorale. “Non si capisce il contesto, il perché di questa crisi che è insieme della politica e della democrazia. Crisi in cui si innesta la debolezza della sinistra cosiddetta rivoluzionaria, ma anche di quella cosiddetta riformista”.

E allora che analisi propone?

“Un’analisi radicale e volutamente provocatoria. Basta con le vecchie categorie. Basta col Novecento. Ribaltiamo il nostro modo di ragionare. La sinistra politica tradizionale è morta. Non esiste più”.

Veramente tra partiti comunisti e sinistre rossoverdi qualcosa è rimasto…

“Ci sono gli stessi nomi di una volta, ma una cosa è il contenitore e un’altra il contenuto. Non basta chiamarsi ’comunista’ per essere tali. La sinistra è altrove”.

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