«Brindiamo a chi è qui oggi, brindiamo a chi abbiamo perso per la strada. C’è un tempo che ricordo quando non conoscevo il dolore, quando credevo nel per sempre, e che tutto sarebbe rimasto uguale». L’attacco della canzone Memories dei Maroon Five tocca sempre una corda profonda in chi l’ascolta perché parla dell’esperienza purtroppo comune della perdita di una persona amata. Ma dopo un anno di lotta contro l’epidemia e con un milione e mezzo di decessi nel mondo, l’edizione da poco registrata dal coro infantile One Voice Children è qualcosa di più di una semplice eulogia per le vittime che ci siamo lasciati alle spalle.
È
un sospiro di speranza. È lo spirito di sopravvivenza che si rinnova
insieme alle generazioni. Il popolare coro dello Utah composto da 140
giovani tra i quattro e i diciassette anni, ha dovuto interrompere un
anno fa le sessioni bisettimanali di prova che conduceva da due decenni,
e trasferire la pratica sui social network.
La stessa tecnica ha permesso loro di registrare la traccia vocale
della canzone nelle proprie case, sotto la direzione del maestro Masa
Fukuda. I video sono poi stati cuciti insieme con l’aggiunta della
musica e dei primi piani che scivolano da un sorriso all’altro sui volti
dei messaggeri bambini.
«Questa è una corsa lunga», avverte Alessio D’Amato, l’assessore alla
Sanità del Lazio, l’uomo che nella giunta di Nicola Zingaretti disegna
la strategia anti- Covid. Quanto lunga, assessore? «Bisognerà
correre ancora 3 mesi, almeno. Perché il virus circola, l’Rt non è
sotto controllo e per la campagna di vaccinazione ci vorrà tempo».
APPROFONDIMENTI
La
seconda ondata non è ancora finita e già si parla della terza. Le
restrizioni di oggi, come lo stop a bar e ristoranti alle 18 e il
coprifuoco dalle 22, fino a quando dovrebbero durare nel Lazio?
L’orizzonte qual è? «La primavera. Naturalmente ci saranno
interventi per le attività che rimarranno chiuse, come per le palestre,
per il mondo della cultura, per il commercio ambulante dei mercati. Una
cosa deve essere chiara: le misure adottate sono e saranno sempre
proporzionali alla situazione dell’epidemia. Nel Lazio siamo stati
prudenti e Roma oggi è tra le capitali europee che, pur con molte
difficoltà, hanno sofferto meno, grazie al rigore dei comportamenti e
anche alle misure che abbiamo adottato. Ora bisogna proseguire».
Quando a fine novembre si ipotizzava un allentamento pre-natalizio, per esempio concedendo ai ristoranti di aprire di sera, il Lazio ha subito detto: qui le cose non cambiano, massima cautela. Alla fine anche a livello nazionale quell’allentamento non c’è stato.
“Con il nuovo anno ci libereremo di questa pandemia grazie a vaccinazioni affidabili, siamo a un passo dall’approvazione. Così l’Italia potrà ripartire”. Guido Rasi ha lasciato da pochi giorni la direzione dell’European Medicines Agency
(Ema). Ha assistito alla gestazione dei nuovissimi antidoti contro il
Sars-Cov-2 da un osservatorio privilegiato ed è tornato ora alla sua
cattedra, Università di Roma Tor Vergata, ordinario di microbiologia.
Professore, sono già iniziate le vaccinazioni anti Covid nel
Regno Unito, negli Usa le prime consegne arriveranno come regalo di
Natale. Tra un mese dovrebbero partire Francia e Germania. Secondo il
commissario Arcuri, noi cominceremo a fine gennaio. Saremo buoni ultimi?
“Eviterei di parlare di ritardo. Se tutto va bene, il 29 dicembre
l’Ema concede l’autorizzazione. Dopo la ratifica della Commissione,
prevedibilmente dal 4 gennaio, si potrà vaccinare. Nella fase di
avviamento cambia poco. Questa è una macchina complessa”.
Come definirebbe la mossa londinese, che giocando d’anticipo ha spiazzato tutti?
“Una furbata. Si sono procurati in Belgio un piccolo lotto di vaccini
Pfizer, e gli hanno attribuito un valore simbolico. Ma hanno
somministrato per loro stessa ammissione un prodotto a scatola chiusa,
ricevuto e approvato alla disperata, dalla sera alla mattina. L’Ema farà
indagini rapide ma scrupolose sui dossier, validando tutta la
produzione mondiale, rilasciando una patente di efficacia, in assenza di
effetti collaterali”.
Al di là del fragile accordo trovato ieri sera sul Mes, la votazione
al Senato sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità non
riserverà sorprese. Il governo non cadrà oggi, ma la crisi politica del
Conte II è ormai evidente e con ogni probabilità si attende solo
l’approvazione della legge di Bilancio per dare una veste anche formale a
una situazione di impasse e di incomunicabilità tra le forze che
compongono l’esecutivo. Una crisi che investe tutto il sistema politico,
riguardando maggioranza e opposizione, e che per come si sta dipanando –
nel mezzo della discussione europea sugli aiuti per la pandemia,
ricordiamolo, non ancora “bonificati“ – potrebbe riservarci
sgraditissime sorprese.
Da una parte c’è una maggioranza guidata da un premier che a forza di
parlare con Biden e la Merkel ha maturato una considerazione di sé e
dell’indispensabilità della sua persona sproporzionata a un politico
privo di una forza che in qualche modo lo protegga, e crede di poter
gestire in proprio, o per tecnici interposti, la più grande operazione
di rilancio del Paese dal dopoguerra, simile solo (absit iniura verbis) a
quella che negli anni Cinquanta fu condotta da Fanfani e De Gasperi con
il sostanziale concorso dell’opposizione comunista. C’è un Pd che non è
contento della governance dei fondi europei pensata da Conte, è pervaso
da singole aspirazioni ministeriali di alcuni dei suoi big ma è
bloccato da una leadership debole e dalle numerose ambizioni
quirinalizie dei propri maggiorenti.
C’è poi Matteo Renzi, che avrà pure pochi consensi elettorali ma non
pochi parlamentari e che da istintivo qual è non difetta di lucidità,
coraggio e fiuto. E che, manco a dirlo, non è per niente soddisfatto del
Conte II. Renzi ha compreso l’errore del premier sulle task force e
spalleggiato da alcuni nel Pd ha deciso di andare fino in fondo, con
l’obiettivo di un nuovo governo, guidato da un altro presidente del
consiglio. Gli hanno permesso di tirare un rigore a porta vuota e lui lo
vuol tirare.
«Domani (oggi, ndr), con la riforma del Mes, Conte andrà avanti senza problemi. Ma sulla governance del Recovery fund
non cedo. Non mi sposto di un millimetro. Per cui o fa un passo
indietro lui o, se questo strappo alla democrazia finisce in un
emendamento della legge di Bilancio, Italia viva non voterà la legge di
Bilancio. Attenzione, non è che non votiamo l’emendamento e il resto sì.
No, non votiamo tutta la legge di Bilancio. E ovviamente, nello stesso
momento, Teresa Bellanova, Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan
Scalfarotto si dimetterebbero dal governo…». Alle tre di ieri pomeriggio, mentre le tensioni interne alla maggioranza stanno infuocando il giorno dell’Immacolata, Matteo Renzi detta
la strategia ai suoi. Prima smina il terreno sulla riforma del Mes,
lasciando qualche ora di respiro al governo; poi riempie di trappole i
giorni successivi, quelli che saranno scanditi dal varo o
dall’accantonamento della task force che deciderà l’indirizzo delle
risorse del Recovery fund sotto l’egida di Palazzo Chigi.
Ma visto che non c’è strategia che non passi dal ripensamento critico delle puntate precedenti, ecco che Renzi toglie dal vocabolario di Italia viva la parola «rimpasto». «Guai a voi — dice ai maggiorenti del partito — se qualcuno evoca di nuovo il rimpasto di governo. Stop, fine, non ci interessa più». La battaglia finale tra lui e Conte riguarda la governance del Recovery fund e solo quella. «Voi non avete idea dei messaggi che sto ricevendo nelle ultime ore su questo fronte», confida l’ex premier. «Gente di sinistra-sinistra, autorevoli esponenti dei comitati del No al referendum del 2016, persone con cui ho battagliato per anni e che adesso mi chiedono “non ti fermare, non accettare questo esproprio dei poteri del Parlamento e del governo”».
1.Quando scatta la vaccinazione in Italia? La data di inizio della campagna è legata alle autorizzazioni che devono essere rilasciate dall’agenzia regolatoria europea per i medicinali (Ema) alle aziende Pfizer/Biontech e Moderna. L’ente di Amsterdam si riunirà in via straordinaria per «perfezionare la valutazione» sui due farmaci rispettivamente il 29 dicembre e il 12 gennaio. La distribuzione delle dosi ai Paesi dell’Ue che le riceveranno sulla base di accordi presi dalla Commissione partirà subito dopo.
2. Quali sono i tempi? Una iniziale disponibilità di 28 milioni di dosi entro la fine di marzo sarà sufficiente per garantire la profilassi a quasi 6,5 milioni di italiani appartenenti alle categoria ritenute più urgenti: operatori sanitari (1.404.037), personale e ospiti Residenze sanitarie (570.287), anziani sopra gli 80 anni (4.444.048).
3. Quanto durerà la campagna? Con l’arrivo di altre dosi il vaccino andrà alle altre fasce di popolazione: persone tra 60 e 79 anni, cittadini con almeno una malattia cronica, insegnanti, lavoratori di servizi essenziali, carceri. Tra terzo e quarto trimestre saranno protetti la maggior parte degli italiani. L’Italia ha acquistato oltre 202 milioni di dosi (anche di AstraZeneca che ieri ha annunciato la pubblicazione su Lancet di dati sull’efficacia: 70%) sufficienti per vaccinare due volte ogni cittadino (seconda dose a un mese dalla prima) e tenere delle scorte. In base ad accordi preliminari sono previsti i quantitativi di Johnson and Johnson, Sanofi/Gsk e Curevac.
4. Bisognerà prenotarsi? È in corso di realizzazione una app per prenotarsi e
monitorare eventuali reazioni avverse con un sistema di
farmacovigilanza. L’applicazione manderà l’avviso sulla data del
richiamo.
5. Il vaccino è obbligatorio? No, è su base volontaria. Il presidente Sergio Mattarella si sottoporrà alla profilassi quando verrà il suo turno in base all’età, «senza scavalcare l’ordine di precedenza». Il quotidiano Il Foglio ha lanciato un appello per chiamare cariche istituzionali e i politici alla vaccinazione e molti hanno già aderito.
6. Le fiale possono essere acquistate in farmacia? No,
la vaccinazione sarà gratuita per tutti quindi quest’anno le dosi non
andranno in vendita. È prevista una campagna di sensibilizzazione
affinché i cittadini si convincano dell’importanza della profilassi e
contribuiscano al raggiungimento della cosiddetta immunità di gregge: il 70% degli italiani vaccinati.
7. Si andrà dal medico di famiglia, al pediatra o alla Asl? Nella prima fase il vaccino sarà portato sotto il controllo delle forze armate in 300 centri ospedalieri dall’hub dell’aeroporto di Pratica di Mare, dove arriveranno i quantitativi. Ci saranno unità mobili che si muoveranno poi da questi 300 centri per portare le dosi a destinazione, ad esempio nelle Rsa. In una seconda fase il vaccino sarà presente in 1500 punti di somministrazione e le unità mobili lo porteranno da qui a casa delle persone anziane o con problemi di salute impossibilitate a muoversi.
8. Come mai il Regno Unito è partito prima? Dopo
la Brexit l’ente regolatorio britannico Mhra è indipendente dall’Ema.
Per questo il 2 dicembre ha potuto autorizzare l’uso in emergenza del
vaccino Pfizer/Biontech. Negli Stati Uniti, l’agenzia americana Fda ha
fissato la riunione del suo comitato Vrbpac (Vaccines and related biological products advisory committee) per il 10 dicembre e il 17 dicembre darà il parere sul vaccino di Moderna
9. Quali altri Paesi hanno già avviato le vaccinazioni? In Russia è cominciata da alcuni giorni la somministrazione gratuita di Sputnik V,
creato dall’istituto Gamaleya che Mosca ha autorizzato secondo una
procedura autonoma, sperimentato su 40mila soldati volontari. La Russia
ha stipulato accordi per la produzione di 100milioni di dosi, vendute
anche all’Ungheria.
10. E la Cina? Il Paese dove è nata l’epidemia circa un anno fa dispone di almeno 5 vaccini prodotti da industrie locali. Ne ha promesso una fornitura ai Paesi amici (Corea del Nord, Iran). Israele riceverà giovedì le prime dosi da Pfizer già questa settimana dopo il presunto via libera del 10 dicembre. Tutti i piani vaccinali indicano gli anziani come prima categoria da difendere.
Acqua alta a Venezia, paesi
isolati in provincia di Bergamo, allerta contro le piogge in Campania:
tutta l’Italia sta facendo in queste ore i conti con le conseguenze del
maltempo dopo che una nuova perturbazione è arrivata sull’Italia.
Pioggia e neve, seppur di debole intensità, accompagneranno anche la
giornata di giovedì, secondo quanto comunicato dal bollettino
dell’Aeronautica Militare. Interessata saranno in particolare le regioni
dell’Italia Nord occidentale.
Fermo il Mose, Venezia sott’acqua
Venezia è stata investita nella mattinata di martedì da un’onda di marea di 137 centimetri che ha sommerso buona parte della città. Questa volta il Mose non è entrato in funzione: le previsioni indicavano infatti un’acqua alta di portata inferiore, Il centro Maree del Comune di Venezia prevede una crescita del livello fino a 145 centimetri. «La situazione è terribile, siamo sotto l’acqua in maniera drammatica» dice Carlo Alberto Tessein, Procuratore della Basilica di San Marco. «Il nartece è completamente allagato – spiega, raccontando i danni nell’edificio sacro – e se il livello sale ancora andranno sotto anche le cappelle interne». I bollettini prevedevano in laguna un rialzo del mare di 120 centimetri, insufficiente a far alzare le paratoie del Mose, che entrano in azione da 130 in su. Quando l’acqua ha invaso la città, era ormai troppo tardi per far entrare in azione il sistema di dighe mobili. A complicare la situazione c’è stato il vento di bora che ha soffiato con intensità su tutto l’Alto Adriatico, determinando la marea eccezionale.
l professore a L’aria che tira su La7: «Siamo in una situazione grave stabile, ci attende un inverno preoccupante» – Ansa /CorriereTv
“Siamo in una situazione grave stabile, ci attende un
inverno preoccupante”. Così il professor Andrea Crisanti a “L’aria che
tira”. “Il calo dei positivi di ieri è legato al numero dei tamponi, se
avessimo fatto il consueto numero, avremmo avuto 28mila nuovi casi. In
Lombardia, che è stata zona rossa, la situazione è in miglioramento. In
Veneto, zona gialla, i casi aumentano – continua Crisanti – si tratta di
una sorta di paradosso. Una regione preparata dal punto di vista
sanitario, viene classificata zona gialla e adotta misure più blande,
consentendo una maggiore circolazione del virus. Alla fine di questa
esperienza, gli indicatori di queste zone andrebbero ripensati. Dovremmo
scegliere il nostro obiettivo: se mantenere l’attività economica o
tutelare la salute. Bisogna trovare il giusto compromesso”. Il quadro
delineato dal virologo non è certo dei migliori: “Alla fine della
prossima settimana saremo il paese con più morti in Europa, non è una
cosa di cui essere orgogliosi. Il Natale? Va sfruttato per ridurre i
contagi. Le scuole saranno chiuse e le fabbriche quasi ferme, dobbiamo
ridurre al minimo i contatti inutili”. Poi la chiosa finale: “La terza
ondata? Ormai è una certezza in questa situazione, non c’è bisogno di
previsioni”.
In Italia, dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, almeno 1.757.394 persone (compresi guariti e morti) hanno contratto il virus Sars-CoV-2: i nuovi casi sono 14.842, +0,8% rispetto al giorno prima (ieri erano +13.720), mentre i decessi odierni sono 634, +1% (ieri erano +528), per un totale di 61.240 vittime da febbraio. Le persone guarite o dimesse complessivamente sono 958.629: 25.497 quelle uscite oggi dall’incubo Covid, +2,7% (ieri erano +19.638). E gli attuali positivi — i soggetti che adesso hanno il virus — risultano essere in totale 737.525, pari a -11.294 rispetto a ieri, -1,5% (ieri erano -6.487). La flessione degli attuali positivi
— sono in calo e con il segno meno davanti — dipende dal fatto che i
guariti, sommati ai decessi, sono in numero maggiore rispetto ai nuovi
casi.
I tamponi sono stati 149.232, ovvero 38.015 in più rispetto a ieri quando erano stati 111.217. Mentre il tasso di positività è del 9,9% (l’approssimazione di 9,945%): vuol dire che su 100 tamponi eseguiti meno di 10 sono risultati positivi;
ieri era del 12,3%. Questa percentuale dà l’idea dell’andamento dei
contagi, indipendentemente dal numero di test effettuati. Qui la mappa del contagio in Italia.
Più contagi in 24 ore rispetto a ieri, a fronte di più tamponi. È «l’effetto post-weekend» per via del maggior numero di analisi effettuate lunedì (sono quelle comunicate oggi) rispetto al fine settimana. Benché il picco sia stato superato a metà novembre, l’incidenza dei casi rimane alta. «La terza ondata è ormai una certezza — dice il professor Andrea Crisanti —. Alla fine della prossima settimana saremo il Paese con più morti in Europa». Per portare l’epidemia sotto controllo ci devono essere non più di cinque-diecimila casi giornalieri e il tasso di positività (il rapporto di casi su tamponi) deve scendere sotto il 10%. E oggi siamo a un tasso sotto il 10%, anche se di poco. Una buona notizia. Gli esperti comunque raccomandano prudenza fino al vaccino.
I ricoverati nei reparti Covid ordinari sono 30.081 in totale: i posti letto occupati sono -443 rispetto al giorno prima (ieri +133). Mentre i malati più gravi in terapia intensiva (TI) sono 3.345 in totale: i posti letto occupati in rianimazione sono -37 rispetto al giorno prima (ieri -72), ma sono entrate +192 persone in questo reparto (ieri +144): vuol dire che nelle ultime 24 ore sono usciti dalle TI 229 pazienti (192+37) in quanto migliorati o deceduti.
La maggioranza degli italiani boccia lo
sciopero dei dipendenti pubblici. Come è noto, è stata promulgata per
mercoledì (forse non casualmente subito dopo una giornata festiva e, per
molti, dopo un «ponte») una astensione dal lavoro per tutti i
dipendenti pubblici: i sindacati hanno infatti giudicato insufficiente
lo stanziamento previsto nella manovra economica di fine anno per il
rinnovo contrattuale, ritenendo che i soldi destinati all’aumento delle
retribuzioni non bastino.
Lo
sciopero è stato subito largamente criticato, sia perché, come ha
dimostrato l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, diretto da Carlo
Cottarelli, le retribuzioni dei dipendenti pubblici italiani sono in
linea con quelle degli altri paesi avanzati e non si distanziano
eccessivamente da quelle dei privati, sia, specialmente, perché i
dipendenti pubblici sono stati tra le categorie più garantite in questo
periodo di difficoltà e la situazione attuale non appare la più adatta
per una protesta di tipo economico. Mentre molti lavoratori autonomi e
anche molti dipendenti privati hanno visto notevoli decurtazioni di
reddito e, spesso, minacce alla stabilità del posto di lavoro, i
dipendenti pubblici hanno avuto garanzia di remunerazione e impiego. Ma,
nonostante la diffusa disapprovazione e malgrado una convocazione
dell’ultim’ora da parte della Ministra della PA, i sindacati hanno
confermato lo sciopero.
Tuttavia, come si è detto, l’opinione
pubblica, nella sua maggioranza, non è d’accordo. Lo mostra un sondaggio
condotto ieri su un campione rappresentativo degli italiani oltre i 17
anni dall’Istituto Eumetra (per conto della trasmissione «Quarta
Repubblica» condotta da Nicola Porro). Il 51% dei rispondenti dichiara
«ingiusto lo sciopero». Ma non tutti i restanti sono invece d’accordo.
Approva infatti l’astensione dal lavoro il 37%, mentre il 12% non vuole o
non sa esprimere un parere. Questi esiti appaiono sostanzialmente
simili in tutte le regioni d’Italia, dal Nord al Sud.
Osservando più da vicino le caratteristiche di chi supporta le opposte posizioni, si prospettano due fenomeni significativi: