Archive for Dicembre, 2020

Arcuri: “Un miliardo e mezzo di siringhe per il vaccino”

venerdì, Dicembre 11th, 2020

di Corrado Zunino

ROMA – Si è chiuso l’ultimo Banco Arcuri, quello sulle siringhe necessarie per iniettare il vaccino anti-Covid. “Abbiamo registrato dati molto positivi”, dice il commissario per la lotta al coronavirus. C’è la possibilità di utilizzare, spiega, un miliardo e mezzo di siringhe: ventidue imprese hanno fatto sessantacinque offerte. “Abbiamo chiesto 158 milioni di siringhe e abbiamo ricevuto proposte per dieci volte tanto. Sono risultati migliori di quanto ci aspettavamo”. Il numero esatto delle disponibilità è pari a 1,524 miliardi.

Un terzo delle siringhe, sostiene Arcuri, sono già inserite nei database del ministero della Salute e, quindi, immediatamente utilizzabile. Le consegne arriveranno già a dicembre: “Lavoreremo durante tutte le feste”. Per quanto riguarda il Lotto uno, quello del vaccino Pfizer, che richiede cilindri con stantuffo più performanti, “abbiamo ricevuto diciotto offerte, alcune italiane, alcune europee, altre dagli Usa e da diversi Paesi del mondo per un totale di 828 milioni”. Ne servono solo 150, di milioni. 

Vaccino, Arcuri: “Pronti a somministrazione rapida dal 29 dicembre se Ema autorizzerà Pfizer”

Per i lotti 2 e 3, le siringhe per diluire, ci sono state quarantasette offerte per 696 milioni di pezzi, a fronte di una necessità pari a 8 milioni.

Ancora, i diluenti: tre produttori italiani e un quarto straniero hanno offerto globalmente 9,4 milioni di solventi a fronte di un bisogno di 6,5 milioni. “Il bando è definitivamente soddisfacente, ora passiamo a controllare i prezzi”.

Domenico Arcuri rivela che potrebbe esserci un V-Day per il vaccino in tutta Europa, “gli altri Paesi non partiranno prima di noi”. E dice: “Noi saremo pronti dal 29 dicembre con il vaccino Pfizer e dal 12 gennaio con quello Moderna. Avvertiremo tutti gli italiani, non lasceremo nessuno per strada”, ma un’eventuale terza ondata “creerebbe problemi alla campagna di vaccinazione“.

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Europa, Bce e debito pubblico, quei 16 mesi all’Italia per mettersi in sicurezza

venerdì, Dicembre 11th, 2020

di Federico Fubini

Europa, Bce e debito pubblico, quei 16 mesi all'Italia per mettersi in sicurezza

Adesso, se non altro, sappiamo che abbiamo 485 giorni. Un anno e quattro mesi per iniziare a metterci in sicurezza. Dopo, ad aspettare l’Italia non ci sono necessariamente precipizi. Ci sono domande, ciascuna delle quali ha risposte possibili; ma tutte serie, tutte tali da diventare ogni mese un po’ più pressanti per il Paese e per il governo.

Il conto alla rovescia di 485 giorni lo ha fatto partire giovedì Christine Lagarde, la presidente della Banca centrale europea. La francese ha annunciato che il programma di emergenza di acquisto di titoli di Stato, lanciato con la pandemia in marzo scorso, viene esteso a fine marzo 2022 con una dotazione rafforzata fino a altri 500 miliardi di euro. Potrebbe proseguire anche dopo, se la situazione lo giustificasse, ma Lagarde ha lasciato capire che non se lo aspetta: tra un anno i vaccini dovrebbero aver prodotto l’immunità di gregge in area euro e l’economia potrebbe ripartire in condizioni quasi normali; dunque fra sedici mesi si dovrebbe poter sospendere la continua e abbondante aggiunta del sempre nuovo nutrimento artificiale che oggi serve a far funzionare i governi nell’emergenza.

Fino ad oggi, è andata così. Banca d’Italia detiene a questo punto il 20,5% di tutto il debito pubblico italiano dopo averne comprato da gennaio a settembre, su mandato della Bce, per altri 135 miliardi. Così Francoforte quest’anno ha finito per finanziare il governo di Roma per ben più dell’enormità (110 miliardi) che il governo ha stanziato a debito per cassa integrazione, ristori, garanzie, crediti d’imposta, cancellazioni di tasse, sanità, enti locali, Alitalia, bonus baby sitter, ristrutturazioni, biciclette, monopattini e molto altro.

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Divieti Covid dal 21 dicembre, la fuga al Sud dei professori: «Scuole a rischio chiusura»

venerdì, Dicembre 11th, 2020

di Giovanna Maria Fagnani

Divieti Covid dal 21 dicembre, la fuga al Sud dei professori: «Scuole a rischio chiusura»

Gli studenti in uscita dall’istituto Cardarelli Massaua. Le elementari e le medie faranno lezione in classe anche lunedì e martedì shadow

L’ultimo dpcm è stato varato il 3 dicembre e la mattina dopo, sul tavolo di Maddalena Di Muccio, preside all’istituto comprensivo Capponi, è arrivata la prima richiesta di ferie di una docente. L’insegnante vorrebbe assentarsi a partire dal 19 dicembre. Ora le domande sono una decina, ovvero riguardano circa un quarto del personale. Sono i docenti — spesso precari e fuorisede — che vogliono partire prima del blocco degli spostamenti tra regioni legato alle norme di contenimento della pandemia che scatterà lunedì 21 dicembre. Ma sia lunedì che martedì 22 le scuole saranno regolarmente aperte. Con un numero così alto di assenze, in questo periodo in cui ci sono anche altre restrizioni (per esempio, non si può dividere una classe), per garantire un orario regolare la scuola dovrebbe fare i salti mortali. La preside potrebbe a questo punto decidere di rifiutare i permessi. Ma teme che lunedì 21, all’avvio delle lezioni in mattinata, arrivino certificati di malattia dell’ultim’ora. «Come potrei assicurare le attività didattiche se si verificasse un esodo di massa come nel primo lockdown? Non avrei nemmeno il tempo di avvisare i genitori» dice Di Muccio che, in questi giorni, ha raccolto la preoccupazione di molti altri suoi colleghi. E fa un appello al presidente della Regione Attilio Fontana: «Vorrei che il governatore chiedesse al governo una deroga, in modo che siano garantiti sia il diritto allo studio dei ragazzi, sia la possibilità per loro e per gli insegnanti di raggiungere i familiari che vivono in altre regioni. Si tratta nella maggior parte dei casi di lavoratori stabili nella precarietà, ovvero che insegnano qui da anni e quindi hanno spostato qui la residenza, ma che sono soli».

La stessa preside è originaria di Alife (Caserta), dove è stata anche sindaco facente funzione per un anno e mezzo («E poi per nove anni consigliere d’opposizione» aggiunge).

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Spostamenti tra Comuni: sì a Natale e Capodanno (ma si valuta il limite provinciale)

venerdì, Dicembre 11th, 2020

di Fiorenza Sarzanini

Alla fine il governo decide di tornare indietro sulla norma più contestata: il divieto di spostamento tra i Comuni il giorno di Natale. Ma sui dettagli la partita è ancora aperta. Soprattutto «per evitare che la dega possa trasformarsi in un via libera generalizzato»,come sottolineano i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza che insistono sulla necessità di «non sprecare quanto fatto finora, non rischiare che le prossime settimane ci riportino a quanto accaduto durante l’estate con l’impennata di contagi da Covid 19». Mentre sindaci e governatori firmano ordinanze restrittive, si valutano varie ipotesi per consentire alle famiglie di trascorrere insieme i giorni di festa.

La mozione

La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha convocato per lunedì prossimo la conferenza dei capigruppo per far discutere in aula il 16 dicembre la mozione del centrodestra che prevede proprio l’abolizione della norma. Le divisioni all’interno dell’esecutivo, le pressioni dell’opposizione e di numerosi sindaci e governatori tra cui Attilio Fontana, Giovanni Toti e Alberto Cirio, hanno convinto il presidente del Consiglio a revocare il divieto e per questo si è deciso di presentare al Parlamento un provvedimento di modifica al decreto già in discussione che regola gli spostamenti fino al 15 gennaio 2021. Gli uffici legislativi di palazzo Chigi e dei vari ministeri sono al lavoro per individuare la strada più veloce, ma che non si presti a «diventare contenitore per altre misure di allentamento».

Dentro la Regione

Il decreto entrato in vigore il 4 dicembre prevede il divieto di spostamento il 25 e il 26 dicembre e il 1° gennaio 2021. Per chi si è mosso prima di queste date è però sempre previsto il ritorno presso la propria residenza, il domicilio o l’abitazione. La richiesta, formalizzata negli ultimi giorni anche dal presidente dell’Unione delle province era che ci fosse «almeno una deroga all’interno del territorio provinciale». Quando arriverà la modifica rimarrà comunque in vigore il divieto di spostarsi tra le Regioni, anche se si trovano in fascia gialla. E dunque bisognerà rimanere all’interno della propria.

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Ue, c’è l’accordo su Recovery Fund e Next Generation Eu | Conte: “Si sbloccano 209 miliardi per l’Italia”

venerdì, Dicembre 11th, 2020

I leader dell’Unione europea hanno raggiunto all’unanimità l’accordo sul Recovery Fund e sul Next Generation Eu. Lo ha reso noto il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. “Ora possiamo cominciare con l’attuazione e la ricostruzione delle nostre economie. Il nostro monumentale pacchetto di ripresa guiderà la transizione verde e digitale”, ha aggiunto. Soddisfatti Conte e von der Leyen.

Superati i veti di Ungheria e Polonia Il Consiglio europeo di Bruxelles ha quindi adottato le conclusioni sul Quadro finanziario pluriennale (il bilancio comunitario 2021-2027) e sul Meccanismo di condizionalità dello stato di diritto, sbloccando i veti ungherese e polacco che interessavano anche il pacchetto di Recovery “Next Generation EU”.

Conte: “Sbloccate le ingenti risorse destinate all’Italia” Soddisfatto il premier Giuseppe Conte, che su Twitter ha scritto: “E’ stato raggiunto in Consiglio europeo l’accordo definitivo sul Next Generation EU. Questo significa poter sbloccare le ingenti risorse destinate all’Italia: 209 miliardi. Approvato anche il Bilancio pluriennale. Ora avanti tutta con la fase attuativa: dobbiamo solo correre!”.

Von der Leyen: “L’Europa va avanti” “L’Europa va avanti!”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dopo l’accordo. “1.800 miliardi per alimentare la nostra ripresa e costruire una Ue più resiliente, verde e digitale – ha aggiunto -. Congratulazioni alla presidenza tedesca del Consiglio”.

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Covid, rallentano i nuovi casi ma crollano i tamponi: rischio terza ondata

giovedì, Dicembre 10th, 2020

I nuovi casi di Covid diminuiscono ma si riducono anche i tamponi. Scendono sia gli attualmente positivi e i ricoveri, come anche i decessi, ma dietro questo dati il Gimbe non vede segnali confortanti. Il monitoraggio della fondazione sulla pandemia nella settimana 2-8 dicembre, pur confermando il rallentamento della crescita, mette in luce la netta e ingiustificata riduzione di tamponi. 

Giù i nuovi casi, ma giù anche i tamponi – I nuovi casi sono 136.493 contro i 165.879 della settimana precedente, ma a fronte di una riduzione di 121mila casi testati (551.068 contro i precedenti 672.794) e di una sostanziale stabilità nel rapporto tra positivi e casi testati (24,8% contro 24,7%). Gli attualmente positivi diminuiscono del 5,4% (737.525 contro 779.945), come anche i ricoveri con sintomi (30.081 contro 32.811), le terapie intensive (3.345 contro 3.663) e i decessi (4.879 contro 5.055) 

“Sovrastimato l’effetto delle restrizioni” – I segnali di rallentamento del contagio “si confermano anche questa settimana – spiega il presidente Nino Cartabellotta -, dall’incremento percentuale dei casi totali (8,4% contro l’11,4% a livello nazionale) al numero dei nuovi casi settimanali, ma l’effetto non è dovuto solo alle misure introdotte”. Il riferimento è soprattutto nella riduzione dei test. Se quindi, chiarisce Cartabellotta, è vero che “le restrizioni hanno frenato il contagio”, è altrettanto vero che “l’effetto delle misure sull’incremento dei nuovi casi è sovrastimato dalla consistente riduzione dei test”. La discesa della curva quindi, precisa, “sarà molto lenta, certo non paragonabile a quella della prima ondata”. 

Attualmente positivi, casi e test – Gli attualmente positivi diminuiscono molto lentamente. Dal record di 124.575 casi testati in media al giorno nella settimana 4-11 novembre a quella del 2-8 dicembre il decremento dei test è stato del 36.8% (-45.851 casi al giorno), Scende anche la riduzione dei tamponi totali, da una media di 214.187 al giorno tra il 12 e il 17 novembre ai 179.845 tra il 2 e l’8 dicembre (calo medio giornaliero di 27.907 tamponi (-13,4%). 

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Brexit, l’Ue si prepara per il No deal. Piano d’emergenza per trasporti aerei, stradali e pesca

giovedì, Dicembre 10th, 2020

di Francesca Basso

Brexit, l'Ue si prepara per il No deal. Piano d'emergenza per trasporti aerei, stradali e  pesca

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen

Alla fine sono arrivate le misure di emergenza per mantenere i collegamenti arerei e stradali di base tra Ue e Regno Unito e permettere l’accesso reciproco alla pesca da parte delle navi britanniche e dell’Unione. Era da giorni che alcuni Stati membri chiedevano alla Commissione europea di comunicarli ma Bruxelles aveva temporeggiato per non dare un segnale di chiusura durante i negoziati per l’accordo commerciale post Brexit. Il 31 dicembre scade il periodo di transizione, il tempo stringe e la cena mercoledì sera a Bruxelles tra la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il premier britannico Boris Johnson non ha portato progressi. È von der Leyen, a comunicarlo su Twitter: «I negoziati sono ancora in corso ma la fine della transizione è vicina. Non vi è alcuna garanzia che se e quando verrà trovato un accordo possa entrare in vigore in tempo. Dobbiamo essere preparati anche per non avere un accordo in vigore il primo gennaio. Oggi presentiamo le misure di emergenza». Lo scopo delle misure di emergenza è quello di far fronte al periodo durante il quale non è in vigore alcun accordo. Commissione, Consiglio e Parlamento Ue dovranno lavorare a stretto contatto per facilitare l’entrata in vigore dei regolamenti proposti dal primo gennaio.

Le misure

La Commissione spiega che sebbene uno scenario senza accordo causerà interruzioni in molte aree, alcuni settori saranno colpiti in modo sproporzionato a causa della mancanza di soluzioni di riserva adeguate e «perché in alcuni settori le parti interessate non possono adottare misure di mitigazione». Per questo Bruxelles propone quattro misure di emergenza «per mitigare alcune delle interruzioni significative che si verificheranno il primo gennaio nel caso in cui un accordo con il Regno Unito non sia ancora in vigore».

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Addio a «Pablito» Rossi, è stato l’immagine di un Paese intero

giovedì, Dicembre 10th, 2020

di Daniele Dallera

Addio a «Pablito» Rossi, è stato l'immagine di un Paese intero

Il suo sorriso ci ha fatto compagnia, ad ogni suo gol braccia al cielo si festeggiava. Ed è stata grande la festa in Spagna, 1982, grazie a Paolo Rossi, Pablito per tutti. Campioni del mondo grazie ai suoi gol, spesso furtivi, nati sempre da un guizzo, costruiti con intelligenza e talento. Se ne va troppo presto, a 64 anni, tradito dal solito male. Ha combattuto, ma non ce l’ha fatta, nascondendo il suo dolore e le sue sofferenze.
stato l’immagine di un Paese intero, di una Nazionale che sapeva soffrire e vincere: quella di Enzo Bearzot. Ragazzi eccezionali, Cabrini, Tardelli, Graziani, Beppe Bergomi, tutti vestiti d’azzurro, ma lui era più eccezionale degli altri. Una faccia pulita, anche se sporcata dal calcio scommesse, da una lunga squalifica, dalla sofferenza per quel ginocchio che per un niente saltava, ma la sua faccia piaceva a tutti. Era diventato il giocatore più popolare del mondo, sicuramente per le sue vittorie e per le corse liberatorie dopo ogni gol, ma anche per un carattere donato alla compagnia. Enzo Bearzot lo aveva aspettato, aveva atteso la sua rinascita, contro e contro tutti: ha avuto ragione l’uomo con la pipa sempre accesa, dopo un inizio timido in quella Spagna mondiale, Paolo Rossi si è rivelato l’arma in più di quell’Italia capace di fare gruppo, di lottare contro il gossip, di chiudersi in silenzio, rispettarlo fino all’ultimo, perché era lì, in quelle poche parole dette tra loro, e solo a loro, in quei messaggi filtrati dal portierone Dino Zoff, il loro ambasciatore, l’unico che aveva diritto di parola, proprio lui che le aveva sempre centellinate, che è nata l’impresa Mondiale.

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Caso Regeni, accuse a quattro 007 egiziani

giovedì, Dicembre 10th, 2020

La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta relativa alla vicenda di Giulio Regeni. I pm hanno emesso quattro avvisi di chiusura delle indagini, che precede la richiesta di processo, per appartenenti ai servizi segreti egiziani. Le accuse , a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Chiesta l’archiviazione per una quinta persona, sempre 007 del Cairo. Tra i reati contestati a uno dei presunti sequestratori c’è anche l’omicidio. La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta sui presunti responsabili, dopo due anni di indagini, durante i quali a più riprese era stata chiesta la collaborazione da parte degli inquirenti egiziani, che mai hanno fornito, ad esempio, gli indirizzi degli indagati per notificare loro gli atti. Sono tutti accusati di sequestro e uno di loro risponde anche di lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017) e concorso in omicidio aggravato. Chiesta l’archiviazione per un quinto agente.

Ancora pochi giorni fa la magistratura egiziana aveva definito «insufficienti» le prove raccolte dagli inquirenti italiani e aveva rilanciato la pista della «banda criminale» che avrebbe aggredito Regeni solo per derubarlo dei documenti. Giulio venne rapito la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo tante false piste si susseguirono: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l’aveva portato a farsi dei nemici.

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«Sanità senza risorse Ue, a pagare di più sarà il Sud». Cartabellotta (Gimbe): così continuerà il turismo medico al Nord

giovedì, Dicembre 10th, 2020

di Francesco Malfetano

«Nove miliardi per rilanciare il sistema sanitario è una cifra che non sta né in cielo né in terra». Per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, i pochi fondi destinati al sistema sanitario nazionale secondo l’ultima bozza del Recovery Plan circolata «sono cifre inspiegabili».

Solo negli ultimi dieci anni «abbiamo subito tagli che hanno sottratto 37 miliardi alla Sanità pubblica, rendendola non all’altezza – spiega – una situazione che con la Pandemia è diventata evidente per tutti». E che, peraltro, è anche peggiorata perché sono emerse nuove necessità. «Se sommiamo questo al fatto che l’ultima riforma risale al 1999 (per cui bisogna considerare anche i cambiamenti degli ultimi 21 anni) si capisce come un piano da 9 miliardi faccia acqua da tutte le parti».

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Dottor Cartabellotta, eppure una strategia d’intervento più ampia c’era. Nel piano elaborato dal ministero della Salute si parlava di circa 64 miliardi di euro destinati al Ssn.
«Sì ma senza una riforma strutturale, al di là delle risorse, anche in quel caso si tratterebbe solo di un costosissimo lifting. La linea del ministro Speranza, nei temi e negli obiettivi, può essere considerata giusta ma mancano molti passaggi per renderla efficace. Il processo giusto avrebbe previsto prima una discussione sulla riforma strutturale, poi la creazione della programmazione sanitaria che ne consegue e solo in ultimo finalizzare gli investimenti. Noi pare che facciamo il contrario».

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