Archive for Gennaio 18th, 2021

Caso Pfizer, una beffa i contratti firmati dalla Ue: ora rischio seconde dosi

lunedì, Gennaio 18th, 2021

La corsa ai vaccini, con i Paesi di tutto il mondo che stanno sgomitando per accaparrarsi il numero più alto possibile di dosi, ha consegnato il famigerato coltello dalla parte del manico alle compagnie farmaceutiche. Quando la Commissione europea ha siglato i contratti per i 27 Paesi membri ha dovuto accettare alcune condizioni imposte dai sei gruppi con i quali ha raggiunto l’intesa. APPROFONDIMENTI


Il contratto


Una su tutte: in autunno non c’era la garanzia del risultato, ad esempio Sanofi ha rinviato a fine 2021 la conclusione della sperimentazione; AstraZeneca ha avuto dei problemi. Dunque, nessuna compagnia farmaceutica si è impegnata sull’esito finale. Questo vale anche per Pfizer che ha un vincolo nelle forniture trimestrali (per l’Italia, ricordiamolo, deve consegnare 8.749.000 dosi entro il 31 marzo, altre 8.076.00 entro il 30 giugno), ma di fatto ha totale libertà di scelta nella cadenza degli invii.

C’è di più: Pfizer sta decidendo, a sua discrezione, a quali centri di vaccinazione inviare più dosi, a quali meno. Questo sta facendo infuriare i governatori perché vi sono Regioni come l’Abruzzo e l’Umbria che non hanno una diminuzione delle forniture, altre come il Lazio che registrano un taglio del 25 per cento, altre ancora come Veneto e Friuli-Venezia Giulia che hanno visto dimezzare gli arrivi di fiale.

In questo modo, diviene complicato garantire una regolare somministrazione della seconda dose a chi è stato vaccinato. Il richiamo deve avvenire dopo tre settimane; ieri allo Spallanzani, a Roma, alcuni degli operatori hanno ricevuto la seconda iniezione. Il Lazio conta di attingere alla scorta del 30 per cento che aveva tenuto nei congelatori, ma altre Regioni potrebbero avere molte più difficoltà.

L’ufficio del Commissario straordinario per l’emergenza ieri ha confermato i numeri: «In modo del tutto arbitrario Pfizer ha deciso come ridistribuire la nuova fornitura» e «a fronte delle 562.770 dosi previste, ne verranno consegnate 398.800». «Questa decisione – si legge ancora nella nota della struttura commissariale – non condivisa né comunicata ai nostri uffici produrrà un’asimmetria tra le singole regioni».


Le dosi Pfizer in meno


Su scala nazionale il taglio è del 29 per cento, in termini assoluti Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto con circa 25mila dosi sono le regioni più colpite, poi il Lazio con 12 mila e la Puglia con 11.700. Infuriato il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, la cui regione ha subito una riduzione del 54 per cento: «È inaccettabile: penso serva un riequilibrio, dove il taglio venga spartito in modo equanime nel Paese. Ho sentito Pfizer, mi dicono che dalla settimana successiva si dovrebbe tornare alla fornitura normale, ma se non abbiamo certezze il rischio è che dovremo decidere di rallentare la campagna vaccinale».

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Conte sotto la lente di Mattarella: gli scenari che si aprono per il governo

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Marzio Breda

La sorte del governo, e l’obbligo del Quirinale a gestire la crisi qualora si trasformasse da virtuale in formale, dipenderà da quello che Giuseppe Conte dirà tra oggi e domani in Parlamento. E anche da come lo dirà. Ecco che cosa vuole verificare Sergio Mattarella dopo la gran confusione sui negoziati in corso, per valutare quali possibilità abbia sul serio la resistenza del premier ad abbandonare la nave semiaffondata dell’esecutivo e, nell’ipotesi di un salvataggio in extremis, di assicurarsi per il futuro una navigazione non avventurosa. Non troppo, almeno, perché in questa stagione di plurime emergenze non possiamo permettercelo. Di sicuro, per lui, c’è solo che quello di martedì non sarà l’epilogo, ma l’inizio di una nuova fase dall’esito incerto.

Negli ultimi giorni un numero variabile di «responsabili» il premier lo ha trovato, anche se non sembra arrivare alla soglia che sperava. Perciò diventa politicamente cruciale per lui vedere come si comporterà Italia viva, che ha ventilato una disponibilità ad astenersi alla prova della fiducia, formula che nella storia repubblicana è sempre stata «un atto con cui si coopera al varo di un governo» (parecchi gli esempi, basta pensare all’Andreotti III, del 1976, maturato sulla «non sfiducia» del Pci).

E qui nasce il punto interrogativo che inquieta pure il Quirinale: come parlerà Conte a Renzi? Si taglierà i ponti dietro le spalle, rivolgendosi al senatore di Firenze con l’asprezza che usò verso Salvini, il 20 agosto 2019, quando il leader leghista annichilì l’alleanza gialloverde? O ricorrerà a qualche astuzia retorica, ignorando con nonchalance (ma ne servirebbe davvero tanta) l’accusa di aver creato «un vulnus democratico», per tenere la porta aperta a un’ipotetica collaborazione con Iv, se non addirittura al recupero del vecchio patto?

Tocca al premier sciogliere questi nodi, decisivi anche per gli scenari ai quali si sta preparando il capo dello Stato, che in questa fase si astiene del tutto dall’interferire perché non sia messo in dubbio il proprio ruolo istituzionale di garanzia, nel caso la crisi diventasse conclamata e dovesse gestirla in prima persona.

Ora, dato che la Costituzione non impone che i governi siano tenuti a battesimo da una maggioranza assoluta, che è di 161 voti al Senato, a Conte e ai suoi soccorritori riuniti sotto la bandiera di un gruppo parlamentare può bastare la maggioranza semplice (o relativa). Traguardo che si conquista con un voto in più di quelli messi insieme dall’opposizione. Esistono una trentina di precedenti, compresi un paio legati all’era berlusconiana, che vincolano Mattarella ad accettare — comunque lo giudichi — un simile risultato. Dal quale, per inciso, il premier uscirebbe automaticamente confermato al timone di Palazzo Chigi, senza bisogno di dimettersi e rinascere sotto la voce «ter». Tanto che, secondo la prassi, Conte potrebbe perfino non sentirsi in obbligo di salire al Quirinale, se non per cortesia, o per proporre un rimpasto, peraltro ampiamente prevedibile.

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Crisi di governo, l’ora del giudizio: al Senato Conte punta a quota 157

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Marco Galluzzo

ROMA — È arrivato il momento della verità. Lunedì alla Camera, alle 12, e martedì al Senato, Giuseppe Conte si rivolgerà al Paese e ai parlamentari, cercherà per quanto possibile di ignorare Matteo Renzi, e affronterà probabilmente il momento più difficile della sua carriera politica. I numeri sono ancora ballerini, almeno quelli del Senato. Se lunedì la fiducia alla Camera è garantita, martedì a Palazzo Madama può succedere di tutto, visto che la maggioranza viene data oscillante, al momento fra 151 e 157 voti, a seconda delle scelte dei singoli e delle trattative delle ultime ore.

Sia il Pd che i Cinque Stelle continuano a fare muro contro i renziani, all’insegna del «mai più» con un soggetto politico considerato «inaffidabile e irresponsabile». Ma nel frattempo si ripetono gli appelli ai cosidetti responsabili del Senato che possono ancora condizionare il futuro politico dell’esecutivo.

Due senatori dell’Udc sarebbero in bilico, così come due esponenti di Italia viva.

Anche Nicola Zingaretti si è rivolto alle «forze democratiche, liberali e europeiste», chiedendo unità «per salvare il Paese». Ma in questo momento l’unica certezza è quella di una maggioranza relativa, al Senato, non si sa quanto solida, e in qualche modo favorita, anche se appare un paradosso, dall’astensione dei renziani.

«Tutti gli scenari sono aperti», ammette con franchezza il ministro Peppe Provenzano. Anche se Italia Viva continua a perdere pezzi, sia pure soltanto alla Camera: dopo Vito De Filippo Michela Rostan oggi voterà la fiducia. Ma al Senato per il momento il gruppo di Italia Viva continua a rivendicare compattezza. I numeri certi a Palazzo Madama, a quanto emerge anche dopo un vertice di maggioranza con il ministro D’Incà e i capigruppo, parlano di 151 senatori. Ma fra senatori a vita, incerti dell’Udc e di Italia Viva si potrebbe arrivare anche a quota 157, addirittura 158. «Il mio obiettivo non è mai stato cacciare Conte ma non sarò compartecipe di disegni mediocri, voteremo le misure che servono al Paese ma non siamo in maggioranza. Se non ha 161 voti al Senato è un arrocco quello di Conte. E ho fatto solo quello che il Pd non ha avuto il coraggio di fare, pur condividendo in privato la mia posizione», sostiene Renzi.

Ma per il Pd e M5S la colpa della crisi porta solo il nome dell’ex premier. «Una cosa è rilanciare — attacca Nicola Zingaretti — un’altra è distruggere. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la possibilità di lavorare insieme». Il Pd in direzione dà il via libera al passaggio parlamentare di Conte, «è un dovere e non un diritto chiedere la fiducia», precisa il leader dem. E si aggiorna a dopo il passaggio al Senato per capire i passi successivi. «Non lasceremo mai gli italiani nelle mani di persone irresponsabili», è l’impegno di Luigi Di Maio mentre il M5S ripete ancora una volta per voce di Vito Crimi, Alfonso Bonafede e dei capigruppo, che «Renzi ha fatto una scelta molto grave che ha separato definitivamente le nostre strade».

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Il discorso di Conte alla Camera, oggi (che non sarà un processo a Renzi)

lunedì, Gennaio 18th, 2021

di Monica Guerzoni

Il discorso di Conte alla Camera, oggi (che non sarà un processo a Renzi)

Non sarà un j’accuse. L’avvocato non userà toni da processo, non tratterà Matteo Renzi come un imputato. E nell’aula di Montecitorio ammetterà di aver «fatto errori», magari anche tanti, ma non tali da giustificare una crisi al buio e la caduta del governo, mentre arriva la terza ondata del virus. «C’è in gioco il Paese» è il filo conduttore del discorso con cui Giuseppe Conte, alla prova decisiva del suo doppio mandato, spera di agguantare la maggioranza assoluta oggi alla Camera e di conquistare, domani al Senato, una fiducia che si avvicini il più possibile ai 161 voti.

Per vincere ne basta uno in più, ma il numero della maggioranza assoluta è la soglia politica e simbolica a cui il fondatore di Italia viva ha appeso le sorti del rivale: «Se non li ha è un arrocco». Sfida che il presidente del Consiglio proverà a vincere con un «discorso alto», limato fino a notte con maniacale cura per sbianchettare i passaggi più taglienti. Qualche pietruzza dalle scarpe Conte se la vuol togliere, ma non gli sembra il caso di riservare a Renzi lo stesso trattamento inflitto a Matteo Salvini il 20 agosto del 2019, dopo lo «schiaffo» del Papeete. L’aula anche domani sarà quella di Palazzo Madama, ma in un anno è mezzo è cambiato il mondo.

L’Italia piange oltre 82 mila morti di Covid e aspetta come una manna dal cielo i soldi del Recovery. Scenario che non permette polemiche sterili, però richiede chiarezza. Uscire dal governo dopo aver «posto «condizioni irrealizzabili» come il Mes è stata «una scelta grave» e il premier inviterà il leader di Italia viva ad «assumersi le sue responsabilità». Ma se bacchetterà Renzi per aver «compromesso gli interessi del Paese» in favore degli interessi politici del suo piccolo partito, ai parlamentari di Italia viva spalancherà porte e finestre.

La vigilia l’ha passata in casa, a soppesare e lucidare fino a notte ogni vocabolo del suo ecumenico appello agli italiani e a tutte (o quasi) le anime del Parlamento. Trasparenza, responsabilità, valori, «nuovo Umanesimo». E poi il ruolo dell’Europa, lo sviluppo sostenibile, la scuola, i cantieri… La riforma del fisco e quella della giustizia. A tutti, salvo ai sovranisti di Salvini e Meloni, il Conte «federatore» offrirà un «patto di legislatura». Agli europeisti, ai moderati, a chi ha creduto in Renzi e potrebbe pentirsi, ai liberali di Berlusconi, ai i 5 Stelle cacciati o usciti dal Movimento, fino al più irriducibile dei socialisti: immancabile la strizzatina d’occhio al senatore Riccardo Nencini, che può portargli in dote il simbolo del Psi.

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