Archive for Gennaio 21st, 2021

Un governo vero per uscire dalla paralisi

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di RAFFAELE MARMO

La classe politica consegna alla comunità nazionale il tempo della grande paralisi. Il premier Giuseppe Conte si intigna a governare con una maggioranza che non ha e si assegna come “vaste programme” (si fa per dire) quello di reclutare nuovi responsabili. Le opposizioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni rivendicano elezioni che sanno di non potere avere. Matteo Renzi non ha deciso se e come spendere la golden share che ritiene di aver conquistato. Il cosiddetto centro, tra Forza Italia e Udc, si mostra fragile e incapace di iniziative autonome. Il risultato è lo stallo irresponsabile proprio in una delle stagioni più terribili della storia del nostro Paese.

Ci sarebbe stato bisogno, mai come ora, di un salto di qualità nel dovere civico e nella consapevolezza morale della classe politica italiana del dramma epocale di una nazione e di un popolo che, nonostante tutto, affrontano l’emergenza sanitaria, economica e sociale del Coronavirus con grande dignità e forza di volontà collettiva. Ma non sembra questa la cifra che segna le azioni e le reazioni dei leader politici italiani lungo il più pericoloso tornante della storia mondiale.

E infatti non è certo questo genere di comportamenti che si sarebbe aspettato e si aspetta il Presidente della Repubblica, che in molteplici e ripetute occasioni ha richiamato tutti all’assunzione di una responsabilità più alta. A cominciare dallo stesso Conte: perché non sfugge a nessuno e di sicuro non sfugge al Colle che con la mini-maggioranza raccogliticcia ottenuta l’altro giorno al Senato il premier in carica non va da nessuna parte.

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Usa, il giuramento di Biden: “La democrazia ha prevalso”

giovedì, Gennaio 21st, 2021

Washington, 20 gennaio 2021 – Joe Biden ha giurato: è il 46esimo presidente degli Stati Uniti. “La democrazia ha prevalso“, sono le prime parole del presidente, “questa è la giornata dell’America, della democrazia, della storia, della speranza”. In una Washington blindata, dopo i disordini di Capitol Hill, Biden ha raggiunto la Casa Bianca a piedi mano nella mano con la moglie Jill, accompagnato da tutta la famiglia, dopo una cerimonia non tradizionale (qui tutti i dettagli della cerimonia) e il periodo di transizione (ecco perché passano due mesi dalle elezioni). Ed è una Washington che non vede il presidente uscente Donald Trump, il quale non ha partecipato al giuramento del successore. 

Il discorso del 46esimo presidente Usa

“Sarò il presidente di tutti gli americani“, “lotterò per chi ha votato per me come per chi non ha votato per me”. Joe Biden ha parlato come presidente degli Stati Uniti, in una cerimonia di insediamento diversa da tutte le altre, senza folla, per la pandemia da Coronavirus. Biden ha ricordato che la storia statunitense “non dipende da uno di noi ma da tutti noi. Noi, il popolo degli Stati Uniti d’America, dobbiamo cercare l’unione. Siamo brava gente e possiamo farcela”. “Lo so – ha dichiarato – parlare di unità può sembrare una folle fantasia in questi giorni. So che le forze che ci dividono sono profonde e reali. E so anche che non sono una novità. Ma l’unità è l’unica strada per andare avanti”. “C’è tanto da fare, da riparare, da ricostruire, da guarire, ma anche da guadagnare”, ha aggiunto Biden, riferendosi anche alla sfida della pandemia “che ha fatto perdere così tante vite e distrutto migliaia di posti di lavoro e attività imprenditoriali”. Poi ha citato anche le altre minacce come “il suprematismo bianco e il terrorismo interno“, garantendo che “saranno affrontati e sconfitti”. Ma ha lanciato l’appello: “Facciamo ripartire il futuro dell’America“, “difenderò la costituzione, l’America, lo farò tutto per voi. Insieme possiamo scrivere una storia americana di speranza e di unità“. Finito il discorso, Biden ha affettuosamente abbracciato Barack Obama. Poi è andato a salutate l’altro predecessore, George W. Bush, prima di lasciare la scalinata di Capitol Hill.

Insediamento Biden, il live minuto per minuto

Il giuramento di Joe Biden

Joe Biden ha giurato come 46esimo presidente degli Stati Uniti nelle mani del giudice capo della Corte Suprema, John Roberts, con la formula prevista all’articolo II, sezione 1 della Costituzione. “Io, Joseph Robinette Biden, giuro solennemente di adempiere con fedeltà all’ufficio di presidente degli Stati Uniti, e di preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti al meglio delle mie capacità. Che Dio mi aiuti“. Biden ha giurato su una Bibbia di famiglia, tenuta dalla moglie Jill, utilizzata sia per i due giuramenti da vicepresidente (2009 e 2013), sia per tutti i giuramenti da senatore, sin dal primo nel 1973. “E’ un nuovo giorno in America”, aveva twittato questa mattina, qualche ora prima della cerimonia.

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Dai dissidenti di Italia Viva ai centristi di Tabacci, le prove del nuovo gruppo

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Alessandro Trocino

Dai dissidenti di Italia Viva ai centristi di Tabacci, le prove del nuovo gruppo

ROMA — Si riparte dalle tre grandi famiglie politiche citate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quelle popolari, liberali e socialiste. Tre famiglie che però hanno un paio di problemi: sono poco numerose in Parlamento e soprattutto sono difficilmente conciliabili. Già, perché la maggioranza cerca disperatamente una quarta gamba che si aggiunga a Pd, M5S e Leu, dopo la defezione di Iv. La fiducia in Senato appena 156 voti — non basta per una navigazione tranquilla e allora ci si dà un paio di settimane per creare un’alchimia magica tra ex 5 Stelle, profughi di Forza Italia, socialisti, liberali, eletti all’estero. Tutti uniti, non proprio appassionatamente, per creare un nuovo gruppo di costruttori, cercando senatori che siano presenti anche nelle Commissioni, che altrimenti rischiano di paralizzare l’azione delle Camere.

Causin e Don Abbondio

Il perno centrale di questa formazione potrebbe essere il Centro democratico di Bruno Tabacci. Alla Camera — dove sono necessari almeno 20 deputati per costituire un gruppo — ha già 13 membri. Al Senato non c’è ancora, ma il simbolo potrebbe essere messo a disposizione da Tabacci. L’idea è quella di dare vita a una forza «contiana», centrista, europeista e antisovranista.
La scatola, dunque, si può trovare senza troppa difficoltà, ma poi bisogna trovare il modo di riempirla di contenuto. Anzi, come dice Andrea Causin, espulso da Forza Italia per aver votato la fiducia: «Prima dobbiamo trovare il materiale umano, poi penseremo al nome». Il «materiale umano» è scarso ed eterogeneo. Da Palazzo Chigi sperano in un effetto domino dal gruppo di Forza Italia, dopo gli arrivi di Causin e di Mariarosaria Rossi, la cui defezione non aveva solo motivi personali ma anche politici e che sembra promotrice di un progetto più ampio. Si parla di quattro senatori: Barbara Masini (che continua a smentire), Luigi Vitali, Anna Carmelo Minuto e Maria Virginia Tiraboschi. Usciranno dal gruppo? «Senza accusare nessuno, però, come diceva don Abbondio, il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare», dice Causin. Oltre al drappello indeciso di Forza Italia, c’è quello dei dissidenti di Italia Viva. E ci sono i due Udc Paola Binetti e Antonio Saccone (Antonio De Poli resterebbe nel partito, con la promessa di un collegio sicuro).

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Crisi di governo, Conte allarmato dai tanti «ni»: «Non offro posti». Ma sta lavorando al maxi-rimpasto

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Monica Guerzoni

ROMA Quando è sceso dal Colle più alto, Giuseppe Conte non aveva un’espressione allegra. C’è la stanchezza di giorni ad altissima tensione politica e nervosa e c’è, dentro le stanze di Palazzo Chigi, un’ansia diffusa e crescente che guasta la soddisfazione del pericolo scampato e non consente al presidente del Consiglio di spargere ottimismo. Per dirla con un ministro, «basta un nulla perché possa saltare tutto». Il tempo è poco. Dieci giorni per allargare e poi puntellare con un rimpasto la fragile alleanza giallorossa. Per la sofferta fiducia di martedì sera Conte ha raggranellato 156 voti, nonostante le decine di telefonate partite dal suo cellulare per arruolare in corsa i «costruttori». Per la maggioranza assoluta ne servono 161 e nemmeno bastano, perché Franceschini ha fissato a 170 la vetta per la stabilità. «Uno dopo l’altro arriveranno», su questo Conte si è detto fiducioso. Ma i dubbi sono tanti.

Il problema è come strutturare in una manciata di giorni, con il Covid che morde, il Recovery da consegnare all’Europa e i ristori da ripartire per placare la rabbia sociale, un’alleanza politica che abbia un’anima e un progetto. E che possa contare su un simbolo, destinato a rappresentare la futura «quarta gamba» della coalizione dopo M5S, Pd e Leu. Per rispondere alle aspettative del Quirinale, Conte deve riuscire a creare a Palazzo Madama un gruppo analogo a quello che sta mettendo su a Montecitorio Bruno Tabacci, che è per Conte un solido punto di riferimento nel mondo ex Dc. Ma per ora l’appello europeista e anti-sovranista ai popolari, ai liberali, ai socialisti e ai renziani pentiti ha fatto assai meno proseliti di quelli che l’avvocato si aspettava. Il bersaglio grosso è Forza Italia, che il premier proverà ancora a sedurre con la promessa del proporzionale attraverso Renato Brunetta e Gianni Letta. Ma il pressing più forte Conte lo sta esercitando su Lorenzo Cesa per il simbolo dell’Udc, che vale tre senatori e che potrebbe attrarre «una decina» di transfughi di Forza Italia.

Che l’operazione costruttori fosse ad altissimo rischio Conte lo aveva capito prima di buttarsi in mare aperto, per aver ascoltato i moniti del presidente Mattarella. Eppure, se ha deciso di rischiare il tutto per tutto, è perché pensava che l’onda del consenso, anche parlamentare, lo avrebbe spinto presto e bene a riva.

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Maggioranza più larga o le urne: Conte sente i leader e va da Mattarella

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Monica Guerzoni

Maggioranza più larga o le urne: Conte sente i leader e va da Mattarella

O Giuseppe Conte, o le elezioni anticipate. Rimpicciolita dal fragoroso addio di Matteo Renzi e compagni, la maggioranza giallorossa vede solo due strade. La prima, della quale il premier ha parlato nella serata di ieri con il capo dello Stato Sergio Mattarella, passa per un allargamento e rafforzamento dell’alleanza. E la seconda, il voto in tarda primavera, sarebbe la naturale conseguenza del fallimento del piano A. Perché né il Pd, né i 5 Stelle, si dicono disposti a sostenere esecutivi tecnici, di scopo o di unità nazionale e tantomeno un governo politico con Renzi e senza Conte. A tracciare la rotta è Goffredo Bettini. Il pontiere del Pd, che in queste burrascose settimane ha tenuto i rapporti tra il Nazareno, Palazzo Chigi e il quartier generale dell’ex premier e leader di Italia viva, ammette che con i 156 rocambolescamente agguantati da Conte martedì al Senato «non si arriva a fine legislatura».

Quindi l’imperativo urgente è allargare la maggioranza, il che consentirebbe al presidente del Consiglio di siglare con i leader dei partiti un nuovo patto di legislatura. E se la missione fallisce? «Non abbiamo paura del voto», assicura Bettini rispondendo a Maria Latella, su Sky. La stiracchiata fiducia di martedì a Palazzo Madama sulle comunicazioni di Conte fotografa la debolezza del governo: 156 voti, 157 se si conta anche il senatore del M5S Franco Castiello, assente per Covid ma che avrebbe votato sì. Per un voto che si aggiunge, un altro rischia di venire meno ed è quello di Mariarosaria Rossi. La senatrice azzurra avrebbe appoggiato Conte per fare un dispetto a Berlusconi e non è affatto detto che non torni subito nei ranghi di Forza Italia.

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