Archive for Gennaio, 2021

Campagna vaccini, arrivano altri stop e il governo italiano studia il ricorso

venerdì, Gennaio 22nd, 2021

di Lorenzo Salvia

ROMA Ma ci sono soltanto problemi tecnici o anche altro dietro i ritardi nella consegna dei vaccini? Per capire bisogna partire da Puurs, in Belgio, 16 mila abitanti, stesso sindaco da 24 anni. Prima dell’era Covid questa cittadina era conosciuta solo per la fabbrica della birra Duvel, che in fiammingo vuol dire diavolo. Adesso per l’impianto della Pfizer, la multinazionale Usa che insieme alla tedesca BioNTech produce uno dei due vaccini autorizzati nell’Ue. È da quei capannoni che il 24 dicembre sono partiti i primi tir che trasportavano i vaccini destinati ai Paesi europei, Italia compresa. Ed è sempre da lì che arrivano le fiale in questi giorni, con il taglio del 29% questa settimana che la prossima scenderà al 20%, come sottolineato dal commissario all’emergenza Domenico Arcuri.

Un cambio di programma che ha portato allo stop in diverse regioni per la prima dose in modo da garantire i richiami. In questi giorni lo stabilimento di Puurs viaggia a scartamento ridotto. E questo perché — come Pfizer ha spiegato più volte — sono in corso dei lavori per potenziare le linee e garantire così l’aumento delle produzione promesso per tutto il 2021, da 1,3 a 2 miliardi di dosi. Andare un po’ più piano adesso per andare più veloce nei prossimi mesi. La spiegazione dell’azienda resta questa. Con la possibilità che lo stesso vaccino venga prodotto a breve anche in altri due impianti, quello di Marburg in Germania che dovrebbe essere pronto tra un mese. E quello di Halle, sempre in Germania, che subito dopo dovrebbe essere messo a disposizione da un’altra azienda Usa, la Baxter.

La spiegazione dell’azienda, però, non convince tutti. Fonti del governo italiano hanno sollevato il sospetto che dietro i tagli ci sia il fatto che parte delle dosi vengano dirottate verso Paesi extra-europei, disposti a pagare di più. Una tesi smentita dall’azienda. E che non sembra avere peso nel ricorso allo studio del governo italiano, ora all’esame dell’Avvocatura dello Stato. Il fatto che le penali del contratto riservato con l’Unione europa siano legate ad eventuali mancanze nelle forniture trimestrali e non settimanali sembra suggerire una linea diversa. E cioè che i cambi di programma improvvisi nelle consegne abbiano messo a rischio la campagna vaccinale nel nostro Paese.

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Coronavirus, viaggi in Europa limitati nelle zone «rosso scuro». Ma i confini restano aperti

venerdì, Gennaio 22nd, 2021

di Francesca Basso

Coronavirus, viaggi in Europa limitati nelle zone «rosso scuro». Ma i confini restano aperti

Le varianti del Covid-19 «preoccupano molto» l’Ue, dice la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che spiega che serve una nuova mappatura e saranno previste zone «rosso scuro» per le aree in cui la situazione epidemiologica è peggiore e per le quali sarà chiesta — ma saranno gli Stati a decidere — quarantena e test. Mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, al termine della videoconferenza tra i leader Ue convocata per promuovere un approccio coordinato al Covid, indica i punti di intesa: frontiere interne aperte «a beneficio del mercato unico» ma «restrizioni per viaggi non essenziali»; necessità, più volte sottolineata anche dalla Commissione, di garantire un sequenziamento genomico dei test positivi al Covid, per il monitoraggio delle varianti.

È invece troppo presto per arrivare a un accordo sul certificato vaccinale come documento di viaggio proposto dalla Grecia, e sostenuto da Spagna e Malta. Restano i dubbi di molti, con in testa Francia, Germania e Olanda. Ma i leader Ue sono favorevoli a un documento per fini medici. La sanità è competenza esclusiva nazionale, per questo il coordinamento tra i governi Ue non è semplice.

Ieri il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha alzato il livello di guardia nel suo ultimo report, in cui «valuta come molto alta la probabilità dell’introduzione e della diffusione nell’Ue e nello Spazio economico europeo di varianti di Sars-CoV-2 che destano preoccupazione». Per questo «raccomanda di evitare viaggi non essenziali». E invita gli Stati a «prepararsi a un rapido aumento del rigore nelle misure di risposta nelle prossime settimane per salvaguardare la capacità sanitaria e per accelerare le campagne di vaccinazione». Intanto, dopo un dibattito iniziato in dicembre, gli Stati Ue hanno finalmente approvato all’unanimità una raccomandazione – non vincolante -, fortemente sostenuta da Berlino, che stabilisce un quadro comune per il riconoscimento reciproco dei risultati dei test Covid in tutta l’Ue e sull’uso dei test rapidi antigenici. L’obiettivo è continuare a consentire gli spostamenti transfrontalieri per permettere il funzionamento del mercato unico.

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Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 21 gennaio: 14.078 nuovi casi e 521 morti

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Paola Caruso

Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 21 gennaio: 14.078 nuovi casi e 521 morti

In Italia, dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, almeno 2.428.221 persone (compresi guariti e morti) hanno contratto il virus Sars-CoV-2: i nuovi casi sono 14.078, +0,6% rispetto al giorno prima (ieri erano +13.571), di cui 5.493 positivi identificati attraverso i test rapidi (ieri erano 4.550). I decessi odierni sono 521, +0,6% (ieri erano +524), per un totale di 84.202 vittime da febbraio 2020. Le persone guarite o dimesse sono 1.827.451 complessivamente: 20.519 quelle uscite oggi dall’incubo Covid, +1,1% (ieri erano +25.015). E gli attuali positivi — i soggetti che adesso hanno il virus — risultano essere in totale 516.568, pari a -6.985 rispetto a ieri, -1,3% (ieri erano -11.971).

I tamponi totali (molecolari e antigenici) sono stati 267.567, ovvero 12.195 in meno rispetto a ieri quando erano stati 279.762. Mentre il tasso di positività è del 5,3% (l’approssimazione di 5,26%): vuol dire che su 100 tamponi eseguiti più di 5 sono risultati positivi; ieri era del 4,8%.
Dal 15 gennaio questa percentuale casi/tamponi è calcolata contando anche i test rapidi, di conseguenza è più bassa rispetto a quella dei bollettini precedenti a questa data e non è possibile fare confronti con lo storico. Qui la mappa del contagio in Italia.

Più contagi in 24 ore rispetto a ieri. La curva sale e ancora è impossibile riprendere il tracciamento. Questi numeri non sarebbero da terza ondata — dicono gli esperti — scongiurata grazie alle restrizioni. Ma lo scenario può cambiare in fretta, se non si sta in guardia. Preoccupa la crescita del rapporto di casi su tamponi — il tasso di positività — che sale, anche se di mezzo punto, e si attesta al 5,3% contro il 4,8% di mercoledì, aumentando per il secondo giorno di fila. Secondo il monitoraggio indipendente di Fondazione Gimbe, nella settimana 13-19 gennaio i nuovi casi si sono ridotti del 20% (97.335 contro 121.644 della settimana prima). «È il risultato degli effetti del Decreto Natale, che nei primi giorni ha colorato di rosso l’intero Paese — spiega Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe —. Bisogna prendere atto che solo le zone rosse sono la vera arma per piegare la curva del contagio».

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“Indegno, la Rai non interviene?” E adesso è bufera su Friedman

giovedì, Gennaio 21st, 2021

Mariangela Garofano

Pioggia di critiche per il giornalista Alan Friedman. Ospite ad Unomattina su Raiuno, il giornalista commentando l’uscita di scena di Donald e Melania Trump, ha etichettato l’ex First Lady molto poco educatamente, come la escort di Trump. “Donald Trump si mette in aereo con la sua escort e vanno in Florida”, ha commentato tra le risate Friedman, scatenando lo sgomento del pubblico a casa, ma soprattutto sui social, dove gli utenti hanno dato vita ad una raffica di critiche nei confronti del giornalista, da sempre “odiatore” del tycoon.

Friedman, gongolante per l’insediamento del suo beniamino Joe Biden, ha evidentemente scordato le buone maniere, mentre declassava Melania Trump ad una semplice “accompagnatrice” dell’ex presidente degli Stati Uniti. Dura la reazione di molti politici italiani:“Dare tranquillamente della ESCORT in diretta a Melania Trump è indegno di un “uomo” e del “servizio pubblico” Rai. Assordante silenzio degli indignati di professione, ai radical chic di sinistra tutto è concesso. Mi fate schifo”, ha commentato caustico Matteo Salvini, mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni definisce l’episodio “grave”. “Grave episodio sulla tv pubblica: Alan Friedman definisce Melania “escort” prima di correggersi e chiamarla “moglie” di Trump. Surreale che nessuna paladina del femminismo sia intervenuta. Cosa sarebbe accaduto se a essere definita così fosse stata un’esponente di sinistra?”.

E ancora: “Trump si mette in aereo con la sua escort Melania”. Frase agghiacciante in un programma pagato dagli italiani; i conduttori dormivano? Come hanno potuto non fermare Friedman? Se avesse detto lo stesso parlando di Michelle o Hillary cosa sarebbe accaduto?”.

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Crisi, le mosse segrete in Aula. Un ministro può far cadere Conte

giovedì, Gennaio 21st, 2021

Giuseppe De Lorenzo

L’idea serpeggia silenziosa tra i parlamentari di Fratelli d’Italia, ma anche altri ci pensano. Presentare una mozione di sfiducia contro Alfonso Bonafede per forzare la mano a Matteo Renzi, “accelerare” la rottura definitiva di Italia Viva con la maggioranza e provocare prima del tempo la caduta del governo Conte.

Nessuno per il momento ne parla apertamente. Meloni non ha bollinato l’idea e non se n’è discusso ufficialmente nei vertici di centrodestra. Ma l’ipotesi è sul tavolo: “Ci stiamo ragionando”. L’ha sussurrato pure Enrico Costa di Azione, suggerendo all’ex sindaco di Firenze di sfiduciare il Guardiasigilli come pensò di fare a maggio. Già, perché la lunga partita iniziata lo scorso 13 gennaio ha un pregresso e una data di scadenza. Il tempo concesso ieri da Mattarella a Conte per formare il gruppo di “costruttori” pare sia di un paio di giorni, e comunque non potrà andare oltre il 27 gennaio. Mercoledì prossimo Bonafede dovrà presentare una relazione al Parlamento sullo stato della Giustizia e l’inciampo appare scontato. Renzi ha detto che non intende votarla e il Luciano Nobili vede già il “governo andare sotto”. Quali sono allora gli scenari?

Va ricordato cosa accadde lo scorso maggio. Era il tempo delle scarcerazioni e lo scontro tra Bonafede e il giudice Di Matteo. Il centrodestra e Emma Bonino presentarono due mozioni di sfiducia. Renzi s’era convinto a votare con l’opposizione, poi all’ultimo fece retromarcia. Una scelta che ancora gli brucia allo stomaco, tanto da tirarla fuori pure martedì durante l’infuocato intervento al Senato. Sintetizziamo: “Salvai Bonafede per vincolo di maggioranza, ma oggi non lo rifarei più”.

Governo convoca vertice di maggioranza. L’attesa dei giornalisti a Palazzo Chigi

Conte ha insomma una bomba a orologeria piazzata sotto la sedia. Non solo a Palazzo Madama non ha il controllo sulle commissioni parlamentari. Ma deve trovare anche 161 senatori disposti a votare la relazione di Bonafede o tutto va in malora. Operazione complicata. Appare difficile immaginare il socialista Nenicini, erede della tradizione craxiana, appoggiare la prescrizione dei manettari grillini. Lo stesso dicasi per Maria Rosaria Rossi, un tempo molto vicina al Cav. Idem per Lorenzo Cesa (oggi investito da un’indagine puntuale come un’orologio svizzero) e il resto dei centristi. Moriranno giustizialisti? Tic tac, tic tac. Più si avvicina la relazione sulla Giustizia e più Conte traballa: se Bonafede cade, poi viene giù tutto. È logico: coi numeri di oggi, se Renzi vota contro, il governo al Senato è in minoranza. Le dimissioni in blocco poi sarebbero la logica conseguenza.

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Tre milioni di italiani hanno rinunciato a cure mediche per difficoltà economiche legate al Covid

giovedì, Gennaio 21st, 2021

Sono ben 3 milioni gli italiani che, fra marzo e dicembre 2020, hanno dovuto rinunciare a cure mediche, visite specialistiche o operazioni a causa di difficoltà economiche sopraggiunte per la pandemia e il lockdown. Il dato emerge dall’indagine condotta da mUp Research e Norstat per Facile.it. Inoltre 32,8 milioni di italiani si sono visti cancellare o rimandare cure mediche (con un tempo medio di rinvio pari a 53 giorni).

Il report evidenzia che circa 27,9 milioni di italiani, vale a dire il 73,6% di coloro che avevano in programma un appuntamento presso una struttura sanitaria, hanno subito uno o più rinvii, mentre 13 milioni di cittadini, pari a più di un paziente su tre (34,3%), hanno dovuto fare i conti con l’annullamento. Leggi Anche

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Se in media il rinvio è stato di quasi due mesi (53 giorni), per alcune specialità i tempi sono stati ben più lunghi. Nel caso dell’oncologia, ad esempio, lo slittamento medio è stato di 63 giorni, per la cardiologia di 72 giorni e addirittura 81 giorni per la ginecologia. Ma il dato ancor più preoccupante è che nel 68% dei casi l’appuntamento è stato rimandato sine die.

La pandemia ha messo sotto stress tutte le strutture sanitarie, ma in particolar modo quelle pubbliche. Fra coloro cui è stato rinviato o annullato un appuntamento già programmato, nel 54,7% dei casi questo si sarebbe dovuto svolgere in struttura pubblica, nel 45,3% in una privata. Secondo l’indagine, circa 7 milioni di cittadini, a seguito di rinvii o annullamenti, hanno scelto di spostare da una struttura pubblica ad una privata una o più visite.

Per far fronte ai costi legati alla sanità privata, il 73,2% ha pagato usando i propri risparmi, mentre il 16,6% ha fatto ricorso ad un’assicurazione sanitaria; interessante notare, invece, come circa 2,2 milioni di pazienti (pari al 9,1% di chi è ricorso alla sanità privata) abbiano dovuto chiedere un prestito ad amici, familiari o finanziarie.

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Vaccino Covid, i vantaggi di rinviare il richiamo

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Giuseppe Remuzzi

Vaccino Covid, i vantaggi di rinviare il richiamo

(Afp)

Il nostro piano di vaccinazioni rischia di subire delle variazioni. Solo da Pfizer e Moderna avremmo dovuto avere 61,8 milioni di dosi nel corso dell’anno, ma i 40,5 milioni di vaccini di Pfizer non arriveranno nei tempi previsti e nemmeno i 21,3 milioni del vaccino Moderna, gli altri quattro (AstraZeneca, Sanofi-GSK, Curevac, Johnson &Johnson) non sono ancora autorizzati.

Ma per uscire da questa emergenza dovremmo poter vaccinare prima dell’estate il maggior numero di persone possibile, un po’ come si sta facendo in Inghilterra dove hanno già vaccinato più di 4 milioni di persone con una prima dose di Pfizer BioNTech.

Il caso inglese

Come è possibile che l’Inghilterra ritardi la seconda somministrazione fino a dodici settimane violando le raccomandazioni delle autorità regolatorie? Le autorità del Regno Unito ragionano così: «Cominciamo a vaccinare tutti quelli che possiamo con quello che abbiamo; meglio una dose per tutti che due dosi per molte meno persone, poi penseremo ai richiami». Si può non essere d’accordo — e molti non lo sono —, ma vediamo le ragioni di chi pensa che il richiamo si possa rimandare.

L’efficacia di una sola dose di vaccino Pfizer

L’efficacia di una sola dose del vaccino Pfizer (quello a RNA messaggero, mRNA) arriva all’80% e anche più (lo conferma il rapporto JCVI – Joint Committee of Vaccination and Immunisation del Regno Unito, del dicembre 2020). Ma come? Non si è detto che era del 52,4%? Sì, ma solo se si contano anche quelli che si ammalano prima del dodicesimo giorno dalla somministrazione, quando il sistema immune non ha ancora fatto in tempo ad organizzarsi. Immaginiamo di avere un per milione di dosi di vaccino e di voler proteggere 1 milione di persone; se facciamo due dosi — considerata un’efficacia del 95% — proteggiamo 475mila persone. Con una singola dose, invece, per un’efficacia anche solo dell’80%, ne proteggiamo 800 mila. Messa così l’idea del Regno Unito di spostare perlomeno di qualche mese la seconda somministrazione a me non sembra così strampalata.

Ma si formano abbastanza anticorpi?

Ma dopo una sola somministrazione, si formano abbastanza anticorpi? E quanto durano? Di sicuro non lo sappiamo, però sappiamo che per essere protetti perlomeno nei confronti della malattia non c’è bisogno di un livello particolarmente alto di anticorpi; ci si potrà forse infettare ma non ci si ammala. E poi non ci sono solo gli anticorpi ma anche le cellule T e le cellule della memoria. Il British Medical Journal di qualche settimana fa, fa vedere come le cellule T della risposta immune rimangono — in chi si è ammalato — per almeno sei mesi, anche quando gli anticorpi se ne sono andati e questo dovrebbe valere a maggior ragione per il vaccino.

Diversità vaccini e varianti virus

E poi i vaccini non sono tutti uguali: il ragionamento che abbiamo fatto per Pfizer vale un po’ anche per Moderna, un altro vaccino che di mRNA ne contiene tre volte tanto (100 microgrammi per ciascuna dose contro i 30 di Pfizer BioNTech). Con questo vaccino la protezione che si ottiene dopo la prima dose — sempre tralasciando i primi giorni — supera addirittura il 90%. Vuol dire che con il vaccino Moderna è ancora più probabile che la seconda dose si possa rimandare almeno di qualche mese. Ma non può essere che una sola dose favorisca l’emergere di varianti del virus resistenti ai vaccini? È possibile, ma potrebbe anche essere vero il contrario: che sia un eccesso di risposta immune a spingere il virus a mutare, quindi no a due dosi troppo ravvicinate. Chi l’ha detto? Andrew Pollard che guida tutti gli studi clinici sui vaccini di Oxford.

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Le scelte di leader e partiti: una difficile stabilità

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Paolo Mieli

Chi avrebbe mai immaginato a giugno del 2018 che un avvocato cinquantenne di Volturara Appula, sconosciuto ai più, nel giro di due anni e mezzo avrebbe messo Ko i due giovani pugili più talentuosi della politica italiana? È accaduto. Anche se il 27 ci sarà una possibile rivincita. Nell’agosto del 2019 è toccata a Matteo Salvini. Adesso a Matteo Renzi. Sappiamo benissimo che la partita decisiva si giocherà nelle urne quando si terranno le elezioni. Ma al momento si può affermare che Giuseppe Conte, sia pure con qualche inevitabile ammaccatura, è uscito vincitore dai rischiosissimi match con i «due Matteo». E l’intero Parlamento da ora in poi dovrà smettere di sottostimare le sue capacità.

Nel primo scontro, quello dell’estate ’19, Conte prese in contropiede l’avversario Salvini mettendo sul tavolo un’alleanza M5S-Pd. Alleanza all’epoca inimmaginabile ma che in realtà era stata preparata da tempo. Quell’intesa parve allora nascere da un’iniziativa di Renzi, ma molti già a quei tempi sapevano che il senatore di Rignano non aveva fatto altro che intestarsi un progetto messo a punto da Dario Franceschini. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, in quei giorni pose come unica condizione che, per decenza, a guidare il nuovo governo non fosse lo stesso presidente del Consiglio che aveva guidato il gabinetto con la Lega condividendone ogni iniziativa. Ma non ottenne soddisfazione. Nei mesi seguenti, Zingaretti si ricredette su Conte e, anzi, scoprì che si poteva presentarlo come il «nuovo Prodi», un leader adatto a guidare l’intero centrosinistra nelle future tornate elettorali.

A quel punto si mosse l’altro Matteo deciso a disarcionare il presidente del Consiglio prima che prendesse definitivamente corpo il disegno di cui si è detto. Provò, Renzi, a spintonarlo già all’inizio del 2020. Ma non trovò alleati per quella manovra e il Covid gli offrì l’occasione per battere in ritirata. Due volte. Ai primi dello scorso dicembre Renzi è partito per l’offensiva finale con più di un buon argomento — in particolare i ritardi sul piano italiano per il Next Generation Eu — ritenendo di avere l’avallo del Pd e del M5S. I due partiti, però, a metà strada lo hanno lasciato solo. Nessuno, eccezion fatta per i suoi sodali (e neanche tutti), dopo Natale lo ha più incoraggiato ad aprire la crisi. Neanche coloro che avevano condiviso i suoi rilievi al presidente del Consiglio. Non c’è stato neanche un osservatore esterno che abbia considerato appropriata la decisione di ritirare la delegazione ministeriale di Italia viva dal governo Conte. Ma lui non poteva evidentemente tornare sui suoi passi. E, con le dimissioni delle due ministre, ha aperto la crisi.

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Scuola, stretta sulla maturità: stop al “tutti ammessi”, ma ancora niente scritti

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Lorena Loiacono

Alla maturità solo se si viene ammessi, sembra essere questa la linea del ministero dell’Istruzione che, per l’esame di Stato di quest’anno, sta valutando la necessità di tornare ad uno sbarramento: potrà accedere all’esame solo chi arriva agli scrutini con la sufficienza. Ieri si è svolta una prima riunione interlocutoria fra la ministra, Lucia Azzolina, e i parlamentari di maggioranza delle commissioni competenti. «Dobbiamo decidere in fretta e dare certezze agli studenti e alle famiglie», ha sottolineato la ministra. APPROFONDIMENTI

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Anche se mancano ancora 5 mesi alla fine dell’anno scolastico, gli studenti delle scuole superiori sanno bene che il tempo a disposizione non è tanto: in altri momenti, infatti, a gennaio il ministero comunicava le materie che sarebbero state oggetto delle prove. E contestualmente partivano le simulazioni online e le prove in classe per prendere confidenza con gli scritti e l’orale.

Quest’anno invece bisogna ancora capire come si svolgerà la prova. La ministra Azzolina ha assicurato anche ai parlamentari che il protocollo uscirà a breve, entro la fine del mese. Ma l’attesa è tanta, non a caso l’incognita sulla maturità è uno dei punti principali della protesta in corso in questi giorni tra gli studenti che chiedono di sapere come devono preparasi e su quale tipo di verifica. La prima differenza con lo scorso anno sarebbe nell’ammissione: per l’anno scolastico 2019-2020, travolto dal Covid, si decise infatti di promuovere tutti nelle classi intermedie, senza debiti né bocciature, e di ammettere tutti all’esame di Stato. Una decisione che, giunta durante il secondo quadrimestre, in diversi casi fece gettare la spugna agli studenti che, da casa, hanno inevitabilmente perso di concentrazione. Senza contare che si ritrovavano alle prese con i problemi del debutto inaspettato e impreparato della didattica a distanza. 

LA SVOLTA
Un anno fa l’ammissione per tutti aveva un senso, quest’anno è diverso: gli studenti in questi giorni protestano per tornare in classe ma tanti anche per restare online, visto che ormai hanno trovato una routine che funziona e che sembra meglio del rientro tra i disagi. Quindi la didattica sta andando avanti, anche se tra tante difficoltà, e l’ammissione all’esame sarebbe un segnale di continuità. Potrebbe invece saltare, come accade nel 2020, anche la prova Invalsi da svolgere in primavera e obbligatoria per l’ammissione e le attività di alternanza scuola-lavoro: anche su questi due punti le valutazioni sono ancora in corso. Se dovesse essere confermato l’impianto dell’esame dello scorso anno salterebbero le due prove scritte, una di italiano e una con le due materie di indirizzo, per dare spazio ad un’unica prova orale e su tutte le materie. 

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Vaccino, la svolta con AstraZeneca, atteso il via libera dell’Ema: a febbraio la distribuzione

giovedì, Gennaio 21st, 2021

di Carla Massi

Mentre Pfizer annuncia di rallentare la consegna delle dosi l’Europa intera pressa AstraZeneca-Oxford per l’arrivo del terzo vaccino candidato.
A Cambridge, in Gran Bretagna, l’azienda aspetta il via libera dell’Ema, l’agenzia comunitaria del farmaco. Il 29 gennaio (in realtà si spera entro il 29 gennaio) dovrebbe arrivare la risposta. E con lei, si spera entro febbraio, anche il carico di dosi sviluppato, appunto, da università di Oxford e Irbm di Pomezia e prodotto da AstraZeneca. APPROFONDIMENTI

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I TEST
La documentazione dei test (una percentuale di efficacia pari al 70,4%) compiuti in Sud Africa, Brasile e Gran Bretagna, è stata consegnata il 21 dicembre all’ente regolatorio. Da allora, è stato richiesto materiale supplementare ma, finora il silenzio. Dovrebbero arrivare 8 milioni di dosi in un trimestre in Italia.
Eppure, lo stesso vaccino al vaglio dell’Ema dai primi di gennaio viene somministrato, dopo autorizzazione di emergenza, nel Regno Unito, in Argentina e in India. Pressate dalla variante britannica le autorità inglesi hanno anche deciso di inoculare la prima dose a più persone possibili, allungando i tempi per il richiamo. Ovviamente è la Brexit a permettere alla Gran Bretagna una simile autonomia decisionale rispetto al resto d’Europa. Domenica scorsa, inoltre, l’agenzia brasiliana che si occupa del controllo e della sicurezza dei farmaci, Anvisa, ha autorizzato l’utilizzo di emergenza del vaccino AstraZeneca e quello cinese Sinovac.
Una delle ipotesi avanzate su questo vaccino è quella di approvarlo limitando la somministrazione alle persone che hanno meno di 55 anni. «È possibile, anche se non è la via che viene normalmente seguita per i nuovi vaccini, a meno che non ci siano ragioni precise che indichino che il rapporto rischio beneficio in una certa popolazione può essere negativo» fa sapere Marco Cavaleri, responsabile della Strategia vaccini dell’Ema.
«Astrazeneca aveva promesso di arrivare primo nella corsa al vaccino, invece sarà probabilmente il terzo. I dati andranno confrontati, anche se indirettamente, con gli altri due che si sono dimostrati molto efficaci» commenta Nicola Magrini, Direttore generale dell’Agenzia del farmaco.
Il terzo candidato alla protezione dall’infezione si basa sulla tecnica del vettore virale, ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si incollano le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo.
Si somministra in due dosi con un intervallo di quattro-dodici settimane. In questo caso, però, a differenza dei vaccini che già abbiamo a disposizione il contenuto delle due dosi non è uguale.


LA PROTEINA
Condizione, quindi, che non permette di mischiare i farmaci nel caso in cui la prima o la seconda dose non fossero disponibili. Come, invece, può accadere con Pfizer e Moderna. Dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale capace di attivare il sistema immunitario in modo che questo attacchi il virus se questo dovesse in seguito infettare l’organismo.

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