“Potrebbe
poi succedere che i responsabili si trasformerebbero in irresponsabili.
A quel punto non ci sarebbe più la maggioranza. E allora bisogna
evitare questa sceneggiata drammatica”. Come, con i responsabili? “I
vietcong ci sono, state tranquilli”. A dirlo, in un’intervista al Corriere della Sera, è
Clemente Mastella, che alla domanda su se si senta il ‘capo’ dei
responsabili risponde: “Posso dare il mio contributo, posso fare il
regista. Di certo non mi candiderò più. Il mio è un atto di amore nei
confronti del Paese”.
“Renzi è uno stralunato”, afferma l’ex
leader Udeur, che attacca in particolare “l’ipocrita ironia sui
responsabili”. Mastella si riferisce alla battuta del leader di Italia
Viva sul governo Conte-Mastella. “Con tutta la stima e il rispetto per
Denis Verdini, io cosa dovrei rispondere? Che lui è il Renzi-Verdini? È
incredibile quello che Renzi sta combinando. Di fatto ha aperto al
Conte-ter e su questo vorrei porre una questione. I numeri a Palazzo
Madama sono sempre stati risicati. Ma se tu non escludi il Conte-ter
apri inevitabilmente una faglia nel M5S. Il gruppo pentastellato è
friabile. Ne consegue che se cambi, ad esempio, Alfonso Bonafede e lo
togli da via Arenula, ci saranno altri insoddisfatti. Così come ci sono
stati nel passaggio dal Conte-1 al Conte-2. E potrebbe poi succedere che
i responsabili si trasformerebbero in irresponsabili. A quel punto non
ci sarebbe più la maggioranza. E allora bisogna evitare questa
sceneggiata drammatica”.
Alla domanda se lui si senta il ‘capo’
dei responsabili, Mastella replica: “Posso dare il mio contributo, posso
fare il regista. Di certo non mi candiderò più. Il mio è un atto di
amore nei confronti del Paese. Io ho la mia poltrona di sindaco di
Benevento. A Benevento il Pd locale è contro di me, i Cinque Stelle mi
minacciano in tutti i modi, e io nonostante tutto ciò lavoro per il bene
dell’Italia”.
I cosiddetti responsabili
non ci sono, la maggioranza dopo lo strappo con Renzi non esiste più,
quindi è reale il rischio di elezioni a giugno. E’ l’analisi che in
queste ore stanno facendo fonti qualificate del Pd dove si registra
grande preoccupazione.
Il Pd, spiegano le stesse fonti, non
può andare dietro a rumors su sostegni alla maggioranza che al momento
non si palesano. D’altro canto anche ricucire con Iv sembra una chimera
perchè M5s ha chiarito che con Matteo Renzi non ci parla più.
Quindi senza volerlo, è l’analisi del Pd, la situazione sta rotolando verso elezioni anticipate a giugno.
Le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto, decise assieme a Matteo Renzi al termine di una intensa giornata di trattative e caos, hanno di fatto aperto la crisi di governo. Da Palazzo Chigi trapela l’ira del premier Giuseppe Conte e
la tentazione, sempre più forte, di andare alla conta in Parlamento. Il
leader di Italia viva ha come obiettivo principale quello di dare vita a
un governo istituzionale che arrivi fino alla fine della legislatura.
Un esecutivo con tutti dentro ma senza la guida di Conte. Il nome che Renzi ha in mente e che mormora al termine della conferenza stampa è quello di Luciana Lamorgese, attuale ministra dell’Interno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiede di fare in fretta. Davanti a Conte si aprono ora tre possibili strade.
11.29 – Fico sospende i lavori della Camera: «Chiederò a Conte di venire» Lavori sospesi alla Camera, dove l’assemblea era stata convocata per approvare il Dl Natale. Il presidente Roberto Fico
ha aderito alla richiesta emersa dall’Aula di affrontare subito il tema
della crisi provocata dalle dimissioni del ministri di Italia Viva. «A
breve convocherò la conferenza dei capigruppo – ha annunciato – per
stabilire un percorso ordinato e responsabile in un momento di così
gravità per il Paese. Contatterò il presidente del Consiglio per la
richiesta di comunicazioni in Aula».
11.24 – Il Pd: «I responsabili non ci sono, rischio voto a giugno»
I cosiddetti responsabili non ci sono, la maggioranza dopo lo strappo
con Renzi non esiste più, quindi è reale il rischio di elezioni a
giugno. È l’analisi che in queste ore stanno facendo fonti qualificate
del Pd, citate dall’agenzia Ansa, dove si registra grande
preoccupazione. Il Pd, spiegano le stesse fonti, non può andare dietro a
rumors su sostegni alla maggioranza che al momento non si palesano.
D’altro canto anche ricucire con Iv sembra una chimera perché M5s ha
chiarito che con Matteo Renzi non ci parla più. Quindi senza volerlo, è
l’analisi del Pd, la situazione sta rotolando verso elezioni anticipate a
giugno.
Ore 11.11 – Salvini: «Conte o va al Colle nel pomeriggio o viene a riferire in Aula»
Il leader della Lega, Matteo Salvini,
lancia il suo ultimatum: o il premier prende atto della mancanza della
maggioranza e sale al Quirinale già nel pomeriggio oppure si presenta
alle Camere e riferisce sulla situazione, paralmentarizzando la crisi.
«Oppure trovano una nuova maggioranza, affidandosi ai Mastella — ha
aggiunto il capo leghista intervenendo a L’aria che tira
su La7 — oppure la parola torna agli italiani. Quasi tutta Europa va
al voto in questo anno, noi invece restiamo ostaggio di Conte?». E
ancora: «Tutto è nelle mani del presidente Mattarella, speriamo che ci
aiuti a capire». Il centrodestra ha convocato un nuovo vertice alle 14
per fare il punto della situazione.
Ore 10.45 – Slitta l’Ufficio politico del PD Slitta alle 13, in seguito alla convocazione delle Conferenze dei capigruppo di Camera e Senato, la riunione dell’Ufficio politico Pd inizialmente convocata alle 11.
Ore 10.34 – Della Vedova: «Puntare a maggioranza Ursula» Una possibile maggioranza «Ursula» (dal nome della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen), è stata evocata da Benedetto Della Vedova,
segretario di +Europa, movimento in cui sono confluiti i radicali.
«Per quel che ci riguarda — spiega — siamo totalmente indisponibili a
qualsiasi ipotesi di Conte ter. È invece il momento di verificare la
possibilità di un governo riformatore ed europeista, per la pandemia,
l’economia e il Next Generation Eu, con una maggioranza che richiami
quella su cui si basa la commissione europea, una maggioranza “Ursula”».
Von der Leyen era stata infatti eletta con una maggioranza
trasversale che, per quanto riguarda i parlamentari italiani, aveva
visto insieme il Pd e i suoi alleati, +E, M5S e Forza Italia. Ma proprio
ieri Forza Italia ha sottoscritto la nota unitaria del centrodestra che indicava il ritorno alle urne quale «via maestra» per la creazione di un nuovo governo.
Ore 10.32 – Toti: «Conte non avrà mai il nostro sostegno» «Di sicuro un governo Conte non avrà mai il nostro sostegno né quello degli altri partiti di centrodestra». Lo ribadisce Giovanni Toti,
leader di «Cambiamo!» e presidente della Liguria, a Tg2 Italia. «Non
bisogna confondere toni seri, responsabili e pacati, perché il momento
non consente benzina sul fuoco, con volontà politica. (…) Se si aprirà
una crisi formale il centrodestra valuterà altre situazioni ma
certamente non quella di un Conte 3 o un Pd 1 o un Cinque stelle 1 o un
altro governo che si costituisse dentro quella maggioranza».
Ha lavorato per la famiglia reale per 32 anni: Patricia Earl, al servizio di Sua Maestà come capo governante, si è improvvisamente dimessa: la scelta, secondo i giornali inglesi, a seguito di una rivolta del personale di palazzo per motivi legati alla pandemia. Negli ultimi trent’anni la regina Elisabetta II ha sempre trascorso il Natale con il consorte, il principe Filippo, nella tenuta invernale di Sandringham, a Norfolk ma quest’anno non sarà così e lo trascorreranno nel Castello di Windsor. Sembra infatti che i dipendenti e la servitù reale di Sandringham si sia rifiutata di isolarsi dalle proprie famiglie (prassi richiesta da Buckingham Palace) per poter garantire un Natale in piena sicurezza alla regina Elisabetta. Risultato: la sovrana non è potuta partire per il Norfolk ed è rimasta a Windsor. Proprio per garantirle un soggiorno lontano da ogni forma di contagio, il personale di servizio avrebbe dovuto rinunciare alle festività natalizie in famiglia con conseguente allontanamento dai cari per almeno quattro settimane.
Qualcuno dice che la crisi, appena cominciata, è già finita. Conte ha lasciato intendere che con Renzi potrebbe ritrovare un accordo, e Renzi ha ricambiato sostenendo di non avere pregiudiziali
personali contro il premier. Come finirà non lo sappiamo e al momento
non lo possiamo sapere, perché i politici parlano come i medici scrivono
le ricette, cioè non lasciano capire nulla, affinché ad intendere siano
solo gli iniziati: i farmacisti nel caso dei medici, i frequentatori di
corridoi nel caso dei politici. Più chiaro è invece come ci si sia
arrivati, a questo punto. Comunque la si voglia rigirare, è soprattutto
un duello fra due persone, quindi fra due caratteri. E che caratteri.
Renzi dice che le motivazioni dello strappo sono esclusivamente politiche. Dice che il Paese è bloccato
e che il governo, invece di vivere, vivacchia. Su questo non ha torto,
anzi ha ragione. Tuttavia, checché ne dicano i suoi protagonisti, anche
la politica – come tutte le cose – è questione di personalità.
E di pance. Quella di Renzi non si dà pace dal
momento stesso in cui è nato questo governo. È vero che, di questa
maggioranza, lo stesso Renzi è la levatrice. Ma, se vi ricordate, già
pochi giorni dopo fece venire un mezzo colpo al premier (e pure a
Zingaretti, e pure forse al Capo dello Stato) uscendo dal Pd e fondando Italia Viva. Con un gruppo tutto suo, poteva avere libertà di manovra: e ha manovrato.
Poi c’è la pancia di Conte. Come tutte le pance, obbedisce alla vecchia regola secondo la quale l’appettito vien mangiando. All’inizio, lo sconosciuto avvocato sbucato dal nulla si accontentava anche, come si accontenta chi stacca il biglietto vincente della lotteria. Era diventato premier per miracolo, e un miracolato si considerava. Poi però è arrivato il momento in cui ha cominciato a prenderci gusto.
Roma – Quando si affrontano nodi delicatissimi per la vita, non solo istituzionale, di un Paese come il nostro, il condizionale è d’obbligo, come si dice con frase abusata. Se poi parliamo di una crisi di governo (l’evento politico più frequente nella storia dell’Italia repubblicana) lo stesso “condizionale obbligatorio” diventa anche un modo per evitare di evocare scenari incongrui se non addirittura sbagliati. Vediamo quindi di districarci nel nodo di questa crisi politica fra le più gravi perché capita in mezzo a una pandemia dagli esiti tutt’altro che scontati. Con un’avvertenza: non è vero che, in questi casi, vince solamente il fattore politico o di “calcolo”. Spesso e volentieri il fattore umano conta moltissimo. E se è abitudine dire “niente di personale” tra gli attori politici, sappiate che non è vero. In realtà simpatia e antipatia reciproche contano moltissimo, come, del resto, in tutte le cose umane. Il governo traballa dall’autunno scorso, complice la gestione, non sempre perfetta specie dal punto di vista della comunicazione ai cittadini, dell’emergenza sanitaria causata dal riesplodere della pandemia.
A inizio dicembre il premier Giuseppe Conte, in un’intervista, afferma che il Recovery Plan
(cioè il piano di spesa dei 209 miliardi concessi all’Italia dalla Ue)
sarà gestito da una task force composta da manager di alto livello. L’8
dicembre, la prima bordata del leader di Italia Viva Matteo Renzi:
“La struttura di Conte moltiplica le poltrone. Tutto il piano lanciato
sul Recovery deve cambiare: è ridicolo che esista una struttura di
consulenti (cioè i supermanager ndr) senza alcun controllo democratico».
In realtà, lo scontro è anche sulla bozza e sui contenuti del piano:
dalla sanità alle spese per nuove infrastrutture, in sostanza alla
gestione dei fondi, non c’è accordo o, comunque, ci sono molti punti
dove manca l’accordo.
Mes
Anche sul Meccanismo europeo di stabilità,
detto fondo Salva-Stati, la maggioranza parla lingue diverse. Chi è
decisamente contrario (come i Cinquestelle), chi a favore ad alcune
condizioni (il Pd), chi favorevole come i renziani.
Servizi segreti
Altro momento di frizione. Conte vorrebbe rendere sempre più stretto il rapporto tra Palazzo Chigi e intelligence. Renzi è contrario.
Classificazione complessiva del rischio alta, percentuale di saturazione dei posti letto Covid di terapia intensiva al 34 per cento e in area medica al 44. L’Rt, l’indice di trasmissione, ormai ha toccato 1,1. Tutti questi elementi messi in fila confermano che il Lazio si avvia al salto dalla fascia gialla (quella con meno limitazioni occupata da quando è iniziato il sistema dei colori) all‘arancione. Secondo il Ministero della Salute le nuove classificazioni saranno ufficializzate dalle valutazioni della cabina di regia di domani e diventeranno operative da domenica. In sintesi: sabato dovrebbe essere l’ultimo giorno in fascia gialla, anche se ad oggi c’è ancora qualche punto interrogativo. E in arancione finiranno, secondo le previsioni, altre regioni: Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Umbria, Marche, Piemonte, Trentino Alto Adige. Già sono in questa fascia di rischio Calabria, Veneto, Lombardia, Sicilia ed Emilia-Romagna, ma per alcune c’è la possibilità di diventare rosse. E cosa cambierà per Roma, per le altre quattro province laziali e per tutte le aree che passeranno da gialle ad arancione?
BAR E RISTORANTI Rispetto
alla fascia gialla, questo è il cambiamento più pesante. I bar e i
ristoranti dovranno restare chiusi sempre, non a partire dalle 18.
Potranno comunque consegnare pasti e bevande a casa dei clienti. Per
l’asporto si va verso la limitazione alle 18 riservata ai bar:
l’obiettivo è evitare che si creino assembramenti davanti ai locali, una
sorta di simulazione di vita notturna non autorizzata che diventerebbe
rischiosa in questa delicatissima fase dell’epidemia. Ricapitolando: con
il giallo a Roma era possibile andare al bar e al ristorante fino alle
18, in arancione è sempre vietato, si può ricorrere alla consegna a casa
o in ufficio.
LO STOP AGLI SPOSTAMENTI Oggi, in fascia gialla, i cittadini del Lazio si possono spostare tranquillamente da una provincia all’altra, a condizione che non superino i confini regionali. Con la classificazione in arancione questa libertà finisce: sono vietati gli spostamenti fuori dal territorio comunale.
Professor Romano Prodi, adesso che cosa accadrà? «Difficilissimo fare previsioni. Perché lo scontro è diventato anche personale. E nessuno dei protagonisti sembra avere una strategia chiara. Il punto vero, al di là di tutto, è il Recovery Fund».
Lei è stato critico, su questo, nei confronti di Conte. «Sì, lo sono stato. Ma l’ultimo testo è molto migliorato. Le 172 pagine del documento contengono finalmente un piano organico e corrispondente a quello che vuole l’Europa. E, finalmente, è anche scritto in un buon italiano. Indica i grandi capitoli di spesa e sposta risorse dagli incentivi agli investimenti. Adesso però viene il difficile: tradurre questo schema corretto nei progetti concreti da mettere in atto».
Potrebbe essere un buon inizio per il Conte Ter? «Perché lei ha già la formula di un nuovo governo? L’importante è dare subito vita a un organismo necessario per mettere in atto le decisioni. Con l’indicazione di un’autorità ben definita che si occupi dei progetti, specificandone tempi e modi di realizzazione. E va stabilito con nettezza chi deve controllare l’esecuzione e chi deve assumersi la responsabilità di questi progetti. Il piano francese può valere come modello».
Come funziona il piano francese? «Si potrebbe dire che è un piano estremamente elementare: questo tratto di ferrovia costa tot, i lavori devono essere finiti entro il giorno X, l’autorità sorvegliante è questa e quest’altra è invece l’autorità esecutiva. Per fare questo abbiamo ancora tempo, ma occorre che ci sia un organismo responsabile di tutti questi processi e che sia in collegamento continuo con Bruxelles».
Lo guarda fisso negli occhi, scuote appena la testa e gli spiega che ha sbagliato tutto. «Devi fare un’altra apertura.
Devi
uscire velocemente, anzi subito, da questa condizione di incertezza».
Insomma, caro Conte, se vuoi salvare il governo ti tocca fare marcia
indietro e cercare di recuperare Renzi. E scordati i giochetti
parlamentari. «La situazione della pandemia è allarmante», ricorda
infatti il capo dello Stato, non si può pensare di governare il Paese
con qualche responsabile sparso: serve una maggioranza «solida». E più
che un consiglio, quella di Sergio Mattarella è una piccola lezione di
politica, condensata un faccia a faccia a metà mattina. Quando esce, il
premier ripete quasi parola per parola il verbo quirinalizio: «Lavorerò
fino all’ultimo per rafforzare la coalizione e mi auguro che si possa
siglare un patto di legislatura. Il governo deve avere basi solide, non
può prendere un voto qua e uno là».
Ecco. Ma per Matteo Renzi è
troppo poco e troppo tardi, le ministre di Italia Viva si dimettono e la
crisi si apre anche dal punto di vista formale. La palla però non è
ancora al Quirinale, dove aspettano a breve un’altra visita di Conte.
Riconsegnerà il mandato? Andrà alle Camere? Chiederà tempo per cercare
di ricucire, come gli suggerisce Mattarella? Non tanto, giusto qualche
giorno per verificare se ci sono margini. Nonostante tutto lo spazio per
una mediazione sembra esistere ancora, il Rottamatore ha rotto ma non
ha rottamato la coalizione. Ha persino assicurato il voto al Recovery,
allo scostamento di bilancio, ai ristori, agli altri provvedimenti per
l’emergenza della pandemia. Se il presidente del Consiglio troverà il
modo di andare a Canossa, Iv potrebbe trovare il modo di far
sopravvivere la maggioranza, forse persino Conte. «Nessuna pregiudiziale
sui nomi», giura il senatore di Firenze, e magari è un altro modo di
dire «Giuseppe stai sereno».
In questo scenario fluido di una
crisi dichiarata e non concretizzata, Mattarella si muoverà come al
solito con prudenza e «risolutezza». La prima mossa sarà quella di
stendere una rete protettiva sul Paese, cercando di assicurare, comunque
vada, una presenza e una continuità sulla gestione del Covid e
dell’economia. Per il Colle le turbolenze della politica interna non
possono mettere a rischio l’accesso al Recovery Plan: le nostre
«fragilità strutturali» sono troppo gravi, non ci possiamo7 permettere
di perdere l’occasione per rilanciare l’Italia. La gente, già distante
dai riti del Palazzo, non «reggerebbe». C’è il pericolo di uno
scollamento sociale.
Questa volta spiegarla all’estero sarà
dura. Non che governi e osservatori stranieri si aspettino livelli di
apprezzabile razionalità da un crisi di governo italiana («in fin dei
conti sono 66 dal 1946 a oggi» scherzava ieri un giornalista tedesco).
Ma
l’ultima rischia di superare ogni limite. E lo stupore con cui si
guarda all’ennesima capriola della politica romana si riflette nei
commenti della stampa internazionale.
«Nel mezzo di una crisi
sanitaria ed economica che ha provocato la peggiore perdita di vite
umane dalla Seconda guerra mondiale, nemmeno gli italiani riescono a
capirci nulla», scriveva ieri il sito Politico.com.
Dal punto di
vista economico la delicatezza del momento era sintetizzata qualche
settimana fa da un articolo di Le Figaro: l’Italia ha il 13,2% del Pil
europeo, ma sarà la prima destinataria degli aiuti anti-pandemia decisi a
Bruxelles, visto che porta a casa il 28% del pacchetto, scriveva il
giornale francese. «La Penisola ha un’occasione storica per recuperare
il ritardo di crescita dell’ultimo decennio. Saprà approfittarne? E se
sì, come?»
La risposta rischia di essere espressa dalla perdita di
valore sui titoli italiani, con relativo rialzo dei rendimenti,
segnalata sui mercati già da martedì. Con i conseguenti commenti degli
operatori: «Se Renzi manterrà la promessa di ritirare i ministri ci
saranno perdite non solo in Italia ma in tutta l’eurozona», diceva
Thomas Altmann, consulente della società di investimento QC Partner,
citato dalle agenzie internazionali.
Come in un gioco dell’oca
siamo, dunque, di nuovo da capo. L’Italia, destinataria del maggiore
sforzo Ue per la ripresa post-virus, e osservata speciale per difficoltà
economiche e incapacità della politica, torna ad essere vista come un
rischio per l’intera Europa.