Archive for Gennaio, 2021

“I vaccinati Covid possono contagiare”. L’immunologo: no al patentino

lunedì, Gennaio 25th, 2021

di ALESSANDRO MALPELO

Roma, 25 gennaio 2021 – Le persone vaccinate contro il Sars-Cov-2 sono protette, ma potrebbero albergare ugualmente tracce di virus nelle prime vie aeree e trasmetterlo involontariamente. L’avvertimento è di Jonathan Van Tam, numero due della Sanità inglese, il quale ribadisce che è opportuno continuare a seguire le regole di distanziamento anche dopo le iniezioni. Chiediamo a Emanuele Cozzi, cattedratico all’Università di Padova, dove è responsabile dell’Unità di immunologia dei trapianti nell’Azienda ospedaliera, che tipo di precauzioni occorre adottare.

Vaccinati Covid in Italia oggi: la dashboard in tempo reale

Professore, i vaccinati potrebbero in teoria trasmettere il virus, ma in misura attenuata. Cosa sappiamo al momento?

“Le sperimentazioni con altri coronavirus eseguite in passato si sono concluse con un invito alla prudenza. Per quanto riguarda la pandemia attuale, sappiamo per certo che chi è vaccinato risulta protetto, ma questa copertura non raggiunge il cento per cento, quindi per qualcuno potrebbe avere un effetto solo parziale, e passa così il Covid-19 ad altri”.

Anche dopo la somministrazione della seconda dose?

“La carica virale probabilmente si abbatte dopo il richiamo, ma non sappiamo in quali proporzioni si interrompe la catena dei contagi”.

Questo è un dato cruciale per i cosiddetti patentini vaccinali chiesti dalle categorie economiche, e dalle organizzazioni del turismo. È pensabile dare una sorta di lasciapassare ai vaccinati?

“Dubito che si possa garantire una immunità con un documento. Le persone vaccinate possono stare tranquille, ma devono continuare a rispettare le misure igieniche precauzionali per i motivi detti prima”.

Vista la frenata nei rifornimenti da parte delle industrie farmaceutiche, che dimezzano le prospettive del piano vaccinale, quando si può sperare di ottenere l’immunità di gregge in Italia?

“Dipende in gran parte da cosa accadrà nelle prossime settimane. Nel Regno Unito la campagna è iniziata l’8 dicembre, hanno già somministrato una prima dose a 5,8 milioni di abitanti, sono arrivati a vaccinare 478.248 persone in un solo giorno. In Italia abbiamo viaggiato al ritmo di 50mila vaccinazioni giornaliere, e dovendo arrivare a proteggere almeno il 70% della popolazione ce ne vuole: per arrivare al traguardo in 200 giorni dovremmo tenere il ritmo degli inglesi. Io credo che in Italia ci siano le potenzialità per fare di più. Deve arrivare il vaccino AstraZeneca Oxford, in prospettiva si aggiungerà quello di Janssen e gli altri a seguire, per non dire degli anticorpi monoclonali. L’immunità di gregge è importante sotto vari punti di vista, non solo per la ripresa economica e i viaggi. Occorre proteggere chi è vulnerabile, come gli anziani con malattie croniche, le persone immunodepresse dopo trapianti e quanti, anche bambini, si sottopongono alle cure oncologiche”.

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Navigator per il reddito di cittadinanza: un fallimento da 180 milioni

lunedì, Gennaio 25th, 2021

di Milena Gabanelli e Rita Querzé

All’Auditorium di Roma la cerimonia era stata organizzata in pompa magna: 2.978 navigator erano appena stati assunti dall’Anpal dopo aver superato un concorso organizzato in fretta e furia dal governo Lega-5 Stelle, a cui avevano partecipato in 19.600. Era il 31 luglio 2019 e l’evento era il frutto di un incontro, quello fra Luigi Di Maio, allora Ministro per lo Sviluppo, e Domenico Parisi, professore di Demografia e Statistica all’università del Mississippi. «Un incontro voluto da Dio» dichiarava Parisi, da poco nominato presidente dell’Anpal. I navigator dovevano trovare lavoro a chi incassa il reddito di cittadinanza.

Adesso invece sono loro a perdere il posto: i contratti scadono il prossimo 30 aprile. Chi li aiuterà a ricollocarsi?

Il problema viene rimandato

Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha promesso il prolungamento dell’ingaggio per altri otto mesi, fino a fine anno. Un modo come un altro per rimandare il problema. La domanda è: i navigator (copyright Luigi Di Maio a Porta a porta il 5 dicembre 2018) servono al Paese e ai contribuenti che pagano il loro stipendio? Tre miliardi del Recovery Fund stanno per essere investiti a supporto di disoccupati a caccia di lavoro: quindi sì, le competenze dei navigator potrebbero servire. In pratica l’affiancamento che oggi forniscono a 1,3 milioni di persone (i percettori di reddito di cittadinanza) dovrà essere allargato a chi incassa l’assegno di disoccupazione (Naspi e Discoll), che sono altri 1,4 milioni. Ma anche a chi è in cassa integrazione straordinaria, oltre ad alcune fasce di disoccupati di lungo periodo. Con la fine del blocco dei licenziamenti e la riforma delle politiche attive del lavoro, la platea potenziale di coloro che avranno bisogno di essere accompagnati nella ricerca di un’occupazione potrebbe arrivare attorno ai 3 milioni.

Il lavoro svolto fin qui

Agli inizi di ottobre 2020, su 1.369.779 percettori di reddito di cittadinanza tenuti a firmare il patto per il lavoro, 352.068, pari al 25,7%, aveva trovato un posto. Ma a fine ottobre, dopo un mese, si erano già ridotti a 192.851, perché l’85% aveva firmato contratti a scadenza, molti inferiori a 6 mesi. Colpa anche della pandemia che ha complicato moltissimo la situazione sul mercato del lavoro, dove in media su tre nuovi contratti di lavoro due sono a termine.

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Israele, l’accordo segreto di Netanyahu con Pfizer trasforma il Paese in un laboratorio

lunedì, Gennaio 25th, 2021


dal nostro corrispondente di Davide Frattini,
GERUSALEMME — Nell’ufficio del primo ministro — dove ormai risiede da quasi dodici anni — Benjamin Netanyahu tiene i memorabilia da mostrare ai leader stranieri in visita a Gerusalemme. Sotto la teca di cristallo, assieme al modellino del sistema anti-missile Arrow, da qualche settimana il primo ministro ha collocato un’altra freccia: la siringa con cui gli è stata somministrata la prima dose di vaccino. La campagna di immunizzazione coincide con la campagna elettorale — il 23 marzo gli israeliani tornano a votare per la quarta volta in due anni — e il capo del governo vuole restare tale ripetendo ai comizi e nei corridoi degli ospedali che «Israele sarà il primo Paese a sconfiggere il Coronavirus».

Dal 20 di dicembre oltre 2 milioni e mezzo di persone sono stati inoculati e da ieri possono ricevere il vaccino anche i ragazzi tra i 16 e i 18 anni, l’obiettivo è coprire entro la fine di marzo i due terzi della popolazione (in totale 9,2 milioni) senza contare i più giovani. Le fiale che scarseggiano in Europa non sono mai mancate in Israele. In settembre il premier Netanyahu ha contattato di persona Albert Bourla, l’amministratore delegato di Pfizer, per farsi garantire la fornitura. Secondo alcune fonti, lo Stato ebraico ha pagato molto di più per accaparrarsi le dosi, fino al doppio di americani ed europei.

Soprattutto è emerso che il ministero della Sanità ha firmato con la casa farmaceutica un accordo di venti pagine e ha garantito di fornire tutti i risultati delle vaccinazioni, compresi i dettagli di ogni singola puntura fino al braccio di inoculazione. Un’intesa simile sarebbe stata finalizzata anche con Moderna. Aver trasformato Israele in un laboratorio su scala nazionale preoccupa le organizzazioni che lottano per la protezione della privacy: il governo assicura che a Pfizer vengono fornite solo statistiche generali, senza dati personali. «Questa enorme quantità di informazioni può essere hackerata. A quel punto nessuno potrebbe controllare nelle mani di chi finirebbe e potrebbe essere sfruttata in futuro dalle assicurazioni o dai datori di lavoro», spiega Tehilla Shwartz Altshuler, esperta dell’Israel Democracy Institute.

(Qui i dettagli del contratto secretato tra Pfizer e l’Italia)

Una petizione presentata in tribunale da queste associazioni ha costretto il ministero della Sanità a rendere pubblico l’accordo con Pfizer, seppure con alcuni passaggi secretati: «L’obiettivo è analizzare i dati epidemiologici per determinare se l’immunità di gregge viene raggiunta dopo una certa percentuale di vaccinati». Per velocizzare le operazioni il documento è stato approvato senza il parere della commissione Helsinki deputata a definire le regole per le sperimentazioni mediche sugli esseri umani.

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Vaccino Covid, i segreti del contratto Pfizer: «Sulle dosi in ritardo penali non automatiche»

lunedì, Gennaio 25th, 2021

di Lorenzo Salvia e Fiorenza Sarzanini

Otto gennaio 2021: è questa la data chiave per comprendere perché l’Italia non potrà rispettare i tempi della campagna vaccinale che doveva chiudere a fine settembre. E per capire come il colosso americano Pfizer abbia avuto gioco facile sui contratti firmati con l’Unione Europea per la fornitura di 300 milioni di dosi del vaccino contro il Covid 19. Quel giorno Pfizer ha infatti ottenuto dall’Ema, l’agenzia europea del farmaco, l’autorizzazione a sostenere che ogni fiala prodotta con il suo marchio contiene 6 dosi di vaccino e non 5. Un calcolo mai effettuato durante le trattative, né tantomeno al momento di siglare gli accordi con la Ue. Clausole, penali, scadenze e costi: eccolo il contratto firmato dalla commissione Ue con la multinazionale, identico a quello chiuso con le altre cinque case farmaceutiche che producono il vaccino. Un atto secretato che rivela un dettaglio clamoroso: in caso di inadempienze le penali non scattano in maniera automatica. E questo consente alla multinazionale — dunque a tutte e sei le case farmaceutiche — violazioni difficili da contestare e contrastare. Non solo. Nei documenti a disposizione dell’Avvocatura dello Stato per la diffida che già oggi potrebbe partire è confermato che BioNTech, l’azienda tedesca associata a Pfizer nella produzione del vaccino, ha siglato un contratto parallelo con la Germania che si aggiunge a quello concordato da Bruxelles. E che rischia di minare la distribuzione equa delle dosi tra gli Stati dell’Unione stabilita in percentuale rispetto agli abitanti di ogni Paese, visto che garantisce a Berlino una fornitura aggiuntiva di 30 milioni di dosi.

Aiuti per la ricerca a fondo perduto

Prima ancora di firmare il contratto definitivo, la commissione guidata da Ursula von der Leyen si impegna con Pfizer e BioNTech a finanziare la ricerca e la sperimentazione del vaccino in vista della possibile approvazione delle agenzie regolatorie, Ema per l’Europa e poi quelle nazionali, Aifa per l’Italia. Siamo tra ottobre e novembre, nel pieno della seconda ondata. Bisogna fare in fretta, cercare di immunizzare quante più persone è possibile. Eppure il vaccino appare ancora un miraggio. L’Italia e gli altri membri dell’Unione si piegano dunque alla linea imposta da Bruxelles. Accettano di versare soldi a fondo perduto. Si prendono il rischio di perderli qualora i test dovessero avere esito negativo. L’11 novembre il contratto viene firmato.

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La maggioranza ad orologeria

lunedì, Gennaio 25th, 2021

“C’ è chi drammatizza e chi ironizza. L’ incriminazione di Lorenzo Cesa, segretario dell’ Udc, nel pieno della crisi di governo, è di sicuro un fatto di grande rilevanza, un’ ingerenza della magistratura nella vita politica. Ma oggi i principali giornali l’ hanno già superata dopo 48 ore, perché le indagini sono condotte da un procuratore intoccabile: quel Nicola Gratteri da Catanzaro che, una conferenza stampa dopo l’ altra, si è costruito la fama di inflessibile cacciatore di criminali in Calabria.

In rapporti privilegiati con il ministro Bonafede, in un circuito stretto di solidarietà con un gruppo importante di magistrati molto giustizialisti (Di Matteo, ancora in attività, e i due ex Davigo e Ingroia); addirittura candidato da Matteo Renzi a ministro della Giustizia nel suo primo governo (fu fermato dal presidente Napolitano che ricordò a Renzi l’ inopportunità), sogna di diventare il Falcone di Calabria. Sogno impossibile, perché le inchieste di Falcone erano di assoluta precisione, quelle di Gratteri sono altrettanto mastodontiche, per quantità di indagati e imputati, ma finiscono spesso con un grande numero di assoluzioni, per mancanza di prove, soprattutto per gli imputati più noti.


Da questa statistica nasce l’ ironia di molti commenti, intimiditi ai toni del procuratore, ma scettici su buona parte delle sue inchieste. «Se Cesa è indagato in una maxinchiesta di Gratteri – si sente dire – può stare tranquillo». Prima o poi sarà prosciolto. Intanto, Cesa si è dimesso e il quadro politico è ancora in subbuglio in vista di giovedì prossimo, quando il ministro della Giustizia presenterà al Parlamento la sua controversa riforma. Per Cesa si è parlato, ancora una volta, di giustizia a orologeria, ma si potrebbe parlare di maggioranza a orologeria: l’ intromissione nella vita politica è esplicita e motivata dallo stesso Gratteri. In un’ intervista sul Corriere della Sera, il procuratore ha detto: «Ho sentito in tv dallo stesso Cesa che non avrebbe aderito alla maggioranza, quindi non c’ è problema».

Vale la pena di sottolineare quel «ho sentito in tv» per definire dichiarazioni rilasciate in Parlamento, ma il problema resta enorme: l’ inchiesta sui rapporti Udc-imprenditori in Calabria è antica, del 2017, avrebbe potuto attendere una settimana. Cesa è stato aggiunto come segretario nazionale, i fatti che lo riguardano consistono in un pranzo nel 2017. Ma Gratteri rivendica di aver fatto una considerazione politica e non voleva rinunciare ad una piccola aggiunta di riflettori, anche se in questo tipo di atteggiamenti si potrebbe definire recidivo. L’ inchiesta «Lande desolate» (chissà chi inventa questi nomi) incrimina, alla vigilia delle elezioni regionali del 2020 il presidente uscente della Regione Mario Oliverio (Pd) per peculato a vantaggio di una sua promozione politica. Anche in quel caso fa un ragionamento politico, perché in perfetta par condicio mette nell’ inchiesta «Passepartout» anche il candidato del centrodestra Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza. Tutti e due si ritirano dalla politica, poi nel luglio Occhiuto viene prosciolto con la formula del non luogo a procedere: carriera finita, vita rovinata e il 4 gennaio scorso anche Oliverio viene assolto perché il fatto non sussiste nell’ inchiesta «Lande desolate».

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Arrestato un medico nel Bresciano: ha indotto la morte in pazienti Covid

lunedì, Gennaio 25th, 2021

I carabinieri del Nas hanno arrestato un medico in servizio al pronto soccorso di un ospedale del Bresciano per aver indotto la morte di due pazienti Covid. Il medico, accusato di omicidio, secondo gli inquirenti ha intenzionalmente somministrato a pazienti affetti da coronavirus farmaci anestetici e bloccanti neuromuscolari causando la morte di due di loro. Gli episodi risalgono a marzo 2020, nel momento della maggior pressione sugli ospedali.

Le indagini sono scattate a due mesi dagli eventi, anche mediante il supporto di accertamenti tecnici di medicina legale disposti dall’Autorità giudiziaria. Nelle cartelle cliniche di numerosi pazienti deceduti in quel periodo per Covid-19, è stato riscontrato alcuni casi un repentino, e non facilmente spiegabile, aggravamento delle condizioni di salute.

Farmaci in dosi letali – Tre salme sono state esumate per essere sottoposte ad autopsia. Le indagini hanno rilevato, all’interno di tessuti e organi di una di loro, la presenza di un farmaco anestetico e miorilassante comunemente usato nelle procedure di intubazione e sedazione del malato che, se utilizzato al di fuori di specifici procedure e dosaggi, può determinare la morte del paziente. Dal piano clinico dei deceduti non risulta tuttavia la somministrazione di tali medicinali (indicata invece nelle cartelle di pazienti poi effettivamente intubati) tanto da ipotizzare a carico dell’indagato anche il reato di falso in atto pubblico.

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Crisi di governo, Pd stanco di aspettare Conte. “Nuovi gruppi o su giustizia salta tutto”

domenica, Gennaio 24th, 2021

di ETTORE MARIA COLOMBO

Sarà lo stress, sarà la stanchezza, sarà il caso (e caos) Bonafede, tempesta che si addensa già all’orizzonte, ma certo è che il Pd ha deciso di dare i ‘tre giorni’ al suo amato premier, Giuseppe Conte. “Conte non si molla” redarguisce gli scettici e i tiepidi Andrea Orlando, ma “si dia una mossa”. Poi, magari non saranno esattamente tre, i giorni, e si allungheranno all’intera settimana che inizierà domani, ma certo è che al Nazareno la pazienza è finita, dice sempre Andrea Orlando (“restano pochi giorni, ormai ci siamo”): preme, con tutto il Pd, su Conte affinché risolva presto la crisi, trovi i gruppi di Responsabili che servono e, poi, salga al Quirinale per dimettersi. Infatti, anche il Pd, ormai, preme per un solo sbocco alla crisi: dar vita al Conte ter via dimissioni, consultazioni, nuovo incarico, nuova fiducia.

Altro che rimpastone del Conte bis. Serve un governo nuovo, con la possibilità di assegnare incarichi ai famelici e numerosi nuovi alleati, i piccoli oggi solo Responsabili, serve una maggioranza certa e certificata con numeri solidi e un fatto politico nuovo, gruppi di impianto ‘europeista’. Guarda caso, si tratta di parole ricalcate su quelle del Colle, non foss’altro perché “il Pd è il partito del Quirinale”, come ricorda, a ogni pie’ sospinto, un big dem ex renziano. La differenza è che il Pd – a differenza del Quirinale, che si tiene aperte tutte le vie d’uscita – dice un no secco al ritorno di Iv in maggioranza, a premier che non si chiamino Conte, e, tantomeno, a governissimi con la ‘destra’ anti-europeista.

La giornata, vista dal lato dem, è stata segnata proprio dalle dichiarazioni del leader della sinistra interna, Orlando che, in un crescendo rossiniano, esclude tutti gli altri governi che non vedano Conte alla guida, sennò ‘minaccia’ il voto; chiude la porta in faccia a Renzi (“rimettere insieme i cocci con chi si pone il fine di distruggere il Pd è impossibile”), ma, soprattutto, mette nel mirino il ministro Bonafede: “Serve un fatto politico nuovo da parte del governo e del ministro, altrimenti si va a sbattere”, dice. Parole che creano sconcerto, ma non è la richiesta di dimissioni di Bonafede, bensì – come precisa poi Orlando all’Ansa – la richiesta che “il ministro apra, nella sua relazione, ai contributi dei gruppi parlamentari, anche di quelli nuovi ed europeisti”. Insomma, Bonafede si deve cercare una nuova maggioranza (e Conte pure), devono farlo al più presto e farlo al meglio, altrimenti ‘si va a sbattere’. Cioè a quelle urne anticipate che il Pd, o meglio il Nazareno vede con malcelato piacere.

Il governo rischia di finire ‘sotto’ sulla relazione Bonafede? Possibile. Non solo il centrodestra, ma anche Iv voterà no. Soprattutto al Senato, Bonafede rischia grosso: Casini non voterà a favore; Binetti, la Lonardo Mastella, forse pure Nencini voteranno no. Per non dire di tutta FI, che questa volta sarà compatta. Dice Mara Carfagna, leader dei moderati azzurri, che votare contro Bonafede “è un dovere morale, non tattica politica”.

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Larry King morto, il leggendario conduttore americano era ricoverato per Covid

domenica, Gennaio 24th, 2021

Larry King è morto. Il leggendario giornalista e conduttore televisivo americano si è spento all’età di 87 anni. L’annuncio sul suo profilo Twitter. King è morto al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, dove era stato ricoverato alcune settimane fa dopo essere risultato positivo al Covid. Secondo il comunicato che ne ha annunciato la scomparsa, i dettagli dei funerali del celebre giornalista, che aveva alle spalle una carriera lunga 63 anni, verranno annunciati in seguito. King aveva 87 anni ed era stato subito considerato come paziente ad alto rischio, non solo per motivi anagrafici, ma anche per i suoi molti problemi di salute. Lascia tre figli, Larry Jr, Chance e Cannon. APPROFONDIMENTI

Chi era Larry King

Larry King, all’anagrafe Lawrence Harvey Zeiger, era nato a New York il 19 novembre 1933 ed era affetto da diabete di tipo 2 e, nel corso degli anni aveva sofferto di diversi attacchi di cuore che, nel 1987, lo avevano portato a sottoporsi a un intervento chirurgico di bypass quintuplo. Nel 2017, il conduttore aveva rivelato che gli era stato diagnosticato un cancro ai polmoni ed era stato sottoposto con successo a un intervento chirurgico per curarlo.

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Elezioni comunali a Roma, c’è la crisi e la Capitale sparisce: i partiti al palo sui candidati

domenica, Gennaio 24th, 2021

di Mario Ajello

La crisi di governo ha ingessato ciò che era già fermo. Chi ricorda più che, tra pochi mesi a Roma, e non solo qui, si dovrebbe votare per le Comunali? Le elezioni per il Campidoglio sono lontane dal cuore dei partiti e la crisi di governo le sta rendendo ancora più remote, non interessanti, marginali rispetto a quella che è l’ossessione che assorbe tutte le attenzioni del Pd e di M5S e del centrodestra e cioè le sorti di Conte del quadro politico che ne ha garantito la sopravvivenza in rossogiallo dal settembre del 2019 fino ad ora.

Se la data indicata inizialmente per il voto a Roma, e altrove, era la primavera prossima, sembra sempre più probabile – per la gioia dei contendenti che non hanno né programmi né candidati a disposizione – che l’appuntamento slitti a causa dell’infinita emergenza Covid. La decisione è nelle mani del governo che, dopo aver posticipato le elezioni regionali calabresi all’11 aprile, su Roma e sul resto non sa come muoversi. 

Raggi, c’è il rimpasto: via Bergamo e Cafarotti. Il vicesindaco sarà Pietro Calabrese

L’ipotesi è di rinviare tutto a dopo l’estate. C’è tempo fino a marzo per decidere ma c’è da vedere come si uscirà dalla crisi di governo. Un rinvio non dispiace affatto ai partiti – nonostante i romani sentano il bisogno di sapere come dev’essere e come sarà la città in cui vivono – privi di visione su Roma e bloccati dai veti e controveti interni alle coalizioni. Il problema è che, a livello politico, è come se la questione romana e il voto per il Campidoglio non esistessero. E questo è un grave danno per una città che ha bisogno di ripartire al più presto e necessita di un governo nazionale nel pieno delle sue funzioni, capace di dare alla Capitale non 8 miliardi del Recovery Fund, secondo l’ultima bozza del documento da inviare alla Ue, ma sperabilmente di più e almeno quei 25 miliardi che la sindaca Raggi ha chiesto per la ripartenza della città guida del nostro Paese. 

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Passaporto vaccinale, il sì di palestre e piscine: «Così si rilancia lo sport»

domenica, Gennaio 24th, 2021

di Valeria Arnaldi

Piscine chiuse. Circoli con impianti sportivi inutilizzati. Palestre inaccessibili. Realtà imprenditoriali al collasso. E la richiesta di strumenti, come il passaporto vaccinale, per riaprire in sicurezza. Presto. «Sì al passaporto vaccinale e a qualsiasi strumento riconosciuto dai sanitari che consenta di riaprire presto e tornare alla normalità – dichiara Giorgio Averni, presidente del circolo Antico Tiro a Volo, a Roma – Ricevo continuamente telefonate di persone che vorrebbero poter accedere agli impianti sportivi e nonostante sappia bene quanto, in particolare per alcune, sarebbe importante e utile, sono costretto a dire no». A preoccupare è anche la situazione politica attuale. «Tutto quello che distoglie dai problemi veri è deprecabile – prosegue – non voglio dire che ci sia un’attenzione deliberatamente spostata su altro, ma la pandemia è un problema che ogni persona vive sulla propria pelle. Si dovrebbe guardare prima al benessere della gente e poi al dibattito politico, che peraltro dovrebbe avere come fine ultimo proprio il benessere delle persone».

Vaccino Astrazeneca, perché l’Europa è lenta a dare il suo via libera?

Covid, Lazio: «Sì al vaccino russo Sputnik 5», l’immunità solo nel 2022

La questione è anche sociale. «Il passaporto vaccinale sarebbe, certamente, un bel mezzo per riaprire le attività – commenta Paolo Barelli, presidente Federazione Italiana Nuoto – occorre che ci siano i vaccini. Stando alle stime dei tecnici, forse per luglio avremo una percentuale alta di vaccinati. Temo, però, che a quel punto molte piscine saranno fallite. Lo sport non è solo quello dei grandi campioni, è un elemento essenziale per il benessere psicofisico delle persone e mi pare che questo sia stato dimenticato dalla politica». A ciò si aggiunge la questione economica. «Un impianto di medie dimensioni – spiega – ha, in media, come costi fissi circa 30/40mila euro al mese. Stiamo parlando di quasi mezzo milione in 12 mesi, ossia da quando le strutture sono chiuse. E per gli impianti grandi, i costi salgono a 60/70mila euro mensili. Come si può resistere così? Ad oggi, il 70% degli impianti per il nuoto è chiuso e la metà non riuscirà a riaprire. Il problema ci sarà anche in ottica agonistica. Ci sono ragazzi che si impegnavano costantemente, andando la mattina a scuola e il pomeriggio in piscina, che ormai da mesi non possono più farlo».

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