Una parte della facciata della Chiesa di Santa Maria del Rosario alle Pigne (conosciuta come del ‘Rosariellò) è crollata per cause in corso di accertamento stamane in Piazza Cavour nel centro di Napoli. Crollato anche un solaio con parte dell’edificio adiacente alla chiesa. Secondo quanto si apprende dalla Polizia Municipale,che con i vigii del fuoco sta facendo accertamenti, non vi sarebbero feriti. Il crollo è avvenuto intorno alle 8. La zona è molto frequentata: accanto alla chiesa vi è la Salita Stella utilizzata da automobilisti e pedoni così come l’area di Piazza Cavour.
I padri che celebrano le funzioni nella Chiesa del Rosariello a Napoli sono entrati, insieme con i Vigili del Fuoco, nella struttura per una verifica all’interno di eventuali danni. Contrariamente a quanto appreso in precedenza, la Chiesa era regolarmente aperta al culto. «È un vero miracolo che non sia rimasto coinvolto nessuno – dice un residente – dal momento che alle spalle vi è un istituto scolastico anche per le elementari e la zona è molto frequentata». Sul posto, oltre ai Vigili del Fuoco e la Polizia Municipale c’è anche la Polizia di Stato oltre a unità della Protezione Civile.
Tristi quei governanti che hanno bisogno del pallottoliere per fare
politica, triste il Paese che da quegli uomini è retto. Come ha
ricordato Pierferdinando Casini nell’unico intervento
degno di uno statista ascoltato ieri in Senato, se ci sono due cose che
in politica non servono sono l’angusta logica dei numeri e i
risentimenti. In particolare quando i numeri sono così esigui, e il risultato di ieri sera è stato per Conte
molto esiguo visto che la somma dei No e degli astenuti è stata uguale
ai Sì, e il risentimento pare trovare origine nei soliti dissidi che
alla sinistra hanno sempre portato malissimo.
Eppure proprio su numeri e risentimenti il premier e la sua minoranza hanno dato prova di contare in questi giorni bruttissimi
per la politica italiana, in cui tutti ne escono male, ognuno con la
sua parte di colpa. Il Paese si ritrova, se non dovesse cadere prima,
con un governicchio in uno dei momenti più drammatici della sua storia. L’esecutivo Conte aveva
governato maluccio fino a dicembre, e la drastica virata di rotta sulle
sollecitazioni di Italia viva ne è la dimostrazione evidente,
figuriamoci cosa potrà combinare senza una maggioranza “vera” al Senato,
che si fonda esclusivamente sui senatori a vita e su quattro raccattati
nelle retrovie del potere.
L’operazione responsabili è servita al premier per passare la nottata, ma non sarà sufficiente
a quel rilancio del governo che Conte ha promesso. Conte ha parlato di
“nuovo progetto politico”, che però per diventare realtà non potrà
passare unicamente per l’aggiunta di altri voltagabbana
a quelli già incamerati. Come peraltro si vocifera stia accadendo. Le
mezze frasi di alcuni degli aspiranti volenterosi (“per adesso non voto
la fiducia, valuterò in seguito”) rappresentano più di un indizio.
Serviranno i contenuti, le idee, i progetti. In sostanza la politica.
Con il proliferare di nuove varianti del coronavirus, la lotta al contagio diventa ancora più dura. Finora non ci sono prove scientifiche che il Sars-CoV-2, mutando, sia diventato più letale, ma è certo che sia diventato più resistente e contagioso: lo dimostrano, ad esempio, i casi della variante sudafricana e di quella inglese.
In Europa e in Italia la variante britannica
del coronavirus ha già iniziato a diffondersi ed è questa una delle
spiegazioni al boom di contagi durante la seconda ondata, che hanno
interessato anche quei paesi, come la Germania, che all’inizio della
pandemia avevano fronteggiato in maniera ottimale l’emergenza. Mutando,
il virus è diventato molto più contagioso e resistente ai dispositivi di protezione individuale, tra cui le mascherine. E proprio sotto questo aspetto, dalla Francia, arriva un allarme.
A diffonderlo è il ministro francese della Salute, Olivier Véran, che in un’intervista alla radio France Inter ha sconsigliato l’utilizzo di mascherine
che garantiscono un filtraggio inferiore al 90%. Di quali si tratta? In
estrema sintesi, della maggior parte di quelle artigianali in stoffa,
che garantiscono un filtraggio pari solo al 70% delle particelle di tre
micrometri.
«Le unichemascherineche raccomandiamo di fronte alle varianti del virus sono quelle chirurgiche e le FFP2»
– ha spiegato il ministro francese della salute – «Qui in Francia la
situazione dei contagi relativi alle nuove varianti del virus è
decisamente migliore rispetto a quella dei nostri vicini europei, ma
abbiamo ancora un tasso di contagio troppo alto per allentare le
restrizioni. Il coprifuoco alle 18 resta in vigore su tutto il
territorio nazionale e non è escluso il rischio di dover imporre il
terzo lockdown dall’inizio dell’emergenza».
Il “rafforzamento della squadra di governo” promesso dal premier Conte parte tutto in salita e non tanto per una questione di numeri ma di prospettiva politica visto che il governo evita a Palazzo Madama la débacle grazie a due senatori di Forza Italia e ad un ex grillino spinto in Aula all’ultimo momento.
Comporre la quarta gamba della maggioranza in sostituzione di Iv
diventa ora complicato perché non sono usciti allo scoperto in «maniera
trasparente», come promesso da Giuseppe Conte e Dario Franceschini, un
gruppo di “volenterosi” ma si sono acchiappati al volo tre senatori che
hanno solo in parte evitato al governo di schiantarsi già ieri sera. Il
risultato non soddisfa l’ala governativa del Pd che ha sostenuto Conte
nella sfida perchè i 156 sono frutto di un “raschiamento” degli
scontenti molto lontani, alcuni anche per storia politica personale, da
quelle tradizioni invocate dallo stesso Conte. «Sommando voti contrari e
astenuti, Conte non avrebbe avuto la fiducia. Ne prenda atto e domani
mattina vada al Colle a dimettersi», sostiene il senatore Lupi che
ricorda come nella scorsa legislatura a palazzo Madama l’astensione
veniva considerato voto contrario.
Sino
a ieri pomeriggio tutti coloro che trattavano per salvare Giuseppe
Conte si dicevano convinti che entro pochi giorni avrebbero trovato una
dozzina di senatori pronti a costruire un gruppo, ma il compito appare
ora più arduo. «Ma chi viene ora a sorreggere un governo così debole»,
sosteneva ieri notte un ministro sconsolato. Conte informerà oggi il
Capo dello Stato Sergio Mattarella sull’evoluzione della crisi di
governo e in questa occasione è probabile che il premier rassicuri il
Presidente sui tempi del rafforzamento della maggioranza. Il Quirinale
osserva con costante preoccupazione la crisi e il risultato di ieri sera
non cambia quel «fare presto» che guarda all’emergenza pandemica e ai
tanti problemi del Paese. Il problema per Mattarella è anche il pressing
delle opposizioni che già ieri sera chiedevano udienza al Quirinale.
L’obiettivo
della maggioranza assoluta non si doveva raggiungere ieri sera, ma
resta come obiettivo politico e non solo perché alcuni voti richiedono
la soglia del 161. Nel M5S e nel Pd ci si interroga sulla campagna acquisti e su quel gruppo «raccogliticcio», per dirla con Renzi, che ora si dovrà costruire e amalgamare. Un embrione, secondo i progetti, di quel partito di Conte più volte enunciato.
Da
quando è iniziato il tira e molla con Iv, quasi due mesi fa e
inizialmente supportato anche dal Pd, Conte ha sempre escluso l’ipotesi
delle dimissioni anche in vista di un reincarico dato per certo. Un
ultimo tentativo, che prevedeva un passaggio del premier al Quirinale
per tentare un “ter”, è stato proposto dal Pd per scongiurare le
dimissioni dei ministri di Iv, ma il premier ha sempre temuto che
mollare palazzo Chigi anche per un secondo, sarebbe stato e continua ad
essere pericoloso. Niente “ter”, quindi, almeno nelle intenzioni del
presidente del Consiglio.
Nel
Pd non tutti sono però pronti a sostenere la linea di Conte che è
sostenuta dalla pattuglia dem al governo. Il semplice rimpasto non
sarebbe sufficiente a cambiare in radice la squadra di governo e
permettere, per esempio, al Pd di mettere un piede a palazzo Chigi con
Andrea Orlando. Ma gli aspiranti sono anche altri e attese analoghe ci
sono nel M5S dove crescono i contrari alla nascita di un partito di
Conte che potrebbe rappresentare la scialuppa di salvataggio per molti
grillini al secondo mandato.
Renata Polverini, deputata di Forza Italia con trascorsi importanti nella destra noir, avrebbe deciso di votare la fiducia al governo Conte per amore di un deputato del Pd. E non uno qualsiasi, ma Luca Lotti, l’ex amico del cuore di quel Renzi che è alle origini di tutto questo trambusto. Il mormorio si è diffuso nei palazzi della politica subito dopo il cambio di casacca della Polverini ed è dilagato sui social, infischiandosene della smentita degli interessati. A memoria non si ricorda un episodio simile a sessi invertiti. Quando Razzi piantò Di Pietro per Berlusconi, nessuno insinuò che lo avesse fatto per amore di una deputata del centrodestra (alla quale, nel caso, avremmo espresso la nostra solidarietà). Aveva voltato gabbana per pagarsi il mutuo, dissero tutti, a cominciare da lui. Così come è facile immaginare che, se fosse stato Lotti a compiere il percorso inverso, lasciando il Pd per passare all’opposizione, adesso si parlerebbe di una ripresa del suo sodalizio con Renzi e non di una love-story.
l leader della Lega in Aula cita una vecchia battuta del fondatore del M5s – Agtw /CorriereTv
«Lei, avvocato Conte, ci chiede la fiducia, non la
diamo a lei ma agli italiani. Speriamo che liberi la sua poltrona. E
ricordo ai senatori a vita che legittimamente voteranno la fiducia ai
5s, cosa diceva il leader dei 5s su di loro, `non muoiono mai, o almeno
muoiono troppo tardi´, che coraggio che avete…». Così il leader della
Lega, Matteo Salvini, intervenendo in dichiarazione di voto a Palazzo
Madama, provocando la bagarre e la protesta della Presidente Casellati.
«Parole veramente inopportune», ha chiosato. «Sono parole disgustose e
il senatore che parlerà dopo chiederà scusa nome dei 5s», ha concluso
Salvini.
Quattro telefonate, di giorno e di notte e con l’ultima, un soffio prima del gong, Giuseppe Conte strappa il sì del socialista renziano Riccardo Nencini, che ha in tasca il simbolo del Psi. Ma con 156 voti c’è poco da esultare. Il premier da una parte è soddisfatto, «perché si va avanti e adesso bisogna correre, per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica». Dall’altra, a Palazzo Chigi c’è preoccupazione perché i numeri, è chiaro, «non sono straordinari». Il piano è tirare dritto, mostrando di non sentire le grida indignate delle opposizioni. Non dimettersi («e perché mai?»), ma semmai salire oggi stesso al Colle per riferire al presidente Mattarella. E poi? Stamattina un vertice di maggioranza, lavorare per far approvare Recovery e scostamento di bilancio e, da qui a fine febbraio,dare la caccia ai responsabili per allargare la maggioranza relativa con cui ha salvato il suo governo dalla «irresponsabilità di Renzi». La sofferta fiducia di Palazzo Madama è per Conte «un punto di partenza», ma il finale è incerto. Prova ne sia l’ansia con cui l’avvocato chiedeva ieri ai suoi interlocutori: «Davvero Zingaretti vuole andare a votare?». Se tra un paio di settimane i numeri non saranno lievitati, Conte dovrà arrendersi a salire al Colle.
L’avvocato deve
trovare in fretta almeno cinque, sei «costruttori», anche perché i
senatori a vita Segre, Monti e Cattaneo spesso non prendono parte ai
lavori di Palazzo Madama. «I numeri presto aumenteranno», si dice
fiducioso Conte. Sì, ma come? Nel Pd c’è chi spera che la
ricomposizione con Italia viva sia solo questione di tempo, ma il
premier ha orgogliosamente «voltato pagina» e sogna di portare via a
Renzi più senatori possibile. Lasciandolo dall’altra parte del campo. Se
non vorrà arrendersi al passaggio ad alto rischio del Conte ter, il
giurista pugliese dovrà far fruttare al massimo il «pacchetto» che
contiene patto di legislatura, rimpasto e legge proporzionale. E
se l’azzardo del sistema elettorale lanciato per sedurre Forza Italia e
Udc ha messo in allarme il Pd e il M5S, che vedono all’orizzonte una
«lista Conte», adesso l’avvocato ha altri tormenti. Il primo è allargare in fretta la maggioranza, perché «se non ci sono i numeri questo governo va a casa».
Alla fine di una giornata lunghissima,
si leva un grido dal centrodestra: «Ci rivolgeremo a Mattarella: c’è un
governo che non ha la maggioranza al Senato e sta in piedi con chi
cambia casacca», annuncia Matteo Salvini. «Conte non ha la maggioranza,
non può andare avanti così. Berlusconi si dimise. Non credo che
Mattarella chiuderà un occhio», aggiunge Giorgia Meloni, che già nella discussione alla Camera aveva chiamato in causa il ruolo del capo dello Stato. «Non hanno i numeri, Forza Italia chiede un incontro al capo dello Stato», chiosa Antonio Tajani. Il voto di fiducia finisce con grande delusione per il centrodestra, peri sì arrivati a sorpresa da Forza Italia, ma con la certezza che «non finisce qui». Che nei prossimi giorni si darà battaglia.
Tutti i leader della coalizione avevano accarezzato fino all’ultimo il sogno di buttare giù il governo: «Vedo tanto nervosismo, qui c’è gente che era convinta di portare a casa la poltrona, adesso siete meno convinti di portare a casa la poltrona, eh…», ruggiva Matteo Salvini in Aula durante il suo intervento, facendo correre un brivido alla maggioranza, mentre i numeri si facevano sempre più ballerini e il tam tam su un possibile no in arrivo da Italia viva pareva un’ipotesi concreta.
D’altronde, da giorni, e ieri ininterrottamente, i leader del centrodestra — con il capo leghista in testa — si erano confrontati con Matteo Renzi per cercare di convincerlo a votare contro l’esecutivo.
Erano stati fatti anche i calcoli: Iv avrebbe perso certamente 4
senatori, che avrebbero votato sì, ma poteva essere realizzato il
colpaccio di battere il governo o almeno di tallonarlo su numeri molto
bassi, costringendo Conte alle dimissioni.
Serviva però non perdere nemmeno un voto. E lo stesso Renzi, che con i suoi ha deciso di votare solo alla seconda chiama, ha assistito con tutto il centrodestra alla seconda botta presa in due giorni da Forza Italia, che ha perso due pezzi importanti ai fini della conta, almeno uno clamoroso: il senatore ex montiano Andrea Causin, dato in dubbio fino all’ultimo, eMaria Rosaria Rossi, l’ex segretaria e collaboratrice di Berlusconi ai tempi del «cerchio magico», hanno votato sì. «È una vendetta della Pascale contro il Cavaliere…»,
dice tra i denti una collega a proposito della Rossi, grande amica
dell’ex compagna di Berlusconi, «una condotta vergognosa, riprovevole e
indegna», grida Maurizio Gasparri, mentre Antonio Tajani e Anna Maria Bernini decretano l’espulsione dei due dal partito di due, così li definisce Giorgio Mulè «voltagabbana d’accatto».
Dopo la fiducia incassata anche al Senato, l’obiettivo del governo è “rendere ancora più solida questa maggioranza”. Lo ha detto Giuseppe Conte, sottolineando che “l’Italia non ha un minuto da perdere. Subito al lavoro per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica. Priorità al piano vaccini, Recovery Plan e dl Ristori“. Duro il commento di Matteo Renzi: “Forse non è game over per il governo, ma è game over per il Paese”.
“Non hanno i numeri nelle Commissioni, non ho più il vincolo di maggioranza, non devo più votare per Bonafede”, ha affermato il leader di Italia Viva.
Renzi: “Pronti a tutto, anche a un governo di unità nazionale”
– Per Renzi “c’è stato un calciomercato lunghissimo e alla fine numeri
decisamente deludenti. Un Paese in crisi non si governa con questi
numeri. Noi siamo assolutamente disposti a discutere di tutto, tranne
con la la destra. Anche di un governo di unità nazionale. Ci sono tante
possibilità, ma Conte pensa più alla poltrona che al Paese”.
“Italia Viva all’opposizione, dovevano asfaltarci ma mancano i numeri”
– “Oggi dovevano asfaltarci, ma non hanno la maggioranza”, ha aggiunto
Renzi. “Mi sembra evidente” che da oggi saremo opposizione: “il
presidente del Consiglio ha scelto di costituire un’altra maggioranza,
non ci vuole con sé”.
Il governo di Giuseppe Conte alla
prova del Senato incassa la fiducia con 156 sì. Due senatori di Forza
Italia hanno votato a favore del governo Conte così come il
senatore di Iv, il socialista Riccardo Nencini. L’esecutivo resta quindi
sotto i 161 voti necessari per la maggioranza assoluta ma ottiene la
fiducia con la maggioranza semplice. I ‘no’ sono stati 140, 16 gli astenuti. APPROFONDIMENTI
La
proclamazione del risultato delle votazioni ha subito un ritardo per il
caos generato dal voto del senatore Alfonso Ciampolillo (ex M5S)
arrivato in tardi sulla seconda chiama. La presidente Elisabetta
Casellati ha chiesto di vedere la registrazione video della seduta e ha
poi fatto nuovamente esprimere il voto al senatore, favorevole alla
fiducia.
Salvini e Meloni: chiederemo colloquio al Colle
«Rispetto
alle premesse e alle speranze di Conte e Casalino le cose non sono
andate come speravano: sentivo parlare di decine di responsabili ma al
netto di casi singoli, dall’altra parte ce ne sono di più, il
centrodestra ha mantenuto la sua compattezza e non era scontato. Ho
parlato con Salvini, parlerò con Berlusconi. Ora dobbiamo chiedere un
colloquio con il Colle», ha detto Giorgia Meloni a Rete 4. «Ci
rivolgeremo a Mattarella: c’è un governo che non ha la maggioranza al
Senato e sta in piedi con chi cambia casacca», annuncia anche il leader
della Lega, Matteo Salvini al Tg1.
La replica di Conte
«Dobbiamo
investire sul futuro», dice Conte aprendo la sua replica in Senato e
citando il problema del calo demografico di cui soffre il Paese. «Un
tema toccato dalla senatrice Drago – disce il premier – è il calo
demografico: è un problema serissimo, è uno dei cali tra i più severi
degli ultimi anni. Anni fa in Germania successe la stessa cosa. Se non
interveniamo adesso in tempo, rischiamo di compromettere il futuro dei
nostri figli. Occorrono investimenti economici strutturati, dobbiamo
investire sul futuro e non possiamo farlo creando una crisi di governo o
cercando di far cadere un governo. Da luglio partirà tra l’altro la
riforma dell’assegno unico mensile per oltre 12 milioni di bambini, un
progetto avviato dalla ministra di Iv Bonetti».
«Il
tema della scuola ci sta a cuore a tutti, dobbiamo lavorare perché
resti centrale nell’agenda non del governo ma del Paese. Abbiamo
realizzato 40mila aule in più, merito di una grandissima sinergia» con
«sindaci, presidenti delle Regioni, autorità territoriali». E «abbiamo
mobilitato 10 mld in più sulla scuola, archiviando la stagione dei tagli
che avevamo ereditato». «Un intero capitolo del Recovery è
dedicato all’istruzione. La curva epidemiologica non accenna a
migliorare. Ci preoccupa ma continueremo a fare di tutto, l’obiettivo è
la didattica in presenza», prosegue Conte.
«Falso che l’Italia registri il peggior calo di Pil»
Molte
osservazioni hanno riguardato il nostro calo del Pil e la consistenza
dei ristori. Non corrisponde affatto al vero – sottolinea Conte – che
l’Italia sia prima per caduta più forte del Pil. Nonostante siamo stati
colpiti per primi dalla pandemia nei primi tre trimestre del 2020 il
calo tendenziale del Pil è stato lo stesso che in Francia, inferiore
alla Spagna e al Regno Unito». «Il rimbalzo del terzo trimestre è
stato tra i più alti d’Europa, il 15,9%. Gli ultimi dati ci spingono a
confermare per il 2020 un calo del 9%, sensibilmente inferiore a quello
previsto in estate e minore di altri Paesi europei». «Si è detto che
abbiamo dato meno ristori di altri Paesi? È un’affermazione destituita
di fondamento. Grazie a quella rete di protezione il pil è calato meno
del previsto ed è stato compensato anche il deficit».